Islam economia e democrazia.

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Islam economia e democrazia.
Esiste un’economia islamica, con proprie specificità e proprie regole? Uno dei maggiori studiosi americani spiega che la stessa nozione di “economia islamica” è semplicistica, contraddittoria,certamente non all’altezza delle sfide dell’economia moderna. E che, fortunatamente, soltanto una minoranza di islamici è disposta a credere a tale dottrina. In un’area
del mondo dove lo sviluppo economico è disorganico e la distribuzione della ricchezza tutt’altro che equa
Timur Kuran: Islam
economia e democrazia
ECONOMIA 2
a cura di Simone Cofferati
economia, si sa, è il motore del mondo.
L’
Essa consente di soddisfare i bisogni primari e non delle persone ed è, quindi, alla
base di tutto, o quasi, ciò che ci succede e che
succede intorno a noi, in ogni contesto sociale. Ovviamente, non fanno eccezione in questo senso neppure il mondo islamico e le articolate realtà socio-politiche che lo compongono. Ma esiste un’”economia islamica”?
Esistono, cioè, meccanismi economici che agiscono solo là dove la religione islamica permea la società e le sue strutture pubbliche e
private?
È ciò che abbiamo chiesto a Timur Kuran,
professore di Economia e Diritto alla
University of Southern California (USC) e
King Faisal Chair di Pensiero e Cultura
Islamica nella medesima università.
Professor Kuran, quando e come ha cominciato a interessarsi al ruolo svolto dalla religione nell’economia?
Nell’autunno del 1982 ho avuto modo di
conoscere una scuola di pensiero il cui obiettivo era quello di ridisegnare l’insegnamento
dell’economia sulla base dei dettami islamici.
Studiando questo filone, emerso negli anni
’40 con il titolo di “Economia Islamica”, ho
trovato che mancasse di spessore e che, stranamente, mancasse di contatto con la storia
islamica. La lunga storia dell’Islam contiene
molti insegnamenti di valore per gli economisti, ma l’Economia Islamica era poco interessata a questi insegnamenti ed era, invece,
più interessata a disegnare una variante del-
TIMUR KURAN: ISLAM, ECONOMIA E DEMOCRAZIA
l’economia che fosse “esteticamente” islamica in modo da far risultare i musulmani
diversi in sé e per sé. Scrissi un saggio critico
sull’Economia Islamica pensando di aver
detto tutto quello che si poteva dire e, invece,
lo scritto catturò l’attenzione di molti e a
esso seguirono gli inviti a intervenire come
speaker alle conferenze sul tema o, più
ampiamente, sul rapporto tra economia e
religione. Di lì a breve, “economia e religione” diventò uno dei miei campi di ricerca.
All’epoca pochissimi economisti lavoravano
su questo tema, negli Stati Uniti saranno
stati sì e no una decina. Oggi siamo centinaia
e abbiamo creato una società che organizza
una conferenza annuale.
Nel 2005 lei ha creato l’Institute for
Economic Research on Civilizations (IERC)
all’interno del Center for Religion and Civic
Culture della sua università: quali regioni e
quali religioni studia oggi l’Istituto?
Lo IERC si propone di studiare, su di un
orizzonte temporale di lungo periodo, le performance economiche di vaste regioni del
mondo. Siamo interessati ai trend che hanno
avuto maggior peso nel determinare la classifica relativa delle civiltà e degli stati nell’ambito di diversi periodi, ciascuno della lunghezza di secoli. Gli studenti che lavorano
all’Istituto si occupano di Medio Oriente,
Europa Occidentale, America Latina, Africa
Sub-sahariana, India e Cina. Molti sono interessati al rapporto tra religione e istituzioni
economiche. L’Islam, il Cristianesimo e
l’Induismo sono tra le religioni su cui ci si
concentra di più.
Una delle sue recenti pubblicazioni è intitolata Islam and Mammon: The Economic
Predicaments of Islamism: di che cosa tratta?
Questo libro nasce dall’esperienza e dai
temi di cui Le dicevo. In esso critico la dottrina dell’Economia Islamica e valuto i suoi
risultati pratici. Uno dei più evidenti dei
quali è stata la fondazione di banche islamiche con l’obiettivo di evitare l’applicazione
del meccanismo del tasso d’interesse.
L’Economia Islamica ha anche promosso altre
norme islamiche di comportamento economico e disegnato sistemi di redistribuzione
della ricchezza modellati sulla base di pratiche fiscali islamiche. Secondo me questa dottrina economica è semplicistica, contradditto78
ria e non all’altezza delle sfide dell’economia
moderna. Pochi musulmani la prendono
seriamente e le sue applicazioni pratiche non
hanno avuto effetti evidenti sull’efficienza, la
crescita economica o la riduzione della povertà. Se così è, bisognerebbe anche cercare di
capire quale attrattiva essa abbia potuto
suscitare. Il reale obiettivo dell’Economia
Islamica non è stato lo sviluppo economico,
bensì la definizione di una “identità islamica”
che fosse in grado di resistere alla globalizzazione. Essa ha servito la causa del fondamentalismo islamico, alimentando l’illusione che
le società musulmane abbiano vissuto, e
vivano tuttora, applicando regole economiche
proprie, diverse da quelle che valgono per gli
altri sistemi sociali. Oggi come in passato,
infatti, la vita economica dei musulmani
segue gli stessi principi che valgono altrove:
nel momento in cui qualcosa aumenta di
prezzo, la domanda si riduce e gli imprenditori cercano sempre il modo meno costoso di
produrre. Ciò che differisce non è il comportamento economico, ma le istituzioni sotto le
quali le persone operano le proprie scelte.
