Teologia morale: psicanalisi e morale
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Teologia morale: psicanalisi e morale
Teologia morale: psicanalisi e morale La letteratura teologica che si occupa di psicoanalisi è per gran parte costituita da articoli o brevi saggi. Le poche opere con intenti "sistematici" furono scritte dagli psicologi, anche se la demarcazione delle competenze in questo genere di letteratura è sempre molto sfumata; pensiamo all'Odier (CH. Odier, ‘Le deux sources consciente et inconsciente de /a vie morale, Neuschatel, De la Baconniére 1943) e al Nuttin, la cui opera è ancora reperibile e dunque la recensiamo più avanti. Tale fatto è già indicativo della difficoltà dei teologi a produrre una riflessione sul tema che vada oltre la trattazione occasionale di questo o quell'aspetto. È tuttavia una letteratura relativamente cospicua, a testimonianza dell'interesse che la nuova scienza dell'uomo ha suscitato ed ancora suscita in campo teologico. L'epoca di maggior produttività furono gli anni ‘60 e ‘70; l'area linguistica maggiormente interessata, quella francofona. Un quadro bibliografico esaustivo non è possibile darlo nei limiti di questa rassegna; rimandiamo perciò al libro da noi pubblicato presso l'editrice Glossa: G. Mazzocato, Patire ed agire. L'insuperabile profilo morale dell'Io e le aporie della teoria psicologica, Milano 1995, p.266, L. 45.000. In esso troverete anche un bilancio critico del dibattito teologico sin qui avvenuto. In queste pagine abbiamo pensato di recensire i testi tradotti in italiano e ancora reperibili nelle librerie, risalenti a quegli anni; gli articoli e le pubblicazioni più recenti li lasciamo ad altre eventuali occasioni. Pensiamo sia utile anche indicare alcuni saggi di introduzione alla psicoanalisi; ci limitiamo a quella freudiana, referente fondamentale del dibattito teologico. Il testo forse più illuminante e nello stesso tempo agile è quello della S. Vegetti Finzi, Freud e la nascita della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1995, pp. 198, L. 10.000. L'autrice, docente di psicologia dinamica all'università di Pavia, è forse uno dei più attenti ed informati cultori italiani del sapere psicoanalitico. La psicoanalisi viene presentata nel suo profilo più significativo per chi, come il teologo o il pastore, non ha interesse a conoscerla minuziosamente nei suoi aspetti dottrinali o in quanto pratica clinica. La letteratura psicoanalitica abbonda di storie delle dottrine, e delle relative vicissitudini in ordine alla presunta "ortodossia", rari sono invece gli autori che, distaccandosi dall'ossessione esegetica nei confronti del maestro, cercano di comprendere il "fatto" psicoanalisi nel suo significato culturale e quindi nel contesto storico del ‘900. A rendere auspicabile tale approccio concorrono due fondamentali ragioni: da una parte la necessità di distanziare il fatto civile della malattia mentale dall'invenzione clinica psicoanalitica; dall'altra quella di collocare le "scoperte" di questa nuova scienza dell'uomo dentro la tradizione del pensiero antropologico occidentale, dunque anche teologico. Sotto il primo profilo la psicoanalisi, nel momento in cui ha conferito serietà e dignità alla malattia mentale, ha anche avviato il processo della sua medicalizzazione, una sorta di sequestro terapeutico di essa; il fatto poi che il suo sapere abbia avuto fin dall'inizio un carattere iniziatico ha ostacolato la riflessione critica su di esso e dunque la comprensione del suo significato antropologico. Il testo della Vegetti Finzi è senz'altro uno dei pochi capaci di illuminare la psicoanalisi freudiana sotto questo duplice aspetto. Della stessa autrice, per chi volesse approfondire in modo più dettagliato le vicende dottrinali psicoanalitiche, è disponibile la Storia della psicoanalisi, riedito nel 1990 nella collana degli Oscar Mondadori, pp. 449, L. 18.000. Un secondo testo attento al significato antropologico della psicoanalisi è quello di A. Schopf, Freud e la filosofia contemporanea, Il Mulino, Bologna 1985, pp. 219, L. 18.000. L'autore insegna filosofia a Wurzburg. Egli presenta anzitutto la figura di Freud, quindi la sua dottrina ed infine i diversi confronti che questa ha avuto con alcune correnti filosofiche del ‘900: dalla fenomenologia, alla Scuola di