Scheda tratta da Restituzioni 2008. Tesori d`arte restaurati, catalogo

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Scheda tratta da Restituzioni 2008. Tesori d`arte restaurati, catalogo
Scheda tratta da Restituzioni 2008. Tesori d’arte restaurati, catalogo
della mostra promossa e curata da Intesa Sanpaolo (Vicenza,
Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, 29 marzo - 29 giugno 2008)
Vicenza 2008, pp. 220-229, cat. 26.
Bernardo Daddi (attivo a Firenze dal 1328 al 1348)
Trittico portatile
1340-135 circa
Tecnica/materiale
Tempera e olio su tavola
Dimensioni
46 x 21,2 cm il pannello centrale
51,5 x 12,4 cm ciascuno i pannelli laterali
con la cornice, non originale:
73 x 61,5 cm ad ante aperte
73 x 31 cm ad ante chiuse
Iscrizioni:
sul tabellone della Crocifissione, con lettere dorate:
HIC· EST· IES / US . NAZERENU / S [sic] . REX· IUDEO(RUM)
Provenienza
Milano - Roma, collezione di Emilio Visconti Venosta, fino al 1914;
Roma, Giovanni Visconti Venosta, fino al 1947; Roma, Margherita
Visconti Venosta Pallavicino Mossi, donata da quest’ultima al Museo
Poldi Pezzoli nel 1973
Collocazione
Milano, Museo Poldi Pezzoli, inv. 3497
Scheda
Andrea di Lorenzo
Restauro
Carlotta Beccaria, sotto la direzione di Amalia Pacia della
Soprintendenza per il patrimonio
storico artistico ed etnoantropologico di Milano
Nel pannello centrale del Trittico è raffigurata la Vergine in trono con il Bambino. Il trono è impreziosito da un
drappo d’onore rosso, decorato da motivi floreali dorati. Gesù tiene nella sinistra una melagrana e protende
la mano destra per afferrare il cardellino posato sulla sinistra di Maria (il cardellino, volatile caratterizzato
dalle piume rosse che ne ornano il capo, allude al sangue versato da Gesù nella Passione; la melagrana è
simbolo della Resurrezione di Cristo, in quanto anticamente associata a Proserpina, che ad ogni primavera
tornava sulla terra per rigenerarla: HALL 1983, pp. 266, 275-276).
In basso, ai piedi dei gradini del trono, figurano, a sinistra san Giovanni Battista, che regge con la mano
sinistra un sottile crocifisso rosso ed è vestito con la tradizionale veste di pelle di cammello e con un
mantello celeste; a destra un santo diacono che indossa una dalmatica rossa e tiene nella destra una foglia
di palma, simbolo del martirio, e nella sinistra un libro dalla legatura di colore blu: si tratta con ogni
probabilità di Lorenzo, che Bernardo Daddi è solito raffìgurare con questi attributi, mentre Stefano, l’altro
santo diacono più frequentemente rappresentato nella pittura antica, nei dipinti dell’artista fiorentino
abitualmente tiene in mano, al posto della foglia di palma, uno stendardo (cfr. DI NEPI-ROY-BILLINGE 2007,
p. 22, n. 1). Nelle opere di Bernardo Daddi e dei suoi seguaci inoltre, san Lorenzo è di solito rappresentato
con la dalmatica di colore rosso (cfr., ad esempio, Bernardo Daddi, San Lorenzo, pannello erratico di
polittico, Firenze, Galleria dell’Accademia, inv. 1890, n. 8707; Bernardo Daddi, Trittico portatile, Altenburg,
Lindenau Museum, inv. n. 15; Bernardo Daddi, Polittico, datato 1348, già in San Giorgio a Ruballa alle porte
di Firenze, ora a Londra, Courtauld Institute, inv. P. 1966. G P.82; Bernardo Daddi, San Lorenzo, pannello
erratico di polittico, Milano, Pinacoteca di Brera, Reg. Cron. 6089; Puccio di Simone, Polittico, Firenze,
Galleria dell’Accademia, inv. 1890, n. 8569). Più in alto, in piedi sul gradino superiore del trono, sono
raffigurate quattro sante: a sinistra, Apollonia indossa una veste gialla, ha la corona in testa e tiene nella
destra la tenaglia che stringe un molare – allusione al suo martirio, durante il quale le furono asportati i denti
–, mentre Lucia, con una veste blu e un mantello rosso che le copre il capo, tiene in mano una lampada
