rassegna stampa falcri 14 giugno 2010

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rassegna stampa falcri 14 giugno 2010
RASSEGNA STAMPA FALCRI 14 GIUGNO 2010
A cura di Manlio Lo Presti
Associazione Falcri
Banca Monte dei Paschi di Siena____________________________________________________
ESERGO
Combattere metro per metro per la libertà di stampa!
ABE ROSENTHAL, Premio Pulitzer, direttore del New York Times
dal 1977 al 1986.
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NYT del 6 giugno 1944
http://www.loc.gov/exhibits/treasures/trm086.html
www.avvenire.it
Marcegaglia a Tremonti: più libertà d'impresa
Nuovo appello al governo affinché approvi «subito poche riforme ma chiare» a partire dalla
modifica dell'articolo 41 sulla libertà delle imprese. Lo ha lanciato Emma Marcegaglia
nell'intervento conclusivo del convegno dei Giovani Imprenditori a Santa Margherita Ligure. «Da
soli non ce la possiamo fare, ci servono poche riforme chiare - ha affermato - a partire dall'articolo
41: facciamolo in fretta». «Poi - ha aggiunto - rendiamo esecutive le cose che si stanno facendo,
come lo sportello unico: facciamole subito". "Il problema è che siamo in un Paese dove anche le
leggi buone si tengono nel cassetto", ha osservato: "Nessuno dice niente e gli imprenditori
rimangono nelle condizioni precedenti".
La leader degli industriali ha poi affermato che c'è la necessità di far ripartire le liberalizzazioni.
«Ha ragione il ministro Tremonti - ha spiegato - a dire che le "lenzuolate" di Bersani non hanno
funzionato: non hanno funzionato perché erano deboli». «Questa maggioranza - ha lamentato - sta
tornando indietro su questo».
Tremonti. Piano per la libertà d'impresa, per il quale serve una legge costituzionale, prevede la
revisione "dell'articolo 41 e dell'articolo 118": lo spiega il ministro dell'Economia Giulio Tremonti nel
corso del suo intervento al Convegno dei Giovani industriali. «L'articolo 41 è stato ispirato dalla
logica del conflitto di classe ma il mondo è cambiato e il nostro piano non punta a revocarlo ma
aggiungere un comma dando enfasi alla libertà d'impresa». Per quanto riguarda invece l'articolo
118 il tema che il governo vuole affrontare «è quello dei poteri che si autobloccano», dice il
ministro. Tra i punti da affrontare nel dettaglio vi sono: «L'autocertificazione, la segnalazione di
inizio attività, i controlli che devono essere fatti solo ex post e la buona fede». Ma non solo. Il
titolare del Tesoro dice che una volta fatta la legge costituzionale si potrebbero"«iportare al centro
le grandi infrastrutture nazionali».
Insomma, sottolinea Tremonti, il principio che guida l'Esecutivo è quello per cui «tutto è libero,
tranne ciò che è punito con la legge penale o con quella europea».
Pensioni sempre più magre il 72% non arriva a mille euro
Quasi tre pensioni su quattro in Italia presentano un assegno mensile inferiore ai mille euro mentre
solo il 7,5% supera i due mila euro al mese. È quanto emerge dal rapporto dell'Istat sul sistema
pensionistico nel 2008. In totale la spesa pensionistica e assistenziale nel 2008 è ammontata a
241 miliardi di euro con una crescita del 3,5% sull'anno precedente e una incidenza sul pil pari al
15,38% dal 15,07% del 2007.
Dal rapporto Istat emerge che il 45,9% delle pensioni ha importi mensili inferiori a 500 euro e il
26% ha importi mensili compresi tra 500 e mille euro. Un ulteriore 13,4 per cento di pensioni
vigenti al 31 dicembre 2008 presenta importi compresi tra 1.000 e 1.500 euro mensili e il restante
14,7% del totale ha importi mensili superiori a 1.500 euro.
Sempre nel 2008 sono state erogate 23,8 milioni di prestazioni pensionistiche previdenziali e
assistenziali, per un importo complessivo annuo di 241.109 milioni di euro ed un importo medio
annuo di 10.129 euro.
Con riferimento alla tipologia di pensione, si osserva che le pensioni di invalidità, vecchiaia e
superstiti (Ivs) sono 18,6 milioni, con una spesa complessiva di 217.216 milioni di euro (90,1% del
totale) ed un importo medio annuo di 11.662 euro. Il 50,5% dei trattamenti pensionistici è
rappresentato da pensioni di vecchiaia o anzianità, per una spesa pari a 168.897 milioni di euro
(70,0% del totale) ed un importo medio annuo di 14.063 euro; il 20,6% riguarda pensioni ai
superstiti (14,9% in termini di spesa) e il 7,2% si riferisce ad assegni ordinari di invalidità o a
pensioni di inabilità, che assorbono il 5,1% della spesa destinata al complesso delle pensioni.
www.corriere.it
I DATI DI ISTAT E INPS. IL 30% DI QUANTI RICEVONO UN ASSEGNO HA MENO DI 64 ANNI
In Italia è povero un pensionato su due
In otto milioni ricevono un assegno di meno di 1000 euro al
mese, ma il 21% del totale è anche sotto i 500
ROMA - Sono oltre 8 milioni i pensionati che ricevono un assegno da poveri, che consente cioè una
spesa inferiore a 1.000 euro al mese. Vale a dire quasi la metà dei 16,8 milioni di pensionati totali che si
contano in Italia. Secondo le statistiche dell'Istat infatti, circa 3,6 milioni di lavoratori a riposo (pari al
21,4% del totale) percepiscono una o più prestazioni pensionistiche per un importo complessivo
inferiore a 500 euro al mese ed altri 4,7 milioni (il 27,7% del totale) ricevono assegni compresi tra i 500
e i 1.000 euro. Considerando che la soglia di povertà relativa al di sotto della quale l'Istat considera
l'individuo povero è quella di una spesa procapite di 999,67 euro al mese (in una famiglia di due
componenti), si può dedurre che, se la pensione rappresenta l'unica entrata, i pensionati poveri sono
circa 8,3 milioni.
PENSIONATI GIOVANI - Quanto all'età di coloro che sono fuori dal ciclo produttivo e ricevono un
assegno dallo stato, emerge che oltre il 30% (il 30,3%) ha meno di 64 anni. L'Istat precisa inoltre che a
fine 2008 il 69,9% dei beneficiari dei trattamenti pensionistici risultava avere più di 64 anni, mentre il
26,6% aveva un'età compresa tra i 40 e i 64 anni e il 3,7% ha meno di 40 anni.
«I PIU' POVERI D'EUROPA» - «I dati diffusi oggi dall'Istat dimostrano chiaramente come i
pensionati italiani siano i più poveri d'Europa - ha sottolineato il presidente del Codacons, Carlo Rienzi
-. Non solo gli importi percepiti da quasi la metà dei pensionati rappresentano una miseria, e non
consentono una vita dignitosa, ma addirittura sulle pensioni italiane grava una pressione fiscale ben più
alta rispetto a quella di altri paesi europei». Ma il Codacons ricorda che in Italia, a parità di imponibile,
l'importo di una pensione al netto delle tasse «è inferiore del 15% rispetto a Francia, Spagna e
Germania, paesi dove non esiste tassazione sulle pensioni, mentre in Gran Bretagna la pressione fiscale
è minima e di circa l'1,6%». «Possiamo affermare senza dubbio che la metà dei pensionati italiani vive
in condizioni di povertà- prosegue Rienzi - un dato che rappresenta una vergogna in un Paese civile
come l'Italia».
SECONDO L'ANALISI DELLA CGIA DI MESTRE È SOTTOSTIMATA DI QUASI 9 PUNTI
La pressione fiscale reale sfiora il 52%
Per quelli che pagano veramente le tasse, sottraendo la
quota di chi non versa le imposte. Pagano i «soliti noti»
MESTRE - Tra il 51% e il 51,9% del Pil, con un dato più vicino al limite superiore che a quello inferiore.
È la pressione fiscale effettiva in Italia secondo la stima la Cgia di Mestre (Associazione artigiani e
piccole imprese), che si riferisce a chi le tasse le paga veramente, togliendo dal conto coloro che le
evadono. La pressione fiscale reale che pesa sui contribuenti fedeli al fisco è secondo Giuseppe
Bortolussi, segretario della Cgia, sottostimata di quasi 9 punti percentuali rispetto al dato del 2009.
SOMMERSO - «L'Istat non fa altro che applicare le disposizioni previste dall'Eurostat, che stabilisce che
i sistemi di contabilità nazionale di tutti i Paesi europei devono includere nel conteggio del Pil nazionale
anche l'economia non osservata», spiega Bortolussi. «Ovvero, il sommerso economico che, in Italia,
ipotizziamo essere stato nel 2009 tra 231,9 e 255,9 miliardi di euro». Ne consegue che il Pil italiano
include anche la cifra imputabile all'economia sommersa stimata annualmente dall'Istat. La pressione
fiscale è data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil prodotto in un anno. E nel 2009 la pressione
fiscale ufficiale ha toccato il 43,2%. A livello metodologico la Cgia segnala che l'ultimo dato dell'Istat
riferito al peso economico dell'economia irregolare è del 2006. Per gli anni successivi, l'Ufficio studi
della Cgia ha proceduto ad applicare la medesima incidenza che il sommerso economico aveva sul Pil
nel 2006.
