L`unico premio - Stefano Comper

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L`unico premio - Stefano Comper
L'unico premio
L'unico premio che io abbia mai vinto per uno dei miei libri riguarda il primo che scrissi, in quanto
esso fu l'unico che scaturì da un habitat accademico e si sa come funzionano queste cose dentro il
palazzo della letteratura istituzionalizzata: non appena qualcuno crea un nuovo testo, farcendolo
obbligatoriamente di riferimenti ad altri tomi che lo hanno preceduto, subito gli autori chiamati in
causa si prodigano affinché ci sia un riconoscimento ufficiale, di modo che la gloria che ti piove
addosso sia di riflesso una prodigiosa leccata di culo e scroti a quei pezzi da novanta già affermati
che tu, povero mentecatto, hai citato nel tuo squallido eppur vincente libretto. Nell'ambito delle
accademie infatti non è possibile affidarsi solamente al proprio io. Sei costretto ad affermare
qualcosa solo se puoi validare le tue anonime parole con quelle autorevoli vergate in precedenza dal
plauso di quel mostruoso feto a mille teste che prende il nome di critica letteraria. Il risultato è un
prodotto che rigurgita noia e pedanteria, ma che, essendo inscritto in un percorso ben radicato nella
realtà di aule, biblioteche e programmi ministeriali, immediatamente sarà letto e riletto nonché, per
l'appunto, premiato. Ciò accade perché le parole che tu hai usato si confanno in pieno ad un codice
che esiste da millenni, al quale il tuo lavoro cerebrale con pieno diritto si è guadagnato la facoltà di
prendere tristemente parte. Mi pare superfluo dire che il mio primo libro è anche il peggiore che
abbia mai partorito, se è vero che, al contrario degli altri, raramente lo rileggo e quando lo rileggo
mi fisso solamente sulle parti dove abilmente sono riuscito a sottrarmi al circolo vizioso delle
virgolette prese a prestito dai dottori. Proprio grazie ad esso, il mio unico libro accademico, anch'io
potrei fregiarmi di tale epiteto, ma mi è sempre parso lampante che chiamandomi "dottore in
letteratura" avrei suscitato nel mio imo una ilarità sboccata cui volentieri faccio a meno; mi fa infatti
sbellicare dal dolore l'immagine di me con tanto di mascherina, bisturi e stetoscopio mentre mi
prodigo nel curare un libro dopo l'altro. La letteratura non ha bisogno di guarire. Perché privare
l'umanità di quello che essa ha di meglio, cioè la malattia dello scrivere?
RE INCHIOSTRO STA ARRIVANDO IN CITTA' ED E' MOLTO PIU' GRANDE DI
QUANTO CREDI
Vien da sé, conseguentemente, che tutti gli altri libri che ho scritto dopo tale episodio sono, al
contrario del primo, del tutto slegati da qualsivoglia appiglio al mondo della cultura, essendo
piuttosto unicamente una proiezione del mio sfaccettato io che viveva quei frenetici giorni
demiurgici cui le pagine fanno riferimento; ecco perché di continuo mi rituffo in loro con la bava
alla bocca, famelico di comprendere quali linee elettriche hanno percorso le varie fasi della mia vita,
avido di sapere finalmente, a distanza di anni, quali dannabili pulsioni incomprensibili conducevano
i me stessi del passato lungo i viatici scalcinati della gioventù e dell'età ad essa successiva, qualunque
essa sia. L'unico anno che non mi ha visto con la penna in mano, il zerootto, è anche l'unico del
quale non serbo alcun ricordo, quindi completamente nullo nell'economia globale del mio tragitto
sul terzo pianeta del sistema solare. Ma sto divagando, è uno dei miei grossi problemi. Lo so perché
ad esso, il divagare, ho dedicato a suo tempo un intero libro anzi due. Quando avrò messo a fuoco
tutti i miei problemi, spendendo un libro per ognuno di loro, potrò smettere la divisa del
grafomane. Credo ci vorranno ancora una mezza dozzina di testi, vomito più vomito meno. Ecco
perché nessuno tranne me li leggerà mai. Ecco perché nessuno tra loro vincerà mai un premio.