accesa, attributo che richiama il suo nome (luce - Lucia). A destra compaiono due sante coronate: la prima,
che indossa una veste rossa e un manto blu, con la sinistra afferra i lembi del mantello, mentre ha la mano
destra chiusa a pugno e protesa in avanti. Probabilmente in origine la santa sosteneva un attributo, oggi
scomparso a causa di un’antica pulitura (nella più vecchia fotografia dell’opera che si conosca, quella
pubblicata in GAMBA 1920, p. 516, il misterioso attributo risulta già mancante); questa santa è stata talvolta
identificata dubitativamente con santa Caterina d’Alessandria (v. NATALE 1982, p. 144, cat. 177;
BOSKOVITS 1989b, p. 364), ma potrebbe anche darsi che il misterioso attributo cancellato dagli antichi
restauri fosse un piccolo crocifisso, e che la santa sia quindi da identificarsi con Margherita, che nei dipinti di
Daddi è raffigurata con la corona in testa e, appunto, una piccola croce in mano. Nelle anconette dell’artista
fiorentino la croce è spesso tenuta in mano dalla santa, gentilmente, con tre sole dita, ma in quella della
National Gallery of Art di Washington (inv. 1140), ad esempio, la mano di Margherita stringe il suo attributo
con forza nel pugno chiuso, in un atteggiamento che ricorda molto da vicino quello della santa vestita di
rosso e blu nel dipinto in esame. La quarta santa indossa una veste di colore giallo-verde e tiene nelle mani
la foglia di palma e un libro: potrebbe identificarsi con Caterina d’Alessandria, una delle più rappresentate fra
le sante martiri nella pittura italiana del Medioevo – sebbene non sia visibile in questo caso la ruota dentata,
strumento del suo martirio che spesso la accompagna, e che permette di riconoscerla infallibilmente –, ma
potrebbe anche trattarsi di Reparata, patrona di Firenze, che è solitamente raffigurata con questi attributi
(cfr. KAFTAL 1952, col. 892, n. 270; HALL 1983, p. 349). Nella dispersa predella dello stesso Daddi con
storie della sua vita, proveniente dal polittico un tempo sull’altare maggiore di Santa Maria del Fiore a
Firenze, già ritenuto in San Pancrazio (PADOA RIZZO 1993) – tre pannelli della quale si conservano al
Metropolitan Museum di New York (inv. nn. 43.98.3, 41.190.15, 43.98.4), uno al Wallraf-Richartz-Museum di
Colonia (inv. n. W.R.M. 878), e altri due in collezione privata: cfr. OFFNER-BOSKOVITS 1989, pp. 277-293,
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tavv. XVXV – santa Reparata indossa in effetti una veste dello stesso colore (cfr. STEINWEG 1956, p. 38) e
porta la corona sulla testa.
Nello sportello di sinistra è dipinto in alto l’Arcangelo Gabriele con un ramo di giglio in mano, inginocchiato
su un drappo rosso posato sul pavimento decorato con motivi floreali dorati, molto simili a quelli che
impreziosiscono il drappo d’onore del trono della Vergine. In basso è raffigurata la Natività: sotto il tetto di
un’umile capanna, che accoglie il bue e l’asino, la Vergine sta adagiando il Bambino nella mangiatoia
avvolgendolo delicatamente nel velo che si è levata dalla testa: si tratta di una soluzione compositiva che
nasce con il pannello della predella con storie della Vergine del già citato polittico di Bernardo Daddi per il
Duomo fiorentino, conservato agli Uffizi, e che l’artista riutilizza più volte negli altaroli eseguiti nell’ultima fase
della sua produzione (OFFNER 1947, p. 154, n. 2, ora in OFFNER-BOSKOVITS 2001, p. 350, n. 2; il
polittico di Santa Maria del Fiore aveva due predelle, una collocata più in basso e formata da pannelli
rettangolari, con storie della vita di santa Reparata, e l’altra posizionata direttamente sotto le tavole maggiori
e costituita da riquadri centinati, con storie della vita della Vergine: OFFNER-BOSKOVITS 1989, p. 233, tav.
