6 novembre 2016 – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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6 novembre 2016 – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
DIO DEI VIVENTI
XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – anno C – LUCA 20,27-38
In quel tempo 27. Gli si avvicinarono alcuni sadducei - i quali dicono che non c'è risurrezione - e gli posero
questa domanda:
La liturgia odierna ci fa riflettere sulla vita presente e sull’aldilà. Il brano del Vangelo ci presenta Gesù che è
entrato in Gerusalemme e si mette a predicare. Lo attorniano sommi sacerdoti e scribi che, invece di
riconoscere in Lui il Messia mandato da Dio, cercano ogni pretesto per condannarlo.
Lo interrogano su questioni marginali e provocatorie proprio per indurlo in inganno.
È questo l’unico episodio in cui i sadducei compaiono espressamente e dialogano con Lui. I sadducei
facevano parte dei discendenti di Sadoc e si ritenevano sacerdoti legittimi. Non erano considerati dal popolo,
a differenza dei farisei. Non accettavano la tradizione orale ed erano legati all’insegnamento del Pentateuco
soltanto, per cui tutto ciò che non era scritto nei primi cinque libri della Bibbia non era considerato per loro
valido. Siccome Mosè non parlava di risurrezione, essi non l’ammettevano. Dopo la distruzione del Tempio
di Gerusalemme non comparvero più nella storia di Israele.
28. "Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo
fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”.
L’intento dei sadducei è entrare in polemica con Gesù. Si appellano a Mosè che riconoscono autorevole
mediatore tra Dio e il popolo. Gli pongono il caso preso dall’istituto del levirato, come prescritto in Dt. 25,510, che ha alla base il desiderio di sopravvivere dopo la morte attraverso i figli, per dare una continuità alla
famiglia e alla stirpe. Ne consegue che il figlio nato dall’unione di un uomo con la cognata rimasta vedova è
giuridicamente considerato figlio del defunto, anche se il padre non è quello carnale.
29. C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30. Allora la prese il
secondo 31. e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32. Da ultimo morì anche la
donna.
I sadducei enunciano la legge e poi usano uno stile popolare di narrazione e inventano un caso veramente
limite, esagerato: sette uomini, sposati ad una stessa donna, che muoiono uno dopo l’altro, senza lasciare
figli. Ultima, muore anche la donna. Non esiste, perciò discendenza. Fa pena questa donna che ha dovuto
sottostare a sette mariti, senza la consolazione di avere un figlio. Gesù, però, allarga la prospettiva e conduce
a considerare la logica della Vita, non quella della materialità.
33. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie".
Secondo i sadducei non esisteva la risurrezione e il caso dimostrava l’impossibilità di tale risurrezione dei
morti. Questa loro posizione era contraria a quella del giudaismo che pensava ad un ritorno alla vita terrena
piena di consolazioni, gioie, fecondità e fertilità, compresa anche la vita sessuale.
34. Gesù rispose loro: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35. ma quelli che sono
giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito:
Gesù dà una spiegazione che supera la materialità della vita futura e presenta una condizione completamente
trasformata della vita oltre la morte.
La donna riconoscerà i suoi mariti, ma non apparterrà a nessuno di essi.
Nella vita terrena occorre la procreazione per la sopravvivenza dell’umanità ed è un mezzo per garantire
l’immortalità del defunto che vive nei suoi posteri. Nel mondo che verrà non occorre più né il matrimonio né
la procreazione, in quanto l’uomo ha già raggiunto l’immortalità.
36. infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione,
sono figli di Dio.
Coloro che sono salvati non muoiono più, saranno simili agli angeli, cioè immortali. Il matrimonio, pertanto,
è transitorio perché non occorrerà per essere immortali.
Tutti saranno figli di Dio, grazie alla partecipazione alla risurrezione di Cristo. I salvati sono in comunione
con la filiazione divina di Cristo stesso. Tuttavia l’uomo mantiene la sua umanità, non diventa di natura
angelica. Scrive P. Ermes Ronchi: “Nella Bibbia gli angeli hanno la potenza di Dio, un dinamismo che
trapassa, sale, penetra, che vola nella luce, nell'ardore, nella bellezza. Il loro compito sarà custodire,
illuminare, reggere, rendere bello l'amore”, ma noi valiamo come figli di Dio”.
Gesù non svaluta il matrimonio, ma ne definisce la caratteristica della transitorietà. Raggiunta l’immortalità,
l’uomo non ha più bisogno di procreare per diventare immortale.
La vita sarà completamente diversa e anche l’uomo e la donna non avranno bisogno di unirsi sessualmente
per realizzarsi.
La dignità dell’uomo consiste nell’essere pensato, voluto, creato, amato, custodito e curato dal Padre della
vita, che non l’abbandonerà mai. Ogni attimo dell’esistenza è prezioso per Dio e proprio per questo non
possiamo dissolverci nel nulla.
37. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il
Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe.
Gesù richiama Mosè, fondandosi sull’Esodo (Es 3,6), libro che i sadducei consideravano sacro, per avere un
punto in comune nel ragionamento con i sadducei, dal momento che essi ne riconoscono l’autorità. Dio ha
concluso un’alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe, giura di essere loro fedele, pertanto non può
abbandonarli nella morte, ma realizza la promessa di essere loro sostegno e salvatore. Dio è il Dio Presente,
esiste qui ora e sempre, perciò Abramo, Isacco Giacobbe vivono ancora in Dio. La Vita non può finire, ma
solo trasformarsi. “Dio non è Dio dei morti”, e lo sarebbe se Abramo, Isacco e Giacobbe non vivessero più.
Ma essi vivono e rendono gloria a Dio. Ciò significa anche che solo chi vive per Dio, vive davvero. Dio
invita tutti gli uomini alla sua casa paterna, perché desidera che noi tutti beneficiamo con lui della pienezza
della vita nell’immortalità.
P. Ermes Ronchi così spiega: “Il Dio più forte della morte è così umile da ritenere i suoi amici parte
integrante di sé. Dio di Abramo, di Isacco, di Gesù, Dio di mio padre, di mia madre... Se quei nomi, quelle
persone non esistono più è Dio stesso che non esiste. Se quel legame si dissolve è il nome stesso di Dio che
si spezza. Per questo li farà risorgere: solo la nostra risurrezione farà di Dio il Padre per sempre”.
38. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui".
Dio è colui che vince la morte. Nella risurrezione di Gesù Dio dimostra di essere veramente il Dio dei
viventi. Egli non abbandonerà coloro che hanno dato la vita per Lui.
Anche a noi questa lieta notizia consente di sperare nella gloria futura e nella gioiosa partecipazione alla
festa senza fine. Siamo chiamati a grandi cose, perciò non dobbiamo fermarci alle piccole circostanze che ci
feriscono, alle meschinità che ci bloccano. Pensiamo, invece, allo sguardo di Dio che ci segue, al suo cuore
che trepida per ciascuno di noi. Quello che viviamo ha un senso e costituisce interesse per il nostro Dio. Il
nostro cuore ha sete di infinito e non può essere appagato finché non è unito al suo Dio. Nell’attesa siamo
chiamati a far scendere nel braciere della nostra vita i grani di incenso di ogni atto di amore e di ogni
preghiera, perché profumi per Dio e gli dia lode fino al momento dell’incontro definitivo nell’abbraccio di
luce e di pace.
Suor Emanuela Biasiolo