Servir 27 Italiantmp

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Servir 27 Italiantmp
2002
No.
27
–
Novembre
Servir
Siamo chiamati a servire e accompagnare quelle persone che
si trovano in maggiore bisogno, in particolar modo coloro la
cui condizione è stata dimenticata dal resto del mondo.
NOVEMBRE 2002
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
1
EDITORIALE
I valori e la missione del JRS
N
el recente incontro dei direttori nazionali del JRS Africa,
abbiamo provato a guardare al
lavoro che il JRS sta portando avanti
in molti differenti contesti nel continente
africano e a tracciare dalle nostre esperienze alcuni temi comuni o un filo comune che unisce tutti i progetti in cui
siamo coinvolti. A prima vista potrebbe sembrare non un così facile compito, poiché il JRS al momento lavora il
16 differenti paesi in quattro regioni
dell’Africa, a volte affrontando situazioni e progetti molto diversi.
Alcune delle persone con cui lavoriamo
sono state condotte fuori dai loro paesi
a causa di guerre e conflitti, come i rifugiati burundesi in Tanzania, mentre
altri sono sfollati all’interno della loro
terra nativa, come nel caso dei più di
due milioni di congolesi. Alcuni hanno
visto le loro prospettive di rimpatrio più
vicine, come i numerosi rifugiati angolani sparsi nell’Africa meridionale,
mentre altri affrontano un futuro maggiormente incerto.
Quando guardiamo al JRS nel suo complesso, siamo posti di fronte a diversità
ancora più grandi di ambiente e scenari. Il JRS è impegnato anche in Europa, Asia e America, lavorando con i
rifugiati, le vittime di mine antiuomo, gli
sfollati interni, i detenuti, e molte altre
vittime delle guerre e dei conflitti.
Ciò che unisce tutti questi progetti è la
missione che sostiene e motiva il JRS.
Siamo chiamati per servire e accompagnare quelle persone che si trovano in
maggiore bisogno, in particolar modo
coloro la cui condizione è stata dimenticata dal resto del mondo. Le persone
con cui lavoriamo, generalmente sono
state condotte fuori dalle loro case a
causa di conflitti e persecuzioni. Soffrono
di povertà, separazione familiare, e come
stranieri in un nuovo paese sono spesso
soggetti a pregiudizi, vengono emarginati e normalmente non hanno né la pos-
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sibilità di influire sul loro
futuro, né voce nella società dove vivono.
Che significa servire e accompagnare queste persone? Per il JRS significa
riconoscerli come individui e non come statistiche
e numeri. Significa il riconoscimento della loro
dignità e del valore come
esseri umani. Ciò spesso
significa solamente ascoltare e fare loro sapere che diamo valore a ciò
che hanno da dire. Si cerca di dare voce alle persone che sono rimaste in
silenzio e che sono state
dimenticate, e si cerca di
dare loro la speranza per
un futuro migliore, in cui
ciascuno abbia l’opportunità di realizzare il proprio potenziale individuale
umano.
Questo numero di Servir descrive alcuni esempi del nostro lavoro, iniziando da un nuovo progetto nel nord della
Repubblica Democratica del Congo,
una zona devastata dal conflitto e dove
migliaia di persone sono state condotte
via dalle loro case. Seguono due articoli che sono dedicati a vecchie zone
di conflitto – Kossovo e Thailandia –
dove il JRS sta aiutando le vittime delle mine antiuomo a ricostruire le loro
vite infrante. In questo numero abbiamo anche incluso la storia di una giovane rifugiata ugandese che vive in
Kenia, che con successo sta combattendo contro la disuguaglianza nel ricevere un’istruzione, attraverso l’aiuto
del JRS. L’ultimo articolo di questo numero rivolge uno sguardo ai servizi pastorali e all’istruzione che vengono dati
dal JRS nel campo di rifugiati di Kakuma, nel nord del Kenia, casa per
75.000 rifugiati.
Il JRS al lavoro in Ruanda
Poiché il 2002 sta per concludersi, vorrei ringraziare tutti i nostri lettori per il
sostegno, senza il quale sarebbe impossibile raggiungere tante persone come
stiamo facendo. Voglio anche augurarvi
un Natale di felicità e pace.
Lluís Magriñà SJ è il Direttore
Internazionale del JRS
KENIA
Combattere per un’istruzione
Hugh Delaney
Sofia, una rifugiata ugandese che vive in Kenia, ha dovuto superare molti ostacoli per ricevere un’istruzione. Ha raccontato a Hugh Delaney i suoi sforzi e i progetti che ha per il futuro.
Q
uando sono andata via da
scuola ero solita domandarmi perché ero stata punita.
Restavamo a casa e la gente rideva
di noi e ci prendeva in giro poiché
non andavamo a scuola.
Ho ascoltato Sofia che mi diceva queste cose, ma ho trovato difficile immaginare il cambiamento che può avvenire
in un individuo in così breve tempo.
Sofia è diventata rifugiata nel 1990
quando è stata sfollata con la forza dal
conflitto nella sua nativa Uganda. Da
allora vive in Kenia con la nonna, il fratello e due sorelle, e ora sta studiando
programmazione informatica attraverso la borsa di studio offerta dal JRS. I
suoi modi fiduciosi mascherano un passato difficile e una lunga lotta per ricevere un’istruzione.