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XIV; per il pannello con la Natività si veda p. 262, tav. XIV ). In primo piano san Giuseppe è seduto sulla
nuda terra in posa meditativa, il mento appoggiato alla mano destra, mentre più in lontananza, oltre il tetto
della capanna, è descritta la scena dell’Annuncio ai pastori, uno soltanto dei quali è raffigurato. Il pannello di
destra è decorato in alto con la Vergine annunziata, che si ritrae spaventata, la mano destra levata, per il
sopraggiungere dell’angelo, ed è seduta su un cuscino appoggiato per terra, come una Madonna dell’Umiltà
(per un’ampia lista delle opere trecentesche senesi e fiorentine in cui compare questo tipo di contaminazione
dell’iconografia della Vergine annunziata con quella della Madonna dell’Umiltà – quasi sempre dipinti su
tavola di dimensioni ridotte, simili a questo –, si veda OFFNER 1947, p. 154, n. 3, ora in OFFNERBOSKOVITS 2001, p. 350, n. 3); nella stanza di Maria è appeso un drappo rosso decorato con motivi floreali
dorati, identico a quello su cui è inginocchiato l’angelo annunziante. Sotto l’Annunciata è raffigurata la
Crocifissione, con i Dolenti, Maria e san Giovanni Evangelista ai lati della croce, lungo la quale scorre
copiosamente, in due rivoli paralleli, il sangue di Gesù, che si raccoglie in una prima pozza e quindi, più in
basso, in una seconda, che assume l’aspetto di un teschio rossastro deformato e inquietante, allusione alla
morte di Gesù e allo stesso tempo probabile riferimento alle ossa di Adamo (in molte raffìgurazioni della
Crocifissione, infatti, sotto la croce compare un teschio che viene bagnato dal sangue di Cristo: si tratta delle
ossa di Adamo, le quali secondo un’antica leggenda sarebbero state seppellite sul monte Calvario, nello
stesso luogo dove, molte generazioni più tardi, sarebbe avvenuta la Passione; le ossa del Progenitore
sarebbero state quindi asperse dal sangue di Cristo, rappresentando simbolicamente la redenzione del
genere umano dal peccato originale, commesso da Adamo ed Eva, grazie al sacrificio di Gesù).
Il dipinto proviene dalla collezione di Emilio Visconti Venosta (Milano 1829 - Roma 1914), patriota
risorgimentale, uomo politico ed esponente di governo di notevole rilievo dell’Italia post-unitaria, che fu
nominato per ben otto volte ministro degli Affari Esteri: sulla sua infanzia e sugli anni che vanno dalle Cinque
Giornate di Milano al 1860 costituiscono una preziosa e vivida testimonianza i Ricordi di gioventù (1904)
scritti dal fratello Giovanni Visconti Venosta (1829-1907), letterato di una certa fama (autore, fra l’altro, della
celebre Ballata del prode Anselmo). La raccolta di opere d’arte di Emilio Visconti Venosta fu costituita grazie
ai suggerimenti e sotto l’impulso del grande critico d’arte Giovanni Morelli (GAMBA 1920, pp. 506-508;
MORANDOTTI 1993, p. 182). Emilio era amico personale del connaisseur bergamasco, e un convinto
sostenitore del metodo morelliano, come si evince dalla lettura della sua appassionata recensione del libro di
Morelli sulle opere d’arte italiane conservate nelle gallerie di Monaco, Dresda e Berlino – pubblicato in
tedesco con lo pseudonimo di Ivan Lermolieff nel 1880 e tradotto in inglese con il vero nome dell’autore nel
1883 –, uscita sulla «Nuova Antologia» nel luglio del 1884, «il primo e unico tentativo, tanto più rimarchevole
da parte di un italiano, di ricapitolazione organica delle teorie morelliane non solo a livello della tecnica
attributiva, ma anche a quello, generalmente più dimenticato, di periodizzazione della storia dell’ arte
italiana» (AGOSTI 1993, p. 273, n. 41). Visconti Venosta fu anche autore del ricordo di Giovanni Morelli
pubblicato sulla «Perseveranza» del 3 marzo 1891 (il necrologio non è firmato, ma gli viene attribuito da
CAROTTI 1915, p. 3). Nell’archivio Visconti Venosta conservato presso la Fondazione Cavour a Santena si