Francoforte. La parte migliore, e più estesa, del libro è quella dedicata all'esposizione delle dottrine freudiane. In un confronto serrato con la vicenda intellettuale di Freud, testimoniata dal tormentoso evolversi della dottrina, l'autore offre parecchi spunti illuminanti al fine di chiarire che cosa le "scoperte" da lui fatte modificano sulla comprensione che l'uomo occidentale ha avuto di sé stesso. Sulla stessa linea risulta illuminante il saggio di M.A. Trasforini, La professione di psicoanalista, Torino, Boringhieri 1991, pp. 238, L. 36.000, nel quale la riflessione sulla psicoanalisi è condotta dal punto di vista del suo costituirsi come professione. Vengono alla luce in tal modo i meccanismi sociali di riconoscimento della validità della nuova scienza e della relativa pratica clinica ed il loro significato culturale. Sempre utile per la sua concisione e chiarezza, per chi non ha mai accostato le teorie freudiane, è il testo di L. Ancona, La psicoanalisi, La Scuola, Brescia 198410, pp. 228, L. 23.000. Un valido strumento di consultazione è poi il testo di J. Laplanche - J.B.Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, Laterza, Bari 1987, pp. 640, L. 40.000. Veniamo dunque ai testi "vecchi" di riflessione teologico-morale sulla psicoanalisi, appartenuti al dibattito svoltosi degli anni ‘60 e ‘70; purtroppo pochi sono ancora disponibili nelle librerie. La lettura di essi è utile non solo per riandare alle origini della riflessione ma anche per ritrovare tante tesi che ancor oggi ricevono consenso e così rendersi conto di quanto poco si sia evoluta la riflessione teologica sul tema. Da quegli anni in poi, non si è più avuta infatti una seria riflessione critica; i teologi si sono sempre più limitati a citare nel loro manuale questa o quella teoria psicologica e gli psicologi hanno prodotto una sempre più cospicua letteratura dedicata all'utilizzo pastorale della psicologia. È significativo notare come in questi testi "psicologici" l'obiettivo dichiarato sia pratico e come tuttavia i loro autori siano impegnati ad offrire dei riferimenti antropologici nuovi, non invece una teoria della pratica educativa o del sostegno psicologico o del discernimento vocazionale. Si vuole dunque rimediare alla - almeno presunta - astrattezza del sapere teologico, più che illuminare la prassi. In questo genere di letteratura psicologica c'è infatti poco di "pratico" ed invece molti - e per lo più confusi - sforzi "teorici". Un testo che ha fatto scuola, con indubbi meriti, è quello di J. Nuttin, Psicoanalisi e personalità, Paoline, Roma 19848, pp. 396, L. 28.000. L'edizione originale risale al lontano 1955. L'autore è uno dei personaggi tipici di quegli anni: psicologi ed insieme teologi, operanti in particolare a Lovanio o alla facoltà domenicana "Le Sauchoir" (la rivista più assiduamente attenta al tema in quegli anni fu "Le Supplement"); il loro impegno è di promuovere il rinnovamento della morale, o più in generale della mentalità cattolica, mediante il confronto con la psicoanalisi. Furono essi a prendere per primi la parola ed a fornire un primo schema interpretativo del significato morale della psicoanalisi. Sostanzialmente esso ruota attorno alla figura dell'inconscio, unanimemente recepito come la "scoperta" fondamentale della psicoanalisi. Tale figura viene però recepita - anche perché la stessa dottrina psicanalitica induce a farlo secondo il vecchio schema del conflitto tra ragione e appetiti, tra razionale e irrazionale ed acquista il significato riduttivo di protestare contro le pretese normative, la debolezza della ragione contro la forza della pulsione. Il compito che viene dunque ad essere prefigurato per il moralista è quello di rivedere l'impianto normativo alla luce di questa realtà psicologica. Il punto teoreticamente nevralgico del discorso, pur pregevole, del Nuttin è la teoria dello "sviluppo costruttivo". Il problema infatti non è tanto quello di opporre alla tendenza regressiva di Freud l'evidenza di una tendenza opposta; è invece quello di ripensare il rapporto tra razionale e irrazionale; di ripensarlo sul piano "psicologico" e cioè come problema dell'Io, del soggetto, non invece come semplice problema di esercizio delle sue facoltà. È la libertà in sé stessa che va ripensata, alla luce delle condizioni psicologiche