La sicurezza alimentare nel TTIP

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La sicurezza alimentare nel TTIP
ISSN 2384-9169
LA SICUREZZA ALIMENTARE NEL TTIP
1. Nonostante le numerose perplessità espresse di recente dall’opinione pubblica e da alcuni dei
rappresentanti degli stati membri in merito all’opportunità di portare a termine le trattative del
Transatlantic Trade and Investment Partnership, (TTIP), è attualmente in corso di negoziazione il
quindicesimo round del Trattato, che terminerà alla fine della prima settimana di ottobre.
Le speranze di concludere le trattative entro il 2016 stanno via via svanendo anche nei più convinti
sostenitori del TTIP, come ad esempio il commissario europeo per il commercio, Cecilia Malmstrom,
che, durante il meeting dei ministri del commercio degli Stati membri, tenutosi a Bratislava il 23
settembre scorso, ha ammesso che il completamento delle negoziazioni entro la fine dell’anno risulta
sempre più difficile da raggiungere.
2. Com’è noto, oggetto del trattato è la creazione di una zona di libero scambio tra USA e UE, in cui le
merci, i servizi e i finanziamenti possano circolare più rapidamente. Si tratta di un progetto definito già
dai lavori preparatori del High Level Working Group on Jobs and Growth come “ambizioso”, per la
vastità dei temi affrontati e per il livello di integrazione economica che lo stesso si propone di
realizzare. L’istituzione di un mercato transatlantico fortemente integrato è una idea di molto
antecedente all’inizio delle trattative del TTIP. Già dai primi anni ’90, nell’ambito delle relazioni
commerciali bilaterali tra USA e la allora CE, era affiorata la prospettiva della creazione di una zona di
libero scambio, prima con la Transatlantic Free Trade Area (TAFTA), poi con la New Transatlantic
Marketplace Agreement (NTMA). Fino al 2013 però, allo strumento giuridico del trattato erano state
preferite strategie di natura più programmatica quali dichiarazioni di intenti, road map o guidelines. La
crisi del sistema multilaterale del WTO, in situazione di stallo dai primi anni 2000, congiuntamente alla
necessità di rilanciare l’economia europea dopo la crisi economica, hanno orientato le relazioni
commerciali transatlantiche verso la negoziazione del TTIP.
Dopo i primi tre round di contrattazione sono cominciati ad emergere importanti punti di conflitto tra le
due parti: dalla presenza di una sezione dedicata alle PMI, proposta dall’Unione nel corso del quarto
round, all’abolizione degli oneri doganali; dalla necessità di proteggere le indicazioni geografiche dei
prodotti alla presenza nei prodotti alimentari di OGM; dalla somministrazione di ormoni agli animali da
macello alla disciplina dei servizi finanziari. Particolarmente spinosi sono poi il meccanismo di
risoluzione delle controversie (rimasto sospeso fino al febbraio 2016) e la cooperazione regolatoria.
Quest’ultima costituisce una delle tre sezioni che compongono il progetto dell’accordo, assieme
all’accesso al mercato e alla formulazione di nuove regole.
3. Tra i vari settori interessati, in questa sede ci si concentrerà sulla sicurezza alimentare. La scelta è
dettata dal convincimento che questo settore sia particolarmente idoneo ad illustrare le profonde
differenze tra le parti contraenti, in termini costituzionali e valoriali, e dimostri il carattere fisiologico
delle difficoltà negoziali.
La cooperazione regolatoria consiste nell’avvicinamento delle regolamentazioni di USA e UE in
relazione alle modalità di produzione e commercializzazione di numerosi prodotti. Per quanto
concerne le misure sanitarie e fitosanitarie, viene affermato l’obiettivo di agevolare il commercio
garantendo la protezione della salute umana, delle piante e degli animali e di procedere verso una
maggiore integrazione dei mercati, da conseguirsi attraverso la creazione di norme comuni.
Indipendentemente da questi propositi, le differenze nei modelli di regolamentazione negli USA e
nell’Unione rende difficile immaginare importanti passi avanti verso l’integrazione senza rinunciare,
almeno in parte, ai propri valori, assetti organizzativi e interessi economici. Si pensi, ad esempio, alle
normative sugli OGM oppure all’utilizzo di ormoni nell’alimentazione degli animali da macello. Si pensi,
ancora, al sistema di immissione sul mercato dei prodotti alimentari. A questo proposito, merita
ricordare che mentre la European Food Safety Authority (EFSA) è un’agenzia con il compito di
condurre studi scientifici sulla sicurezza dei prodotti alimentari, la Food and Drugs Administration
(FDA) si caratterizza per un mandato più ampio, cioè quello di proteggere in generale la salute dei
cittadini, che si concretizza nella competenza ad effettuare sia l’attività di risk assessment sia quella di
risk management.