conservano alcune lettere indirizzategli da Morelli, che contengono informazioni preziose sui quadri di cui il
critico bergamasco suggeriva all’amico l’acquisto, come il Ritratto femminile in veste di santa Caterina
d’Alessandria di Pietro degli Ingannati, oggi al Museo Poldi Pezzoli, che nel 1885 era presso l’antiquario
Scalabrini in via del Babuino a Roma, o su quelli comperati dal collezionista e affidati alle sapienti mani di
Luigi Cavenaghi per essere restaurati, come, nel 1877, la Sacra Famiglia di Alessandro Buonvicino detto il
Moretto, anch’essa oggi al Poldi Pezzoli o, nel 1885, le quattro tele raffiguranti Episodi del Vecchio
Testamento già riferite a Ercole Grandi, custodite a Roma, presso gli eredi dei Visconti Venosta e
appartenute a una serie proveniente dalla raccolta Costabili di Ferrara, di cui altri elementi si trovano alla
National Gallery di Londra e alla Carrara di Bergamo (lettere di Giovanni Morelli a Emilio Visconti Venosta
del 7 febbraio 1885 e del 22 giugno 1877, conservate presso l’Archivio Visconti Venosta a Santena,
Fondazione “Camillo Cavour”, citate da MONTAGANO 2000-2001, pp. 23-24, 28-29 e, del 20 febbraio 1885,
anch’essa a Santena, pubblicata da Jaynie Anderson in ANDERSON 1983, p. 549 e in MORELLIANDERSON, pp. 161-162, n. 152). Morelli, in segno di stima e di amicizia, alla sua morte lasciò a Emilio
Visconti Venosta la sua raccolta di fotografie di opere d’arte, recanti sul retro le sue preziose annotazioni
critiche (CAROTTI 1915, p. 3). Fra il 1876 e il 1896 Emilio Visconti Venosta, approfittando di una pausa nella
sua attività politica, dovuta alla caduta del governo Minghetti e alla fine della Destra storica, cui egli aderiva,
rientrò a Milano da Roma. In questo periodo si dedicò intensamente allo studio della storia dell’arte (in una
lettera del 7 febbraio 1885 Giovanni Morelli dichiara a Visconti Venosta che «già da un pezzo la mente mi si
compiace di vedere in te lo storico dell’arte lombarda milanese, non solo di diritto ma di fatto»: Santena,
Fondazione “Camillo Cavour”, Archivio Visconti Venosta; doc. cit. da MONTAGANO 2000-200 l, p. 24; alcuni
appunti di argomento storico-artistico di Emilio Visconti Venosta sono conservati presso l’archivio di
Santena: Inventario 1970, II, pp. 169-170) e alla fattiva collaborazione con le principali istituzioni culturali
milanesi: fu presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera dal 1886 al 1897 (sull’importante ruolo svolto da
Emilio Visconti Venosta in qualità di presidente dell’Accademia Braidense si veda CAROTTI 1915), membro
della Consulta del Museo Archeologico e, fra il 1898 e il 1902, della Commissione Consultiva del Museo
Poldi Pezzoli (MONTAGANO 2000-2001, pp. 43-44).
Il dipinto in esame fu comperato da Visconti Venosta, con ogni probabilità, dopo il 18 giugno 1879, dato che
non è incluso fra le opere d’arte appartenenti al collezionista custodite a Milano «nella casa sita in via Bigli n.
19 nella proprietà dell’eredità Poldi Pezzoli», descritte in una polizza assicurativa recante quella data (questo
prezioso documento, conservato presso l’Archivio della Biblioteca Mansutti di Milano, è pubblicato da
MONTAGANO 2000-2001, pp. 27-28: fra i quadri in seguito pervenuti al Museo Poldi Pezzoli sono elencati
la Sacra Famiglia del Moretto, già citata, il Miracolo di sant’Ugo di Lincoln di Gherardo Starnina, qui riferito
alla «scuola di Giotto», e la Santa Caterina d’Alessandria di Giovanni di Pietro detto lo Spagna, attribuita a
Pinturicchio). Formata a Milano, la collezione Visconti Venosta fu in seguito trasportata a Roma, dove Emlio
stabilì definitivamente la sua residenza: il trasferimento deve essere avvenuto fra il 1900 e il 1909, data a
partire dalla quale negli indici di Bernard Berenson le opere della sua collezione figurano nella capitale (cfr.
