Lo sguardo sequenziale V: Off Shore

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Lo sguardo sequenziale V: Off Shore
Lo sguardo sequenziale V: Off Shore
A cura di Andrés Morte//Firenze, Teatro Lorenese
19-21 Maggio ‘05
MMMP// Firenze
A partir del proyecto europeo “El gesto en Europa” coordinado desde Fabbrica Europa, se ha creado
una línea de introspección creativa basada en cuatro ejes primordiales: Movimiento, imagen, música
y performance. Sobre todo se ha trabajado en la imagen incorporada a la escena, usando el tiempo
real de la palabra y el performance para dar una estructura cinética al lenguaje audiovisual.
Hemos trabajado con jóvenes actores para ahondar en una mayor interacción entre el lenguaje del
cine y el teatro, hemos abierto las pautas a la experimentación entre la cámara y el gesto y hemos
mezclado el directo y el diferido en un mismo plano de conjunción y visión. Los actores han
transferido su experiencia actoral a un nuevo método, y la extensión física de su cuerpo se ha
incorporado una cámara de video o un monitor TV.
Durante el 2004 y el 2005, hemos abierto el campo de investigación hacia los confines de la imagen
digital aplicada a la escena como un resorte más del lenguaje y que nos lleve a la creación de una
plataforma europea de prospección de proyectos in progress.
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Una plataforma de creadores que formatee un futuro espacio de creación contemporánea móvil y
que se inserte en una nueva comunidad de artistas, flujo entre lo local y lo global, contaminación e
intercambio, riesgo + innovación que representan los nuevos parámetros de la identidad de los
colectivos de futuro. La experiencia que cerraremos en Florencia responde a la necesidad de
inventar una nueva cosmogonía del arte, un nuevo enfoque a los códigos escénicos y crear las vías
para promover la nueva escena europea gracias a las nuevas tecnologías, el audiovisual y la
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WORK SHOPS
MOVEMENT
MOTION
MUSIC
PERFORMANCE
COMMUNITY
GLOBAL/LOCAL
EXCHANGE
CONTAMINATION
NEW AUDIENCE
HOSTING
LIVE AND STAY
PRODUCTION FEES
REHEARSAL ROOMS
CREATIVE FACTORY
PROGRAMME
SHOW BY DAY
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SILVIA PLATH
1#
Ho paura di affrontare me stessa. Stanotte ho tentato di farlo. Mi auguro di cuore che ci sia qualche essere assoluto,
qualcuno su cui contare affinché mi valuti e mi dica la verità.
S. Plath, Lady Lazarus e altre poesie, Mondadori, Milano, 1998
(da Lady Lazarus)
Morire
È un’arte, come ogni altra cosa.
Io lo faccio in un modo eccezionale.
Io lo faccio che sembra come inferno.
Io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho la vocazione.
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È facile abbastanza da farlo in una cella.
È facile abbastanza da farlo e starsene lì.
È il teatrale.
Ritorno in pieno giorno.
Ad un posto uguale, uguale viso, uguale
Urlo divertito e animale:
«Miracolo!»
È questo che mi ammazza.
C’è un prezzo da pagare
Per spiare
Le mie cicatrici, per ascoltare
Il mio cuore – eh sì, batte.
E c’e un prezzo, un prezzo molto caro,
Per una toccatina, una parola,
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O un po’ del mio sangue,
O di capelli o un filo dei miei vestiti.
2#
Eh sì, Herr Doktor
Eh sì, Herr Nemico.
Sono il vostro opus magnum.
Sono il vostro gioiello,
Creatura d’oro puro
Che a uno strillo si liquefà.
Io mi rigiro e brucio.
Non crediate che io sottovaluti la vostra ansietà.
Cenere, cenere –
Voi attizzate e frugate.
Carne, ossa, non ne trovate –
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Un pezzo di sapone,
Una fede nuziale,
Una protesi dentale.
Herr Dio, Herr Lucifero,
Attento.
Attento.
Dalla cenere io rinvengo
Con le mie rosse chiome
E mangio uomini come aria di vento.