“Ho vissuto nel campo di rifugiati di
Thika dal 1990 al 1993, poi sono andata a Nairobi. Stavo con mia nonna, le
mie sorelle e mio fratello. Le mie due
sorelle avevano un appoggio economico per andare a scuola, ma a me e a
mio fratello più piccolo è stato detto che
non potevamo essere aiutati. Poi siamo venuti in contatto con una donna
canadese che si è offerta di pagarmi la
scuola. Ha pagato le tasse scolastiche
e mi ha comprato la divisa, ma nel 1996
sua figlia ha avuto un incidente e lei è
dovuta ritornare in Canada. Quando è
partita, ho dovuto lasciare la scuola.”
In questo periodo sono venuta a conoscenza del programma di borse di studio del JRS, ho fatto domanda e ho
preso uno dei posti.”
Il programma di borse di studio del JRS
in Kenia esiste dal 1991 e al momento
aiuta 35 studenti rifugiati, 12 all’università e 23 in scuole professionali superiori. I futuri studenti sono selezionati tra i
rifugiati che vivono nei campi di Kakuma
e Dadaab, o nella capitale Nairobi, dopo
la compilazione di questionari. La borsa
di studio copre le tasse scolastiche universitarie e le spese di vitto e alloggio
degli studenti. Ragioneria, tecnologia informatica, contabilità e segreteria sono
alcuni dei corsi che gli studenti con le
borse di studio frequentano.
Quando si sceglie un’università per i rifugiati, il criterio principale è che i corsi
frequentati offrano certificati e altre
qualifiche riconosciute a livello internazionale. “Gli studenti che usufruiscono
di borse di studio lavorano più duramente
degli altri studenti le cui tasse sono pagate dai genitori. Sono maggiormente
motivati dal momento che hanno capito
che è stata data loro un’opportunità che
vogliono sfruttare”. Così dice Laban
Gichuri, che lavora per uno degli istituti
dove il JRS invia gli studenti a Nairobi.
Questa scuola è specializzata in ragioneria e tecnologia informatica, e i diplomati ricevono il certificato IMIS, riconosciuto in più di 60 differenti paesi.
Motivazione è la parola chiave per Sofia mentre studia per i suoi esami. “La
borsa di studio ha cambiato la mia vita.
Ora ho molti progetti per il futuro. Voglio trovare un lavoro per diventare indipendente e sostenere le mie due sorelle che ancora vanno a scuola, e mia
nonna. L’assistenza che ho ricevuto è
stata grande, ma porterà un beneficio
solo se potrò diventare indipendente e
sostenermi economicamente. L’andare a scuola è la cosa più importante nel
cambiamento che la mia vita ha avuto.
Ora ho maggiore fiducia in me stessa
e nelle mie capacità. Ora so cosa farò
nel futuro.”
Hugh Delaney è il
Responsabile dell’Informazione
del JRS Internazionale
Una fotografia di Sofia insieme a John Mwalagho, direttore del programma di
borse di studio del JRS Kenia.
“Sono stata un anno senza andare a
scuola ma la mia sorte è cambiata
quando ho incontrato alcuni scolastici
gesuiti attraverso la parrocchia di Guadalupe che frequentavo. Ho spiegato
loro la mia situazione e loro mi hanno
iscritto alla scuola secondaria di Kahawa, dove mi sono diplomata nel 2000.
NOVEMBRE 2002
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RD DEL CONGO
Vivere nonostante la guerra
Victor Wilondja
La Repubblica Democratica del Congo è un paese che è stato diviso e
devastato da anni di conflitto. Il JRS accompagna le persone le cui vite sono
state distrutte dalla guerra.
L
Un progetto di
produzione di
reddito a Kinshasa,
Repubblica
Democratica
del Congo
a Repubblica Democratica del Congo
è stata un campo di battaglia per gli
scorsi quattro anni, in una guerra che
ha coinvolto molte regioni del paese e ha
distrutto la vita di milioni di persone innocenti. L’attuale conflitto è iniziato nei primi
giorni di regime dell’ex Presidente Laurent
Kabila, alla fine degli anni ’90. Un’insurrezione ribelle sostenuta dalle truppe ugandesi e ruandesi ha disseminato violenza per
quattro anni e ha portato alla divisione del
paese in tre parti. La parte settentrionale
del paese è controllata dal gruppo ribelle
si, o a favore o contro il governo di Kinshasa, a seconda dei propri interessi nazionali.
Le ricchezze minerarie del paese hanno fatto sì che molte parti interessate siano intervenute nel conflitto avendo in mente i propri interessi economici e politici: Ruanda,
Uganda, Angola, Zimbabwe e Namibia hanno tutti partecipato, chi prima chi dopo, ai
combattimenti. Comunque non sono solo i
paesi africani che possono essere ritenuti
responsabili per la guerra che continua: i
paesi occidentali, molti dei quali hanno propri interessi economici nel paese, non si sono
impegnati in alcun modo costruttivo per fare
terminare le ostilità nella regione.
