La riscossa demografica nella preservazione

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La riscossa demografica nella preservazione
In Europa, e soprattutto in Italia, esiste un concreto problema di calo demografico a livello indigeno,
dovuto alla crisi riproduttiva degli Italiani e degli altri Europei. Il problema è sentito particolarmente
nel nostro Paese essendo questo privo di politiche realmente sociali, a vantaggio degli autoctoni, la
cui carenza aumenta il già sensibile divario tra la politica istituzionale e le esigenze del popolo.
Oggi infatti gli occhi dello stato sono puntati prevalentemente sulla questione allogena e non c’è
troppa attenzione invece per le sorti degli indigeni; questo va in direzione delle politiche mondialiste
tanto care all’Unione Europea e agli altri stati appiattiti sulla linea del globalismo finanziocratico,
con cui i vecchi, costosi, infecondi autoctoni vengono sempre più rimpiazzati – sia a livello lavorativo
che di welfare – dai giovani, aitanti, virili e più che sfruttabili allogeni afroasiatici. Dire ciò non è fare
chissà quale complottismo, ma semplicemente constatare il fatto che l’agenda mondialista
dell’Occidente a guida americana non prevede serie tutele nei riguardi degli Europei, a cui vengono
largamente preferiti i preziosissimi “fratelli migranti” che non vengono accolti per chissà quale
filantropia ma per poterli allegramente sfruttare a scapito della realtà etnica europea sempre più in
via d’estinzione.
Sfido io: senza adeguate politiche sociali di sostegno alla famiglia, al lavoro, alla salute, incentrate
dunque per davvero sui veri diritti sociali che vanno innanzitutto garantiti a chi da millenni abita le
terre europee, la già fiaccata volontà di creare nuovi nuclei famigliari da parte degli indigeni viene
stroncata, avallando così l’individualismo e il più comodo egoismo del singolo. Sposarsi costa, fare
famiglia costa, affermarsi come nucleo costa e allora, chi ce lo fa fare? Campiamo come
scapoli/nubili o come sterili conviventi e tanti saluti.
I diritti sociali degli autoctoni sono stati ampiamente sorpassati da quelle deiezioni capitalistiche
espulse dal ventre del consumismo occidentale che rispondono al nome di “diritti civili”: il capriccio
borghese di chi vuole giocare alla famigliola felice diviene legge, cosicché contro ogni tradizionale (e
naturale) usanza trovano legittimazione le mascherate che solitamente venivano confinate a
quell’orgia di auto-omofobia denominata gay pride, ostentazione di disprezzo per sé stessi e della
propria categoria. Poi gli omofobi sarebbero i tradizionalisti che, invece, difendono a spada tratta la
famiglia naturale e tradizionale, il vero matrimonio, dalle moderniste aberrazioni frutto del dio
denaro, e non del socialismo. Non parliamo poi della questione relativa all’affido di minori o
addirittura di paternità e maternità, in cui si travalicano ampiamente i confini della decenza
riducendo la vita umana ad una merce da supermercato del vizio.
Sembra proprio di risentire la famosa frase attribuita tradizionalmente a Maria Antonietta con cui si
apostrofava con disprezzo la plebe invitandola a consumare briosce, in mancanza di pane; in altre
parole non essendoci attenzione per i veri diritti sociali, che il popolo si becchi i farseschi diritti
civili, che a nulla servono se non a demolire ancor di più il già malconcio desiderio di conservazione,
a cui viene preferito il basso appetito da libero mercato. Una beffa assieme al danno, e l’ennesimo
regalo agli interessi lobbistici dietro cui si nascondono questi fantomatici appelli alla “civiltà”. Cosa
ci sarebbe di civile nel distruggere il matrimonio, le nozze tradizionali, e soprattutto il concetto di
naturale riproduzione tra maschio e femmina con gli abomini degli uteri in affitto, lo sa solo uno
come Vendola, e cioè la disastrata sinistra progressista dell’Europa occidentale.
Come dicevo all’inizio è proprio a casa nostra che si concretizza questa crisi demografica, questo
preoccupante calo delle nascite, una situazione analoga a quanto accade in altri Paesi dell’Europa
meridionale dove mancano per l’appunto adeguate politiche sociali di sostegno alla famiglia e alla
sua principale fonte di sostentamento che è il lavoro. Assieme a questo incide anche la situazione
economica generale, la crisi, la disoccupazione, il costo della vita, le sfavorevoli condizioni in cui la
maternità deve confrontarsi col mondo del lavoro poiché oggi, per tirare a campare decentemente, si
ha bisogno di due stipendi, soprattutto in presenza di figli. E non è certo tutto perché la temperie
modernista non aiuta la promozione di stili di vita animati da patriottismo, e quindi anche dall’istinto
Paolo Sizzi
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di conservazione insito pure nell’uomo; la perversa crisi valoriale riduce al minimo il desiderio di un
uomo e una donna di sposarsi e mettere al mondo prole, e alla famiglia tradizionale si preferisce così
la vita spensierata, alla giornata, di chi vive solo per riempirsi la pancia e badare agli affari propri,
divertendosi il più possibile come se fosse un eterno adolescente. Risultato? Matrimoni che
scoppiano alla prima frustrazione, zero figli, soldi e carriera al primo posto, capricci eletti a bisogni
primari. In questo gioca purtroppo un ruolo alquanto esiziale la moderna concezione occidentale
della figura femminile, a cui si è lavato il cervello bombardandola di messaggi libertini del tipo “fa’
quel che vuoi, l’utero è il tuo, mettiti con chi vuoi quando vuoi, mollalo al primo problema, sii la
principessa della tua vita, la maternità è un peso”. Certo, la maternità è un peso e il ciclo mestruale
un complotto fallocratico. A tanto arriva il delirio della contemporanea barbarie relativista.
