Questioni epistemologiche emergenti nelle bio

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Questioni epistemologiche emergenti nelle bio
SCIENZE E RICERCHE • N. 30 • 1° GIUGNO 2016 | BIODISCIPLINES
Introduzione.
Questioni Epistemologiche Emergenti
nelle Bio-Discipline.
Epistemic Values at the intersection of
Bio-Techno-Practice. An Introduction
to Biodisciplines
MARTA BERTOLASO1 E MIRKO DI BERNARDO2
1 Assistant Professor for Philosophy of Science in the Faculty of Engineering and at in the Institute of Philosophy of the Scientific and
Technological Practice at University Campus Bio-Medico of Rome
2 Adjunct Professor of Philosophy of Science at University of Rome “Tor Vergata”
G
li ultimi decenni hanno visto la fabbricazione di artefatti caratterizzati da complessità sempre crescente e dotati in alcuni casi di un’esistenza quasi-indipendente
(come nel caso del web) non interamente
gestibile da parte degli stessi progettisti. La complessità che
appartiene al mondo vivente – l’esistenza di un’organizzazione a più livelli, sia funzionale che strutturale – sembra
intuitivamente essere ‘raggiunta’ e a volte quasi ‘superata’
dagli artefatti umani. O meglio, si assiste oggi a una fertile
convergenza tra aspetti biologici e tecnologici, fertile non
soltanto di applicazioni pratiche ma anche di ripensamenti
radicali di fenomeni familiari e relazioni consolidate: dal diritto all’economia, al mercato e all’impresa; dalla definizione
di ‘comprensione’, ‘spiegazione’ e ‘previsione’ a quella di
‘diritto’ e ‘normatività’; dal rapporto medico-paziente al rapporto dell’uomo con l’ambiente e con la natura. Ripensare
tutto ciò significa spesso recuperare e riaffermare in modo
nuovo antiche saggezze e sapienze, che riguardano – tra l’altro – ciò che di pienamente umano vi è in tutte quelle relazioni e attività. Il presente Special Issue vuole offrire uno spaccato su alcuni sviluppi contemporanei della scienza e della
società. Sono sviluppi che si sprigionano da quelle scienze
che si confrontano con la complessità e con la natura relazionale degli oggetti d’indagine, ammettendo l’esistenza di
una pluralità di livelli d’investigazione e anzi incoraggiando
il ricorso a una molteplicità di linguaggi e metodologie. La
domanda aperta ora a tutto campo riguarda l’intersezione tra
l’interrogativo sulla vita, le tecnologie a nostra disposizione
e l’attività di ricerca. Quello che il lettore troverà sono spunti, review e annotazioni critiche sulla crescente convergenza tra diversi tentativi di rispondere a tale domanda. Sono
ricerche che continuano ad essere caratterizzate dal fattore
umano: da un metodo e uno stile cioè che rimandano non soltanto a risolvere problemi in maniera algoritmica, ma anche
a questioni etiche, a giudizi di valore delle scelte quando in
gioco vi è il bene comune.
BIO-TECHNO-PRACTICE. VITA, TECNOLOGIA E FILOSOFIA DELL’AGIRE SCIENTIFICO E TECNOLOGICO
Un’apprezzabile convergenza si è verificata anche dal punto di vista epistemologico, cioè tra concetti esplicativi provenienti da un’ampia gamma di discipline, dalla fisica alla
fisiologia e all’ecologia, dalla medicina alla robotica, nonché
dalla bioeconomia alla biopolitica e al biodiritto. Questo intersecarsi di discipline ha fatto sì che stesse proprietà siano
state attribuite a sistemi tra loro diversi – com’è appunto il
caso dei sistemi biologici e degli artefatti umani – e, come
tali, tradizionalmente oggetto di discipline tra loro distinte.
Esempi di tali proprietà sono la complessità, la coerenza, la
resilienza, la robustezza e la concezione di sloppiness, che
ormai è entrata nel gergo della comunicazione scientifica
per indicare l’instabilità dei risultati ottenuti all’interno dei
quadri interpretativi in cui erano stati generati. Il focus della
discussione, nell’analisi degli organismi e del loro comportamento dinamico, si è spostato dalla vecchia dicotomia tra
meccanicismo e olismo a quella tra riduzionismo e pensiero
sistemico.