I SOLITI NOTI - «È un'ulteriore dimostrazione», conclude Bortolussi, «che chi in Italia è conosciuto dal
fisco, subisce un prelievo fiscale ben superiore al dato statistico ufficiale. Per questo è assolutamente
improrogabile una seria lotta conto il lavoro nero e l'evasione fiscale di chi è completamente sconosciuto
al fisco. Aumentando la platea dei contribuenti potremo così ridurre imposte e contributi a chi oggi ne
paga più del dovuto».
NON È CHIARO SE SI TRATTI DI UNA RAPINA O DI TERRORISMO
Bagdad, assalto alla Banca centrale:
almeno 15 morti e decine di feriti
Uomini armati ancora all'interno dell'edificio. Il ministero
dell'Interno: «Ci sono degli ostaggi»
BAGDAD - Prima una serie di esplosioni che hanno scosso il centro di Bagdad. Poi l'assalto alla Banca
Centrale sferrato da un commando di kamikaze e uomini armati. Il bilancio provvisorio di quello che è
stato definito «un attacco molto sofisticato» avvenuto nella capitale irachena è di 15 morti e decine di
feriti. Alcuni dipendenti dell'istituto sono stati inoltre presi in ostaggio. Secondo il ministero
dell'Interno, però, non è ancora chiaro se l'attacco sia un atto terroristico oppure una rapina.
L'ATTACCO - Tutto è cominciato intorno poco prima delle 15, quando un kamikaze che indossava una
uniforme dell'esercito si è fatto esplodere nei pressi della sede della Banca. Gran parte della vittime
sono persone che stavano lavorando nell'edificio. Il commando ha preso il controllo dello stabile dopo
un totale di otto esplosioni in meno di un'ora e gli uomini armati hanno ingaggiato un conflitto a fuoco
con le forze di sicurezza, supportate da elicotteri.
NUOVO PARLAMENTO - Gli attacchi hanno avuto luogo alla vigilia della sessione inaugurale del
Parlamento nato a seguito delle elezioni del 7 marzo scorso.
www.denaro.it
Pagamenti in ritardo, denuncia dei deputati
"I ritardi nei pagamenti da parte delle Pa italiane hanno assunto dimensioni
non più tollerabili". Lo rilevano le commissioni Giustizia e Attività produttive
della Camera nel documento sulla proposta di direttiva europea sulla lotta
contro i ritardi nei pagamenti. "" necessario, da parte del Governo, il massimo
impegno - aggiungono i deputati - per assicurare, in sede di attuazione della
direttiva, l'adozione di tutte le iniziative idonee a ricondurre la situazione ad
una condizione fisiologica, o comunque almeno paragonabile a quella che si
riscontra in altri Paesi dell'Ue, pur nel rispetto delle compatibilità finanziarie".
Nel documento approvato l'altro ieri nel quale si dà una valutazione positiva
sulla proposta europea, si sottolinea che "la questione dei ritardi di pagamento
riveste le caratteristiche di vera e propria emergenza nel caso dell'Italia che si
contraddistingue, nell'ambito dell'Ue, per la durata particolarmente elevata dei
ritardi di pagamento da parte della Pa, soprattutto nel settore della sanità.
L'accumularsi progressivo di debiti delle amministrazioni pubbliche del nostro
Paese nei confronti dei propri fornitori risulta inaccettabile anche in
considerazione del fatto che le stesse imprese vengono, contestualmente,
sollecitate all'adempimento delle proprie obbligazioni tributarie senza potersi
avvalere della facoltà di compensare posizioni creditorie e debitorie". Nella
messa a punto della proposta di direttiva a Bruxelles le due Commissioni
chiedono inoltre al Governo di "evitare situazioni inique" distinguendo i crediti
già pendenti da quelli di nuova formazione e di "evitare il rischio di generare
sperequazioni" sull'entità dei risarcimenti da corrispondere ai creditori.
www.milanofinanza.it
Basilea III, rischi di applicazione parziale
11/06/2010 17.30
Stati Uniti ed Europa devono serrare i ranghi e procedere insieme nell'ambito del G20 soprattutto
per quanto riguarda la riforma finanziaria e lo sforzo di ridurre gli squilibri globali. Lo spiega
Lorenzo Bini Smaghi, membro del consiglio esecutivo della Bce nel testo di un discorso preparato
per il meeting del Consiglio per gli Stati Uniti e l'Italia. In particolare il banchiere centrale
sottolinea il rischio di un'applicazione disomogenea della riforma di Basilea III e di una mancata
regolamentazione di alcuni segmenti della finanza.
"Mentre in Europa è già riconosciuto che le nuove regole [di Basilea III], una volta concordate,
saranno incluse in una direttiva comunitaria con immediata applicazione in tutti gli Stati membri,
non è chiaro quale sarà il grado di attuazione negli altri paesi, Stati uniti in particolare", dice Bini
Smaghi. "Alla luce di quanto è successo con Basilea II, il rischio di un'applicazione parziale è una
preoccupazione".
Plosser (Fed), mercati Usa pronti per riassorbimento liquidità
11/06/2010 17.00
I mercati finanziari americani sarebbero in grado di assorbire una vendita graduale degli
oltre 1.400 miliardi di dollari di cartolarizzazioni sui mutui che la Federal Reserve ha
acquistato per combattere la crisi del credito. Lo dice il presidente della Fed di Filadelfia
Charles Plosser.
Secondo il banchiere, la Fed dovrebbe iniziare a collocare questi asset "prima, anziché
poi" per non spargere i semi dell'inflazione futura. "Nonostante la recente volatilità sui
mercati a causa dei problemi di deficit in Europa, i mercati finanziari ora funzionano molto
meglio rispetto al picco della crisi finanziaria", dicono le note del discorso che Plosser terrà
alla Camera di Commercio di Blair County. "Credo che la Fed potrebbe iniziare a liquidare
la propria posizione gradualmente senza scosse sui mercati".
Il banchiere di Filadelfia giudica la ripresa economica americana sostenibile, con un buon
livello di spesa da parte delle aziende e una crescita moderata della spesa dei
consumatori. Plosser si aspetta un'inflazione sotto controllo nel breve termine, ma
ammonisce che quando la ripresa prenderà piede la Fed dovrà garantire che la pressione
sui prezzi rimanga bloccata.
"Se non usciamo da questa strategia in modo tempestivo, potremmo gettare i semi di un
altro giro di inflazione scomoda e costosa nel medio termine", ha aggiunto Plosser.
"Tornare a una politica monetaria normale significa tornare a un portafoglio di soli
Treasuries e rialzare il tasso a breve a un livello più normale". Anche se il tasso sui Fed
fund fosse portato all'1%, ha detto il presidente, la "politica monetaria rimarrebbe molto
accomodante". Plosser si aspetta un'inflazione intorno al 2% quest'anno e 2,5% nel 2011.
Cina: Bini Smaghi, rigidità Pechino rallenta ripresa Eurozona e
Usa
11/06/2010 16.00
"La rigidità della politica monetaria cinese sta rallentando" la competitività "e la ripresa dei
paesi sviluppati" come quelli dell'Eurozona e gli Stati Uniti che "dipendono dalle decisioni
prese dagli altri membri del G20". Lo ha affermato Lorenzo Bini Smaghi, membro del
consiglio esecutivo della Bce nel discorso pronunciato a Venezia per l'incontro del
Consiglio
per gli Stati Uniti e l'Italia. Con un evidente riferimento alla linea di Pechino, Bini Smaghi
ha ricordato che "i meccanismi di cooperazione nel G20 sono ancora in stato embrionale:
non tutti i paesi sono pronti a discutere le loro politiche economiche e ad accettare
commenti critici come avveniva nel G7.
Bce: Stark, agenzie di rating "irresponsabili" sulla Grecia
11/06/2010 15.30
Le agenzie di rating hanno peggiorato "in modo irresponsabile" la volatilità sui
mercati del debito a inizio d'anno quando hanno deciso di declassare la Grecia
mentre Europa, Bce e Fmi stavano mettendo a punto il piano di salvataggio da 110
miliardi di euro per Atene. Lo ha detto il capo-economista della Bce, Juergen Stark,
intervenendo a un convegno. Le agenzie di rating "non avevano idea di che cosa
stavamo discutendo, né delle dimensioni del piano". Le agenzie di rating "non
sanno niente di più rispetto al resto del mercato. Lo seguono in modo prociclico",
mentre, invece, ci sarebbe bisogno "di un punto di vista indipendente su come
valutare i prodotti e le situazioni".
Crisi: Draghi, mercati più calmi, dall'euro non si torna indietro
11/06/2010 14.00
"Negli ultimi giorni i mercati finanziari si stanno calmando". Lo ha detto a Dow Jones il
Governatore di Bankitalia Mario Draghi. Parlando a margine di un convegno a Helsinki,
Draghi ha aggiunto che "tutti devono capire che dall'euro non è possibile tornare indietro".
L'indipendenza della Bce, ha concluso il Governatore, non è "mai stata in discussione".
www.ilfoglio.it
11 giugno 2010
Destra e sinistra
- Sono categorie ottocentesche inadatte alla contemporaneità.
Infatti, oggi sono uguali
- Se qualcuno dice che sono uguali, innescare un dibattito
sulla natura reazionaria del qualunquismo e concludere che
destra e sinistra sono definizioni superate (Vedere la frase
precedente e continuare in loop)
- Al liceo quelle di sinistra la davano di più. Citare la bella della
scuola, militante del Movimento Studentesco, che aveva una
relazione segreta col professore di storia e filosofia
- Al liceo quelle di destra si vestivano meglio. Citare il reggicalze della professoressa di
storia e filosofia, notoriamente evoliana, sogno erotico bipartisan
- Quelli più a sinistra di tutti sono poi diventati i massimi sostenitori di quel sistema che
contestavano. Deprecarlo
- I picchiatori di destra sono finiti quasi tutti in Parlamento, gli extraparlamentari di sinistra
metà nei consigli di amministrazione, metà in India
- Oggi si deve giudicare il merito delle gravi questioni che la modernità pone sul tavolo,
invece di continuare a nascondersi dietro alle vecchie etichette di destra e sinistra. Quindi
accalorarsi pro o contro il Grande Fratello 11
- La satira non ha colore politico, perché è per definizione contro il potere. Però è un fatto
che la destra al governo sia una forma di paracadute sociale per i comici di sinistra
- Periodicamente compilare delle liste di quel che è di destra e di quel che è di sinistra.
