Tutti a scuola fino a 16 anni

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Tutti a scuola fino a 16 anni
Rapporti tra sistema di istruzione e formazione professionale
di Maria Brigida
Dopo la sottoscrizione del programma elettorale da parte di tutti i partiti dell’Unione, che
pure non ci aveva del tutto soddisfatti ( come noto la CGIL nella sua proposta
programmatica ha chiesto da subito l’elevamento dell’ obbligo di istruzione a 16 anni ed
entro la legislatura a 18 anni), avevamo pensato che finalmente in questo paese si era
positivamente risolta una vexata questio, che negli anni aveva di fatto bloccato il processo
di elevamento dell’obbligo di istruzione.
Nell’era della società della conoscenza, da tutti celebrata, dopo la iper citata Conferenza di
Lisbona del 2000, ci pareva naturale che anche nel nostro paese si assumesse il tema
dell’obbligo di istruzione almeno fino a 16 anni come risolto dalle scelte delle famiglie e
dei ragazzi che nella stragrande maggioranza ormai si iscrivono “spontaneamente “ alla
scuola superiore.
Da questo naturale processo, rimaneva e rimane esclusa una percentuale ( mai del tutto
definita e condivisa) di ragazzi per i quali abbiamo creduto, sperato si potessero aprire,
tramite l’elevamento dell’obbligo di istruzione, le porte di una scuola superiore inclusiva,
che assume su di sé la responsabilità di portare anche loro a livelli di istruzione di base
degni di un paese dalla democrazia reale garantita a tutti, a partire dai più deboli.
In genere quelli forti non hanno bisogno di nessun intervento, né legislativo né sociale, per
esercitare i diritti.
Ed invece eccoci qua, anche oggi a rivendicare l’ovvio e cioè a dire, alto e forte, che il
problema del disagio scolastico, della dispersione e dell’abbandono, è un problema del
sistema di istruzione che deve attrezzarsi ad affrontarlo e risolverlo e non è un problema
da scaricare ad altri, che hanno altre funzioni, le cui azioni hanno una finalizzazione
diversa ma altrettanto necessaria, la formazione al lavoro e nel lavoro, tanto meglio
garantita se alla base c’è una formazione culturale iniziale di buon livello.
Francamente sento un po’ di disagio a riprendere questo tipo di discussione intorno
all’obbligo scolastico, innanzitutto di natura politica, perché sono fra coloro che nel votare
questo schieramento, avevano espresso anche una speranza rispetto ad un’idea di
progresso anche su questo versante, che consideravo acquisita,.
Ma c’è anche una certa stanchezza in questo mio argomentare posizioni che da tanti,
troppi anni ci vedono coinvolti, a fronte, di una esigenza espressa e confortata dalle scelte
di tutti i paesi che in questi anni hanno capito che investire sull’educazione dei propri
cittadini, è una scelta a favore della democrazia ma è anche una scelta che parla alla
qualità dello sviluppo degli stessi.
Ma ha senso per le persone questa discussione? Mi verrebbe da dire di no, se quelli che
da soli ce la fanno a capirne il valore, scelgono di portare e di tenere i loro figli a scuola,
anche a forza.
E’ una discussione che non dovrebbe avere senso per chi ha a cuore il destino ed il
carattere della democrazia nel nostro paese.
Non dovrebbe avere senso per i produttori, coloro che dovrebbero competere sui mercati
internazionali avendo come punto di forza la qualità del produrre e dei prodotti.
Sicuramente non ha senso per i deboli, che da soli non chiedono nulla, perché spesso
neanche sanno di avere dei diritti, figuriamo se sono in grado di chiedere di esercitarli.
Nella primavera scorsa il Sindacato dei pensionamenti della CGIL, a proposito di diritto
all’educazione permanente, ha scelto un titolo per un convegno a ciò dedicato, che mi
pare, nella sua semplicità, particolarmente significativo: “ se non sai, non sei”.
Ed allora poche, spero chiare cose sul rapporto tra istruzione e formazione professionale.