Nei passati quattro anni di violenza, i combattenti hanno intavolato diversi colloqui di
pace e hanno firmato accordi di cessate il
fuoco e pace. I colloqui di Sun City, il dialogo inter-congolese e il recente accordo di
pace di Pretoria hanno tutti dato segni di
speranza che la pace sia possibile. L’ultimo accordo ha previsto il ritiro degli eserciti stranieri dal suolo congolese – Ruanda,
Uganda e Zimbabwe hanno recentemente
ritirato le truppe in base all’accordo.
del Movimento di Liberazione del Congo
(MLC); una regione a est del paese è governata dall’Organizzazione ribelle Congolese per la Democrazia (RDC); entrambi
i gruppi ribelli lottano, separatamente, per
rovesciare il governo di Kinshasa, il quale
ha ancora il controllo della terza parte del
paese. La situazione si è ancora più complicata per la presenza di eserciti stranieri,
che sono entrati nella Repubblica Democratica del Congo con un pretesto qualsia4
Come risultato della guerra, il paese è stato
devastato e la sua popolazione è ridotta a
una povertà estrema. Il conflitto ha portato
a uno sfollamento di massa della popolazione, con centinaia di migliaia di rifugiati che
sono scappati nei paesi confinanti, e circa
2,1 milioni di persone risultano sfollate all’interno del Congo stesso. I rifugiati per lo più
sono fuggiti nei paesi dell’Africa meridionale o nei confinanti Burundi e Ruanda, mentre gli sfollati interni hanno provato a dirigersi
verso le città più grandi della nazione.
La vita, per coloro che sono stati costretti a
lasciare la propria terra nativa, è estremamente precaria. Nelle città dove gli sfollati
RD DEL CONGO
interni vivono, è molto difficile integrarsi nel
nuovo ambiente e c’è una grave carenza di
rifugi adeguati e di agevolazioni per soddisfare i loro bisogni primari.
È proprio per contrastare questa situazione
che il JRS si impegnò nella Repubblica Democratica del Congo nel 1998. Con l’aiuto
della chiesa locale, il JRS iniziò a lavorare
con gli sfollati interni a Lubumbashi, nel sud
del paese, sostenendo un programma di
istruzione, conducendo il lavoro pastorale e
distribuendo il cibo di cui c’era bisogno. Ora
il JRS lavora in cinque differenti zone nel
paese: a Kinshasa, a Bukavu, a Goma, a Baringa e nel progetto originario di Lubumbashi.
prendere lì un progetto sanitario per soddisfare i bisogni primari della comunità locale. Il progetto è già operativo e include il
rinnovamento e il rifornimento dell’ospedale
locale, il reclutamento di un’équipe locale,
dei corsi di medicina, un programma di vaccinazioni, la riapertura di alcune cliniche mediche. La nostra speranza è che questa iniziativa incoraggi altre ONG a lavorare in
questa regione. La guerra ha distrutto tutto
a questa comunità, ma dobbiamo pensare
a dare nuovamente la vita e la speranza.
La popolazione
di Baringa è
tornata a casa
per trovare
l’intera città
bruciata.
Per tutti questi progetti, l’istruzione è l’elemento vitale del lavoro del JRS. Quando
un’eruzione vulcanica ha colpito Goma lo
scorso gennaio, la maggior parte delle scuole
della città sono state distrutte o danneggiate. Oltre a sostenere diverse scuole della
città, il JRS sta attualmente costruendo una
nuova scuola che aiuti alcuni dei bambini di
Goma che non sono più potuti andare a
scuola dopo l’eruzione del vulcano.
Il progetto più recente del JRS è a Baringa,
nel nord della Repubblica Democratica del
Congo. Questa è una zona che si è ritrovata
sulla linea del fronte della lotta tra le forze di
governo e il gruppo ribelle MLC. Questi attacchi hanno provocato la fuga dai villaggi
dell’intera popolazione della regione, anche se
quando si è ripristinata una relativa pace la
popolazione ha fatto ritorno alla propria terra
di origine. Per gli abitanti di Baringa il ritorno a casa non è stato per nulla allegro: sono
tornati per trovare l’intera città bruciata.
In una zona di 16.000 km quadrati, non ci
sono né ospedali né scuole, nessun mezzo
di comunicazione, acqua corrente o elettricità, sebbene sia presente una popolazione
di 80.000 persone. Al momento sopravvivono grazie all’agricoltura e alla pesca, sebbene abbiano disperato bisogno di medicine,
vestiti, rifugi e cibo. La località è stata definita non raggiungibile ed è considerata dalle ONG troppo pericolosa per intervenire.
Ciò ha negato alla popolazione locale l’aiuto di cui ha bisogno.
A settembre 2002, il JRS ha prima valutato
i bisogni di Baringa e ha poi deciso di intraNOVEMBRE 2002
La gente della Repubblica Democratica del
Congo desidera fortemente la pace. Finché il conflitto non finisce, il governo non
intraprenderà il necessario processo di ricostruzione che il paese necessita così tanto. La ricostruzione sarà un lungo processo
che richiederà una forte volontà e aiuti politici, ma prima di tutto ci dovrà essere il
sostegno della pace. Le vite delle persone
di Baringa e del resto della Repubblica Democratica del Congo sono state già distrutte abbastanza: il loro unico desiderio adesso
è di ritornare alle loro case e di avere un
futuro migliore.
Bambini che vivono
a Baringa, dove si
trova il nuovo
progetto del JRS
Repubblica
Democratica
del Congo
Victor Wilondja è il direttore del JRS
Repubblica Democratica del Congo
5
KOSSOVO
Kossovo: tra la pace e lo sv
Alberto Saccavini
L’eredità della guerra e delle tensioni etniche si profila minacciosa sul Kossovo. Nel momento in cui
la regione si avvia verso un futuro di maggiore pace e speranza, il JRS sta lavorando con alcune
giovani vittime del conflitto.