Un interessante esempio di convergenza tra vita e tecnologia si ha con il concetto di “intelligenza incarnata”, oggi importante per la “biomeccatronica” (la branca che si occupa di
ricreare con tecnologie cibernetiche le facoltà motorie degli
organismi viventi, non senza la speranza di poter adoperare
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tali tecnologie per scopi terapeutici) e per la bioeconomia
(secondo cui materia ed energia entrano nel processo economico con un grado di entropia relativamente bassa e ne escono con un’entropia più alta invitando a ripensare radicalmente la scienza economica, rendendola capace di incorporare il
principio dell’entropia e in generale i vincoli ecologici). La
biomeccatronica così come la bioeconomia ruotano attorno
al concetto di progetto convergente di sottosistemi meccanici
ed elettronici o economici, con un’attenzione costante alla
componente biologica. I modelli adoperati in tali discipline
includono conoscenze provenienti da vari rami del sapere,
specialmente meccanica statistica, elettronica, teoria della
probabilità e scienze del vivente. Una novità significativa è la
seguente. La componente biologica e quella ambientale sono
tradizionalmente considerate al di fuori del dominio della
progettazione: essi definiscono cioè un campo in cui il progettatore ha possibilità di operare. In tempi recenti, tuttavia,
questo stesso presupposto è venuto meno, in quanto si è appurato che proprio l’interazione dinamica tra le varie componenti può condurre alla comparsa di comportamenti “emergenti”, cioè non prevedibili a partire da quelle componenti
stesse, che consentono al modello di auto-organizzazione di
simulare determinati fini. Sulla base di questi principi è oggi
possibile, ad esempio, la progettazione di robot “indossabili”
per l’assistenza a soggetti disabili. In tale contesto, il mondo biologico (Bio) è di ispirazione per la robotica (Techno)
per la quale l’intelligenza incarnata costituisce un paradigma
adeguato (Logos) per una migliore comprensione della relazione sistema-ambiente.
Soltanto in tempi recenti scienziati e filosofi della scienza
hanno iniziato a riflettere con attenzione sulle conseguenze
dell’applicazione di spiegazioni biologiche ai sistemi artificiali. Lungi dal riabilitare l’ottica riduzionista, questa intersezione tra biologia e tecnologia sembra oggi produrre l’effetto esattamente contrario. Si è infatti sviluppata l’esigenza
di ripensare la pratica scientifica e il nostro modo di concettualizzare il mondo a partire da quest’interazione tra il biologico (Bio), il tecnologico (Techno) e la pratica scientifica
(Practice) ispirata dal pensiero filosofico (Logos), alla luce
del fatto che questa stessa interazione sta contaminando le
rispettive tradizioni1. Casi come quelli della biomeccatronica e dei robot indossabili sono infatti ottimi esempi di come
l’ottimizzazione delle prestazioni, basata sull’utilizzo proficuo dell’interazione dinamica tra meccanismo, componente
biologica e ambiente esterno, ponga delle sfide difficilmente risolvibili – o anche soltanto inquadrabili – a partire dal
tradizionale paradigma analitico-riduzionista, dominante nel
corso degli ultimi quattro secoli.
Com’è ovvio, la riflessione su questa convergenza tra
biologia e tecnologia è ancora agli inizi; nessuno ha idea di
come essa influenzerà l’uno o l’altro ambito di ricerca. L’esigenza di pensare tali ripercussioni è oggi segnalata dal rapido diffondersi del prefisso “bio” (bio-ingegneria, bio-economia, bio-politica, bio-diritto, bio-logia ecc.), un fenomeno
le cui ricadute non sono ancora chiare e che esige, dunque,
una riflessione filosofica profonda. Non è peregrino ritenere
che la filosofia, e la filosofia della biologia in specie, stiano
entrando in una nuova fase. Finora l’attenzione dei filosofi
attenti alle ricerche biologiche e dei biologi interessati alle
questioni filosofiche era in un certo qual modo circoscritta
alle “conseguenze generali” del progresso delle conoscenze
biologiche – teoria dell’evoluzione, neuroscienze, ecologia,
genetica, ecc. –, al loro impatto sulla società e alle domande
speculative di lunga data quali l’esistenza del libero arbitrio
o la natura della coscienza, oppure lo statuto epistemologico
della biologia rispetto a concetti classici quali determinismo,
probabilità, riduzionismo vs. olismo, e così via.