Amore mio, ho passato
Tutta la notte annaspando,
Fra lenzuola grevi come il bacio d’un perverso.
Tre giorni. Tre notti.
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Limonata, brodo, acqua,
Acqua, fammi vomitare.
Per te o chiunque sono troppo pura.
Il tuo corpo
Mi offende come il mondo offende Dio.
Per me il presente è l’eternità e l’eternità è sempre in movimento, scorre, si dissolve. Questo attimo è vita. E quando
passa, muore. Ma non si può ricominciare a ogni nuovo attimo, ci si deve basare su quelli già morti. È un po’ come le
sabbie mobili…senza scampo fin dall’inizio. Un racconto, un quadro, possono far rivivere un poco la sensazione, ma
mai abbastanza, mai abbastanza. Niente è reale, eccetto il presente, e io mi sento già soffocare sotto il peso dei
secoli. Un centinaio di anni fa una ragazza ha vissuto come vivo io. Poi è morta. Io sono il presente, ma so che
anch’io me ne andrò. L’istante sublime, la fiamma che consuma arriva e subito scompare: sabbie mobili, sempre. E io
non voglio morire.
(da Lesbos)
3#
Perversità in cucina!
Sibila il bollitore.
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È tutto un Hollywood, senza finestre,
La luce fluorescente ha crampi d’emicrania,
Al posto delle porte pudiche strisce di carta Tendine finte di scena, una frangetta da vedova.
E io sono, amor mio, una bugiarda patologica,
E la mia bambina - eccola, a faccia in giù sul pavimento,
Marionetta senza più fili che scalcia per sparire È proprio schizofrenica,
Panico è la sua faccia rossa e bianca,
Le hai sbattuti i gattini fuori della finestra
In una specie di pozzo di cemento
Dove lei non li sente che cacano e vomitano e frignano.
Tu dici che non la sopporti,
Bastarda d’una bambina.
Tu che hai bruciato le tue valvole come una radio di scarto,
Libera da voci e da storia, i rumori
Di disturbo del nuovo.
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Dici che quei gattini dovrei affogarli. Che puzza!
E affogare anche la bambina.
Se è matta a due anni, a dieci si taglia la gola.
Il pupo sorride, lumacone paffuto,
Dalle lustre losanghe del linoleum arancione.
Roba da mangiarselo. È un maschio.
Dici che tuo marito non vale un fico secco.
La sua mammona ebrea gli sta di guardia al sesso come a una perla.
Tu hai un bambino, io ne ho due.
Seduta su uno scoglio in Cornovaglia dovrei pettinarmi le chiome.
Vestirmi da tigre. Avere una relazione.
Dovremmo incontrarci nell’aria, in altra vita e situazione,
Io e te.
4#
Intanto c’è un fetore di grasso e cacca d’infante.
Io sono drogata e intontita dall’ultimo tranquillante.
Fumo di pentole, fumo d’inferno,
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Sommerge le nostre teste, due opposti velenosi,
Le nostre ossa, i capelli.
Ti chiamo Orfana, orfana. Stai male.
Il sole ti dà piaghe, il vento tbc.
Com’eri bella un dì.
A Hollywood, a New York, ti dicevano gli uomini:
« Ehi pupa Sei uno schianto! Sei venuta? ».
Tu fingevi, fingevi, per dargli il nonsocché.
L’impotente marito si avvia fuori al caffè.
Tento di farlo restare,
Vecchio parafulmine da parare
I bagni d’acido, i cieli – in - piena riversantisi da te.
Greve lui scende il pendìo di plastica acciottolato,
Scassato tram che manda scintille blu.
Le scintille piovono giù
In milioni di pezzetti come quarzo frantumato.
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5#
O gioia! O tesoro!
Quella notte la luna
Trainava il suo sacco di sangue, stracco
Animale
Sopra le luci della laguna.
E poi diventò normale,
Dura e netta e bianca.
Il luccichìo di scaglie sulla sabbia m’impauriva da morire.