Citare “Destra-Sinistra” di Giorgio Gaber e “Maledetti vi amerò” di Marco Tullio Giordana
- Mussolini voleva bene all’Italia, erano quelli intorno a lui che erano tremendi. Certo, poi
ha fatto l’errore di buttarsi con Hitler.
- Ai tempi delle radio libere era una bella lotta per chi riusciva a fare i programmi più
noiosi, con la differenza che a destra era un dato di fatto, a sinistra era un pregio
- Fini ha scelto di essere una destra europea, la destra italiana ancora no. Evitare di
approfondire il concetto
- La sinistra non si è più ripresa da quando è morto Berlinguer.
- Alla sinistra manca un leader carismatico. Uno come Berlusconi
- Una volta avevo un fidanzato di estrema destra; mi sentivo in colpa, ma gli volevo un
bene…
- E' fascista, ma è una brava persona
- Era comunista, ma spiritoso
- Quelli che guidano i SUV in città sono fascisti anche se votano a sinistra
- Evocare con velata nostalgia quando negli anni ’70 in tram si leggevano i “Manoscritti
economici-filosofici del ‘44”, ma a casa si divorava “Il signore degli Anelli”
- La sinistra continua a perdere le elezioni perché ha alle spalle anni e anni di allenamento
specifico
- Ma la Lega è di destra o di sinistra? (Vedi le prime due frasi)
- Silvio parla per slogan, ma mia zia lo capisce, Bersani fa dei gran ragionamenti, ma mia
zia si addormenta a metà. Per tornare al governo la sinistra deve trovare il modo di tenere
sveglia mia zia.
- Se qualcuno pone la domanda “Com’è che tanti scrittori di sinistra scrivono sui giornali di
destra?”, stigmatizzare i danni creati dal precariato diffuso.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Andrea Ballarini
www.ilmanifesto.it
La finta parità tra uomini e donne
Il governo dà il via libera all'innalzamento dell'età pensionabile per le donne nel pubblico
impiego: dal 2012 ci si potrà ritirare dal lavoro solo con 65 anni di età. L'Italia risponde così
alla richiesta di «parità» avanzata da Bruxelles. Ma ad essere ossequiato è solo il totem
paritario: tutto il resto resta dispari. Diversamente dal resto d'Europa Il governo ha deciso:
dal 2012 per le dipendenti pubbliche serviranno 65 anni per andare pensione
Commento amaro, quello di Guglielmo Epifani: «Non esiste al mondo manovra di
innalzamento dell'età pensionabile che da un giorno all'altro aumenta di cinque anni l'età
pensionabile». Per il segretario generale della Cgil per arrivare alla parificazione di
trattamento tra uomini e donne nel pubblico impiego, come ha chiesto l'Unione Europea, si
poteva «utilizzare lo strumento della flessibilità uguale per uomini e donne, per i lavoratori
pubblici e privati, in uscita verso la vecchiaia». Ma il governo ieri mattina ha deciso
diversamente: dal primo gennaio 2012 le donne per poter andare in pensione dovranno
aver compiuto 65 anni. Come gli uomini. E per molte di loro proseguirà il tormento del
doppio lavoro: quello statale e quello di cura in ambito familiare.
A dare l'annuncio ufficiale al termine del consiglio dei ministri è stato Maurizio Sacconi. Il
ministro del lavoro, che nei giorni scorsi aveva cercato di contrattare senza molta
convinzione con la Commissione Ue, l'innalzamento dell'età avverrà «senza passaggi
intermedi». Sacconi ha anche spiegato che la nuova norma sarà presentata come
emendamento alla manovra finanziaria 2011-2012. L'impatto del «blocco», secondo il
ministro «sarà limitato e riguarderà una platea stimata in 25 mila donne».
Nel corso di una conferenza stampa, Sacconi ha sottolineato che la nuova normativa «non
riguarda in alcun modo il settore privato, non è neanche la premessa per un intervento nel
privato dove ci sono condizioni straordinariamente» diverse. Per il ministro della pubblica
amministrazione, Renato Brunetta, l'intervento «non serve a fare cassa perché l'impatto
economico sarà zero nel 2010 e nel 2011, 50 milioni nel 2012 e 150 nel 2013». Inoltre, ha
assicurato, tutte le risorse risparmiate andranno ad un fondo sociale dedicato alle donne,
secondo quanto proposto da Mara Carfagna, ministra per le pari opportunità.
La mancanza di impatto finanziario nel 2010-2011 significa che fino alla fine del prossimo
anno rimarranno in vigore le attuali norme varate circa un anno fa dopo la condanna
dell'Italia da parte della Corte di giustizia europea. Quella legge prevedeva un progressivo
innalzamento dell'età necessaria per aver diritto alla pensione di vecchiaia fino
all'equiparazione uomini/donne nel 2018. In pratica ogni due anni era previsto un anno in
pù. Per l'anno in corso e per il prossimo era prevista una età minima per maturare la
pensione di 61 anni, mentre per il 2012 e il 2013 di anni ne sarebbero serviti 62 e così via,
fino al 2018. Ora cambia tutto: a salvarsi saranno solo le donne che compiranno i 61 anni
entro il 2011, mentre per tutte le altre dal primo gennaio 2012 serviranno 65 anni.
In realtà il governo nella prima versione della manovra finanziaria aveva rimesso mano
all'innalzamento progressivo dell'età: non più un anno ogni 24 mesi, ma ogni 18 mesi. In
questo modo l'equiparazione sarebbe avvenuta non più nel 2018, ma nel 2016. Poi,
misteriosamente, nella versione definitiva del decreto legge, questa modifica è scomparsa.
Il governo avvisato da Bruxelles che la Commissione europea premeva per l'immediata
equiparazione a 65 anni, ha deciso di fare bella figura, lasciando immutata la legislazione.
Introducendo, tuttavia, un correttivo non da poco, il prolungamento di un anno dell'attività
lavorativa. In pratica le donne potranno andare in pensione, un anno dopo aver maturato il
diritto alla pensione di vecchiaia. Da quel che sembra, questa norma sarà matenuta in
vigore solo per le donne che entro il 2011 maturano il diritto alla pensione di vecchiaia
(quindi andranno in pensione non a 61 anni, ma a 62), mentre sarà abolita per tutte le
altre, già abbondantemente penalizzate dall'innalzamento dell'età.
Innalzamento «inaccettabile e non sensato», soprattutto se le risorse risparmiate non
venissero utilizzate per garantire alle donne stesse «parità di condizioni di lavoro e di vita»
con gli uomini, ha commentato Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd ha ribadito la
posizione del suo partito affermando: «Siamo da sempre affezionati all'idea che questo
problema si risolve con la flessibilità in uscita per tutti». In pratica, si tratta di prevedere
«una soglia minima per l'età pensionabile e poi, per alcuni anni, una flessibilità in uscita in
rapporto al livello di pensione percepita».
«Ci usano come cavia per i contratti»
«Gli occhi sono puntati su Pomigliano. Vogliono tutti vedere come va a finire per poi
rimettere mano ai contratti nazionali di tutti i lavoratori». A Franco Percuoco (delegato
Fiom) trema un po' la voce, per la rabbia, il testo di accordo messo sul tavolo dalla Fiat per
produrre 280mila nuove Panda, è un patto in deroga ai diritti, più che un contratto tra parti.
I vertici del Lingotto ci sono andati pesanti, chiedendo misure antisciopero fino al
licenziamento del lavoratore se incrocia le braccia durante lo straordinario «comandato»
dall'azienda. Ma non solo. Ritiro di contributi e permessi sindacali per serrate «anomale»,
straordinari anche durante la pausa pranzo. Come se non bastasse, la casa torinese
vuole, se l'assenteismo supera la media, non pagare le giornate di malattia. «Sono furioso;
dopo 2 anni di cig siamo in uno stato economico pietoso, è chiaro che ci considerano
merce ricattabile». Il clima in fabbrica non è dei migliori, perché come dicono lì «siamo al
nuotare o affogare». Ieri ci doveva essere una riunione unitaria delle Rsu, ma la Uilm si è
sfilata. Giovanni Sgambati, segretario regionale, dice che «non avrebbe cambiato
granché». In realtà le differenze tra posizioni pesano. «Non è il caso di alzare polveroni
mediatici - continua - dobbiamo invece lavorare ai punti di mediazione». Alla Fiom la
vedono diversamente: «Non è accettabile che ci siano proposte anticostituzionali che
ledono il diritto di sciopero - ribatte il segretario campano Maurizio Mascoli - ma anche
contrarie alle leggi europee e al ccnl». Così, insieme alla Cgil, hanno chiesto un incontro
con Giorgio Napolitano. Oggi fuori la sede di Confindustria, ci sarà anche una nutrita
delegazione di lavoratori campani: «La nostra reazione sarà molto più forte in caso
negativo», taglia corto Mario Di Costanzo, da 12 anni in carrozzeria.
www.ilmessaggero.it
Prodi: «Lasciate in pace la Costituzione, per liberalizzare sfidate le
corporazioni»
ROMA (13 giugno) - Non posso nascondere di essermi sorpreso quando qualche giorno fa
ho letto che, per dare un contributo alla liberalizzazione della nostra economia, bisognava
assolutamente modificare l’articolo 41 della nostra Costituzione. Anche se già lo
conoscevo, mi sono tuttavia preso cura di rileggere il suddetto articolo che, come tutti gli
articoli della prima parte della nostra Carta fondamentale, brilla per semplicità e chiarezza.