Le cose stanno tuttavia cambiando, un cambiamento guidato dalla sensazione diffusa di essere nel mezzo di una
profonda crisi dei saperi. Non bastano più i classici metodi
high-throughput, in grado di processare una grande quantità
di dati: c’è bisogno piuttosto di concepire nuovi strumenti
teoretici. La crescente frammentazione della conoscenza sta
producendo una quantità di dati talmente alta da allontanare sempre di più la possibilità di raccoglierli in una cornice
comune. Per mutare questa situazione è necessario che la
raccolta di dati lasci il posto alla riflessione filosofica. Una
riflessione, potremmo aggiungere, la quale, benché nasca da
una convergenza inaspettata e figlia del nostro tempo, affonda evidentemente le sue radici nelle relazioni intrinseche
che tra quei concetti furono già riconosciute dalla riflessione
greca sulla physis. Le recenti applicazioni tecnologiche delle
scienze biologiche permettono di cogliere in diversi modi la
natura “relazionale” dei concetti in gioco – bios, techne, logos, praxis – già valorizzata dal pensiero antico. Ma proprio
questi stessi concetti, così intesi, sembrano particolarmente
adatti a una prospettiva che superi le inutili dicotomie (parte/
intero, causazione top-down/bottom-up, ecc.) che hanno invece caratterizzato la tradizione filosofica in tempi più recenti. In altre parole, non v’è soltanto l’esigenza di rifuggire le
tradizionali distinzioni filosofiche e rappresentazioni metaforiche – ad es. la natura in quanto “macchina” – ma soprattutto quella di soffermarsi con attenzione sulle loro relazioni2,
secondo quello che è uno degli insegnamenti fondamentali
della grecità.
In quest’ottica i contributi qui presentati ripercorrono, sia
pure in senso molto generale, i fili intrecciati dei principali
approcci che animano il dibattito epistemologico e scientifico contemporaneo con particolare riferimento al concetto
di vivente, vale a dire, quello della linearità (il cerchio della
ragione sufficiente comune alla fisica classica, relativistica e
quantistica) e quello della non linearità (la fisica dei processi
dissipativi e la teoria della complessità), illustrati in queste
pagine mediante l’articolato confronto tra riflessione di ambito umanistico (a carattere fenomenologico, epistemologico e giuridico) e scientifico (con particolare attenzione alla
biologia dei sistemi e alla economia). Alcuni temi ricorrono
come motivi dominanti in viva contrapposizione come, per
1 Cfr. Bertolaso, 2015.
2 Cfr. Bertolaso, 2016.
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esempio, quelli dell’instabilità e dell’evento (irreversibilità
temporale) in opposizione al cerchio della ragione sufficiente (reversibilità temporale) che presuppone la possibilità di
definire la causa e l’effetto tra cui una legge di evoluzione
stabilirebbe un’equivalenza reversibile. L’instabilità resiste
a questo ideale aprendo ad un nuovo campo di problemi in
cui gioca un ruolo centrale l’evento, ossia la storicità dei
processi evolutivi3. In tutti gli ambiti qui affrontati non solo
dalla biologia e dall’epistemologia, ma anche dalla logica,
dalla economia e dal diritto, sia pure sotto forme diverse, si
ritrova questo processo dialettico di opposizione generativa
di anime complementari tra l’evento (il tempo) che crea una
differenza tra il passato ed il futuro e la ragione sufficiente
(l’eternità) che tenta di definire come equivalenti. A seconda
delle posizioni sostenute dai vari autori, in virtù di questa
complessa dinamica concernente il confronto tra simmetria e
a-simmetria, si profila la possibilità di superare o meno l’opposizione tra l’oggetto sottoposto alle categorie della ragione sufficiente ed il soggetto che, per definizione, dovrebbe
sfuggire ad esse. Non mancano infine interessanti tentativi di
integrazione dell’essere eternamente identico a se stesso di
Parmenide (le leggi atemporali della fisica) e del divenire che
solo, come sostiene lo Straniero del Sofista di Platone, permette di dare senso alla vita e all’intelligenza che apprende
(la complessità incomprimibile del vivente).
CONTRIBUTI E LORO STRUTTURA
Philippe Dalleur propone un’indagine filosofica delle interazioni contemporanee e del prossimo futuro tra varie visioni del mondo a seguito dei recenti progressi nell’ambito
delle biotecnologie. Mettendo in stretta relazione i termini
Bios, Technos e Logos illustra la direzione filosofica intrapresa della scienza moderna e della tecnologia per affrontare
il fenomeno della vita. Egli svolge la sua analisi seguendo i
passi di alcuni filosofi della biologia del Novecento, come
Hans Jonas o René Thom, per studiare l’attuale tendenza
metafisica la quale contribuisce a mettere in luce i limiti di
una comprensione riduttiva della vita in ambito biologico
e tecnologico oggi potenziata da spettacolari realizzazioni
biotecnologiche in repentino sviluppo. Il riduzionismo, dunque, può facilmente rivelarsi fuorviante se l’agire scientifico
e tecnologico entra in dialogo profondo con una riflessione filosofica aperta ad un approccio di tipo ontologico atto
a comprendere e a descrivere la realtà in modo gerarchico
ed in termini di differenti tipologie di essere. Ciò consente
di distinguere chiaramente ciò che è naturale da ciò che è
artificiale così come la vita dalla morte ed un virus da un
cristallo. In quest’ottica, dunque, i fenomeni vitali e cognitivi
giungono a configurarsi come proprietà emergenti non riducibili alla mera interazione funzionale tra particelle e molecole, andando così oltre qualsiasi approccio evoluzionistico
di ispirazione materialistica.
