“Loud Like Love” dei Placebo: ovvero come rifare se

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“Loud Like Love” dei Placebo: ovvero come rifare se
“Loud Like Love” dei Placebo: ovvero come rifare se stessi vent’anni dopo
di ANTONELLA BELLIFEMINE
Forti come l’amore? Ascoltando “Loud Like Love”, settimo disco in studio e questa volta con
una major come l’Universal alle spalle, non sembrerebbe.
Qui ci sono dieci tracce alla maniera Placebo, niente di più e niente di meno, per la gioia dei fan
che grideranno al miracolo, dopo la delusione del penultimo disco del 2009, “Battle For The
Sun”.
Brian Molko, in Italia celebre per la famosa partecipazione al Festival di Sanremo del 2001 in
cui spaccò chitarra e amplificatore, ormai è un pacato quarantenne padre di famiglia, lontano da
droghe ed eccessi e a vederlo oggi fa uno strano effetto.
Tanta lucidità si traduce in un album che naviga in acque sicure, con un buon sound, forse
1/3
“Loud Like Love” dei Placebo: ovvero come rifare se stessi vent’anni dopo
l’unica particolarità, ma con testi deboli e non all’altezza della fama dell’elfo malefico dal look
androgino.
Il singolo d’apertura, “Too Many Friends”, ha un buon tiro, un crescendo di chitarre con un
insolito piano a far da compagnia e Molko che cerca di spiegarci come siamo diventati schiavi
dei social network. L’idea è buona perché tenta una riflessione sulla vacuità dei rapporti e su
amicizie virtuali inconsistenti, una buona hit che poteva svilupparsi meglio.
“Scene Of The Crime” e “Hold On To Me” sono i classici pezzi alla Molko, sound da manuale: la
prima canzone ha un hand - clapping che si stampa in testa, leggere linee elettroniche e
batteria martellante, come la voce metallica di Molko; la seconda è una ballad introspettiva che
scorre lieve.
Stessa sorte tocca a “A Million Little Pieces” che ha un buon arrangiamento di piano e tante
chitarre elettriche, facile intuire che diventerà uno dei loro classiconi.
Più incisiva risulta “Purify”, un basso che si alterna a sfuriate chitarristiche ovviamente
elettriche, mentre la title track, “Loud Like Love”, ha una melodia e ripetizioni che catturano ed è
impossibile non canticchiare all’infinito “believe…believe”.
“Rob The Bank” è un assalto al potere bancario, picchia duro con chitarre potenti e batteria
decisa, traccia più netta e precisa rispetto alle altre.
Le conclusive “Begin The End” e “Bosco” sembrano regalare qualcosa in più, sono i pezzi
“nuovi”, malinconici ma con un Molko più affascinante e meno scontato.
“Bosco” chiude l’album con un piano dolce e attimi d’intensità grazie al crescendo di archi,
niente chitarre elettriche eppure è la canzone migliore del disco.
Ad oggi i Placebo sono nel limbo dell’alternative rock che cerca di saltare gli steccati (e il
2/3
“Loud Like Love” dei Placebo: ovvero come rifare se stessi vent’anni dopo
passaggio ad una major lo conferma). Obiettivamente hanno buone possibilità e magari il
riconoscimento ufficiale nel mondo del rock arriverà con questo disco che non è il migliore della
loro carriera ma neanche il più brutto.
È il disco delle certezze, un mix di melodie e rock che è il loro marchio di fabbrica, magari poco
ispirati nei testi che risultano un po’ piatti ma con il carisma della particolare voce di Molko, in
gran forma.
Uguali a se stessi ma con dignità, senza svendersi con canzonette, almeno questo bisogna
riconoscerlo. I fan di vecchia data ne saranno orgogliosi.
3/3