Esso scrive che “l’iniziativa privata è libera”. E aggiunge semplicemente che “non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà (opportuna questa insistenza sulla libertà) e alla dignità umana”. Come ovvio
completamento, l’articolo aggiunge che “La legge determina i programmi e i controlli
opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e
coordinata a fini sociali”.
Terminata questa lettura mi sono messo il cuore in pace, nella sicurezza che né la
lettera né lo spirito di quest’articolo mai avrebbero messo in rischio o semplicemente resa
più difficile la libertà di intrapresa in quanto in qualsiasi sistema, anche nel più liberista, la
legge ha il compito di dettare le norme di comportamento perché l’esercizio dell’attività
economica non rechi danno all’esercizio dei diritti dei cittadini, sia che essi si organizzino
in forma individuale che associata.
Tutti noi abbiamo infatti il diritto di essere tutelati dalla legge riguardo ai requisiti
igienici o sanitari di un prodotto o della pericolosità di un giocattolo, così come in ogni
parte del mondo i lavoratori e gli imprenditori trovano nella legge (italiana o europea) i
diritti e gli obblighi che derivano dall’esercizio della propria attività. È peraltro evidente che,
se esistono regolamentazioni eccessive, queste possono e debbono essere eliminate
dall’attività legislativa, affidata all’iniziativa del Governo e del Parlamento.
Assolta la Costituzione da qualsiasi colpa in materia, mi è sorto il sospetto che
potesse essere stata la Corte Costituzionale, attraverso le sue interpretazioni, ad impedire
una maggiore liberalizzazione della nostra economia. Ho letto tuttavia a questo proposito
un esauriente articolo dell’ex presidente della corte Valerio Onida che dimostra che mai la
corte in tutta la sua storia ha dichiarato l’illegittimità di una legge liberalizzatrice e che, al
contrario, esistono numerose decisioni che hanno rimosso limiti ingiustificati alla libertà di
iniziativa contenuti nelle leggi nazionali o in quelle regionali.
Tranquillizzato su tutti i fronti, ho quindi ritenuto la proposta come un semplice
errore o come un ormai rituale messaggio di avversione allo spirito (visto che non è
possibile farlo alla lettera) della nostra Costituzione.
L’ipotesi dell’inconsapevole errore è stata poi esclusa dal fatto che il presidente del
Consiglio è ritornato ripetutamente sull’argomento ribadendo la necessità di una riforma
dello stesso articolo 41, alla quale proposta, per abbondanza, il ministro dell’Economia, ha
aggiungo ieri l’altrettanto inutile proposta di abolire l’altrettanto innocuo articolo 118 della
Costituzione.
Non riuscendo a raggiungere altre spiegazioni razionali per simili comportamenti,
sono ricorso alla mia esperienza passata quando, insieme con l’allora ministro Bersani, ci
accingemmo a fare un programma sistematico e generalizzato di liberalizzazioni e mi è
facilmente saltato alla memoria il panorama di impressionanti proteste che ci veniva dalla
piazza. E ricordo benissimo che nessuno agitava il libretto della Costituzione ma cartelli
minacciosi nei confronti del Governo come risposta corale e violenta alla presunta
violazione delle prerogative, dei diritti e dei privilegi delle categorie interessate.
Ed allora mi sorge il sospetto che l’accusa rivolta alla Costituzione e l’inutile scelta di
un cammino tortuoso per procedere alla semplice riduzione di lacci e laccioli sia il
comprensibile desiderio di evitare le rumorose manifestazioni e le reazioni, anche spesso
incontrollate, delle infinite categorie e corporazioni che su questi lacci prosperano non da
decenni ma da secoli.
E vorrei anche aggiungere che, sempre secondo la mia esperienza, lo scontento e le
pressioni non prendono solo la via dell’opposizione, ma anche le insidiose strade degli
alleati di governo. In poche parole, a fare sul serio queste riforme, si perdono consensi e
voti. Posso in coscienza dire che le abbiamo ugualmente portate avanti, pur con la piena
consapevolezza delle possibili conseguenze negative, anche se non arrivo al punto di
affermare che il mio Governo sia caduto esclusivamente per questo motivo. Auguro quindi
buon lavoro al ministro Tremonti. Sulle conseguenze sul Governo veda lui.
Modificare l'articolo 41 della Costituzione, un percorso accidentato
dal nostro inviato Claudio Sardo
SANTA MARGHERITA LIGURE (13 giugno) - Giulio Tremonti ha ricordato ieri che la legge
costituzionale più «veloce» fu quella che istituì la Bicamerale D’Alema. L’intera procedura
venne completata in meno di cinque mesi (da settembre ’96 a gennaio ’97). Basterebbe
ripetere il record per consentire al progetto governativo sulla «libertà d’impresa» di
procedere sui due binari paralleli, quello della legge costituzionale e quello della legge
ordinaria. Il problema è che allora tutto il Parlamento, o quasi, era d’accordo. E che la
legge costituzionale aveva caratteri procedurali, senza incidere sul testo della Carta.
I propositi di Tremonti, invece, sono di aggiungere un quarto comma all’art. 41 e
modificare l’art. 118. L’art. 41 sancisce la libertà dell’iniziativa economica privata e rientra
nella prima parte della Costituzione, considerata come la sfera dei valori condivisi. L’art.
118 è invece reduce da una recente revisione nell’ambito del titolo V: regola i rapporti tra
Comuni, Province, Regioni e Stato e afferma il principio di sussidiarietà. Tremonti ieri non
ha anticipato i testi. Si è limitato a dire che dovranno affermare in modo solenne il principio
della responsabilità dell’individuo, della buona fede salvo controlli successivi,
dell’autocertificazione.
Tuttavia sin da quando lanciò per la prima volta l’idea della riforma dell’art. 41,
Tremonti si è trovato di fronte ad un’alzata di scudi dell’opposizione e a diverse reazioni di
scetticismo e perplessità tra i suoi. In queste condizioni è facile immaginare un percorso di
revisione costituzionale quanto mai accidentato. Peraltro, lo stesso Tremonti offre validi
argomenti ad avversari e alleati dubbiosi: se le riforme ordinarie per «libertà di impresa»
possono cominciare il loro iter parlamentare a Costituzione invariata, vuol dire che non c’è
bisogno di modificare la Carta per raggiungere gli obiettivi che il governo si propone.
In realtà, molti convengono che l’art. 118 abbia bisogno di qualche modifica. Tanto
che nei progetti di revisione su forma di governo e Senato federale sia maggioranza che
opposizione prevedono interventi. L’ambito naturale di questo confronto è comunque la
riforma della seconda parte della Costituzione, quella ordinamentale.
L’art. 41 invece, proprio perché rientra nella prima parte, suscita una reattività molto
forte. Il governo dovrà valutare bene se è il caso di affrontare una simile battaglia. La
revisione costituzionale impone la doppia lettura di Camera e Senato a distanza di tre
mesi. E richiede i due terzi dei consensi per evitare il referendum. Finora, sulle 34 leggi
costituzionali approvate dal ’48, solo quattro sono intervenute sulla prima parte: nel ’67 si
stabilì che per il reato di genocidio è sempre ammessa l’estradizione; nel 2000 si consentì
l’elezione di deputati e senatori nella circoscrizione «estero»; nel 2003 fu dato rilievo
costituzionale alle pari opportunità donna-uomo; nel 2007 venne vietata la pena di morte
anche in caso di guerra. Correzioni sempre minime. E sempre unanimi. Viceversa una
battaglia di principio può durare molto a lungo e incrinare gravemente l’area dei principi
condivisi.
www.ilsole24ore.com
Altro che debiti sovrani: la crisi si chiama euro
di Paul Krugman
La prima volta che i funzionari dell'Unione Europea avanzarono l'ipotesi di adottare una
moneta comune, tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli anni 80, si discusse molto se
l'Europa potesse essere un'area ideale per un'unione valutaria. Il dubbio principale era se
le nazioni europee fossero dotate di un sistema adeguato per fronteggiare shock
asimmetrici, che avrebbero inciso più su alcuni paesi che su altri; secondo la celebre tesi
di Milton Friedman, avere una moneta propria consente a un paese di affrontare almeno in
parte queste crisi ricorrendo alla svalutazione. Quando un paese è legato ad altri da
un'unione monetaria, questa possibilità manca (l'euro è diventato la moneta ufficiale
dell'Unione Europea nel 2002).
L'attuale crisi europea ruota proprio attorno a questo problema. Il motivo per cui risulta
tanto difficile intervenire per risolvere i problemi di deficit e di debito pubblico della Grecia
è che a speranza di una crescita economica negli anni a venire è molto labile, e questa è
una situazione che ha radici profonde. In Grecia, i salari e i prezzi non sono allineati, e
l'unica cura possibile è una lunga e dolorosa deflazione, che contribuisca a correggerli. I
problemi della Spagna, invece, derivano dal fatto che la bolla immobiliare ha lasciato costi
troppo alti. Ma anche la Spagna dovrà sopportare anni di dolorosa deflazione per ridurre
tali costi.