Nonostante siano ricchi di risorse naturali, i
Paesi del Medio Oriente presentano uno sviluppo economico alquanto disorganico e
una distribuzione della ricchezza tutt’altro
che equa. Quali sono, secondo Lei, le
cause?
In origine il Medio Oriente era una regione economicamente avanzata, come dimostrano il livello di vita, lo sviluppo tecnologico, la produttività agricola, il livello di alfabetizzazione e le istituzioni di cui faceva lustro.
Solo la Cina avrebbe potuto avere un grado
di sviluppo ancor più elevato.
Successivamente, però, il Medio Oriente non
è stato in grado di dare vita a quelle trasformazioni istituzionali che hanno permesso
all’Europa Occidentale di accrescere la propria capacità di accumulare ricchezza, di sviluppare sistemi produttivi efficienti e di
dominare le relazioni commerciali. Anche i
Paesi del Medio Oriente hanno continuato a
evolversi durante lo scorso millennio, tuttavia in settori fondamentali per la modernizzazione dell’economia i cambiamenti sono
stati minimi, soprattutto se confrontati con le
trasformazioni strutturali dei Paesi occidentali. Nella Damasco del XVIII secolo, per
esempio, la pratica dei crediti differiva di
pochissimo rispetto a quella attuata nel X.
ECONOMIA 2
Alcune istituzioni tipicamente medio-orientali, incluse quelle di matrice islamica, hanno
ostacolato, anche se non intenzionalmente,
l’evoluzione verso un’economia moderna. Tra
gli istituti che hanno generato dei “colli di
bottiglia” va annoverata la legge islamica sull’eredità, che, per via del proprio carattere
egualitario nel considerare gli eredi, non ha
permesso l’accumulazione di capitali. Inoltre,
il forte individualismo della legge islamica e
l’assenza del concetto di impresa collettiva
hanno ostacolato lo sviluppo di una imprenditoria organizzata e hanno contribuito a mantenere la società civile in uno stato di debolezza. La waqf, una forma di società fiduciaria
tipicamente islamica, ha bloccato vaste risorse
in organizzazioni rigide che, nel tempo, sono
potere giudiziario di agire anche nei confronti dei membri delle case regnanti.
Se i popoli del Medio Oriente hanno avuto
meno successo in questo, una delle ragioni è
stata che i mercanti e gli imprenditori non
potevano organizzarsi. Fino a poco tempo fa,
infatti, non potevano costituire società e
cooperative. Se avessero potuto, essi avrebbero raggiunto un notevole peso politico, indirizzando così la regione sulla strada della
democrazia.
Alcune peculiarità del sistema waqf hanno
inoltre ulteriormente ostacolato l’affermazione dei diritti democratici. Gli amministratori
fiduciari e gli altri beneficiari dei waqf non
avevano, per esempio, un pressante bisogno
di rafforzare i propri diritti economici individuali dal momento che la sacralità del waqf
stesso proteggeva i loro patrimoni dalla tassazione e dall’espropriazione. In questo
modo, veniva a ridursi notevolmente la
richiesta di diritti costituzionalmente garantiti relativi alla proprietà privata.
Nel marzo del 2003, all’inizio del conflitto
in Iraq, lei dubitava che la guerra potesse
avere un effetto positivo sulla diffusione
della democrazia nei Paesi arabi, nonché
sulle relazioni internazionali e sulla stabilità mondiale. È sempre della medesima opinione?
Corbis
Penso che la guerra in Iraq sia stata mal
gestita e che ciò abbia indebolito gli Stati
Uniti. L’opinione pubblica mondiale è oggi
meno propensa ad appoggiare una campadiventate inefficienti. Queste istituzioni non
gna guidata dagli USA di quanto non lo
hanno generato uno svantaggio economico
fosse qualche anno fa. L’anti-americanismo
immediato, né hanno causato un tracollo del- è significativamente cresciuto tra i tradiziol’attività economica. Si sono però rivelate un nali sostenitori, se non addirittura tra gli
handicap nel lungo periodo, quando i Paesi
alleati militari, degli States. La Spagna, la
dell’Europa Occidentale hanno cominciato a
Turchia, l’Italia, il Cile e la Giordania sono
sviluppare un’economia moderna.
esempi in questo senso. Proprio perché gli
Stati Uniti sono diventati così impopolari, i
Quali ostacoli vede alla diffusione della
“moderati” e i gruppi “filo-occidentali” del
democrazia in Medio Oriente?
Medio Oriente sono ora sulla difensiva e i
I diritti democratici prendono piede nel
governanti della regione sentono meno l’urmomento in cui coloro che sono governati
genza di realizzare riforme economiche e
li rivendicano e riescono nel loro intento. In politiche. La guerra in Iraq non è stata la sola
Europa, l’affermazione dello stato di diritto ragione. La crescita del prezzo del petrolio
ha richiesto secoli di grandi battaglie tra
negli ultimi anni ha dato nuova linfa vitale ai
governanti e governati. Inglesi e francesi
regimi dell’area. E se è sempre possibile che
hanno combattuto duramente per ottenere avvengano dei cambiamenti all’interno di
la separazione dei poteri dello Stato, l’esiquesti regimi, assai difficilmente essi riguarstenza di meccanismi di reciproco controllo deranno i diritti e le libertà individuali.
Ha collaborato Emanuela Cristiana Villa
tra gli stessi, nonché la possibilità per il
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