E così in una società sempre più disgregata da fenomeni deleteri come l’immigrazione di massa, il
meticciamento, il pluralismo di cani e porci, lo sfruttamento dell’allogeno a scapito dell’indigeno, lo
sdoganamento del capriccio femminile eretto a diritto, il relativismo in materia di rapporti e di
riproduzione, i “diritti civili” al posto dei diritti sociali, e la generale castrazione delle nostre
comunità tramite degenerazioni del concetto di democrazia e di libertà conducono dritti dritti
all’estinzione della sottorazza caucasoide europea, via via sostituita dalla forza-lavoro dei più che
sfruttabili disgraziati provenienti dal Sud del mondo. Quelli figliano come conigli, vengono impiegati
in nero nei lavori più umili e dequalificati in cambio di un piatto di lenticchie, sostituiscono
egregiamente le genti locali vecchie, sterili, costose e così folli (!) da pretendere stipendi adeguati,
condizioni di lavoro favorevoli, sussidi alla famiglia e assistenza sociale e sanitaria. Non c’è
plutocrate e suo ascaro da salotto che non benedicano gli esodi verso l’Europa come occasioni di
arricchimento “culturale”; sul “culturale” ho i miei dubbi (a meno che la società multirazziale che
annulla le differenze producendo il meticciato e dunque il relativismo sia cultura), sull’arricchimento
sono assolutamente d’accordo: ma si specifichi che vale solo per le classi parassitarie rinchiuse nelle
loro belle torri d’avorio, nei loro bei palazzoni dorati da cui guardano dall’alto verso il basso i
moderni villici, costretti a scannarsi nelle eterne guerre tra poveri. Solo chi la subisce sa cosa voglia
dire immigrazione, e società multirazziale quindi.
L’andamento demografico negativo può essere invertito solamente recuperando la naturale
dimensione comunitaria e nazionale delle politiche sociali, incentivando gli autoctoni a sposarsi e
riprodursi, assistendoli sia da un punto di vista famigliare e lavorativo. Ciò non significa sostituirsi
all’iniziativa del singolo ma accompagnarlo, come dovrebbe fare uno stato patriottico, aiutandolo
nelle scelte decisive della vita con leggi specifiche, agevolazioni ed incentivi. Assieme a questo, va
fermata l’immigrazione e al posto di accogliere cominciare a rimpatriare chi sul suolo italiano ed
europeo non ci dovrebbe stare. Non è una soluzione ai problemi del terzo mondo l’immigrazione di
massa e l’accoglienza forzata, il “diritto a migrare e stanziarsi” in casa d’altri è una sciocchezza che
può attecchire solo nelle menti dei parassiti, a partire da quelli che sfruttano gli immigrati a scapito
dei nativi. Abbiamo di fronte a noi la sorte dei Pellirosse, degli Amerindi centromeridionali, degli
aborigeni oceaniani ad ammonirci sulla portata distruttiva dei flussi migratori: i primi sopravvivono
nelle riserve americane come fenomeni da baraccone, i secondi sono stati ampiamente sterminati in
nome del vangelo dai conquistatori iberici, i terzi sono stati degradati al rango di bestie dai
colonizzatori britannici. Fermo restando, va detto, che il diritto a migrare e stanziarsi in casa d’altri
vale solo per i melanodermi, visto che comunque sia genti come i Boeri, e cioè oriundi europei, di
giustificazioni non ne trovano mica.
Certo, l’identitarismo etnico per i benpensanti è lecito in tutti i casi, eccetto in quello europeo, che
secondo loro è intrinsecamente satanico e malvagio. Pensateci: questi benpensanti sono i borghesi o
i bifolchi arricchiti che prendono a sputi in faccia i poveri disgraziati nostrani, e usano i “fratelli
migranti” ipocritamente per arricchirsi sulle spalle loro e soprattutto nostre. Il benessere dei popoli
passa per il sovranismo e il rispetto dell’autorità nazionale di tutti, altrimenti si ha solo guerre,
Paolo Sizzi
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destabilizzazioni, immigrazioni di massa che diventano ricchezza solo per gli affamatori di popoli.
Restituire dignità, tutela, centralità all’importanza del nucleo famigliare, autoctono, come cellula
base della società è il miglior modo per battere il calo demografico e riprendere a crescere in
termini genuinamente etnonazionali. Sicuramente senza soldi e lavoro, e adeguate politiche statali,
oggi è ben difficile riuscire ad avviare con successo la propria piccola avventura famigliare, eppure,
se pensiamo ai nostri avi e alla loro fertilità capiamo bene come, forse prima di tutto, manchi lo
spirito giusto, la mentalità giusta, in giovani generazioni confuse e smarrite nella tempesta
relativista odierna che liquida ogni valore tradizionale come imbarazzante peso che zavorra e
impedisce di esseri liberi. Ma la vera libertà, amici miei, non sta nel libertarismo applicato
all’individualismo borghese ed edonistico, bensì nel benessere etnico e culturale delle nostre
comunità coese e rafforzate dal tenace spirito d’appartenenza.
Ave Italia!
Paolo Sizzi
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