Quanto sarà difficile raggiungere questi risultati? Prendiamo in esame la Lettonia, che gli
addetti ai lavori citano spesso come esempio da seguire per la Grecia. La Lettonia si è
imposta misure ultradraconiane per ancorare la sua moneta all'euro, procedendo a una
brutale svalutazione interna solo per vedere il proprio tasso di disoccupazione schizzare
dal 6% nel primo trimestre 2008 a uno spropositato 20,4% nel primo trimestre 2010. Gli
stipendi sono in caduta libera, ma il costo del lavoro non è sceso di pari passo e dunque
bisognerà tagliare ancora la spesa pubblica per ripristinare la competitività dell'economia
lettone.
In Estonia, un altro studente modello per disciplina di bilancio che spera di entrare
nell'euro, il tasso di disoccupazione è arrivato al 19,8 per cento. Sul piano del prodotto
interno lordo, sia l'Estonia che la Lettonia hanno registrato un calo più accentuato di quello
dell'Islanda, dove il Pil nel 2009 è sceso del 6,5 per cento.
La risposta ufficiale dell'Unione Europea a questo problema è che gli Stati membri devono
incrementare la flessibilità del mercato del lavoro. Ma gli economisti hanno valutato questa
soluzione e sono giunti alla conclusione che nessun mercato del lavoro può essere
flessibile fino a questo punto. Se l'euro non funziona senza un livello di flessibilità talmente
elevato da essere irrealizzabile, allora semplicemente non funziona.
È deludente che la maggior parte dei dibattiti su come gestire la crisi dell'euro non
affrontino questi problemi. Provo a dare una spiegazione psicanalitica alla buona: quando
la gente si autoconvince che le crisi di debito pubblico sono legate, sempre e comunque, a
una gestione allegra delle finanze pubbliche, il problema appare risolvibile: tutto quello che
serve è più disciplina. Perché se questi commentatori e analisti si mettessero ad
analizzare i problemi di fondo, comincerebbero a domandarsi se l'idea di imporre una
moneta unica ha mai avuto un senso. (Traduzione di Fabio Galimberti)
© 2010 NYT - DISTRIBUITO DA NYT SYNDICATE
12 giugno 2010
Una crescita in equilibrio precario
All'orizzonte si profilano nuovi squilibri globali. Le previsioni dell'Ocse lasciano intendere
che il drastico calo dell'euro, insieme alla modesta crescita europea, produrrà un surplus
in Eurolandia per almeno 251 miliardi di euro (300 miliardi di dollari) l'anno per i prossimi
anni. L'inasprimento delle politiche fiscali in tutta Europa, in reazione alla crisi, e la nuova
riforma per riequilibrare il budget in Germania, affliggeranno la domanda interna e al
contempo richiederanno una più snella politica monetaria che finirà con l'indebolire ancor
più l'euro.
Nessuno potrebbe accusare la zona euro di aver operato una svalutazione competitiva.
Nondimeno, in tutta Europa la soddisfazione per l'indebolimento della valuta comune è
considerevole. Martin Wolf, su questo giornale, de facto ha già definito la strategia
europea per uscire dalla stagnazione «una politica egoistica».
A prescindere dalle intenzioni, questi sviluppi europei avranno effetti simili a quelli di
iniziative effettivamente prese dagli altri grandi paesi per aumentare la loro competitività
commerciale. Il caso più estremo è l'intervento della Cina e dei paesi vicini per mantenere
le valute fortemente sottovalutate. Altri mercati emergenti stanno cercando di espandere
ulteriormente le loro scorte strategiche di valuta straniera sostenendo ingenti surplus con
l'estero. La Svizzera è intervenuta in maniera incisiva per tenere bassa la sua valuta. La
zona euro si è quindi unita a questo "nuovo mercantilismo" e il risultato sarà un forte
aumento degli squilibri globali.
Gli aumenti di deficit corrispondenti si accumuleranno ancora una volta negli Stati Uniti,
giacché nessun altro paese può attirare i finanziamenti necessari. I paesi di Eurolandia dal
forte deficit dovranno ridurre i loro squilibri. Se si considerano gli enormi avanzi di Cina e
altri paesi asiatici, i nuovi surplus europei probabilmente raddoppieranno il deficit corrente
americano al di là del precedente record del 2006, pari a 800 miliardi di dollari. Gli Stati
Uniti a quel punto potrebbero sostenere la loro ripresa soltanto continuando a gestire
enormi deficit di bilancio e tollerando una domanda al consumo finanziata tramite debito. È
esattamente il contrario della strategia di riequilibrio concordata dal G-20, il gruppo delle
venti economie leader, e considerata importante e cruciale per sostenere l'espansione
globale, come ha ribadito il summit del week end scorso dei ministri delle Finanze.
Molti considerano questo scenario una risoluzione auspicabile dell'attuale crisi europea.
La propensione degli investitori a comperare titoli del Tesoro e dollari potrebbe finanziare il
deficit americano per un po'. Gli Stati Uniti potrebbero fornire beni di interesse collettivo
globale, come in passato, accettando un'ulteriore sopravvalutazione del dollaro e ulteriori
aumenti del suo debito e del suo deficit con l'estero.
Vi sono tuttavia tre problemi evidenti in questa concezione, tutti riguardanti gli Usa. Prima
di tutto una brusca escalation dei suoi squilibri interni e internazionali aumenterebbe il
rischio di futuri attacchi di mercato al dollaro e agli asset finanziari statunitensi. Non
appena l'Europa e altre alternative dovessero riguadagnare il loro appeal tra gli investitori,
l'insostenibilità della situazione americana ritornerebbe sotto i riflettori, a livelli ancora più
pericolosi.
Secondo, sono gli stessi grandi squilibri che potranno seminare i semi di una nuova crisi
finanziaria, così come hanno contribuito a creare le premesse dell'ultima crisi. Simili
ingenti afflussi di capitale straniero manterrebbero i mercati finanziari statunitensi troppo
liquidi, terrebbero bassi i tassi di interesse, incentiverebbero una sottovalutazione del
rischio e pertanto innescherebbero ancora prestiti e mutui irresponsabili.
Terzo, una rinnovata esplosione del deficit commerciale statunitense potrebbe benissimo
innescare il varo di politiche commerciali protezionistiche, finora evitato. Con una
disoccupazione che resterà molto alta, le perdite di posti di lavoro per il "nuovo
mercantilismo" all'estero verosimilmente daranno la stura a forti reazioni politiche.
L'assenza virtuale di una politica commerciale positiva sotto la presidenza di Barack
Obama ha creato un pericoloso vuoto, nel quale le nuove restrizioni alle importazioni,
soprattutto quelle contro «gli iniqui tassi di cambio», potrebbero facilmente avere la
meglio.
Ai prossimi summit di Toronto e Seoul, il G-20 dovrà saper adattare le sue strategie di
riequilibrio così da scongiurare questa nuova minaccia per una ripresa continuata e una
stabilità globale duratura. Germania, Cina e Giappone, tutti paesi in surplus con l'estero,
dovranno stimolare la domanda interna. La Cina deve permettere che il renminbi si rivaluti
sostanzialmente. Infine, un intervento concertato sui mercati dei cambi dovrebbe prevenire
o invertire qualsiasi ulteriore significativa caduta dell'euro. Ulteriori allocazioni dei diritti
speciali di prelievo dell'Fmi potrebbero aiutare i paesi a mettere insieme delle riserve
senza incorrere in eccedenze commerciali.
Cosa ancora più importante, gli Stati Uniti devono convincere il mondo di non essere più
disposti a diventare ancora una volta il consumatore e il prestatore di ultima istanza.
Soltanto allora gli altri paesi smetteranno di fare affidamento sull'aumento del surplus
commerciale e inizieranno a fare sul serio sulla creazione della domanda interna. Una
simile strategia negli Usa ovviamente si focalizzerà su una correzione fiscale a medio
termine e su maggiori risparmi privati. Ma dovrà anche porre fine alle croniche
sopravvalutazioni del dollaro degli ultimi trenta anni, mentre la svalutazione dell'euro
associata a una costante manipolazione del renminbi inevitabilmente spingerà le questioni
concernenti le valute nuovamente al primo posto dell'agenda internazionale.
(Traduzione di Anna Bissanti)
© THE FINANCIAL TIMES
Fioccano le fusioni nel credito spagnolo
Michele Calcaterra
MADRID. Dal nostro corrispondente
Sostanzialmente terminata, con l'alleanza tra Caja Madrid e Bancaja, la fase di
consolidamento del settore delle casse di risparmio spagnole, si apre ora il fronte delle
casse rurali e quello delle banche commerciali di medio-piccole dimensioni. I cda di Banco
Sabadell (regione catalana) e di Guipuzcoano (Paesi baschi) hanno infatti deciso di
fondere le due istituti e di creare uno dei più importanti gruppi bancari di taglia media del
paese, alle spalle del Banesto (controllato dal Banco Santander), ma davanti a Bankinter e
Banco Pastor, con oltre 90 miliardi di attivi.
«Si tratta del segnale – dichiara a Il Sole 24 Ore l'analista Ruben Manso, ex supervisore
della Banca di Spagna – che seguiranno altre operazioni di concentrazione di questo tipo,
sopratutto tra banche che operano a livello regionale, sulla falsariga di quanto accaduto
per le casse». «Una politica – aggiunge Juan Fernando Robles, professore all'Instituto de
practica bancaria di Madrid – che per quanto riguarda il Sabadell non fa una grinza,
perché istituto sempre cresciuto attraverso acquisizione esterne e che per quanto
concerne il Guipuzcoano era logica, in quanto si tratta di un piccolo istituto a carattere
locale che non poteva certo resistere ancora per lungo tempo alla concorrenza di banche
più grosse patrimonialmente, più diversificate e quindi meglio attrezzate». Oltre al fatto,
ripetono all'unisono i principali osservatori, tra cui Federico Prades dell'Associazione
bancaria, «che la crisi dei mercati finanziari e dell'economia ha di fatto chiuso i rubinetti del
credito anche per le banche piu' fragili».