Alessandro Giuliani mette in luce nel suo saggio il fonda3 Cfr. Di Bernardo, 2016.
mentale contributo offerto dalla statistica al superamento
dell’idea secondo cui, a livello della conoscenza scientifica,
“più aspetti si prendono in considerazione, più accurate saranno le nostre previsioni su un certo fenomeno”. I modelli di
successo in scienza sono, infatti, ‘grossolani’ (sloppy nel gergo dell’analisi dei dati) in quanto riescono a prevedere con
buona (a volte ottima) approssimazione il comportamento di
sistemi molto complessi, prendendo in considerazione pochissimi parametri di controllo e trascurando deliberatamente un’infinità di dettagli potenzialmente interessanti. Ognuno
dei fattori che entra a definire il nostro modello ci arriva con
un inevitabile margine di errore, questi errori si moltiplicano all’aumentare del numero di fattori e inevitabilmente
portano all’incremento dell’incertezza sul comportamento
del sistema globale. Incertezza resa ancora più insidiosa da
un apparente aumento di precisione dell’adattamento ai dati
sperimentali su cui il modello è costruito, che si paga con una
drammatica perdita di generalizzazione quando il modello è
usato per prevedere nuovi dati. Tale fenomeno viene definito sovra-determinazione e dipende dal fatto che il modello
usato è così potente che da un certo punto in poi inizia a
descrivere degli aspetti singolari dei dati di prova. Giuliani,
pertanto, sostiene che in questi ultimi anni vari campi della
scienza hanno dimostrato come questo fenomeno non derivi
solo da considerazioni metodologiche, ma sia profondamente innestato nella realtà stessa degli enti di natura. L’odierna
idolatria dei ‘big data’ dunque si dimenticherebbe del tutto
di questi aspetti fondamentali della conoscenza scientifica,
preparando un futuro di completa irrilevanza della scienza
nella conoscenza della natura, irrilevanza di cui, agli occhi
dell’autore, si notano già le prime avvisaglie.
Gianluca Oricchio e Marcella Trombetti affrontano in
prospettiva biologica il tema concernente l’economia della
durata di vita delle imprese. Il punto di partenza degli autori si basa sulle nozioni di rating e di probabilità di default.
L’affidabilità dei rating aziendali nel buon funzionamento
dell’economia è sollevata durante la crisi finanziaria: la capacità di rating esterni nella stima della frequenza di default
delle imprese viene confermata, mentre la capacità di rating
esterni nella valutazione del rischio di credito a società finanziarie (e nel credito strutturato) risultano in gran parte deludenti. La probabilità di default aziendale viene esaminata nel
contributo in termini di probabilità di sopravvivenza: tutte le
azioni manageriali capaci di ridurre la probabilità di default
generano un aumento della vita aziendale prevista, e viceversa. Gli stili gestionali efficaci sono delineati e ne viene
illustrata la rilevanza al fine di migliorare la prosperità delle
organizzazioni. L’obiettivo del saggio è quello di mostrare
come l’azienda delle scienze della vita sia caratterizzata da
(i) una alta aspettativa di crescita e da (ii) un significativo
rischio d’impresa. La gestione efficace di una Life Sciences
Company diviene dunque sempre più impegnativa rispetto
alla gestione di aziende di altri settori.
Claudio Sartea espone accuratamente nel suo saggio le
novità epistemologiche introdotte dal biodiritto in merito
all’impasse della riflessione bioetica contemporanea carat7
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terizzata dalla contrapposizione tra approccio sostanzialista
e approccio procedurale. Dopo aver esaminato la questione
centrale dello status giuridico del corpo umano, Sartea sottolinea e sviluppa tre aspetti fondamentali. Il primo riguarda
la necessità di risolvere problemi reali, che rappresentano
questioni difficili per la società in relazione alla vita umana;
questa necessità conduce coloro che utilizzano il biodiritto
ad accettare soluzioni prudenziali, rispettando tuttavia i principi fondamentali del diritto e della giustizia, attraverso una
corretta argomentazione. Il secondo concerne la possibilità
di superare i contrasti tra l’approccio cognitivista e quello non-cognitivista nel dibattito morale. A questo livello il
biodiritto ha il suo fondamento nei principi strutturali della
legge (la reciprocità, l’uguaglianza, la tutela dei soggetti deboli, il principio di precauzione, etc.), che sono in generale
riconosciuti dal diritto costituzionale. Il terzo infine attiene
alla promozione della responsabilità sociale dei giuristi che a
sua volta si riferisce non solo alle conseguenze del comportamento dei professionisti, ma anche ad una speciale sensibilità nei riguardi dei bisogni collettivi e nella protezione dei
soggetti più fragili.