4. Nell’Unione, il compito di svolgere il risk management ricade sulla Commissione e sugli Stati
membri, i quali, nell’elaborare le strategie per la gestione del rischio, devono, tenuto conto delle
evidenze scientifiche, agire in conformità al principio di precauzione. Infatti, il regolamento 178/2002
(cosiddetta General Food Law Regulation, GFL) fornisce un concetto di sicurezza alimentare alquanto
ristretto, stabilendo che non possono accedere al mercato alimenti “a rischio” ovverosia quelli “dannosi
per la salute” e quelli “inadatti al consumo umano” (art. 14). L’idea di pericolosità di un alimento si
basa strettamente sulla valutazione della presenza di qualche “agente biologico, chimico o fisico
contenuto in un alimento o mangime, o condizione in cui un alimento o un mangime si trova, in grado
di provocare un effetto nocivo sulla salute;” (art. 3.14 GFL). Questa definizione crea una zona “grigia”,
costituita da quegli alimenti la cui pericolosità derivi ad esempio dalle modalità di consumo. Tale limite
del concetto di pericolosità viene però controbilanciato, da un lato, da una ambiziosa politica di
informazione del consumatore e, dall’altro, dalla possibilità di considerare nella fase di valutazione del
rischio, non soltanto l’evidenza scientifica, ma anche “ulteriori fattori, se pertinenti”.
5. Dal lato statunitense, invece, alla precauzione si contrappone la necessità di una prova positiva
circa pericolosità di un prodotto per poterne vietare la commercializzazione. La scelta di mantenere
distinti o meno la valutazione scientifica del rischio dalla sua gestione – che sul versante europeo
testimonia il timore di competence creepda parte degli Stati membri – incide profondamente sulla
differenza di competenze tra FDA e EFSA. Il rapporto tra la posizione di EFSA e quella degli
organismi regolatori degli Stati membri consiste in una collaborazione trasversale in cui l’agenzia
europea svolge il ruolo di coordinatore. Infatti, nonostante l’importanza centrale del parere scientifico
della EFSA, confermata dal valore che la Commissione gli ha riconosciuto in passato, ad esempio
nell’Austrian GMO case, essa non ha forza giuridica vincolante. Questa interpretazione del ruolo
dell’EFSA è inoltre avvalorata dal fatto che per quanto concerne i possibili contrasti tra agenzie statali
e EFSA relativamente ad un parere scientifico, il regolamento si limita a menzionare l’obbligo di
cooperare e condividere le informazioni relative alle materie in merito alle quali sorgono le
controversie (art. 30 GFL). Ad un sistema così ampiamente ramificato, se ne contrappone uno
accentrato, con un’agenzia come la FDA dotata di ampi poteri regolatori e coercitivi.
6. Promuovendo un modello comune di risk assessment, il regolamento introduce una presunzione di
sicurezza per i prodotti che sono conformi alla regolamentazione europea. Adottando questa strategia
l’Unione evita una vera e propria armonizzazione e promuove, invece, il rispetto delle diversità culturali
degli stati e il principio del mutuo riconoscimento. La politica europea della sicurezza alimentare, del
resto, rientra nell’ambito della tutela del consumatore, di competenza concorrente. Gli ampi potere di
cui dispongono ancora gli Stati membri si riflettono inevitabilmente sull’azione esterna dell’Unione, con
la conseguenza che con tutta probabilità la conclusione di un trattato che comprenda la sicurezza
alimentare avrà la forma di un accordo misto.
Tali specificità, che riflettono profonde differenze sotto il profilo costituzionale e culturale, non rendono
tuttavia impossibile avanzare nelle trattative. L’accoglimento di un sistema come quello d’oltreoceano
potrebbe portare verosimilmente alla rinuncia alla possibilità di valutare nel processo di
regolamentazione quei fattori che esulano dalle prove scientifiche, come ad esempio le preferenze dei
consumatori e la loro percezione del rischio; tuttavia, la sfida che l’Unione si propone di affrontare è
proprio quella di concludere l’accordo in questione preservando il suo sistema costituzionale e
valoriale. A ben vedere, infatti, il processo di risk assessment e di risk management sono
intrinsecamente collegati e si influenzano vicendevolmente, ponendo il piano delle valutazioni
scientifiche in continuo dialogo con le problematiche pratiche e tecniche di gestione del rischio, senza
però che ciò faccia venir meno la ragione della loro distinzione.
Nelle aree di incertezza scientifica entrano inevitabilmente in gioco scelte politiche che orientano il
legislatore da una parte e dall’altra dell’Atlantico. Inoltre non bisogna lasciarsi ingannare
dall’espressione “more evidence-based” o “science-based” che si usa per indicare il sistema di
regolamentazione statunitense. Infatti, l’enfasi che si pone sulla dimensione scientifica del
meccanismo di valutazione del rischio statunitense non vale a renderlo più oggettivo e imparziale.
Nell’Unione la prova scientifica costituisce la soglia limite di protezione al di sotto del quale la
normativa dei singoli stati membri non può scendere; dal lato statunitense, invece, essa è il requisito
sufficiente e necessario indispensabile per la commercializzazione del prodotto. Ma la scelta di
attendere la prova positiva della pericolosità di prodotto prima di introdurlo sul mercato è già una
scelta politica che risponde a determinati interessi e caratteristiche giuridiche e politiche.