Insomma, si tratta di fusioni inevitabili, per sopravvivere. Volute dalla Banca di Spagna
che, grazie a queste operazioni di concentrazione, finanziate con appositi fondi pubblici
(tramite il Frob) ha evitato numerosi fallimenti e quindi situazioni di instabilità nel mercato.
Il tutto, mentre entro fine mese dovrebbe essere pronto un documento di verifica della
consistenza patrimoniale del settore creditizio, alla luce delle nuove esigenze patrimoniali
fissate a livello internazionale.
Nell'ambito delle casse, in testa alla classifica dei più importanti consolidamenti, troviamo il
gruppo guidato da Caja Madrid con asset per 339 miliardi, seguito da la Caixa con Caixa
Girona (279 miliardi). Mentre al terzo posto figura il consorzio costituito da Cajastur, Cam,
Ccm e altri piccoli istituti con 135,3 miliardi, seguito da un gruppo di casse catalane
guidate da Caixa Catalunya con 81 miliardi.
Si tratta, come dicevamo poc'anzi, di un processo sostanzialmente terminato, anche se
una decina di casse rimane tuttora indipendente (ad esempio IberCaja) e potrebbe seguire
l'onda delle aggregazioni nelle prossima settimane. Fermo restando che Cajasur,
commissariata un mese fa dalla Banca di Spagna, sta raccogliendo una lista di possibili
pretendenti in modo da "accasarsi" nel mese di settembre.
Per quanto riguarda il settore delle banche commerciali, al momento non si vocifera di
altre imminenti operazioni di consolidamento, anche se il Banco Pastor viene indicato
regolarmente come uno dei possibili "papabili". Va comunque ricordato che già una
quindicina di anni fa, in Spagna, ci fu un importante movimento di concentrazione bancaria
che diede il via alla crescita e al successo, ad esempio, del Banco Santander. Non si
tratta, quindi, di qualcosa di assolutamente nuovo.
E veniamo, per finire alle casse rurali. Si tratta di cooperative, poco conosciute perché di
taglia molto piccola, che stanno attraversando in alcuni casi gravi difficoltà a causa
dell'esposizione troppo massiccia verso il settore immobiliare. Si parla, ad esempio, di
probabili interventi in una rurale di Valencia e di altre nel Sud del paese.
Per il momento la Banca di Spagna non ha ancora aperto ufficialmente questo dossier, ma
Juan Fernando Robles dice, che lo farà quanto prima. Fermo restando che il "fenomeno" è
comunque sensibilmente meno importante di quello delle casse.
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Eurotower I tassi restano fermi all'1%. Giudizio positivo sulla manovra
correttiva dell'Italia Nel 2010 inflazione Ue tra l'1,4 e l'1,6%. La ripresa c'è ma
il futuro è ancora incerto
Bce chiede multe per gli Stati spreconi
Il monito di Trichet: sanzioni automatiche ai Paesi con le finanze in disordine
Leonardo Ventura Avanti tutta con le manovre correttive per i tanti Paesi di Eurolandia
che devono risanare i conti pubblici. E pieno appoggio a sanzioni quasi automatiche per i
Paesi dell'Ue che non rispettano le regole. L'incendio del debito europeo, propagatosi dalla
Grecia all'Ungheria fino a lambire Spagna e Portogallo, impone un giro di vite sulle finanze
pubbliche, con sforzi immani in molti Paesi per ridurre deficit e debiti nei prossimi anni. E
per incoraggiare Bruxelles a prendere decisioni efficaci, il presidente della Banca centrale
europea Jean-Claude Trichet usa toni da «falco» dopo il consiglio direttivo di ieri, che ha
lasciato i tassi d'interesse immobili all'1% prendendo atto di una ripresa «moderata». Dopo
che quasi all'unisono Italia, Spagna, Grecia, ma anche Germania e Gran Bretagna (per
citare alcuni) sono corse ai ripari sui conti pubblici, la Bce «prende atto» e «accoglie
positivamente» le manovre di correzione, ha detto Trichet. Ora occorre che l'Ue lavori a
nuove regole più «efficaci» per disciplinare i bilanci, con sanzioni che dovrebbero scattare dice Trichet - quasi automaticamente. I tassi d'interesse sono «appropriati», ha ribadito
ancora una volta il banchiere centrale francese accanto al suo nuovo vice, il portoghese
Vitor Constancio, al suo debutto a Francoforte. L'inflazione nei Sedici, nelle nuove stime
dell'Eurotower annunciate ieri, sarà compresa fra 1,4% e 1,6% quest'anno, e fra 1% e 2,2%
nel 2011, in lieve correzione al rialzo rispetto a tre mesi fa. E la ripresa c'è: la stima di
crescita migliora a 0,7%-1,3% per quest'anno, anche se per il prossimo c'è una limatura a
0,2%-2,2%, che conferma le ampie incertezze all'orizzonte. Per alleviare le tensioni, il
board riunitosi ieri ha deciso di prorogare di almeno tre mesi (fino a settembre) le aste a
tre mesi con cui fornisce liquidità illimitata a tasso fisso: una risposta a chi temeva per
quando, a luglio, verranno in scadenza oltre 400 miliardi di liquidità d'emergenza. E per
tacitare gli speculatori che puntano sul dissolvimento dell'Unione monetaria, Trichet ha
definito l'euro assolutamente «credibile», ridimensionando le critiche pubbliche della
Germania alla decisione di comprare bond.
www.lavoce.info
IL REDDITO MINIMO UNIVERSALE
di Ugo Colombino 11.06.2010
L'introduzione di un reddito minimo universale trova ancora ostacoli, eppure sembra
permettere scelte familiari, educative, abitative e occupazionali più efficienti. Le
disuguaglianze nella distribuzione del benessere possono rafforzare gli incentivi al lavoro,
ma spingono anche alla ricerca di benefici e privilegi clientelari con spreco di risorse. Un
esercizio di simulazione mostra gli effetti di quattro tipi di politiche universalistiche: reddito
minimo garantito e reddito di cittadinanza, con imposta sul reddito progressiva e con
imposta proporzionale. Una scheda dell'autore illustra le differenze tra le quattro forme di
reddito.
Il sistema italiano di sostegno del reddito (gli “ammortizzatori sociali”) è frammentario,
discrezionale, inefficiente e iniquo. Molte analisi hanno documentato il giudizio e spesso
proposto politiche più trasparenti e universali. Universalità significa che il meccanismo si
applica a tutti i cittadini, indipendentemente dalla condizione professionale, compresi
coloro che non hanno alcuna esperienza lavorativa.
PERCHÉ INTRODURLO
Nelle economie avanzate si è largamente affermata la convinzione cha una dotazione
minima universale di istruzione e di salute sia desiderabile, non tanto per motivi
solidaristici, ma piuttosto perché crea forti benefici di sistema nella vita economica e
sociale. Maggiori ostacoli incontra invece l’idea di una dotazione minima universale di
reddito, anche se le motivazioni che la sostengono sono del tutto analoghe a quelle che
giustificano l’istruzione o l’assistenza sanitaria di base universale. Intanto però cresce la
documentazione sia teorica che empirica a favore di un meccanismo universale di
supporto e redistribuzione del reddito. Ad esempio, la garanzia di un reddito minimo
sembra permettere scelte familiari, educative, abitative e occupazionali più efficienti. Le
disuguaglianze nella distribuzione del benessere possono rafforzare gli incentivi al
lavoro, ma spingono anche alla ricerca di benefici e privilegi clientelari con spreco di
risorse: la limitazione delle disuguaglianze riduce gli sprechi. I costi sono elevati, ma
vanno confrontati con benefici probabilmente analoghi a quelli di altre riforme
universalistiche. La portata di una riforma in direzione del reddito minimo universale
potrebbe essere analoga a quella avutasi con la nascita e lo sviluppo dei sistemi
pensionistici pubblici nel secolo scorso, che in Europa hanno ridotto l’avversione al rischio
delle famiglie e favorito, specie in agricoltura, l’innovazione tecnologica e organizzativa.
Per fare un esempio dei nostri giorni, dobbiamo pensare a una scelta analoga a quella
fatta in queste settimane per il sistema sanitario negli Stati Uniti. È importante osservare
che si tratta anche di benefici sociali che vanno al di là di quelli individuali immediatamente
percepiti.
UN ESERCIZIO CON QUATTRO IPOTESI
Le preoccupazioni maggiori circa le politiche universalistiche, invece, riguardano i possibili
effetti negativi sugli incentivi al lavoro e i costi di finanziamento che implicherebbero un
appesantimento del carico fiscale con ricadute ulteriormente negative sugli incentivi al
lavoro.