BERENSON 1900, p. 150, in cui la raccolta Visconti Venosta risulta ancora ubicata a Milano; BERENSON
1909b, p. 296; BERENSON 1909a, p. 210). Dopo la morte di Emilio Visconti Venosta (1914) e di sua moglie
Maria Luisa Alfieri di Sostegno (1852-1920), pronipote di Camillo Benso conte di Cavour e lontana
discendente di Vittorio Alfieri (il matrimonio era avvenuto nel 1876), la collezione d’arte fu divisa fra i tre figli
Carlo (1879-1942), Enrico (1883-1945) e Giovanni (1887-1947). In questa divisione il Trittico di Bernardo
Daddi fu assegnato a Giovanni (BERENSON 1932, p. 167; BERENSON 1936, p. 144), insieme ad altre
opere oggi al Museo Poldi Pezzoli: la Madonna con il Bambino di Ambrogio Bergognone, il Miracolo di
sant’Ugo di Lincoln di Gherardo Starnina, la Madonna con il Bambino di Neroccio di Bartolomeo Landi
(BERENSON 1936, rispettivamente pp. 86, 278 – con attribuzione al Maestro del Bambino Vispo –, 336);
delle opere oggi custodite nel museo milanese, a Carlo furono invece aggiudicati il tondo con la Sacra
Famiglia di Fra Bartolomeo, il Ritratto femminile in veste di santa Caterina d’Alessandria di Pietro degli
Ingannati e la Sacra famiglia con san Giovannino del Moretto; a Enrico il tondo di Pinturicchio raffigurante la
Madonna con il Bambino e san Giovannino e la Croce astile oggi attribuita a Raffaello (cfr. BERENSON
1936, rispettivamente pp. 42, 232, 322, 395; si veda anche l’indice dei luoghi a p. 589). Il 27 gennaio 1937 il
Trittico di Bernardo Daddi fu messo all’ asta, con attribuzione a Taddeo Gaddi, alla vendita delle collezioni
Agosti e Mendoza, presso la Galleria Pesaro, in via Manzoni 12 a Milano (BOTTA 1936, lotto 117, tav. II;
Catalogo 1937, pp. 14-15): evidentemente restò invenduto, dato che rimase presso Giovanni Visconti
Venosta. Scomparsi Carlo ed Enrico, che non si erano sposati e non avevano avuto figli, le opere d’arte di
loro proprietà confluirono nella raccolta di Giovanni. Alla morte di quest’ultimo tutta la sua collezione passò in
eredità alla vedova, Margherita Pallavicino Mossi (1898-1982), la quale nel 1973 donò diciassette opere, tra
cui l’altarolo di Daddi, al Museo Poldi Pezzoli (altri due dipinti di grande qualità, la Madonna con il Bambino
di Bergognone e la Croce astile attribuita a Raffaello furono legati al museo da Margherita Pallavicino Mossi
Visconti Venosta per volontà testamentaria dieci anni più tardi: BALBONI-MOTTOLA MOLFINO 1980;
NATALE, in Museo 1987, pp. 309-311, catt. 2-3).
Il dipinto in esame è stato pubblicato nel 1920, con la corretta attribuzione a Bernardo Daddi, da Carlo
Gamba, il quale segnalava le ridipinture che prima del presente restauro ostacolavano la piena leggibilità del
volto della Vergine nel pannello centrale (GAMBA 1920, p. 518) . L’attribuzione al Daddi è stata accolta da
Raimond van Marle (MARLE 1924, p. 655); da Bernard Berenson, il quale ha avanzato dubitativamente
l’ipotesi che le ridipinture sul volto della Madonna potessero essere state eseguite nel XVI secolo da
Defendente Ferrari, e ha proposto che l’opera sia stata realizzata nel 1336 (BERENSON 1932, p. 167;
BERENSON 1936, p. 144; BERENSON 1963, l, p. 57); da Richard Fremantle (FREMANTLE 1975, p. 636);
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da Miklós Boskovits (BOSKOVITS 1989a, p. 47; BOSKOVITS 1989b, pp. 364-368, Add. pls. VI- VI ),
secondo il quale la rappresentazione della Natività in questo dipinto e negli analoghi altaroli di Altenburg e
Praga – datati da Offner negli anni Quaranta – si pone alla conclusione di un processo di elaborazione di
questo particolare tema iconografico da parte di Bernardo Daddi, il che suggerisce, anche per il dipinto in
esame, una cronologia nel quinto decennio del Trecento (BOSKOVITS 1989a, p. 47; BOSKOVITS ]989b, p.