Innanzitutto un riconoscimento, un apprezzamento per chi in questi anni si è fatto carico di
svolgere una supplenza, di raccogliere i fallimenti della scuola pubblica.
Parlo della Formazione professionale, spesso vilipesa, sicuramente poco apprezzata,
considerata residuale, marginale sotto diversi punti di vista, a partire dalla scarsa
attenzione alla sua qualificazione, alla sua crescita da parte dei molti che però le hanno
scaricato i problemi.
Si, perché di questo si è trattato e di questo in qualche modo si tratta anche nell’ipotesi
contenuta in Finanziaria a proposito di obbligo.
Perché sicuramente non sarà sfuggito a nessuno, che l’obbligo di istruzione è elevato per
tutti di due anni, durerà per tutti dieci anni, tranne…
Tranne coloro che non ce la fanno.
E’ questo l’aspetto a mio giudizio più pesante di quella norma.
Non parla alla scuola pubblica, in qualche modo ope legis liberata proprio del mandato
costituzionale “ è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli….che si frappongono
all’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del paese”.
Quegli ostacoli stanno sempre da una parte.
Non parla a quegli studenti che fanno fatica a stare dentro una scuola non pensata per
loro, che infatti ne sono respinti.
Ma non parla neppure alla Formazione professionale, perché la si condanna ad un ruolo
residuale, la si costringe ad occuparsi in modo precipuo solo dei più deboli, perché tanto i
nostri bambini ( la classe media e alta) lì non ci andranno mai, se non a venti anni, dopo
che li abbiamo iscritti a tutte le tipologie possibili di scuola, fino a quelle private.
Le esperienze dei percorsi sperimentali triennali, nati per rispondere ad un’emergenza,
non danno esiti tali da poter indicare quella come la soluzione per sconfiggere la
dispersione scolastica.
Insomma la risposta alla dispersione è più complessa, e non va ricercata nella semplice
separazione dei deboli dai forti, che è la strada più facile, direi persino banale e che di
fronte ad un fenomeno così diversificato nelle sue cause ha manifestato tutta la sua
inadeguatezza.
Io penso, invece, che la scuola debba cambiare per permettere a tutti di conoscere e
sapere quel tanto ( ora sempre di più) che è necessario a capire ciò che accade.
E penso che la Formazione professionale debba finalmente essere riconosciuta come un
sistema utile, necessario a tutti per acquisire professionalità spendibili sul lavoro.
Il sistema nazionale di F.P,. che va costruito, va finalizzato alla formazione per l’ingresso
al lavoro e nel lavoro, deve essere stabile e di qualità per rispondere ai bisogni espressi
dalle attività di formazione continua, educazione degli adulti, rilascio della qualifiche,
anche di alto livello, IFTS, apprendistato.
Per questo ci vogliono, a livello nazionale e regionale, istituzioni formative stabili,
professionalità specifiche, risorse certe.
Il primo passo per realizzare il sistema della formazione professionale prospettato così
brevemente consiste innanzitutto nel superare l’attuale stato marginale e residuale della
formazione professionale nei confronti dell’istruzione.
Insomma credo che bisogna intervenire contemporaneamente sul sistema scolastico e
sulla formazione professionale, perché entrambi facciano bene il loro mestiere, evitando
confusioni e rendendo responsabili ciascuno del proprio ruolo.
In questo modo, scuola e formazione professionale possono, forse in alcune circostanze
devono rapportarsi, ma non per fare l’uno ciò che l’altro non ha saputo fare, ma per
migliorare, arricchire, completare il percorso formativo dei giovani.
Noi pensiamo che fino a 16 anni i ragazzi debbano stare a scuola per acquisire i saperi di
base necessari. Per questo essa ha di fronte grandi interrogativi le cui risposte deve
ricercare al suo interno.
Pensiamo che la formazione professionale debba occuparsi di lavoro, per l’ingresso e per
la permanenza nel mercato del lavoro, per rendere le persone più forti professionalmente
in modo che lo siano anche come lavoratori nei luoghi del lavoro, pubblico e privato.