RE INCHIOSTRO SI SENTE COME UN LIBRO ROGNOSO
Comunque si diceva: l'unico premio che io abbia mai vinto per un mio libro. Si era sul finire di
un'estate caratterizzata, come tutte le belle stagioni, per molte sbronze assolate e altrettante
paranoie accecanti, ma soprattutto impegnata in un ingente trasloco di suppellettili da un'abitazione
ad un'altra. Fu proprio mentre ero indaffarato nel caricare e svuotare la mia vettura che mi giunse
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una telefonata da un numero sconosciuto, e non poteva essere altrimenti poiché non ho mai avuto
la pazienza di possedere una rubrica, cartacea o digitale che sia. Risposi, e l'uomo dall'altro capo
dell'immaginario filo (si era già nel tempo dei mezzi di comunicazione volanti) mi disse subito due
parole: congratulazioni, rallegramenti. Lì per lì nulla mi fu comprensibile, ma, dopo aver recuperato
il fiato rotto per i pesi che stavo trasportando, sedendo all'ombra di un piangente platano cercai di
ascoltare i discorsi dell'uomo sconosciuto sforzandomi di mettere assieme le sue parole secondo un
senso compiuto. Realizzai che conoscevo già tale persona, era niente di meno che il vertice di
un'associazione letteraria, con sede ligure, che in passato mi aveva fatto il favore di pubblicare
alcune mie poesie sui propri rotocalchi. Mentre ascoltavo ciò che aveva da dirmi mi tornavano nel
cranio disordinatamente quei versi che avevo scritto millenni prima, quando credo il mio pube
fosse ancora lindo di peli e sperma. Tutto tacque troni di stelle. Grilli di Normandia. Quando i putti
danzanti sciolsero il cerchio.... Essendo completamente assorbito da quel riaffiorare di parole che
credevo obliate, completamente mi sfuggì il significato delle frasi che uscivano dalla cornetta. Chiesi
allo spazientito interlocutore di ricominciare la sua oratoria. Il succo fu: La Coscienza d'Inchiostro ha
vinto il Marengo d'Oro nella categoria saggistica inedita. Primo premio. I dottori in letteratura che
comparivano nella bibliografia della mia Coscienza avevano vivisezionato il mio primo libro e, senza
dirmi nulla, lo avevano spedito a questo concorso raccomandandolo ad altri colleghi gerarchi
letterati, i quali all'unanimità ne avevano decretato il successo, forse memori del fatto che io in
passato avevo già presso di loro, acculturati genovesi, ottenuto un riconoscimento con le mie
preadolescenziali liriche intrise di sangue e di crema. Secondo classificato un anonimo tizio che
aveva scritto su Gadda, il depresso ingegnere malato di sobrietà. Terza una troia che aveva
raccontato le gesta di quell'altra troia della Deledda. Primo io con il mio ardente originale doppio
centinaio di pagine sveviane.