7. La decisione di dare provvisoria applicazione al Comprehensive Economic and Trade Agreement
(CETA), accordo commerciale tra Unione europea e Canada, potrà fornire un importante banco di
prova per valutare l’opportunità di concludere o meno il TTIP. Il CETA, è un accordo commerciale
concluso dall’Unione nell’agosto 2014, a cui ora, a seguito di una decisione presa dal Consiglio, si
darà applicazione provvisoria, ovvero preventiva rispetto al completamento della procedura di ratifica
da parte di tutti gli Stati Membri. Il CETA presenta dei profili di affinità con il TTIP, in quanto entrambi
sono accordi commerciali volti ad incrementare gli scambi nell’ambito del commercio internazionale.
Con tutta evidenza, l’attuazione provvisoria del CETA e la sua ratifica da parte dei parlamenti nazionali
offriranno numerosi spunti per valutare l’opportunità di proseguire nelle negoziazioni del TTIP.
8. La volontà di continuare nelle negoziazioni e di giungere alla definizione della maggior parte delle
posizioni comuni è stato affermato dal Commissario Europeo per il Commercio all’indomani della
Brexit e riaffermato durante il round del luglio del 2016. Pare tuttavia pacifico che l’auspicio di
conseguire tale obiettivo prima che termini il mandato del Presidente Obama è alquanto poco
probabile. In questo senso, il futuro del TTIP sarà fortemente condizionato all’esito delle elezioni
presidenziali negli USA. Infatti, entrambi i candidati alla presidenza statunitense hanno apertamente
dichiarato di essere sfavorevoli al proseguimento delle trattative.
Proprio da questo fattore derivano posizioni espresse da alcuni ministri e capi di stato europei al
termine della pausa estiva. Oltre al futuro estremamente incerto dovuto ai sostanziali cambiamenti
politici oltreoceano sono state evidenziate la lentezza delle trattative, la difficoltà di giungere ad un
punto di convergenza su svariate posizioni e la preoccupazione di concludere un accordo altamente
squilibrato a discapito dei Paesi dell’Unione. La dichiarazione del vice cancelliere tedesco Gabriel, che
definiva il TTIP un accordo ormai arenato, ha sollevato diverse polemiche. Nonostante queste
dichiarazioni siano state prontamente ribattute dalla Commissione europea, che ha ribadito
l’importanza di proseguire le negoziazioni, le opinioni espresse da alcuni rappresentanti degli Stati
membri non possono e non devono essere sottovalutate.
9. Lo scorso 14 settembre, infatti, solo dodici dei ventotto stati membri hanno espresso il loro supporto
alle trattative in una lettera indirizzata al commissario europeo per il commercio. A sostegno del TTIP
si sono schierati apertamente: Gran Bretagna, Svezia, Italia, Spagna, Portogallo, Lituania, Lettonia,
Iralanda, Estonia, Finlandia, Repubblica Ceca e Danimarca. Sebbene la Germania non figuri tra i
firmatari della lettera, in occasione del vertice di Bratislava il Governo tedesco ha espresso la volontà
di continuare le negoziazioni. Per altro verso, merita ricordare la proposta adottata durante la riunione
dello scorso 23 Settembre, da Fekl, ministro del commercio francese e da Mitterlehner, ministro per il
commercio austriaco, volta a richiedere la sospensione delle negoziazioni fino alle elezioni
presidenziali americane e cominciare nuove trattative per la conclusione di un accordo commerciale
con una denominazione diversa da TTIP.
Ciò detto, la maggioranza degli Stati membri ha concesso al trattato un nuovo round di negoziazione
che sarà fondamentale per potere definire le sorti dell’accordo oggetto del quale sarà verosimilmente
anche la palese opposizione al trattato dichiarata dai due candidati americani Clilton e Trump. A causa
della crisi del sistema del WTO si stanno creando nuovi equilibri economici mondiali incentrati su
singoli accordi regionali, contesto in cui l’Europa deve ancora pienamente conquistare la sua
posizione. In particolare, con la conclusione dell’accordo TPP tra Stati Uniti e Paesi Asiatici, l’Unione
deve potersi garantire una partecipazione attiva nella definizione delle regole del commercio
internazionale concludendo autonomi accordi commerciali. Ciò non può però portare l’Unione a
rinunciare alla sua identità, concludendo un accordo che contrasta, almeno in parte, con l’obbligo di
rispettare le diversità nazionali e che divide profondamente l’opinione pubblica. E’ in questo frangente
che l’Unione deve dimostrare di essere in grado di raggiungere quell’equilibrio tanto ricercato tra la
promozione delle libertà economiche, su cui si basa il suo mercato interno, il rispetto delle specificità
nazionali e la tutela dei diritti dei suoi cittadini. Tuttavia, la scelta dello strumento adatto per il
perseguimento di tale fine, è tutt’altro che scontata.
Pubblicato il: 06/10/2016
Autore: Silvia Guidi
Categorie: articoli ,
Tag: risk assessment, risk management, sicurezza alimentare, TTIP
Editore: Bruno Nascimbene, Milano
Rivista registrata presso il Tribunale di Milano, n. 278 del 9 settembre 2014
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