Morandini in pillole
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Morandini in pillole
TuttoDiTutto Morandini in pillole Quello che gli altri non dicono: riflessioni a posteriori di un critico DOC di Morando Morandini 1 Febbraio Il memorabile, taciturno protagonista di Cous Cous di Kechiche si chiama Slimane. Dopo averlo visto per la seconda volta, sono uscito dalla sala tormentato da un ricordo: in quale altro film francese avevo sentito quel nome arabo? L’ho trovato, finalmente: Il bandito della Casbah (Pepe le Moko, 1936), uno dei titoli più amati nella mia adolescenza comasca. C’è un personaggio importante, almeno per lo sviluppo della vicenda, l’ispettore algerino Sliman di Lucas Gridoux. Venti o trent’anni dopo rividi quel film in cineteca e lo ridimensionai, così come presi le giuste misure su Duvivier, ma allora ero un ignorante di quattordici anni. Oggi ricordo ancora, fra i tanti momenti magici, il dialogo in cui nella casbah Jean Gabin e Mirelle Balin cullano la loro nostalgia di Parigi, evocando il metrò e le sue stazioni – lui venendo dalla periferia, lei sugli Champs-Élysées finché s’incontrano al Place Blanche. (Ora so che i dialoghi erano di Henri Jeanson). Detesto l’inflazione della parola “mito”, ma per me – che non avevo mai visto Parigi né un metrò – Pepe le Moko rimane un titolo mitico. Fu uno di quei film che allora, quand’ancora portavo i calzoni corti, mi spinsero a fare questo mestiere. “Sulla tomba di Mizoguchi, il suo produttore fece scrivere: il più grande regista del mondo” “I pescatori di ostriche sono quei critici che ogni tanto scoprono capolavori sfuggiti ai colleghi” 2 Febbraio Si narra che, dopo la morte di Mizoguchi Kenji (24 agosto 1956), il suo produttore preferito fece scrivere sulla sua tomba: “Il più grande regista del mondo”. Nella discussa e discutibile graduatoria per stellette di critica che ogni tanto si pubblica sul “Dizionario dei film” Zanichelli, Mizoguchi figura al 1° posto. In gennaio ho seguito una retrospettiva di otto suoi film, dal 1934 al 1956, allo Spazio Oberdan della Cineteca di Milano. La strada della vergogna, in cartellone a Venezia 1956, fu distribuito in Italia soltanto all’inizio del 1960. Per la seconda volta lo recensii il 29 gennaio sul quotidiano “La Notte”. Dopo averlo rivisto, sono andato a rileggermi. (E ho riscritto la schede sul dizionario). Vi avevo citato due momenti. Dopo una violenta scena madre tra Kyo Machiko, una delle cinque prostitute, e suo padre, Mizoguchi ne corregge l’enfasi con una battuta della ragazza: “Che melodramma disgustoso! Adesso faccio un bagno e vado a vedermi un film con Marilyn Monroe”. Nel finale si vede, in un piano ravvicinato (Mizoguchi detestava i primi piani), una ragazzetta ignara che, abbigliata e truccata come per un rito, è avviata al mestiere. Chiusi la mia recensione così: “... è uno dei momenti più alti del cinema contemporaneo”. Continua a esserlo nel 2008. 6 Febbraio Nello sfogliare “D-Repubblica delle donne” (non lo leggo quasi mai, lo scartabello) scopro che c’è in giro un divo del cinema di cui ignoravo l’esistenza: Hayden Christensen, canadese, classe 1981, proprio un bel ragazzo. Gli dedicano sette fotografie a piena pagina e una intervista di Silvia Bizio a pag. 118. Era stato, ventenne, Anakin Skywalker in Star Wars 2 e il cupo Darth Vader in Star Wars 3. L’avevo dimenticato, scusatemi. Affari tuoi, si dirà. Tra i suoi altri film si citano Life as a House, Shattered Glass e Factory Girl. Si dà il caso che siano stati distribuiti in Italia, il primo come L’ultimo sogno (2001) e il secondo come L’inventore di favole (2003), Factory Girl è del 2007. Tutti e tre stanno tra il medio e il mediocre per la critica, e non è che, almeno in Europa, abbiano attirato pubblico. Perchè non citarne i titoli italiani? Perchè ormai, soprattutto nel giornalismo italiano, è diventato difficile distinguere l’informazione della promozione, dalla pubblicità indiretta? 10 Febbraio Li chiamavano pescatori di ostriche, ma la definizione non attecchì. Erano e sono quei critici che – per snobismo o vanità professionale – a ogni festival fanno la scoperta di qualche capolavoro sfuggito ai colleghi. Preferibilmente è un film di basso costo, meglio se del Terzo Mondo, africano o asiatico. Se occidentale, dev’essere di produzione indipendente; se italiano, recuperato in retrospettiva, un film comico degli anni ’60 o ’70. Berlino in chiaroscuro Edizione 2008 tra luci e ombre: ai nomi altisonanti non risponde un programma organico I Il Festival di Berlino 2008 assomiglia a una lussuosa confezione regalo, in cui l’involucro vale più del contenuto. Presentatosi in grande pompa con il film concerto dei Rolling Stones, Shine a Light di Martin Scorsese, e con la folgorante parabola di un petroliere, raccontata da Paul Thomas Anderson in There Will Be Blood, col passare dei giorni ha rivelato lo scarso interesse di un programma denso di titoli ma privo di sorprese. La collocazione in Potsdammer Platz, unità di luogo e di azione, rende la manifestazione un’efficiente macchina di spettacolo, sia per la comodità, la qualità tecnica dei luoghi di proiezione, sia per la location del Mercato, sia per l’efficace opera dell’ufficio stampa o del personale delle varie sezioni. Ma questo confort finisce per ingigantire la mancanza di linea del programma, teso a contenere di tutto e di più e interessato più ai soggetti (politici, clamorosi, scandalistici) che ai loro modi di rappresentazione. Fatichiamo così a individuare titoli che si presentino come un complesso organico di pensiero e che permettano l’articolarsi di un discorso di cinema. È più facile invece enunciare alcuni film che, per singolarità narrativa o eccellente livello di messa in scena, meritano di essere segnalati. In tal senso sono più i veterani che gli esordienti a mettersi in luce: ricordiamo Yoji Yamada, che con Kabei realizza un film alla Ozu sui sacrifici di una donna per mantenere unita la sua famiglia; Mike Leigh, che con Happy-Go-Lucky riscopre la sua vena di commedia raccontando le disavventure di un’insegnante, e Hong Sangsoo, che, seguendo l’esilio forzato di un artista a Parigi, realizza con Night and Day un film sulla ricoperta dei sentimenti. Fra i più giovani hanno impressionato Lance Hammer e Fernando Eimbecke, autori di Ballast, ritratto semidocumentaristico di una comunità afroamericana, e Lake Tahoe, racconto stralunato di un momento di lutto familiare. LUCIANO BARISONE 12 RdC Marzo 2008