N
egli scorsi tre anni la popolazione kossovara ha
affrontato diverse sfide, avendo provato a rinnovare e ricostruire una regione devastata dalle tensioni etniche e dalla violenza. Dalla fine della guerra tra
l’esercito nazionale serbo e l’esercito di liberazione del
Kossovo (UÇK), la regione è stata amministrata come un
Protettorato delle Nazioni Unite.
La temporanea amministrazione delle Nazioni Unite in
Kossovo (UNMIK) ha gestito tutti gli aspetti dell’amministrazione civile, mentre la responsabilità della sicurezza è
stata affidata alla forza della NATO chiamata K-For. La
presenza delle forze di sicurezza e il controllo internazionale si trovano in un contesto di continue divisioni etniche
in una regione dove quasi il 90% dei due milioni di abitanti
è di etnia albanese, mentre il rimanente 10% è composto
prevalentemente da serbi, rom, bosniaci e turchi.
Più di 800 organizzazioni internazionali sono state presenti
in Kossovo nei mesi subito successivi alla guerra, ma già
dalla seconda metà del 2000 molte di quelle stesse agenzie di sviluppo e organizzazioni umanitarie hanno iniziato a
diminuire o terminare le loro operazioni nella regione. Comunque, non tutti i problemi associati al recente conflitto e i
10 anni precedenti di tensioni etniche sono stati presi in esame e risolti, sebbene la relativa pace che il Kossovo ha
raggiunto dal 1999 è motivo di incoraggiamento.
È stato raggiunto un considerevole risultato in termini di ricostruzione e riorganizzazione della società; è raro trovare
villaggi che ancora portino la testimonianza della distruzione fisica della guerra, almeno nelle zone a maggioranza
albanese. La maggior parte delle case ancora danneggiate o in rovina a causa della guerra si trova nelle zone serbe, o si tratta di casi isolati che non sono stati raggiunti
ancora da vasti programmi di ricostruzione dei villaggi.
Il Kossovo ha ancora molte sfide da affrontare. Un tasso di
disoccupazione superiore al 60%, un sistema scolastico che
non ha ricevuto nuovi programmi per insegnanti da più di 15
anni, un sistema sanitario che si regge con i budget più stretti,
con pochi macchinari tecnici o sufficienti infrastrutture. La
recente crescita economica è stata minima e i suoi effetti
sulla popolazione kossovara sono stati quasi invisibili.
Bambini al campo estivo del JRS
6
viluppo
Dal febbraio 2002 il Kossovo ha il proprio governo locale
eletto, in cui tutti i gruppi etnici sono rappresentati. Nonostante ciò, il neonato corpo ha potere limitato, e ogni decisione presa dall’esecutivo deve essere convalidata dal
Rappresentante Speciale del Segretariato Generale – il
capo della missione delle Nazioni Unite in Kossovo.
L’UNMIK ha dato la priorità al bisogno di rimpatrio, in
particolar modo per i serbi scappati in Serbia o in Montenegro durante la guerra e per gli altri rifugiati della regione
che vivono in diversi paesi europei. Questo processo di
rimpatri è già iniziato con l’aiuto di molti governi europei e
delle organizzazioni delle Nazioni Unite, ma finora solo in
piccola scala, poiché le condizioni di sicurezza hanno aumentato la preoccupazione sulla sicurezza dei rimpatri dei
serbi, gruppo di minoranza che prima era al potere in Kossovo. In aggiunta, oggi la prospettiva dei rimpatri in una
regione senza molte opportunità di lavoro non è molto attrattiva per molti rifugiati.
Il JRS cominciò a sviluppare la sua presenza nel Kossovo
nel gennaio 2001, con un Programma di Assistenza alle
Vittime di Mine (MVAP), rivolto ai bambini feriti dalle mine
o da ordigni non esplosi (UXO). Oggi il programma del
JRS è rivolto a circa 200 bambini sparsi nella regione, con
l’obiettivo di rendere più autonomi i sopravvissuti alle mine
e aiutarli nella reintegrazione nella società.
Ciò richiede un approccio comprensivo con 4 componenti:
assistenza medica, fatta principalmente con riferimento al
locale sistema sanitario e attraverso contributi economici;
sostegno materiale, per le famiglie delle vittime in reale
bisogno; aiuto psicosociale, concentrato soprattutto nell’istruzione; assistenza legale, informando le vittime e le
loro famiglie sui loro diritti, e attraverso attività di pressione politica. L’attenzione è principalmente focalizzata sulle
necessità degli individui, e le visite domiciliari alle vittime
costituiscono un’ampia parte del servizio. Comunque, una
delle principali sfide che il programma sta affrontando è la
quasi completa assenza in Kossovo di psicologi locali. Ciò
ha portato al rallentamento e a volte al blocco totale dell’assistenza psicologica per le vittime in grave bisogno.
Molti dei giovani che partecipano al progetto hanno consolidato un rapporto molto stretto di fiducia e amicizia con
il JRS.All’inizio dell’estate, in collaborazione con la Caritas
del Kossovo, il JRS ha organizzato un campo estivo di 10
giorni nel Montenegro che ha messo insieme 26 bambini,
tutti sopravvissuti alle mine e vittime della guerra. I partecipanti provenivano da tutto il Kossovo ed è stata data
loro l’opportunità di incontrare altri giovani con problemi
NOVEMBRE 2002
La maggior parte degli edifici colpiti dalla guerra è stata
ristrutturata
analoghi, per giocare, ridere e usufruire di alcuni giorni
fuori dalla quotidianità delle loro vite nei loro villaggi.