368, n. I); e da Angelo Tartuferi (TARTUFERI 2005), che aderisce alla cronologia proposta da Boskovits e
sottolinea come «la tendenza a semplificare le composizioni con lo scopo di esaltarne la monumentalità,
anche nelle piccole dimensioni», riscontrabile negli altaroli di Altenburg, Praga e Milano, «caratterizza
l’ultimo periodo di attività del grande pittore fiorentino». Hanno invece contestato l’attribuzione del dipinto a
Bernardo Daddi, Gustavo Botta (BOTTA 1936, tav. II) il quale, come abbiamo già ricordato, ha avanzato il
nome di Taddeo Gaddi; Richard Offner (OFFNER 1930, pp. 13, ora in OFFNER-BOSKOVITS 1989, p. 74;
OFFNER 1947, p. 54, nn. 2 e 3, ora in OFFNER-BOSKOVITS 2001, p. 350, nn. 2 e 3), Franco Russoli
(RUSSOLI 1972, pp. 203, fig. 396, 205; Museo 1978, p. 36); Mauro Natale (NATALE 1982, p. 144, cat. 177)
e Mojmír S. Frinta (FRINTA 1998, pp. 265, 499), che hanno preferito riferire l’opera alla bottega di Daddi
(Franco Russoli e Mauro Natale, indotti in errore dalla datazione proposta da Berenson, hanno affermato
che la data 1336 sarebbe apposta su uno dei pannelli del Trittico, mentre in realtà sulle tavole non compare
alcun riferimento cronologico).
L’attribuzione dell’opera a Bernardo Daddi è senz’ altro da confermare (per la definizione di autografia
nell’ambito delle grandi botteghe artistiche trecentesche, e in particolare di quella daddesca, si veda però, da
ultimo, TARTUFERI 2000, pp. 50-51): il dipinto si apparenta strettamente ad altri altaroli dell’artista
fiorentino, in cui ricorre il medesimo schema compositivo – con la Madonna in trono al centro, l’Angelo
annunciante, l’Annuncio ai pastori e la Natività nell’anta di sinistra, la Vergine annunciata e la Crocifissione
nell’anta di destra –, quali quelli dei musei di Altenburg e di Praga, già menzionati, della Pinacoteca di Siena,
inv. 60 (TARTUFERI 2005, p. 75), e del Courtauld Institute of Art di Londra, inv. P. 1978.PG. 81.1. Numerosi
indizi corroborano inoltre la proposta, sostenuta da Boskovits e Tartuferi, di una cronologia avanzata per
l’opera in esame (e i dipinti gemelli di Altenburg e Praga): in particolare il minuto decorativismo delle stoffe e
lo stile improntato, pur in un formato così ridotto, a una notevole monumentalità, grazie all’espediente di
isolare le figure contro lo sfondo e all’utilizzo di fondali architettonici alquanto semplificati (BOSKOVITS
1989, p. 47); monumentalità che il nostro artista sperimentò e mise a punto nelle grandi pale d’altare
fiorentine – di Santa Maria del Fiore, di San Giorgio a Ruballa, già menzionati, di Orsanmichele, di Santa
Maria Novella, quest’ultima oggi conservata alla Galleria dell’Accademia di Firenze – commissionategli
nell’ultima fase della sua attività. Anche la particolare iconografia della Natività, con la Vergine che depone il
Bambino nella mangiatoia, sopra il velo, è riferibile, come si è visto, alla tarda attività del pittore. Una
datazione avanzata negli anni Quaranta del Trecento è confermata, infine, anche dallo studio dei punzoni
utilizzati nel dipinto in esame, di cui si riscontra la presenza nelle opere eseguite da Bernardo Daddi nei suoi
ultimi anni (FRINTA 1998, pp. 265, 499).
La notevole qualità dell’opera è maggiormente apprezzabile dopo l’accurato restauro eseguito da Carlotta
Beccaria, sotto la direzione di Amalia Pacia della Soprintendenza per il patrimonio
storico artistico ed etnoantropologico di Milano, che ha liberato la tavola dalle ridipinture che ne rendevano
ambigua e difficoltosa la lettura (tanto da indurre Bernard Berenson, come si è visto, a sospettare addirittura
che tali rifacimenti potessero risalire ai primi decenni del Cinquecento). Il piccolo Trittico ha subito nel XIX
secolo una pesante manomissione: le tavole, dopo essere state assottigliate, sono state incastonate in una
cornice lignea munita di un fondo chiuso che non lascia scorgere il retro e i bordi dei supporti originali. La
cornice presenta sul fronte dei motivi a fiamma, che imitano quelli del trono dipinto nel pannello centrale, e
una doratura molto squillante, che risulta dissonante rispetto al fondo dorato originale. Il colore scuro con cui
è stato verniciato sul retro il legno chiaro dell’incorniciatura, a imitazione dell’ebano, manifesta la sua origine
moderna. Intorno alla tavola centrale è stata aggiunta una fascia con stelline dorate che campeggiano su un
fondo blu. La doratura non originale risultava in molti punti decoesa e fragile. L’analisi della superficie a luce
radente, effettuata prima del restauro, evidenziava un buono stato di conservazione della pellicola pittorica.