Ne prendemmo a manciate, l’amavamo,
Plasmandola come pasta, un corpo di mulatto,
In seriche focaccine.
Un cane si attaccò a quel poveraccio
Di tuo marito, e lui tirò avanti.
6#
Ora taccio, tutta odio,
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Fino al collo, fin qui,
D’uno spessore così.
Come vestiti buoni impacco le dure patate.
Impacco i bambini. Impacco i gattini malati.
7#
O vaso di acido,
Tu sei colma d’amore. E lo sai chi tu odî.
Con la sua palla al piede lui va al cancello
Che dà sul mare
E il mare ci va dentro, bianco e nero,
E il cancello lo risputa intero.
Riempi lui ogni giorno di spiritualità
Come una brocca. E non ce la fai più.
La tua voce è un mio orecchino,
Sbatte e succhia, sanguinario pipistrello.
È proprio quello. È quello.
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Tu sbirci, stanca ciabatta,
Dalla porta. « Ogni donna è una vacca.
Comunicar non si può. »
Vedo tutto il tuo lindo perbenino
Che ti si chiude addosso come un pugno di bambino
O un anemone, quello spasimante
Del mare, quel cleptomane.
Io sono ancora cruda.
Ma ti dico che forse tornerò.
Lo sai bene a che servono le bugie.
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FRANCIS BACON
D. Sylvester, Interviste a Francis Bacon, Skira, Milano, 2003
David Sylvester:DS
Francis Bacon: FB
Intervista 1
DS: È mai emozionato quando guarda una natura morta o un paesaggio di un grande maestro come lo è davanti a un
dipinto che ritrae un’immagine umana? Una natura morta o un paesaggio di Cézanne hanno su di lei lo stesso
profondo impatto di un ritratto o di un nudo di Cézanne?
FB: No, anche se penso che i paesaggi di Cézanne siano in genere molto migliori delle sue figure. Un paio di suoi
dipinti di figure sono meravigliosi, ma tutto sommato i paesaggi sono migliori.
DS: Tuttavia, le figure le dicono di più?
FB: Sì, è così.
DS: Cos’è che a un certo punto l’ha spinta a dipingere tutta una serie di paesaggi?
FB: L’incapacità di dipingere la figura.
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DS: In effetti, lei ha fatto pochissimi dipinti con più figure. Lo trova più difficile e quindi si concentra sulla singola
figura?
FB: Penso che nel momento in cui sono implicate più figure si sfoci immediatamente nell’aspetto narrativo dei
rapporti tra le figure. E ciò instaura subito una sorta di narrazione. Spero sempre di poter creare un buon numero di
figure senza l’elemento narrativo.
DS: Così come fa Cézanne nelle Bagnanti?
FB: Esatto.
DS: Non molto tempo fa ha dipinto un quadro che molti hanno interpretato in senso narrativo: parlo del trittico della
Crocifissione, dove sulla destra c’è una figura che porta al braccio una fascia con una svastica. Ora, alcuni hanno
pensato che intendesse raffigurare un nazista, altri invece che non si trattasse affatto di un nazista ma che si
ricollegasse piuttosto a un personaggio dell’opera di Genet Il balcone: un personaggio travestito da nazista. Ecco,
questo è un esempio di interpretazione narrativa da parte dello spettatore. Vorrei chiederle, in primo luogo, se l’una o
l’altra di queste possibilità erano nelle sue intenzioni, e, in secondo luogo, se è questo il tipo di interpretazione
narrativa che non le piace.
FB: Be’, in effetti non mi piace. È stata una cosa stupida, diciamo così, mettere quella svastica, ma volevo mettere
una fascia per interrompere la continuità del braccio e per aggiungervi un tocco di rosso. Si può dire che è stato
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stupido da parte mia, ma l’ho fatto solo per tentare di far funzionare la figura - non funzionare nel senso di
interpretarla come un nazista, ma funzionare esclusivamente a un livello formale.
DS: E allora perché la svastica?