Il successo del campo è dovuto alla presenza e al duro
lavoro di 8 animatori di differenti parrocchie e villaggi del
Kossovo, insieme a due operatori del JRS che hanno coinvolto i giovani partecipanti in eventi sportivi, pittura, nuoto
e altre attività. È stata un’esperienza fantastica e importante per i bambini, molti dei quali non erano mai usciti dal
villaggio in cui sono nati. Altri si sono trovati in un’esperienza totalmente nuova con molti altri giovani, e alcuni di
loro hanno visto per la prima volta il mare – semplici gioie
ed esperienze che non sono mai state concesse in Kossovo.
Il MVAP è l’unico progetto di questo tipo che lavora con
le vittime delle mine in Kossovo, e continuerà fino alla fine
del 2003. Il lavoro continuerà facendo pressioni sul governo locale per emanare una legge che venga incontro ai
bisogni delle vittime delle mine, e per creare un’assistenza
sociale e un sistema sanitario che guardino oltre queste
persone vulnerabili e consentano loro di agire pienamente
nella nuova società. Insieme a molte altre persone nella
regione, le giovani vittime delle mine sono state profondamente colpite dal conflitto: meritano di avere la loro dignità rispettata e che venga data loro la possibilità di condurre
appieno la vita nel nuovo Kossovo.
Alberto Saccavini è il direttore
del progetto JRS sulle mine
antiuomo in Kossovo
7
THAILANDIA
Vivere con le mine antiuomo
Emilie Ketudat
Il conflitto nelle regioni di confine thailandesi ha lasciato come eredità una
distesa di mine terrestri che il paese sta con difficoltà cercando di bonificare.
I
mmaginate bellissimi templi, spiagge assolate con filari di palme e passeggiate
su elefanti esotici e avrete l’immagine
della Thailandia come viene descritta nei
depliant turistici. Incontestabilmente, il paese è molto bello e ha molto da offrire, in
termini di eredità e cultura, ai sempre più
numerosi turisti che lo visitano ogni anno. Ma se parlate con Methee, un bambino
di sette anni amputato a entrambe le gambe, o con Wiboonrat, una madre sola con
due bambine piccole che si
occupa delle sue risaie e che
coltiva alberi da frutta sebbene abbia una gamba sola,
allora avrete una chiara visione dell’altra faccia della
Thailandia – un paese contaminato dalle mine antiuomo.
Methee Yenknan, un
bambino di sette
anni che ha perso
entrambe le gambe
a causa di una mina
antiuomo il 28
marzo 2002. Stava
giocando con gli
amici sotto casa nel
suo villaggio nella
provincia di Sa
Kaeo, quando ha
detonato una mina.
8
La scala dei problemi è enorme. L’Indagine sull’Impatto
delle Mine Antiuomo della
Thailandia completato a maggio 2001 ha rivelato la presenza di 934 zone contaminate dalle mine, ossia più di
2.556,7 km quadrati in 27
province della Thailandia,
lungo i confini con la Cambogia, il Laos, la Birmania e
la Malesia. Tra le circa 3.500
vittime di mine antiuomo di cui l’indagine
parla, 1.500 hanno perso la vita e più di
2.000 sono state ferite o mutilate. A peggiorare le cose, la maggior parte delle zone
minate non sono più contrassegnate, sebbene l’informazione basata sulla conoscenza comune ha portato a un significativo
aumento del numero totale di zone sospettate di contaminazione di mine antiuomo.
La parte occidentale della Thailandia, lungo il confine con la Birmania, rimane disseminata di mine sotterrate dalle minoranze
etniche e dalla giunta birmana durante gli
anni dei combattimenti. L’area è ora zona
di guerra tra l’Unione Nazionale Karen e
l’Esercito Democratico Buddista Karen
supportato da Yangon. Nonostante i rischi,
i civili utilizzano le zone minate thailandesi
per la coltivazione e la raccolta di legna da
ardere. Le opportunità per lavori alternativi sono poche; di conseguenza la pressione
per la coltivazione della terra è alta e conduce i coltivatori ad assumersi alti rischi nelle
loro vite quotidiane. Tutte le categorie di
mine antiuomo (AP), anticarro (AT) e trappole militari sono presenti e si possono anche trovare munizioni nascoste abbandonate
nella giungla.
La Thailandia è uno stato firmatario della
Convenzione di Ottawa sulla Proibizione
dell’Utilizzo, Conservazione, Produzione e
Trasferimento di MineAntiuomo e della loro
Distruzione (3 dicembre 1997), che ha prodotto ilTrattato del Bando delle Mine (MBT).
Il Trattato del Bando delle Mine è entrato
in vigore in Thailandia il 1 maggio 1999. Uno
dei suoi principali elementi è il principio di
aiutare le vittime delle mine ad acquisire
capacità produttive. Altri principi del Trattato sono che i paesi devono:
• Desistere dalla produzione, dallo
stoccaggio, dal trasferimento e
dall’utilizzo delle mine antiuomo,
• Distruggere le scorte di mine antiuomo
entro 4 anni,
• Effettuare lo sminamento umanitario di
tutto il territorio contaminato, cioè
eliminare tutte le mine antiuomo dal
suolo entro 10 anni.