La superficie appariva fortemente scurita per la presenza di una spessa coltre di particellato atmosferico.
Sotto lo sporco si leggeva una situazione disomogenea delle stesure: in alcune zone la pellicola pittorica
appariva in buono stato di conservazione, mentre in altre risultava più consunta; la vernice appariva
cosparsa di piccole macchie, per effetto di passate puliture non omogenee.
I volti della Madonna in trono e del San Giovanni Battista apparivano interessati da un restauro pittorico più
invasivo: la vernice presente era quasi arancione e conferiva agli incarnati un tono più scuro rispetto a quello
degli altri visi. La lettura a luce radente permetteva di evidenziare in quelle zone un colore più saturo e lucido
rispetto al resto delle stesure, in cui non si leggeva più la microscabrosità della superficie: probabilmente i
passati interventi di integrazione pittorica a velature avevano saturato il colore. Alcuni altri visi apparivano
integrati con piccole pennellate, rintracciabili alla lettura con luce UV, soprattutto per enfatizzare le
sopracciglia, gli occhi e la curvatura del collo, ma non mostravano la saturazione di vernice e colore
presente sul volto della Madonna e del San Giovanni Battista. Altri interventi di integrazione pittorica erano
presenti sulle stuccature, come sull’abito della Madonna e sui fori di sfarfallamento dei tarli. Si può ipotizzare
che queste ridipinture e il rifacimento della cornice siano stati eseguiti dal celebre restauratore milanese
Luigi Cavenaghi (1844-1918), che secondo varie testimonianze era amico di Emilio Visconti Venosta e
intervenne sui dipinti della sua collezione (si vedano, oltre alle lettere di Giovanni Morelli del 22 giugno del
1877 e del 20 febbraio 1885 menzionate più sopra, CAGNOLA 1918, p. 68, cit. da MANOLI 2006, p. 9;
GAMBA 1920, pp. 507-508; LISSONI 2006, p. 157).
Il fondo dorato del Trittico, steso a guazzo, risulta leggermente abraso ma ancora ben leggibile; nella tavola
destra con la Crocifissione è più consunto e appare integrato con nuove porzioni di foglia dorata. Il Trittico
presenta inoltre una ricca varietà di applicazioni d’oro, che risulta steso a mordente per creare le
decorazioni, ad esempio sul panno rosso dietro la Madonna in trono e la Vergine annunciata, e a conchiglia,
con pennellate leggere, per impreziosire gli abiti e i veli; inoltre si ritrova punzonato e rialzato a pastiglia nelle
aureole, in cui il pittore è riuscito a ottenere un effetto quasi tridimensionale. La riflettografia infrarossa,
effettuata da Duilio Bertani (Centro di I.R. e Diagnostica dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di
Milano) ha restituito un’immagine ad alta definizione dell’opera. Il disegno preparatorio è realizzato con un
colore scuro steso con un leggero tratto di pennello, ed è improntato a una grande semplicità, limitandosi a
delineare i contorni e le pieghe delle vesti (un disegno simile è stato rilevato nelle riflettografie infrarosse di
un’altra opera di Bernardo Daddi databile agli anni Quaranta, l’Incoronazione della Vergine della National
Gallery di Londra, NG 6599, e i Quattro angeli musicanti della Christ Church Picture Gallery di Oxford, inv.
JBS5, che un tempo componevano un’unica ancona: DI NEPI-ROY-BILLINGE 2007, pp. 9-10). La Vergine
addolorata sotto la croce lascia vedere sotto il panneggio blu un disegno molto marcato e scuro, rispetto a
quello delle altre figure: si può ipotizzare che la veste sia stata eseguita con blu oltremare, un pigmento che
risulta trasparente ai raggi infrarossi.
Lo studio della riflettografia è stato molto utile anche per comprendere il reale stato di conservazione della
pellicola pittorica e ha consentito di individuare con precisione le zone in cui erano avvenuti i restauri
precedenti, come nella veste della Madonna raffigurata nel pannello centrale, che appare in buona parte
ritoccata. Questi restauri non erano rilevabili con la lampada di Wood.