FB: Perché all’epoca stavo guardando delle fotografie a colori di Hitler attorniato dal suo entourage, e tutti portavano
al braccio quelle fasce con la svastica.
DS: E quando la gente l’ha interpretato in senso narrativo, la cosa l’ha irritato?
FB: Non particolarmente. Se m’irritassi per ciò che dice la gente, sarei costantemente irritato. Non credo sia stato
molto azzeccato...capisce cosa intendo? Ma era l’unica cosa che potevo fare in quel momento.
DS: Perché vuole evitare di raccontare una storia?
FB: Non voglio evitare di raccontare una storia, ma voglio, lo voglio fortemente, fare ciò di cui parlava Valéry: dare la
sensazione senza la noia della sua trasmissione. E nel momento in cui fa il suo ingresso la storia, la noia c’invade.
DS: Pensa che ciò accada per forza o che lei non sia stato finora in grado di evitarlo?
FB: Credo di non essere stato in grado di evitarlo. Non so chi ci sia riuscito oggi.
DS: Ha mai ricavato qualcosa dalla cosiddetta “critica distruttiva” dei critici?
FB: Penso che la critica distruttiva, specie se proviene da altri artisti, sia quella più fruttuosa. Anche se, quando la si
analizza, ci si rende conto che è sbagliata...Almeno la si analizza e ci si riflette. Quando ti lodano, be’, è piacevole
essere lodati, ma la cosa non ti aiuta.
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DS: Pensa di poter arrivare a fare delle critiche distruttive del lavoro dei suoi amici?
FB: Purtroppo con molti di loro non posso farlo, perché perderei la loro amicizia.
DS: Pensa di poterli criticare come persone e preservarne l’amicizia?
FB: Basta.
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Intervista 2
DS: Quand’è che la pittura è diventata una cosa centrale nella sua vita?
FB: Verso il 1945, direi. In quanto affetto da asma ero stato esonerato dal servizio militare. Credo che in quegli anni
Eric Hall abbia avuto una grande influenza su di me e mi abbia incoraggiato...Be’, ha avuto un’influenza determinante
su tutta la mia vita, perché era un uomo intelligente e molto sensibile. Voglio dire, mi ha insegnato il valore di cose
che certamente non avevo appreso in Irlanda: per esempio, ad apprezzare la buona cucina. Ciò che apprezzo
dell’Irlanda è quel tipo di libertà di vita.
DS: Quando, alla fine degli anni venti, ha iniziato a disegnare mobili e tappeti, creava già qualcosa di eccezionale; e
anche all’epoca la pensavano così.
FB: Già, ma per la maggior parte erano idee che prendevo da altri. Ero influenzato soprattutto dal design francese di
allora. Non credo di aver fatto niente di molto originale.
DS: E non era interessato a perseverare e a cercare di fare qualcosa di più originale?
FB: No. Ho incominciato a cimentarmi con la pittura.
DS: E anche in questo ambito non c’è voluto molto prima che producesse qualcosa d’eccezionale, come la
Crocifissione che nel 1933 Herbert Read ha incluso nel suo “Art Now”. Eppure, negli anni successivi non ha dipinto
granché, vero?
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FB: No. Mi godevo la vita.
DS: Ma si rendeva conto che la pittura sarebbe diventata...?
FB: Pare che abbia iniziato tardi in tutto. Penso di essere stato un po’ tardivo, ma ci sono persone così, che sono un
po’ tardive.
DS: Parla di ritardo, eppure faceva cose notevoli come designer e come pittore quando era poco più che ventenne.
FB: Penso che il lato analitico del mio cervello si sia sviluppato relativamente tardi, sui ventisette o ventotto anni.
Quando ero molto giovane ero incredibilmente timido, poi ho capito che in una persona adulta la timidezza è una
cosa ridicola e mi sono imposto di superarla. Verso la trentina sono riuscito gradualmente ad aprirmi. Ma la
maggioranza delle persone lo fa a un’età molto più precoce, così penso sempre di aver sprecato un bel pò di anni
della mia vita.