E CANTA E URLA E URLA CANTANDO E CANTA URLANDO
Lì per lì vissi la innegabile gioia di quel riscontro che certificava il mio talento (ero un piccolo
bimbo ingenuamente mal cresciuto e quindi scusabile per quella felicità fuori luogo) ma anche un
certo fastidio per il fatto che avrei dovuto in fretta e furia terminare il già citato trasloco nonché
rapidamente organizzarmi per la trasferta, anziché crogiolarmi nei beati fumi alcolici tra le mie
nuove quattro mura. Senza fermarmi neanche un attimo passai tre giorni di fuoco nell'allestimento
della mia nuova stamberga, alla quale mi dedicavo freneticamente subito dopo il tempo dedicato
allo stipendio. In quei giorni lucravo i denari necessari all'affitto presso un locale in disuso della
zona industriale adibito a centro di smistamento per oggetti tecnologici, facendo parte di una
nutrita squadra di giovani ai quali veniva chiesto di prodigarsi al fine di fottere più sconosciuti
possibile, inculcando in codesti estranei il bisogno smanioso di telefonare con telefoni sempre più
all'avanguardia e navigare nella grande rete con linee sempre più sfreccianti. Tale cupo capitolo
della mia esperienza da adulto rappresenta solamente una minuscola emorroide entro uno scenario
ben più grande, vale a dire il buco del culo della vita sociale. Unico elemento positivo di quella
peraltro lunga vicenda, che comunque per ben sei mesi mi permise di far fronte alle spese relative a
tetto, viveri e vizi, fu quello di consentirmi l'approccio ad alcune donzelle che come me si
barcamenavano con quel disgustoso stratagemma commerciale al fine di strappare una busta paga
dalle mani di quei porci che ci avevano assunto. Una di esse, naturalmente la più brutta e incasinata
nel cervello, dimostrò follemente di pretendere la visione del mio corpo nudo, decretando con forte
vigore che ben volentieri sarebbe subito passata al tatto più becero. Tuttavia, la sua strepitosa
idiozia estetica mi fece propendere per segnare con una x il suo nome nella mia testa, evitando
perennemente di rispondere ai suoi segnali. Solo una volta le scrissi una cosa, e mi ricordo
perfettamente quando ciò accadde poiché stavo, zaino in spalla, uscendo dalla mia nuova casa per
dirigermi al treno che mi avrebbe portato sul mar Ligure a ritirare la moneta dorata. Mi arrivò un
messaggio che lessi subito, credendo fosse qualcun altro, e infatti non appena vidi il mittente
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scalciai con lo spirito maledicendo la tizia che proprio non capiva il mio rifiuto. Armato di pazienza
e buoncuore (in quei tempi ero ancora nella mia fase non troppo crudele) le scrissi che mi
dispiaceva eccetera e così vanno le cose mi dispiace eccetera. Mi scrisse altri sette otto poemi che
però non mi curai di leggere, cestinandoli subito col tasto Delete. Poi, elegantissimo, camminai
nell'imbrunire in direzione della stazione, respirando l'aria che mi pareva salmastra a causa della
destinazione del viaggio che avevo appena cominciato. C'erano tre-quattro treni che mi avrebbero
potuto portare nel luogo destinato, con orari che andavano dall'alba al tramonto, sicché pensai bene
di non mettermi fretta recandomi in un bar dove alcune pinte del giusto colore mi avrebbero dato
l'energia necessaria per sopportare le ore a venire dentro il vagone. Ben presto, com'è ovvio, le
pinte divennero circa una decina, condite da altri bicchieri più piccoli ma più potenti. È complicato
mettere assieme i tasselli di tale scansione temporale, ricostruendo dialoghi e facce, ma di sicuro so
per certo che chiunque mi prendeva in giro per il mio abbigliamento fine che strideva fortemente
con gli stracci che solitamente calzavo. Ad ogni giro di bevande scrutavo l'orologio alla parete
dicendomi che avrei preso il treno successivo, poiché comunque il tempo era dalla mia. Nella calca
una fanciulla mi porse il suo numero, colpita dalla simpatia che sgorgavo raccontando dove fossi
diretto di lì a poche ore. Incredibile fu il fatto che quando, millenni più tardi, giunsi in riva al mare
dove si svolgeva la premiazione, mi arrivò un suo messaggio che chiedeva come fosse andato il
viaggio, facendomi altresì un grosso in bocca la lupo per la situazione che andavo ad affrontare.
Evidentemente la tizia, che qualche mese più tardi amai e immediatamente dopo odiai come capita
nel caso degli amori finiti molto malamente, era rimasta molto impressionata dal mio lavoro sul
buon vecchio Italo, che io con lingua saccente le avevo sbrodolato tra un drink e un altro.