dell'Io, e non semplicemente ne va limitata la sfera di influenza, e dunque la responsabilità morale. La riflessione teologica verrà abbagliata dalla critica psicoanalitica alla legge, dal nesso tra colpevolizzazione e malattia mentale. Il tema della colpa, obiettivamente centrale nella problematica psicoanalitica, viene ridotto al problema della normazione e dunque delle cause civili della malattia; esso costituisce invece un elemento intrinseco al fenomeno del disagio psicologico, come del resto fu fin dall'inizio intuito ma senza essere in grado di argomentarlo. A partire dal tali premesse è utile andarsi a leggere i testi dell'Oraison. In circolazione ce ne sono però soltanto due e non i più significativi; il primo M. Oraison, Morale per il nostro tempo, Borla, Torino 1970, pp. 209, L. 20.000. Il pensiero di questo autore è il più rappresentativo della posizione teologica più ingenua e riduttiva, ma non per questo la meno diffusa; anche per tale motivo vale la pena leggerlo. Nel tentativo di opporsi e superare la tradizione casistica e la deriva legalista ad essa connessa, egli valorizza la psicoanalisi come sapere che erode la fissità legalista della morale mostrando la complessità soggettiva degli atti. Ma, appunto, il suo discorso si ferma all'aspetto normativo e dunque non arreca vantaggi al fine di superare illegalismo denunciato, mediante una considerazione antropologica delle condizioni soggettive dell'atto morale; semplicemente erode la tradizione normativa. Su questo piano, proprio perché manca una elaborazione propria, l'autore assume acriticamente la teoria freudiana. Più puntuale in ordine al tema psicoanalisi è l'altro testo, ancora in circolazione, Il mistero umano della sessualità, Borla, Torino 1967, pp. 160, L. 20.000, la cui lettura è utile per verificare la verità di quanto qui affermato. Autore più "teologo" dell'Oraison è L. Beirnaert, del quale è ancora in commercio la raccolta di articoli edita con titolo Esperienza cristiana e psicologia, Boria, Torino 1965, pp. 328, L. 40.000, la maggior parte dei quali è dedicata alla psicoanalisi; se ne considera il rapporto con la direzione spirituale, l'utilizzo nell'itinerario vocazionale, il chiarimento che essa opera delle condizioni psichiche del cammino di conversione e di santità. Un articolo è più precisamente dedicato ad un confronto tra l'esperienza di Ignazio di Loyola e l'esperienza psicanalitica. La riflessione dell'autore, pur limitata nello spazio, risulta illuminante, anche se i problemi enunciati non trovano adeguato approfondimento. Bisogna anche tener conto che l'autore scrive negli anni ‘50. Lettura senz'altro stimolante è anche quella del libro di M. Bellet, Fede e psicoanalisi, Cittadella, Assisi 1975, pp. 118, L. 4.000 (anche questo è una raccolta di articoli). L'autore tematizza nel modo più lucido e radicale uno dei due significati fondamentali che la psicoanalisi assume agli occhi dei teologi: quello di essere nuova risorsa conoscitiva della realtà umana e quello di valere come strumento di verifica delle motivazioni dell'agire morale e religioso. Bellet approfondisce soprattutto quest'ultimo significato, asserendo che la psicoanalisi non è questione teorica ma pratica; precisamente è una disciplina - una sorta di "ascesi rovesciata" - che insegna a "fare la verità" dentro e fuori di sé. All'analisi psicologica viene dunque riconosciuto un alto significato spirituale, precisamente quello di purificare la fede dalle false motivazioni. Il ricorso a tale strumento si giustifica alla luce della realtà dell'inconscio; dal fatto cioè che l'ambiguità del soggetto credente non dipende da lui, almeno non immediatamente e direttamente, ma da forze a lui sconosciute e sottratte alla sua attuale capacità di dominio. Per tale ragioni gli strumenti tradizionali della direzione spirituale non sono sufficienti. Il percorso a ritroso dell'analisi psicologica conduce verso un momento originario dell'esperienza umana nel quale Dio e l'inconscio possono trovarsi insospettabilmente vicini, cifre di quell'alterità che fonda il soggetto e nello stesso tempo si sottrae radicalmente a lui. In rassegne successive daremo informazione sulla ben più numerosa produzione di articoli e sulle poche pubblicazioni recenti, tra le quali di E. Drewermann. Prof. Giuseppe Mazzocato