DS: Quando afferma che non aveva un soggetto, lo fa a posteriori o ne era già consapevole all’epoca?
FB: A posteriori. Ma ho sempre pensato ai miei quadri tratti da Velázquez come a un fallimento, e forse è stato quel
dipinto uno dei primi soggetti che ho avuto. Quel dipinto di Velázquez era diventato per me un’ossessione, ne
compravo una fotografia dopo l’altra. Penso proprio che sia stato il mio primo soggetto.
DS: E ciò incominciò alla fine degli anni Quaranta. Crede che questo suo coinvolgimento fosse in qualche modo legato
ai sentimenti che nutriva per suo padre?
FB: Non sono sicuro di aver capito la domanda.
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DS: Be’, il papa è il papà.
FB: Non saprei...è difficile dire da cosa nascono le ossessioni. È un fatto che non sono mai andato molto d’accordo né
con mia madre né con mio padre. Non volevano che facessi il pittore, pensavano che fossi soltanto uno che va alla
deriva, specialmente mia madre. È stato solo quando ha visto che con la pittura guadagnavo un po’ di soldi - ed era
ormai verso la fine della sua vita - che abbiamo ripreso contatto. Mio padre era un uomo intelligente che non aveva
mai in nessun modo sviluppato il proprio intelletto. Come sa, faceva l’allenatore di cavalli da corsa. Litigava sempre
con le persone. Non aveva amici, perché litigava con tutti, a causa del suo atteggiamento intransigente. E
certamente non aveva un bel rapporto con i figli. Penso avesse una predilezione per mio fratello minore, che è morto
a quattordici anni. Di certo con me non si è mai trovato.
DS: E quali erano i suoi sentimenti nei suoi confronti?
FB: Quando ero giovane non lo potevo soffrire, ma ne ero sessualmente attratto. La prima volta che ho provato
quest’attrazione non sapevo nemmeno che fosse di tipo sessuale. Solo più tardi, quando ho avuto delle avventure
con gli stallieri e gli addetti ai cavalli, ho scoperto che si era trattato di qualcosa di sessuale nei confronti di mio
padre.
DS: Quindi, forse l’ossessione per il Papa di Velázquez aveva un forte significato personale?
FB: Be’…abbiamo finito!
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Intervista 3
DS: Ultimamente ha dipinto numerosi autoritratti, vero? Molti di più che in precedenza?
FB: Ho fatto molti autoritratti, in realtà perché attorno a me le persone morivano come mosche e non era rimasto
nessun altro da dipingere se non me stesso. Be’, ora sono contento di poter dire che ho ritrovato due persone, molto
attraenti, che avevo conosciuto in passato. Sono entrambe dei buonissimi soggetti. Detesto la mia faccia e ho fatto
degli autoritratti perché non avevo nessun altro da ritrarre. Ma ora la smetterò di fare autoritratti.
DS: Non le piace continuare a dipingere i ritratti delle persone che sono morte?
FB: Sembra un po’ una follia dipingere ritratti di persone morte. Dopotutto sappiamo che, se non sono state... - qual
è la parola? - cremate, i loro corpi si sono ormai imputriditi, la loro carne si è imputridita. Una volta che sono morte,
puoi avere il ricordo di loro, ma non hai loro. Sono contrario alla cremazione, perché penso che fra migliaia di anni,
se il mondo esisterà ancora, sarà seccante se non ci sarà nessuno da dissotterrare.
DS: Quando dipinge un ritratto, è consapevole di tentare di dire qualcosa sui suoi sentimenti verso il modello o su ciò
che il modello potrebbe provare in quel momento, oppure pensa solo alla sua apparenza?
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FB: Ogni forma che fai ha un’implicazione, e dunque, quando dipingi qualcuno, sai che naturalmente stai tentando di
avvicinarti non solo alla sua apparenza ma anche al modo in cui questo qualcuno ti ha toccato, perché ogni forma ha
un’implicazione.
DS: Un’implicazione emozionale?
FB: Sì.
DS: È conscio sul momento di quell'implicazione?
