Giovannina

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Giovannina
Giovannina
“Ciao amore….”
“Ciao tesoro, dove sei?”
“Sono appena stato da Bellan a salutarlo….. e…..”
“e?....”
“…. Ho preso il GS del trentesimo!.....”
“……..”
“Pronto Amore?”
“Tu sei pazzo!”
In effetti, mica c’ha tutti i torti la Marina.
Penso di soffrire della sindrome del dopoguerra, quella strana malattia di cui soffre mia madre
perché ai tempi in cui lei era piccola soffriva la fame (c’era la guerra, appunto) ed oggi, anche se
sono passati 70 anni e c’è Napolitano al Quirinale, mi riempie di cose da mangiare, zucchero e caffè
per tirami su e razioni di cibo come scorta che non si sa mai. Del tutto inutile spiegarle che andiamo
a fare la spesa ogni settimana ed il carrello, se Dio vuole, è sempre pieno e non ci manca niente,
nemmeno la nutella come dessert perché non riesco proprio a fare a meno di qualcosa di dolce dopo
mangiato.
Proprio no.
Io soffro di una sindrome analoga che è una specie di rivincita del duemila sul novecento perché
quando avevo 14 anni prendevo l’1 color verde postmilitare al capolinea di S.Lazzaro, mi sedevo
felice in ultima fila con il mio abbonamento studenti ed il tagliando colorato ogni mese di un colore
diverso con la mia foto allucinata sul davanti che cercavo di nascondere col pollice, attraversavo la
città e scendevo a Ponte degli Angeli per raggiungere a piedi Corso Padova dove mi incollavo alla
vetrina di Chiarello a guardarmi il Caballero 125 color rosso. Stavo lì per un tempo senza tempo e
dopo aver sognato di percorre le strade della California, easy rider in erba vicentina, me ne tornavo
a casa con lo stesso tram ed giunto a casa chiedevo ogni volta a mio padre se c’era qualche vaga
possibilità di tirar fuori ottocentomilalire (un sussurro) per realizzare IL Sogno. Ed ogni volta,
puntualmente, mi diceva: “Sì, certo, come no, fra trent’anni quando te li sarai guadagnati
lavorando”.
Senza sussurrare.
E la cosa mi turba un po’ perché mai avrei immaginato che quell’amore per le moto e quella frase
mi sarebbero entrambe rimaste dentro senza mai abbandonarmi completamente per manifestarsi in
tutto il loro splendore in questi miei magnifici “quasi” cinquant’anni.
E m’impressiona pensare che sia andato a trovare Gianni e sia uscito con una moto nuova.
Sì, m’impressiona e mi fa pensare che nella vita, finora, ho avuto culo.
Ora sono di nuovo davanti ad una vetrina, non di Chiarello ma quella di Bellan e Giardina.
Non sono sceso dall’1 color verde postmilitare ma dalla mia biemmvù color bianco alpinewhite.
Fa freddo, sono le otto e mezza di una serata di fine gennaio in ritardo, come al solito, dal lavoro.
Guardo Giovannina, il nuovo GS del trentesimo che è ancora lì in esposizione, mi perdo fra i riflessi
delle luci delle piramidi che si intersecano con le luci interne del negozio e i miei inattesi pensieri
obliqui.
Penso che è nostra.
Penso che è l’ultima di una discreta serie di debolezze, penso alle strade che percorreremo e che ci
porteranno chissà dove, penso che l’asfalto che sto pestando è lo stesso asfalto della Scozia, della
Francia, dell’Austria e della Germania, della Toscana e dell’Umbria, degli Appennini Emiliani e
delle Dolomiti Trentine, penso che sia un grigio filo conduttore unico di una passione che ha origini
lontane, forse proprio dalla vetrina di quel negozio di Corso Padova, penso a quali paesaggi si
apriranno i miei occhi su quella moto che è lì, pronta per partire per le strade della nostra California,
easy rider (non più) in erba vicentina.
Una luce si accende di riflesso nell’hotel che sta di fronte e si riversa nella vetrata, si interpone fra
le pieghe dei miei ricordi e le pieghe in curva al fianco di amici che in questo momento mi mancano
un casino. Però sono tutti qui con me, li sento, dentro i miei ricordi di uomo ai margini di
un’emozione a venire, dentro quella vetrina che conosco così bene, momenti passati a parlare di
moto e motori, di modelli nuovi e di modelli vecchi, aspettative ed attese, contrattazioni a non finire
con Gianni che non molla di un centesimo, odore di gomma e di olio e di benzina che ti entra nelle
narici e le dilatano come sniffarsi marijuana e l’effetto è quasi lo stesso solo che se ti fermano non
se ne accorgono mica, momenti passati a discutere fra di noi del motoclub, le gite, le cene, i
calendari e gli eventi, momenti di gioia e momenti di confronti accesi perché eravamo tutti così
infinitamente innamorati di quel club che cresceva giorno dopo giorno diventando sempre più bello,
sempre più nostro, e noi sempre più intimamente legati gli uni agli altri da un’amicizia che correva
più del K, volti che si aprivano in sorrisi spontanei e mai di facciata, volti di chi ha fatto grande
questa grande passione, i volti di Giangi e la Gabri, Belvedere e la Bruna, Manlio e la Roberta,
Roberto e l’Ornella, Andrea e la Sara, Titta e l’Erica, Andrea e la Stefania, Valentino e la Gabriella,
Guido e la Maristella, Fulvio e la Mara, Angelo e la Rossella, Ernesto e la Caterina, Massimo e la
Silvia, Nerino e la Serena, Gianfranco e la Mariagrazia, Aristide e la Miki, Romano e la Majka,
Simone e la Barbara, Riccardo e la Marcella, Vittorio e l’Elenia, il Motopedico e la Motopedica
cioè Stefano e la Giuly, Luca GS e Luca Cao, Paolo e Paolino e ancora tuttod’unfiato
VittorioSilvanoMassimoClaudioElvioGigiMarinoGuidoRoberto e tutti quelli che si nascondono
dietro i dossi della mia memoria e che non riesco a vedere.
Abbasso gli occhi per far ordine a quelle immagini mescolate e confuse nel tempo, li abbasso in
cerca di qualcosa che manca e non so cos’è.
Poi vedo un sorriso riflesso sul vetro che non è il mio e so cos’è quel qualche cosa che mi manca.
Beppe è solo un fermo immagine di qualche secondo ma sembra annuirmi come solo lui sapeva
fare.
Un colpo di vento mi scuote il cappotto, è vento da nordest, è bora, ormai la riconosco.
Fa ancora più freddo e chissà se è per il vento.
Alzo il bavero comunque.
Sorrido nel buio nel vento.
E vado via.
Robi del 30°