Il JRS ha avuto un ruolo chiave nella campagna per il bando delle mine antiuomo e
nell’assistenza dei sopravvissuti in Thailandia, soprattutto attraverso la sua partecipazione nella Campagna Thailandese per il
Bando delle Mine Antiuomo (TCBL). La
TCBL è stata molto attiva nel cercare di
liberare il paese dalle mine agendo come
THAILANDIA
elemento di controllo nel processo di sminamento ed essendo presente a tutte le
consegne dei terreni dichiarati sicuri, processo che è iniziato nel 2002. Autorizzato
dall’Organo di Monitoraggio delle Mine
Antiuomo, il JRS Asia del Pacifico si occupa anche della conduzione della ricerca sull’attuazione in Thailandia del Trattato delle
Mine, e ha contribuito ai 4 Rapporti globali
del suddetto Organo di Monitoraggio dal
1999 al 2002.
Il JRS è attivo anche nel realizzare progetti
per i sopravvissuti alle mine antiuomo, e insieme al Fondo del Canada per le Iniziative
Locali ha iniziato nelle province di Surin e
Buriram un programma di assistenza per le
vittime, coinvolgendo le comunità locali. Il
progetto implica anche campagne di sensibilizzazione sulle mine e la creazione di un
database dei sopravvissuti, che completi le
statistiche sugli incidenti del database nazionale del Centro d’Azione Thailandese
per le Mine (TMAC).
C’è un grande bisogno di molti altri sminatori, adeguatamente formati nello sminamento
umanitario e che lavorino in gruppi integrati con equipaggiamenti tecnici e cani che
trovano le mine. Le priorità nello sminamento
sono i bisogni dei civili, l’accesso alle scuole, la terra coltivabile e le sorgenti d’acqua.
Oltre ai dati raccolti dall’Indagine sull’Impatto delle Mine Antiuomo, è stato chiesto
agli ufficiali provinciali e distrettuali e ai cittadini coinvolti di dare la priorità alle zone
contaminate di loro competenza, affinché i
futuri sforzi di sminamento possano essere
concentrati nelle zone più appropriate.
Per far conoscere l’entrata in vigore del
Trattato del Bando delle Mine il 1 maggio
1999, la TCBL ha organizzato una corsa in
bicicletta di 5 giorni. Il percorso di 250 km
dalla provincia di Sa Kaeo a Bangkok ha
visto la partecipazione di 16 vittime di mine,
che sono state capaci di gareggiare grazie
a delle protesi alle gambe, insieme ai membri e agli amici della Campagna per il Bando delle Mine.
La corsa ha fatto tappa lungo la strada in
vari villaggi per dare informazioni e per aumentare la consapevolezza pubblica sulle
mine antiuomo. Da un punto di vista pubblicitario, l’evento è stato un grande sucNOVEMBRE 2002
cesso, attirando l’attenzione dei media thailandesi, specialmente della televisione: ampia copertura mediatica è stata data, durante
la settimana, alle vittime di mine. Ispirati da
questo successo, una seconda corsa in bicicletta “Stop alle Mine – per la Pace” è stata
organizzata l’anno seguente. Questa volta
il percorso era di 259 km dalla provincia di
Sa Kaeo a quella di Surin. Durante la cerimonia conclusiva sono state commemorate con una solenne preghiera interreligiosa
le vittime di mine che hanno perso la vita.
Le mine disseminate, una tragica e orribile
cicatrice, sono l’altra faccia di un paese bellissimo e incantevole. Il lavoro per liberare il
paese dalle mine è in via di
sviluppo e sta procedendo, sebbene il percorso
per il finale compimento
sarà lungo e richiederà il
continuo impegno del governo thailandese e delle varie organizzazioni
che lavorano sul campo.
Quando immaginiamo il
futuro della Thailandia,
non dobbiamo dimenticarci dei molti sopravvissuti alle mine antiuomo
che hanno vissuto grandi
privazioni e sofferenze.
Gli eventi come la corsa
in bicicletta sono per i sopravvissuti espressione
di speranza che la vita
normale può continuare
per le vittime della tragica eredità del conflitto e
dell’instabilità della regione. La sfida, per noi
che lavoriamo per superare questo lascito, è di
continuare ad accompagnare e assistere i sopravvissuti, per facilitare la loro reintegrazione nella società e
per incoraggiarli a guardare le loro vite proiettate nel futuro.
Un sopravvissuto a
una mina antiuomo
prende parte alla
corsa in bicicletta
per sensibilizzare
sul problema
delle mine
Emilie Ketudat è membro della
équipe del JRS Thailandia e
partecipa alla Campagna per il
Bando delle Mine Thailandese
9
KENIA
Rifugio nel deserto
Il JRS fornisce istruzione e servizi sociali ai rifugiati del campo di Kakuma, situato nel deserto del
Kenia nord-occidentale. Hugh Delaney scrive di una sua recente visita.
I
tornare a casa, alle loro instabili regioni, e in tal modo sono
obbligati a vivere nel campo; un’esistenza che ha i suoi
pericoli e le sue sofferenza per i rifugiati, molti dei quali
languiscono a Kakuma da 10 anni.