La scheda allegata illustra un esercizio di simulazione di quattro tipi di politiche
universalistiche di sostegno del reddito. Distinguiamo meccanismi per i quali l'ammontare
del trasferimento è condizionato dal livello di reddito dell'individuo (reddito minimo
garantito) e meccanismi non condizionati (reddito di cittadinanza). Per il reddito di
cittadinanza distinguiamo anche tra sistemi nei quali l'imposta sul reddito è progressiva,
come nel sistema corrente, da sistemi con imposta proporzionale (Flat Tax). Tutte le
riforme sono calibrate in modo da garantire lo stesso gettito fiscale netto, uguale a quello
corrente, e la simulazione tiene conto delle risposte comportamentali delle famiglie:
lavorare o no, quanto lavorare e così via. Il trasferimento alle famiglie varia in funzione
del numero di componenti ed è mediamente intorno ai 300-500 euro mensili a seconda del
meccanismo (nel sistema corrente è intorno ai 100 euro mensili). Il significato concreto di
queste cifre è molto diverso a seconda dei meccanismi. Ad esempio, per il sistema
corrente si tratta di una media di vari provvedimenti contingenti o limitati a certe fasce di
popolazione (pensioni sociali, sussidio di disoccupazione e altro). Anche per i sistemi
condizionati si tratta di una media di quanto la famiglia riceve a seconda del livello di
reddito o della condizione lavorativa. Nel caso del reddito di cittadinanza si tratta invece di
un trasferimento certo e incondizionato.
Il costo aggiuntivo delle riforme viene finanziato incrementando proporzionalmente le
aliquote marginali dell'imposta sul reddito e includendo nella base imponibile tutti i redditi
indipendentemente dalla fonte. Le percentuali di famiglie “vincitrici” sono per lo più
maggioritarie, ma diverse tra le riforme e soprattutto diversamente distribuite tra le
sottopopolazioni.
Dal punto di vista della percentuale di vincitori, le riforme non condizionate risultano
migliori di quelle condizionate e i sistemi con imposta progressiva risultano migliori di quelli
proporzionali. Nell'ambito dei sistemi progressivi, l'incremento necessario nelle aliquote
marginali al di sopra della soglia di esenzione è tutto sommato modesto, 1 o 2 punti
percentuali. Questo risultato dipende però anche da un ampliamento estremo della base
imponibile. Ipotesi meno drastiche implicherebbero incrementi più pesanti delle aliquote
marginali.
In alternativa si può pensare a una diversa struttura dell'imposta sul reddito, cioè una
tassazione proporzionale (Flat Tax): quest'ultima è attraente per la semplicità
amministrativa e forse per minori incentivi all'evasione. Il problema della Flat Tax è che
implica aliquote elevate anche sui redditi bassi e medi, dove si concentrano le famiglie che
rispondono in modo più forte agli incentivi: ne possono risentire sia l'efficienza che gli
effetti distributivi. Tuttavia, un meccanismo RC + Flat Tax mantiene la sua attrattiva:
l'aliquota richiesta è 31,6 per cento, un livello di tassazione proporzionale forse
politicamente meglio sostenibile insieme all'allargamento della base imponibile. Infine, gli
effetti di disincentivo al lavoro – una delle fonti di maggiore preoccupazione – risultano
molto modesti (e non sono riportati nella scheda).
In conclusione, si può dire che è possibile disegnare versioni realistiche del reddito minimo
universale soppesando, in base alle preferenze sociali, le diverse implicazioni su benefici,
costi e incentivi. Rimangono molti aspetti che richiederebbero altri approfondimenti. Costi
amministrativi: i meccanismi non condizionati richiedono solo il registro anagrafico della
popolazione, mentre quelli condizionati richiedono un supporto informativo e operativo per
la verifica delle condizioni di accesso ai trasferimenti e per la gestione di sanzioni e
contestazioni. Benefici: l'analisi riassunta nella scheda riguarda benefici strettamente
individuali, un'analisi completa dovrebbe includere i benefici di lungo periodo e di sistema
ai quali ho accennato all'inizio.
http://miaeconomia.leonardo.it
L’euro atteso a una prova importante
(13/06/2010)
Il recupero dell’euro contro il dollaro si e’ arrestato venerdi’ sulla
soglia tecnica di 1,215. Nonostante i dati non brillanti sulle
vendite al dettaglio negli Usa, gli operatori hanno comunque
continuato a scommettere sulla valuta Usa, un po’ a seguito delle
vendite per monetizzare i guadagni realizzati nelle scorse sedute
sull’euro dopo la scommessa di un rimbalzo, che effettivamente
e’ avvenuto; un po’ per la convinzione che comunque i tassi negli
Stati Uniti si rialzeranno prima che in Europa e quindi si inizia a
un riassestamento dei capitali verso lidi che in prospettiva
avranno maggior appeal (rendimenti obbligazionari).
Siamo oramai al giro di boa dell’anno e i primi sei mesi del 2010
non sono stati brillanti per l’euro, tutt’altro. Da inizio anno la
valuta unica ha perso il 15% contro le principali valute mondiali,
euro e yen, ha ceduto il 6% contro sterlina e franco svizzero, ha
perduto tra il 15% e il 20% contro le maggiori valute del Sud-est
asiatico, ha perso il 13% contro il real brasiliano e l’unica
performance positiva e’ stata contro il fiorino ungherese, con un
guadagno del 3%, ma solo perche’ con i timori di un default del
paese la moneta magiara e’ crollata nelle ultime settimane
(anche se nelle ultime sedute ha recuperato in parte).
Il recupero della valuta unica contro il biglietto verde e’ partita ad
inizio della scorsa settimana dopo il cambio aveva toccato un
minimo di 1,19 dollari il 7 giugno. Poi e’ iniziato un lento
recupero che ha subito una accelerazione nella parte centrale
dell’ultima ottava. Per tutta la seduta di venerdi’ i prezzi hanno
cercato, inutilmente, di superare la soglia di 1,215 livello di
resistenza che trova la sua validita’ dalla seduta de 18 maggio.
La violazione della soglia di 1,215, confermata dal superamento
di 1,22, ha come effetto un allungo del cambio fino a 1,23 e
successivamente fino a 1,24. Ma con il proseguire della debolezza
i prezzi torneranno a scendere nuovamente a 1,19 ma non si
fermeranno e continueranno a scendere fino a raggiungere i
minimi di fine 2005 in area 1,17/1,15 euro.
Entrare in banca e’ sempre piu’ sicuro
(11/06/2010)
Sempre meno Bande Bassotti all’assalto delle banche italiane. Lo
scorso anno sono stati messi a segno 1.744 colpi” allo sportello
con un calo del 19,3% rispetto ai 2.160 compiuti nel 2008, pari a
circa 35 rapine in meno al mese. Una diminuzione che conferma
il trend positivo gia’ registrato alla fine del 2008 (-27,3%) e che
riguarda anche il cosiddetto “indice di rischio”, cioe’ il numero di
rapine ogni 100 sportelli, passato da 6,4, al’attuale 5,1 il valore
piu’ basso registrato dal 1998 ad oggi.
Sono questi i principali risultati dell’indagine dell’Ossif, il Centro
di ricerca dell’Associazione bancaria italiana in materia di
sicurezza, presentati al convegno “Banche e Sicurezza 2010”.
Un risultato il cui merito va alle misure di sicurezza messe in
campo dagli istituti di credito sempre piu’ tecnologici e alla
collaborazione con le istituzioni e le forze di polizia per ridurre
l’ampia circolazione di contante che ancora caratterizza l’Italia.
Basta pensare che nel BelPaese a fine 2009 circolava circa il 18%
in termini di valore di tutte le banconote dell’Eurozona. Una
guerra al cash che riesce, quindi, a far dormire sonni piu’
tranquilli ai clienti.
Secondo lo studio, infatti, oltre al calo delle rapine si e’ registrata
anche una diminuzione della consistenza dei bottini: quello
medio, con circa 21mila euro, si mantiene su livelli tra i piu’ bassi
degli ultimi dieci anni. Mentre il bottino complessivo del 2009 ha
fruttato 36,8 milioni di euro, il 15% in meno dell’anno
precedente, quando furono rubati 43,4 milioni di euro.
Capitolo a parte per quanto riguarda gli strumenti utilizzati dai
rapinatori per attaccare le banche. Secondo l’Ossif, i ladri
preferiscano in prevalenza utilizzare quelle comuni piu’ piccole,
come coltelli e taglierini (48%), mentre aumentano i colpi messi
a segno con armi finte (4%) e minacce (24%) che, in 2 episodi
su tre, consentono ai ladri di rubare bottini da massimo 15 mila
euro.
Resta invariata anche la modalita’ della rapina. In particolare, i
colpi vengono eseguiti soprattutto di lunedi’ e venerdi’
(rispettivamente 24% e 25% dei colpi commessi), nella fascia
oraria che va dalle 11 alle 13.30 del mattino (37%). Ma i bottini
piu’ ricchi si sono registrati di lunedi’ (27,6 mila euro), prima
dell’apertura della filiale (41 mila euro) o nel tardo pomeriggio
dopo la chiusura al pubblico degli sportelli (68 mila euro). Quasi
due terzi delle rapine, inoltre, sono durate meno di tre minuti
(62%) e nell’51% dei casi a commetterle e’ stata una coppia di
malviventi (nel 33% il rapinatore ha agito da solo).
Dal punto di vista territoriale, emerge una mappa ben definita
delle Regioni in cui si verificano le rapine. Numeri alla mano, nel
2009, i colpi allo sportello sono diminuiti in 14 Regioni su 20,
vale a dire in Abruzzo (-20%, da 60 a 48), Basilicata (-61,5%, da
13 a 5), Campania (-4%, da 124 a 119), Emilia Romagna (-26%,
da 204 a 151), Friuli Venezia Giulia (-38,5%, da 13 a 8),
Lombardia (-22,7%, da 576 a 445), Marche (-47%, da 100 a
53), Piemonte (-11,7%, da 163 a 144), Puglia (-63,8%, da 138 a
50), Sicilia (-26,3%, da 240 a 177), Trentino Alto Adige (-47,1%,
da 17 a 9), Umbria (-60,5%, da 43 a 17), Valle d’Aosta (-100%,
da 1 a nessuna rapina) e Veneto (-1,2%, da 83 a 82). I dati
negativi riguardano, invece, Calabria (da 16 colpi si e’ passati a
18), Lazio (da 191 a 209), Liguria (da 52 a 58), Molise (da 3 a
7), Sardegna (da 15 a 16) e Toscana (da 108 a 128).