FB: Sì.
DS: Che potrebbe essere aggressiva, potrebbe essere tenera, e così via?
FB: Sì.
DS: Quando dipinge un autoritratto, ha un approccio radicalmente diverso da quando dipinge altre persone?
FB: No. Salvo che mi piace ritrarre persone attraenti, perché mi piace una buona struttura ossea. La mia faccia la
detesto, ma continuo a dipingerla solo perché non ho altre persone da ritrarre. È vero che...Una delle cose più belle
dette da Cocteau è stata: "Ogni giorno nello specchio vedo la morte all’opera". È così per tutti.
DS: A che età si è reso conto che anche a lei sarebbe accaduto di morire?
FB: Me ne sono reso conto a diciassette anni. Lo ricordo molto, molto chiaramente. Ricordo che guardavo una cacca
di cane sul marciapiede e d’un tratto ho capito: ecco, è così che è la vita. È abbastanza curioso, ma questa cosa mi
ha tormentato per mesi, finché non sono arrivato, per così dire, ad accettare che siamo qui, che esistiamo per un
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istante, per poi essere spazzati via come mosche dalla parete. Che è una contraddizione nei termini, eppure è così.
Perché si nasce e si muore, ma nel frattempo diamo un significato con le nostre azioni a quest’esistenza senza scopo
DS: Lei cita spesso i versi di Gloucester del Re Lear: “Come mosche per fanciulli che giocano siamo noi per gli dei; /
Ci uccidono per il loro divertimento”. Suppongo che la prima affermazione sia quella con cui lei tenderebbe a
identificare la sua personale concezione della vita.
FB: Penso che la vita sia priva di senso; ma noi le diamo un senso mentre esistiamo. Creiamo certi atteggiamenti che
le danno un significato mentre esistiamo, sebbene in se stessi essi siano del tutto privi di significato, sul serio.
DS: Un significato in che senso?
FB: Un modo di esistere giorno per giorno.
DS: Un proposito?
FB: Un proposito senza ragione.
DS: Lei ha, evidentemente, un’avversione spiccata per ogni forma di religione, per quello che chiama misticismo
moderno come per il cristianesimo. Non so quindi come la pensi lei; ma per me il genere di vuoto edonismo, il voler
solo divertirsi; che sembrano essere le cose di cui vive oggi la maggioranza della gente, hanno il risultato di rendere
la vita estremamente noiosa.
FB: Concordo in pieno. Credo che gran parte delle persone che hanno convinzioni religiose, che hanno timor di Dio,
siano molto più interessanti di chi conduce un tipo di vita edonistica e lasciata andare alla deriva. D’altro canto, non
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posso impedirmi di ammirarle ma anche di disprezzarle, perché vivono in una totale falsità, nella quale credo che
vivano con le loro idee religiose. Ma, dopotutto, la sola cosa che rende qualcuno interessante è la sua dedizione, e
quando c’era la religione si poteva almeno votarsi alla propria religione, che era già qualcosa. Però sono convinto
che, se si riuscisse a trovare qualcuno totalmente privo di fede, e però totalmente votato alla futilità, quella sarebbe
allora una persona più eccitante.
DS: Una volta mi ha detto che spesso può starsene seduto a sognare a occhi aperti e immaginare stanze piene di
dipinti che le si proiettano nella mente come diapositive. Mi piacerebbe saperne di più. Fino a che punto riesce a
visualizzare un dipinto prima di incominciare a lavorarci?
FB: Be’, è certamente vero che posso sognare a occhi aperti per ore e che le immagini mi si proiettano nella mente
come diapositive. Ma ciò non significa che le immagini che poi alla fine ottengo rispecchiano i dipinti che mi si sono
proiettati nella mente. Perché quello che vedo è un dipinto meraviglioso. Ma come farlo? E, naturalmente, siccome
non so come farlo, conto che siano il caso e l’azzardo a farlo al posto mio.
DS: Ma cos’è che vede quando sogna ad occhi aperti?
FB: Vedo dipinti straordinariamente belli.
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