Pensiamo che scuola, università e formazione professionale, da queste posizioni chiare e
precise di ruolo e di funzioni, debbano collaborare, mettere insieme il meglio di ciascuno
per far in modo che i giovani e gli adulti siano sempre nelle condizioni di capire e di
interagire con i fenomeni in modo attivo, uscendo dalla subalternità cui sarebbero
condannati se si marcano dei deficit culturali.
Un’ultima considerazione.
Quando noi sosteniamo che l’elevamento dell’obbligo di istruzione va collocato
pienamente dentro il sistema scolastico non stiamo prefigurando un ritorno ad un
passato/presente che non abbiamo mai condiviso.
Non stiamo proponendo un neo gentilismo da accatto che qualcuno dei nostri interlocutori
cerca di attribuirci.
Al contrario pensiamo ad un nuovo modello di scuola, ad una didattica profondamente
ripensata verso una finalizzazione inclusiva, in cui non siano marginalizzati proprio coloro
che di scuola hanno più bisogno.
Noi non abbiamo mai pensato ad un sapere “alto”, che non si confronta mai con il fare.
Per 5 anni abbiamo contrastato questo modello.
Al contrario, pensiamo che conoscere sia un processo complesso, in cui il sapere
determina cambiamenti se è frutto di esperienza vissuta, praticata. E’ un processo quindi
unitario, dentro il quale si ricompongono i diversi momenti, teorici e pratici, attraverso il
riconoscimento e la valorizzazione delle diverse modalità di apprendimento.
Proprio chi prefigura percorsi diversi, separati tra l’uno sistema per “ i bravi” a studiare e
l’altro per chi fa fatica a studiare, in realtà nega la unitarietà del processo di
apprendimento, nega il valore educativo all’ apprendimento che usa il fare.
Usare, infatti, il “fare” solo per chi è a rischio di dispersione ed abbandono scolastico
significa, considerare la didattica laboratoriale subalterna, di minore valore rispetto al
sapere teorico. Riecccheggiano qui risonanze morattiane che pensavamo di esserci
lasciate alle spalle….
Ed allora. La scuola deve occuparsi e preoccuparsi di educare tutti per le ragioni che
Benedetto Vertecchi ci ha così egregiamente rappresentato. Come farlo è un tema aperto
e su questo Domenico ci offre una proposta su cui ragionare, fare…e che tiene insieme il
sapere ed il fare. Che, attenzione, non è né deve diventare prerogativa della F.P.
La F.P. ha un altro compito, la formazione al e nel lavoro e per questo deve essere
rafforzata, qualificata, costruita.
La loro interazione, collaborazione non solo è possibile, ma in alcuni casi auspicabile.
Ma è un tema che non c’entra nulla con l’elevamento dell’obbligo di istruzione a 16 anni,
che in quanto tale va realizzato a scuola, fuori da qualsiasi ambiguità e confusione.
L’esperienza maturata in molte regioni a seguito dell’elevamento dell’obbligo di istruzione
di berlingueriana memoria ci insegna che se non è chiaro il dettato legislativo i rischi per
una rivitalizzazione di percorsi duali è davvero dietro l’angolo. Ed in questo certo con ci
confortano recenti dichiarazioni del Ministro Fioroni che, in importanti convegni regionali,
ha garantito agli enti di formazione professionale storicamente impegnati in percorsi di
formazione per quattordicenni la possibilità di continuare in questa direzione.
Ci troviamo insomma di fronte ad una situazione paradossale per la quale insieme
all’elevamento dell’obbligo di istruzione, da noi tanto cercato, con la finanziaria si sta
introducendo una polpetta avvelenata che rischia di vanificare gli esiti di quella importante
conquista.
Noi vogliamo credere che così non sia.
Ma se così dovesse essere, dovremmo tutti riconoscere che a questa classe politica è
mancato quel coraggio, quella spinta che nel lontano 1962 portò alla media unica in una
situazione in cui pure non mancavano dubbi e perplessità, addirittura maggiori di quelle
che oggi si esprimono sull’obbligo fino a 16 anni a scuola.