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Il secolo di Spartacus
Il 9 dicembre l’attore statunitense Kirk Douglas compirà cento anni
/ 05.12.2016
di Giovanni Medolago
Pochi anni fa scrisse una lettera destinata a tutti coloro che aspirano a diventare Presidente degli
Stati Uniti, ricordando i tempi terribili del Ku Klux Klan e osservando felice che Barack Obama
vivesse in una casa (quella Bianca di Washinghton) costruita dagli schiavi. La storia prosegue –
ammoniva – e non si possono cancellare errori gravissimi, ma possiamo impegnarci sempre per
bandire ogni forma di discriminazione. La missiva si concludeva con un omaggio a Papa Francesco:
«Lo dico da ebreo che lo ammira: è una grande persona, importante per tutte le religioni». È dunque
molto probabile che l’elezione di Trump («I suoi discorsi? Mi sembra d’averli già sentiti nel 1933…»)
sia venuta a guastargli la festa per i 100 anni, che cadranno il prossimo 9 dicembre.
Stiamo parlando di Issur Danielovitch Demski, nato a New York un secolo fa da un cencivendolo
ebreo bielorusso e poi diventato celebre col nome d’arte di Kirk Douglas. Suo padre non scappava
dai comunisti, anzi: finito negli USA in cerca di una vita migliore, da Oltreoceano faceva il tifo per
Lenin e i bolscevichi. L’ambiente di casa certo influenzò il piccolo Issur, che poi scelse di schierarsi
definitivamente a sinistra dopo aver conosciuto da vicino la classe operaia. Come tanti cineasti della
sua generazione, infatti, prima di approdare a Hollywood fece diversi lavoretti: strillone, autista,
fattorino, telefonista. Mentre frequentava l’Accademia d’Arte drammatica di NY, riuscì a
guadagnarsi qualche dollaro anche facendo il lottatore.
Sin dalla giovinezza, dunque, si presenta come un duro che non si spezza ma nemmeno si piega. I
grandi registi che l’hanno diretto (Raoul Walsh, Howard Hawks, Elia Kazan, Billy Wilder, William
Wyler, Vincente Minnelli, Stanley Kubrick…) hanno poi plasmato questo suo spirito ribelle,
contribuendo ciascuno a suo modo a creargli una «maschera» incisiva, che suscita in chi la guarda
sentimenti anche sgradevoli, inquietanti addirittura. Non un semplice cattivo, non un vilain, bensì un
personaggio intelligente, cinico, spietato e dunque molto più pericoloso. Sono i tratti che ritroviamo
nel protagonista di uno dei suoi primi successi (Il campione, diretto da Mark Robson nel 1949): Kirk
è un boxeur tutto teso al successo che, pur di arrivare alla fama e alla gloria, commette ogni sorta di
bassezza.
Non ha molti scrupoli nemmeno il giornalista Chuck Tatum, che interpreta due anni dopo per Billy
Wilder: per costruirsi uno scoop non esita a prolungare l’agonia di un poveraccio bloccato da una
frana in una cava di sabbia, giungendo a corrompere lo sceriffo affinché invii i soccorsi in una
direzione sbagliata. Film profetico, che anticipa di almeno un decennio le malefatte di una certa
stampa, che sulle disgrazie altrui è ben decisa a costruire le proprie fortune.
Ormai affermatosi come attore, Douglas diventa anche produttore, soprattutto per garantirsi un
minimo d’autonomia ai tempi («terribili» li definisce lui) della caccia alle streghe del senatore
McCarthy. A quest’ultimo lancia una vera e propria sfida quando sceglie quale sceneggiatore per
Spartacus proprio quel Dalton Trumbo (ve ne abbiamo parlato in marzo) finito sulla famosa lista
nera, costretto a lavorare con vari pseudonimi e addirittura incarcerato poco prima dell’inizio delle
riprese. Kirk non si accontenta però d’ingaggiare un ghostwriter: vuole il nome di Trumbo bene in
vista nei titoli di testa. «Era lui il più indicato a scrivere di uno Spartaco che lotta per la libertà!»,
disse durante la festa organizzata quando Trumbo uscì finalmente di galera. Da ricordare il
sarcasmo di Trumbo nella battuta messa in bocca all’arrogante Crasso: «Se la vittoria sarà mia, in
ogni città e provincia verranno allestite liste di dissidenti».
Ma la riabilitazione di Trumbo non fu il suo solo colpo di testa su quel set: dopo pochi giorni di
lavorazione, insoddisfatto del regista Anthony Mann, lo licenzia per scritturare un giovane Stanley
Kubrick, col quale aveva già lavorato per Orizzonti di gloria. Altra pellicola contro, dove stavolta si
prendono di mira il militarismo in generale e l’insensata carneficina della Prima guerra mondiale.
Una denuncia partita da un episodio storicamente provato: la condanna a morte di quattro caporali
francesi, decretata per spronare i soldati a uscire dalla trincea, anche nell’ambito di attacchi senza
alcuna possibilità di successo. Il film suscitò molte polemiche: realizzato nel 1957, uscì in Francia nel
’75 e in Spagna addirittura nel 1986.
Dopo tre nomination andate a vuoto, solo nel 1996 gli è stato assegnato l’Oscar alla carriera; in
compenso ha avuto dal presidente Carter uno tra i più prestigiosi riconoscimenti USA: la Medaglia
della Libertà. Kirk Douglas non ha mai dato un addio ufficiale al cinema, ma certo le sue apparizioni
sul set si sono fatte rare. L’ultima risale al 2004, mentre l’anno prima (in Vizio di famiglia) ha
recitato accanto a suo figlio Michael e a suo nipote Cameron Douglas.