Eventi economici e finanziari del 14 giugno
(14/06/2010)
Dopo gli ultimi due giorni della scorsa ottava abbondanti di dati
macroeconomici, la settimana inizia con una seduta in cui
mancano gli eventi economici rilevanti. Nulla dagli Stati Uniti,
mentre gli unici due dati del giorno riguardano Giappone e
Europa.
Nel Sollevante alle 6,30 del mattino viene diffuso il dato delle
produzione industriale che arriva dopo il dato lusinghiero del Pil
del secondo trimestre della scorsa settimana superiore alle
attese. Anche in Europa sarà diffuso il dato sulla produzione
industriale, alle 11,00, sia nell’Eurozona che nei 27 Paesi che
compongono l’Unione Europea.
Anche sul fronte finanziario non ci sono dati di rilievo. A Piazza
Affari vengono distribuiti i dividendi di BasicNet (0,165 euro),
Engineering (0,5646 euro) ed Irce (0,02 euro). Inoltre sempre
sul listino italiano verranno diffusi i dati dell’ultimo trimestre di
Piquadro e quelli dell’intero esercizio 2009/2010.
Sul fronte valutario, dopo i recuperi delle ultime sedute il
sorvegliato speciale di questa seduta sarà ancora l’euro. Dopo la
conferma dei tassi di interesse all’1% da parte della Bce e le
parole confortanti di Trichet nella conferenza successiva alla
decisione delle Banca Centrale, la moneta unica ha ripreso un po’
di vigore contro il dollaro ed è attesa alla prosecuzione del
recupero.
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Blitz Fbi in decine di banche Usa, indagini su frodi mutui immobiliari
Indiscrezioni su una mossa (meglio tardi che mai) che avra' come obiettivo porre un freno alle truffe
nell'erogazione di crediti per la casa che hanno contribuito al collasso del mercato immobiliare Usa.
Un blitz a livello nazionale contro le frodi sui mutui: e' quello che si prepara a organizzare l'Fbi. La
mossa, parte di una serie di sforzi, ha come obiettivo quello di porre un freno alle pratiche
sull'erogazione di credito che hanno contribuito al collasso del mercato immobiliare.
Secondo quanto scritto sul sito online del Financial Times, l'Fbi e' pronta ad arrestare centinaia di
persone in tutti gli Stati Uniti gia' a partire dalla prossima settimana. Le accuse a carico degli
individui a rischio manette: aver incoraggiato i mutuatari a falsificare i dati riguardanti il proprio
reddito per richiedere poi un mutuo, aver gonfiato le valutazioni dei prezzi delle case e aver fatto
pressione su chi erogava il prestito a fornire informazioni fuorvianti sui programmi per evitare i
pignoramenti.
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sei abbonato, fallo subito: costa solo 0.86 euro al giorno, provalo ora!
Dall'ottobre 2008, l'Fbi ha dato il via a 23 task force dedicate alle frodi sui mutui. L'idea e' che
informazioni deliberatamente sbagliate o taciute abbiano spinto le erogazioni di prestiti a persone
dai redditi incerti o comunque con basse garanzie. Tanto che molti di costoro non sono poi stati in
grado di onorare i propri impegni sui mutui quando il mercato immobiliare residenziale ha iniziato a
soffrire (ritrovandosi a pagare un mutuo il cui valore era ormai superiore a quello dell'immobile,
ndr).
A giugno 2009 erano oltre 70000 i casi segnalati di attivita' sospette legate ai mutui, il 10% in piu'
rispetto ai livelli del 2008, quando le perdite legate a questo tipo di frodi toccarono quota $1.4
miliardi (+83,4% rispetto all'anno prima). Nei soli primi sei mesi dell'anno scorso le perdite
avevano superato quelle collezionate nello stesso periodo dell'anno prima per $208 milioni.
California e Florida sono gli stati che nel 2008 hanno registrato i maggiori casi di frode. Il prossimo
17 giugno e' atteso il rapporto sull'intero anno passato.
Tante teorie su euro ed economia globale. Dov'è la verità?
Non si tratta di una normale recessione, alle quali sono sempre seguiti periodi di ripresa più o meno
fortunati, bensì di qualcosa di nuovo che ogni giorno che passa desta sempre più nuovi timori.
Un niente di fatto da parte delle due banche centrali sotto i riflettori ieri, come ci aspettavamo tutti.
BoE che lascia i tassi fermi e non interviene sul fronte del quantitative easing, così come la BCE.
Dal punto di vista dei dati macroeconomici la giornata si è rivelata piatta e dobbiamo attendere
questo pomeriggio per poter vedere qualcosa di interessante dal lato americano, mentre per quanto
riguarda Paesi più vicini a noi, occhi aperti stamattina.
Si parte con i prezzi alla produzione industriale per la Gran Bretagna, attesi a -1% sul mese, rispetto
al precedente +0.6% (5.8% sull?anno) per poi proseguire con la produzione industriale attesa a
+2.2% sull?anno rispetto al precedente +2%. Nel pomeriggio invece assisteremo alla pubblicazione
delle vendite al dettaglio americane per il mese di maggio, attese in lieve diminuzione (due decimi
di punto) rispetto al precedente +0.4% e dell?indice di fiducia dell?Università del Michigan atteso a
74.8.
Le borse hanno performato in maniera molto positiva ieri a livello globale mentre le commodities si
mantengono sempre intorno ai livelli di equilibrio di breve periodo. La situazione attuale ci deve far
riflettere: le voci circa lo stato di salute dell?economia globale sono davvero tante e tutte
discordanti.
C?è chi vede l?euro ormai morto, chi dice che la BCE dovrebbe tagliare i tassi a zero e concentrarsi
sulle politiche fiscali aggressive per cercare di arginare i problemi relativi ai debiti sovrani, chi
sostiene che ormai l?America sia uscita dalla recessione e sia pronta a spiccare il volo. Teorie. La
verità è che nessuno sa come affrontare questo periodo in quanto nessuno ha mai assistito ad una
crisi del genere.
Non si tratta di una normale recessione, alle quali storicamente sono sempre seguiti periodi di
ripresa più o meno fortunati, bensì di qualcosa di nuovo che si delinea giorno dopo giorno come
qualcosa di sempre più preoccupante. Concentriamoci dunque sull?analisi tecnica (ricordiamoci che
sul mercato forex i prezzi scontano tutto, questa è l?unica verità) e cerchiamo di individuare delle
buone opportunità di guadagno.
La settimana si trading volge al termine con qualche segnale interessante.
Ci stiamo riferendo al cambio eurodollaro che, come abbiamo visto ieri, successivamente alle
parole del presidente della BCE Trichet, ha oltrepassato la resistenza di breve periodo compresa fra
1.208 e 1.2110. Ad onor del vero la strada che hanno compiuto i prezzi a rialzo non è stata lunga,
fermandosi a 1.2145, ma il segnale è stato dato e sino ad un nuovo ritorno al di sotto di 1.2080
propendiamo per una ripresa verso un primo 1.2180-1.22.
Molto stabile la situazione sul cambio UsdJpy, che si muove da una settimana esatta all?interno di
livelli piuttosto precisi e particolarmente ristretti. Parliamo di una resistenza a 92 figura e di 90.6090.80 come supporto. Sino ad una fuoriuscita da questo rettangolo immaginario, questi sono i livelli
da utilizzare.
Ha seguito la salita dell?euro il cambio EurJpy, allontanandosi di un?altra figura dal minimo di 108.
Molta attenzione per le prossime evoluzioni va data al massimo visto nella notte a 111.30,
precisamente il 61.8% di ritracciamento dal massimo di 113.30 di venerdì al minimo di 108, di
lunedì.
Ci crede, con moderazione, il cambio EurChf alla ripresa della moneta unica, risollevandosi di più
di una figura dal minimo visto mercoledì a 1.3735. Al di sopra di 1.39, la resistenza
nell?immediato, la ripresa potrebbe essere più veloce e condurre di nuovo i prezzi sopra 1.40. Il
cambio UsdChf ha di fatto rotto il supporto a 1.1450, pur non allontanandosi troppo. I prezzi infatti
non sono ancora riusciti a oltrepassare 1.14 e gli indicatori, particolarmente scarichi, potrebbero
lasciar pensare ad una falsa rottura con immediata ripresa. In questo caso una proiezione di
Fibonacci indica gli eventuali punti di arrivo a 1.15 figura e 1.1570.
Rimane molto forte invece la tendenza sul cable, dopo una salita di 4 figure da inizio settimana. Se
osserviamo un grafico orario notiamo come non siano previsti, per il momento, interruzioni per
ancora una sessantina di punti, ovvero sino al massimo di 1.4770 (il massimo dell?ultimo mese di
trading). La linea che sostiene questo movimento rialzista suggerisce per le prossime ore una zona
di supporto a 1.4680.
La tendenza del cambio GbpJpy, con il UsdJpy stabile, segue ovviamente la buona ripresa del cable.
I questo caso però il punto di arrivo appare ben più ambizioso, in quanto si trova 200 punti al di
sopra dei livelli attuali, 136.40. La linea che sta sostenendo la salita dal minimo di 130.45 di
martedì, indica per le prossime ore un supporto a 133.65.
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