Kakuma si trova nelle zone desertiche del Kenia settentrionale, una bellissima zona aspra, inospitale e isolata. Ho
ricevuto un’accoglienza molto calorosa; settembre è il mese
più spietato – il peggior periodo dell’anno. Le temperature
della mattina e del pomeriggio sono uno shock immediato
per il sistema e puniscono anche coloro che vivono qui da
anni. Le tempeste di polvere portano un costante ricordo
della natura inospitale e ostile del brullo deserto, dove abbiamo trovato Kakuma, casa per 75.000 uomini, donne e
bambini rifugiati.
“Descriverei questo posto come un mare di dolore”, mi ha
detto Sr. Christina durante il mio soggiorno, “anche se in
quel mare di dolore ci sono isole di speranza”. Non c’è
bisogno di una visita guidata del campo per capire cosa
Sr. Christina dice: la vita può essere difficile per molti rifugiati, specialmente per le donne, che si trovano enormemente in minoranza rispetto alla popolazione maschile del
campo. Le violenze domestiche, i matrimoni forzati, i rapimenti sono una quotidiana minaccia per molte abitanti del
campo – problemi che Sr. Christina e il JRS affrontano.
Uno dei servizi prestati dal JRS è il ‘Safe Haven’ (Rifugio
Sicuro), un centro di accoglienza per donne vittime di abusi di genere e sessuali, un tranquillo e sicuro centro dove
le donne e i loro bambini possono essere ospitati e seguiti,
lontano dalle persone del campo che le minacciano.
l breve volo da Nairobi ha toccato il suolo sulla pista di
atterraggio alle 9:15. L’avvicinamento aereo ha rivelato molto poco sulla nostra destinazione, a eccezione di
un interminabile deserto con raffiche di venti sabbiosi.
“Benvenuti a Kakuma” ha esclamato una voce quando
siamo scesi dall’aereo, quando già il caldo della mattina
era considerevole. Di fronte a me c’era Sr. Christina Mc
Glynn, direttrice del progetto JRS e mia ospite in questa
visita al campo per rifugiati di Kakuma.
La maggior parte dei rifugiati del campo sono arrivati in
Kenia dai paesi confinanti del Sudan, Somalia, Etiopia, Uganda, Burundi e Ruanda, scappati dai loro paesi d’origine a causa di guerre o paura di persecuzioni. Non possono
Il Rifugio Sicuro per le donne e i loro figli
Nel centro di accoglienza abbiamo incontrato una donna
molto giovane e visibilmente stravolta, terrorizzata che suo
figlio appena nato venisse rapito dalla famiglia di suo marito, una storia familiare uguale a tante altre nel campo,
dove i bambini a volte sono visti come beni o mercanzie
da rubare, o garanzie come pagamento per alcuni presunti
debiti o come parte di una ‘disputa sulla dote’. Le conseguenze per la madre e per il bambino sono devastanti, con
l’ulteriore possibilità che i bambini vengano costretti a diventare bambini soldato nella guerra che affligge le regioni da cui sono scappati.
L’ascolto gioca un ruolo importante in quasi tutti i progetti
in cui il JRS è coinvolto a Kakuma. Il profondo trauma
psicologico e lo stress di cui molti rifugiati hanno sofferto
prima, durante o dopo la fuga, hanno lasciato profonde
ferite che sono difficili da guarire. In risposta a ciò, il JRS
ha intrapreso un Servizio Comunitario di Ascolto insieme
a un progetto di centri diurni per giovani rifugiati traumatizzati.
“Se ascolti le persone e i loro problemi, puoi veramente
guarire la ferita dentro di loro” racconta Sammy, un rifugiato del Sudan meridionale che lavora come supervisore
nel centro d’ascolto “Verde” di Kakuma, un progetto che
coinvolge 42 consulenti e che risponde alle necessità di
10
circa 900 persone a settimana. I consulenti del centro,
creato dal JRS nel 1992, sono essi stessi rifugiati e hanno
frequentato dei corsi sulle tecniche dell’ascolto e sull’affrontare i problemi dei loro compagni rifugiati.
Sammy mi ha spiegato che all’inizio i rifugiati non sapevano cos’era l’ascolto e c’è voluto molto tempo per stabilire
e per guadagnare la fiducia delle comunità e costruire una
reputazione. “Ora lavoriamo in tutte le comunità, offrendo
consulenze in tutte le lingue dei rifugiati. Questo aiuta anche a ridurre la violenza nel campo, rendendo il posto più
sicuro ed eliminando alcune delle cause di conflitto.”
La violenza e il conflitto sono temi che investono tutto il
campo, a malapena nascosti, ed emergono regolarmente
come un monito costante per i rifugiati di come le loro vite
siano diventate vulnerabili e insicure. Per alcuni dei rifugiati più giovani, gli sforzi e le tensioni psicologiche sono
diventati troppo grandi da sopportare, comportando seri
traumi, depressione o anche squilibri mentali. Cosa succede a un bambino che è stato testimone di così tanta
sofferenza e violenza, che ha perso uno o entrambi i genitori, che ha sofferto abusi o che deve vivere in un clima di
paura e terrore? La risposta si può trovare nei centri diurni del JRS di Kakuma, un servizio che risponde ai bisogni
di più di 100 persone duramente traumatizzate e con problemi, per lo più bambini, offrendo loro particolare attenzione e aiuti nella riabilitazione.