L’indagine radiografica, effettuata da Giuseppe Malcangi, ha messo in luce la chiodatura con cui le tavole
dipinte sono state fissate alla cornice ottocentesca, e le stuccature presenti sulla superficie. È stato possibile
individuare anche l’impronta delle cerniere originali (in particolare nell’anta di sinistra, nella scena della
Natività, in corrispondenza del tetto della capanna e delle gambe di san Giuseppe), che risultano risarcite
con stucco. La lettura della superficie con la luce ultravioletta evidenziava la presenza di una vernice
disomogenea e di piccoli ma numerosi interventi di restauro pittorico. I restauri, oltre a celare le lacune e le
stuccature, come sulla veste della Madonna, erano finalizzati anche a sottolineare le fisionomie dei volti. La
comparazione delle diverse analisi effettuate ha permesso di avere una verifica completa dello stato di
conservazione della superficie pittorica, che fortunatamente è risultato assai migliore rispetto a quanto era
stato affermato in passato (cfr. in particolare GILARDONI-ASCANI-ORSINI-TACCANI 1977, p. 111).
La rimozione dei depositi superficiali, quali polveri e grassi atmosferici, è stata effettuata dopo il test dei
tensioattivi e chelanti, che ha visto agire in modo ottimale la soluzione di tensioattivo di sodiolauril-solfato a
pH 5.5. È stata quindi preparata un’emulsione di “water in oil” con solvente gel di ligroina, emulsionando il
tensioattivo. In questo modo si è potuta effettuare un’ottima pulitura di superficie, senza utilizzare l’acqua,
anche delle stesure a foglia d’oro, che hanno recuperato una buona brillantezza. Al contempo il gel di
ligroina ha effettuato una prima leggera pulitura anche della vernice presente sulla superficie. L’operazione
di pulitura della pellicola pittorica è stata preceduta da alcuni saggi per la rimozione della vernice dell’ultimo
restauro e dei restauri pittorici. A tal fine è stato utilizzato il test di solubilità, che attraverso l’uso di miscele di
solventi con parametri di solubilità differenti, su porzioni di pellicola pittorica molto ridotte individua quello che
produce il risultato desiderato. Il test ha dato un esito subito positivo già alle più basse percentuali di
diluizione; si è così deciso di intervenire solo dove necessario con un tamponcino di ligroina all’80% e di
acetone al 20%, con il quale è stato possibile solubilizzare i restauri e la vernice di superficie. Le stesure
sono risultate più compatte e meno danneggiate di quanto non sembrassero a prima vista, a causa della
presenza delle macchie della vernice, e i colori hanno recuperato una vivacità e un’intensità cromatica che
prima erano celate. Il volto della Madonna e del san Giovanni Battista sono stati puliti con leggeri passaggi
della stessa miscela solvente che ha liberato la superficie dai ritocchi più evidenti, senza però arrivare a una
pulitura troppo profonda; gli incarnati hanno comunque recuperato una cromia adeguata, perdendo l’effetto
ambrato che li caratterizzava. Le stuccature sono state eseguIte con gesso di Bologna e colla di coniglio:
l’intervento è stato effettuato con la lente d’ingrandimento, per poter provvedere al recupero delle
microcadute di superficie che, trattandosi di un’opera di così ridotte dimensioni, si è deciso di riportare a
livello. La verniciatura in corso d’opera a pennello è stata effettuata con resina Laropal al 20% in white spirit
e ligroina al 50%. La reintegrazione pittorica delle lacune degli strati pittorici è stata effettuata con
applicazione per stesure successive di colori a vernice a piccoli punti e righine, per ricostruire il tessuto
cromatico e ridurre l’interferenza visiva delle lacune, avvalendosi sempre della lente d’ingrandimento. La
verniciatura finale è stata effettuata con nebulizzazione di resina regalrez al 60% di ligroina e al 40% di white
spirit, in modo da ottenere una superficie leggermente satinata. Questo tipo di verniciatura garantisce
un’ottima tenuta all’ingiallimento e consentirà in futuro, qualora fosse necessario, di rimuoverne l’ultimo
strato senza per questo asportare i restauri pittorici, che risultano più stabili. Il retro dell’incorniciatura è stato
pulito dai depositi atmosferici e impregnato con permetrina diluita in ragia, per proteggerlo dagli attacchi
degli insetti xilofagi.
La pellicola pittorica ha recuperato una cromia più intensa e squillante e i volti della Madonna e del san
Giovanni Battista, che erano stati resi sensibilmente più scuri dai precedenti interventi di restauro, hanno
recuperato un colore dell’incarnato di tonalità simile a quello delle altre figure. L’ampia lacuna nella veste
della Vergine è stata risarcita a piccoli punti, senza riproporre le fitte pieghe e la demarcazione sotto il seno
realizzate nel restauro ottocentesco.
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