Margherita Daverio sviluppa una riflessione sulla biopolitica nel significato di biopotere, inteso come il potere politico
che si afferma sulla vita biologica; la definizione descrittiva
della biopolitica secondo gli aspetti giuridici e politici della
vita naturale è un punto di partenza, ma non è sufficiente. La
tesi di Daverio è che la biopolitica induce a concentrarsi sul
concetto della stessa vita da un punto di vista epistemologico,
rivelando la necessità di individuare una definizione minima
della vita, che dovrebbe includere la distinzione aristotelica
tra bios (l’espressione irriducibile della vita umana), zoe (la
vitalità in comune con tutti gli esseri viventi) e psiche (psichica e vita spirituale). Secondo una prospettiva valutativa
di riflessione critica, nel nucleo della biopolitica, in termini
filosofici, sarà possibile riconoscere una relazione ontologica
tra bios e politica, vale a dire tra vita (in particolare la vita
umana) e potere politico. Anche se nella biopolitica la nozione di bios non ha uno statuto epistemologico proprio, in
quanto totalmente definito dal potere, essa è continuamente
chiamata in causa come l’altro polo del potere che si esercita
sulla vita e in particolare sulla vita biologica, alimentando
costantemente la ricerca di una spiegazione epistemologica
del vivente in grado di includere un concetto minimale di
vita.
Ilaria Malagrinò analizza la prospettiva filosofica di Michel Henry come esempio di come la riflessione sulla vita in
termini fenomenologici sia in grado di fornire, in particolare
ai medici, una concezione del paziente come un sé umano
vivente che è necessario ai fini pratici della cura. In tal guisa
una fenomenologia del vivente diviene essenziale per chiarire quale tipo di azione ci si deve attendere che l’agente compia per realizzare il proprio télos secondo la propria natura.
In quest’ottica, giunge ad essere rivisitato il pensiero classico ed in modo particolare quello Aristotelico. Nella Politica,
infatti, in accordo con lo Stagirita, il corretto significato di
bios, la vita, è praxis e non poiesis, vale a dire “azione” e
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non “fare”. Da questo punto di vista, la pratica è più di una
attività o di una particolare forma di comportamento. Questo
termine, infatti, si riferisce alla vita dell’essere vivente in generale, che raggiunge il suo compimento nel fare e nell’agire
o nel lavorare. Pertanto, se la prassi è la forma del suo movimento, allora l’azione diviene un altro significato sinonimo
di specifiche forme di esseri viventi (bios): la diversità degli
esseri viventi sarà dunque presentata nella diversità delle
loro pratiche. Secondo questa lettura, l’azione umana costituisce il movimento peculiare di ogni essere umano, ossia il
suo modo d’essere.
Lo Special Issue attraversa così molte scale di osservazione e contesti differenti, mettendo in gioco relazioni tra
naturale e artificiale, sociale e biologico, vivente e non vivente, e, più in generale, la relazione tra l’umano e il mondo.
Tutto ciò stimola ancora di più nella ricerca di modi nuovi
e relazionali di ‘mappare’ il reale per attrezzarsi alle sfide
che sono alle porte e che ci vengono segnalate ogni giorno
dall’avanzamento della scienza, della tecnologia e dell’epistemologia.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Bertolaso M. (2015) (a cura di), The Future of Scientific
Practice: ‘Bio-Techno-Logos’, Pickering & Chatto, London.
Bertolaso M, (2016) “A System Approach to Cancer.
From Things to Relations”. In: S. Green (a cura di), Philosophy of Systems Biology – Perspectives from Scientists and
Philosophers, Springer, History, Philosophy and Theory of
the Life Sciences.
Di Bernardo M. (2016) “Introduction Section III: Science
and Logic of Time”. In: A Philosophical Thematic Atlas.
The Concept of Time in the Contemporary Philosophy of
the Early Twentieth Century, Springer, Berlin, pp. 189-195.