Le équipe dei centri diurni sono composte da un gruppo di
rifugiati molto impegnati ed entusiasti, guidati dal JRS per
rispondere ai bisogni dei bambini più vulnerabili e disturbati. Quando abbiamo visitato i centri siamo stati intrattenuti con canzoni e balli, un benvenuto che era insieme
vitale e strabiliante; per l’energia e la gioia impiegate hanno dimostrato l’enorme forza di speranza e gioia dei rifugiati, nonostante tutti i traumi e la sofferenza che hanno
dovuto affrontare. Assistere a tale celebrazione è stata
un’esperienza molto commovente e sono stato testimone
di ciò che mi è sembrata un’espressione della determinazione dello spirito umano a superare le tenebre imposte
sulle vite di coloro che soffrono. Alcuni giovani nei centri
erano visibilmente disturbati; i loro visi e i loro occhi recano i segni del dolore e di esperienze indescrivibili. Sono
stato guidato nell’essere testimone del terrore di quella
vita e mi è stata data la possibilità di gettare uno sguardo
sul mondo dove questi giovani rifugiati vivono e dove imparano ad affrontare la vita. Le cure che ricevono in questi centri offrono loro una linea di vita, ed è la chiave della
loro riabilitazione, perché dà loro la migliore occasione per
superare i traumi, per tornare a frequentare le scuole del
campo e per continuare nel migliore modo possibile le loro
vite distrutte.
Nonostante la comprensibile paura che non saranno mai
in grado di lasciare il campo, i giovani rifugiati sono ansiosi
NOVEMBRE 2002
Musiche e danze nel centro diurno del JRS
di assicurarsi un’istruzione e di munirsi delle necessarie
capacità per la vita, se mai avessero la possibilità di tornare
a casa o di uscire da Kakuma. Il JRS sponsorizza 30 studenti affinché si diplomino attraverso i programmi di istruzione a distanza dell’Università del Sudafrica. Il fondo delle
borse di studio copre le tasse di iscrizione, le spese materiali, il trasporto di materiali e libri e i costi di insegnamento.
Gli ostacoli e le sfide da vincere sono molti. Uno studente
ci ha raccontato che studia geografia ma che non ha la
possibilità di lasciare i confini del campo per poter viaggiare, non ha accesso a internet, sufficienti libri o persone
competenti per condurre delle interviste. Un altro studente
ci ha detto che stare nel campo è come trovarsi in prigione, studiando a distanza per un diploma ma con le mani
legate a causa delle difficoltà che devono affrontare. Molti
studenti non hanno luce per studiare la sera, e dal momento che durante il giorno insegnano nelle scuole del campo,
il tempo per studiare è limitato. La frustrazione del gruppo
era chiara: tutto questo lavoro e studio, tutti gli ostacoli da
superare, e alla fine di ciò, forse avranno un diploma, ma
poi? Alcuni studenti si trovano nel campo da anni e si domandano che differenza fa’ avere una qualifica nelle loro
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KENIA
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sono al di fuori delle loro possibilità
di controllo. Quel che è certo è che
queste qualifiche daranno ai diplomati una fiducia maggiore in sé stessi e nelle proprie capacità, un senso
di realizzazione e, quando se ne presenterà l’occasione, competenze che
permetteranno loro di pianificare un
futuro migliore.
vite se devono continuare a vivere
qui nella soffocante insolazione, quasi da prigione, del campo.
Questi pensieri sono sempre presenti, ma non prevalgono. Come può
uno studente che mette tanto impegno nel suo lavoro e che supera tutte le difficoltà qui a Kakuma non
domandarsi dove tutto ciò lo sta
portando? L’impegno e la motivazione per superare gli ostacoli rimangono comunque, e così anche
la speranza. Per quest’anno si attende la fine del programma di primo livello. Tale successo servirà da
ispirazione per gli altri studenti e da
pietra miliare per il programma in
generale, fungendo da esempio di
come i molti ostacoli incontrati per
imparare, in un campo per rifugiati,
possono essere affrontati e vinti.
Conferire capacità ai rifugiati è
l’obiettivo del JRS nel campo di Kakuma, il filo che lega insieme tutti i
progetti. Dalle attività di produzione di reddito (IGA), come allevare
maiali, galline, oche e tacchini, e la
coltivazione di piante e giardini, ai
corsi di orientamento e la fornitura
di istruzione e competenze tecniche,
i progetti puntano a dare ai rifugiati
un po’ di potere e autonomia, dando
loro la capacità di prendersi carico
dei cambiamenti e realizzarli nelle
loro vite, per il bene della comunità.
Dove le qualifiche conducono gli studenti può dipendere in buona parte
dagli eventi e dalle circostanze che
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Servir è pubblicato dal Jesuit
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P. Pedro Arrupe SJ nel 1980.
Il JRS, un’organizzazione
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Dispatches, un bollettino
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spagnolo, italiano e francese.
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Foto di copertina:
Burundi; Oihana Irigaray/JRS
Foto di:
Mark Raper SJ/JRS (pp. 2 e 12);
Hugh Delaney/JRS (pp. 3, 10 e 11);
Oihana Irigaray/JRS (p. 4);
Victor Wilondja/JRS (p. 5);
Alberto Saccavini/JRS (pp. 6 e 7);
Siriphen Limsirikul/JRS (pp. 8 e 9).
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