E DICE GIA'-GIA'-GIA'-GIA'-GIA'-GIA'-GIA'
A quel messaggio, il primo che mi mandò, risposi dicendo che il viaggio era andato così così, e che
la premiazione tutto sommato prometteva bene. In realtà, il viaggio si era rivelato ben presto più
complicato del previsto, a cominciare da quando, chiusi tutti i bar per l'ora tarda, avevo accettato
l'invito a casa di alcuni semiconoscenti, attratto da sostanze che mi era stato promesso sarebbe state
alla base della riunione notturna. Seduti in cerchio cominciammo a bere parlando del meno e del
meno, aspirando fortemente un sacco di cose. Poi, mentre mi dilungavo nel spiegare la differenza
tra la Coscienza di Zeno e i primi romanzi di Svevo, l'occhio semispento mi cadde su una bottiglia
nascosta su uno scaffale che recitava la scritta Assenzio, alché non potei esimermi. Una tizia mi
preparò la bevanda con tanto fuoco come da rituale, col risultato che mi piacque al punto da bissare
clamorosamente la cosa per un numero di volte che non ricordo affatto. Scena mancante. Ho poi il
barlume di ricordare che mi ritrovai sui binari della stazione di partenza, in mezzo a tossici e troie
dalle facce scure, finché, dopo un tempo incredibilmente lungo, salii sul treno e subito sprofondai
nel sonno più drastico. A questo punto la narrazione salta in avanti di un paio di passaggi logici,
poiché non so come mi riebbi nel vagone col treno fermo, completamene solo chissà da quanto.
Scesi e chiesi dove cazzo fossi, col risultato che scoprii di essere disperso nella pianura Padana, in
direzione assolutamente contraria a dove effettivamente dovessi andare. Credo fosse stata ancora
mattina ma potrei sbagliarmi, quindi diciamo che probabilmente era mezzogiorno. Il bar della
stazione di quel piccolissimo centro mi fornì un discreto quantitativo di birre, le quali trangugiai
come sostitutivo della colazione. Avevo in circolo moltissimo alcol quindi subito piombai in uno
stato di quelli fortemente andanti. Scoprii di essere a ridosso dell'Appennino, ma potrebbero essere
state anche le Ande, come nel celebre raccontino di Immondo De Amicis.
E ANCORA PARLA E PARLA COME SE NIENTE FOSSE
Nell'attesa di un treno che mi riportasse in direzione nord, da dove avrei preso la direzione ovest
che costituiva il logico continuamento dell'avventura, pensai bene di sfruttare quel tempo sterile nel
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ricucire alcuni rapporti umani che si erano per qualche motivo deteriorati. Col telefono senza fili
cominciai pertanto a chiamare a più non posso un sacco di persone al fine di mettere la pace
làddove era la lite, ma siccome, come detto, non possedevo una rubrica, fui costretto a ricomporre
tutti i numeri che figuravano tra le chiamate effettuate, ricevute e perse, avendo come unico scopo
quello di individuare le persone cui effettivamente volevo parlare. Fu un processo lungo e spesso
antipatico, in quanto ridestai dal sonno molta gente che non la prese bene, e mi misi in contatto
casualmente con molti che furono felici di sentirmi ma siccome non avevo nulla da dire loro sbattei
subito giù la cornetta, e inoltre, per drammatica sorte, quegli individui, che effettivamente volevo
sentire, per il già citato progetto di pacificazione, non si fecero trovare (tranne uno che però mi
rispose quando il treno stava sopraggiungendo quindi fui costretto a troncare). Del viaggio in treno
posso dire solo un paio di cose, cioè i nomignoli inventati di due persone reali: la Vecchia e la
Giovina. Davvero notevole la fantasia che metto nel scegliere tali soprannomi. Fatto sta che la
Vecchia mi fece compagnia nel viaggio fino a Milano, la Giovina da Milano a Genova. La prima si
dimostrò davvero una persona di grande spessore, e fu proprio un piacere colloquiare con ella, che
tra l'altro sorseggiava come me molta birra, riguardo ad una miriade di cose interessantissime tra cui
la fibulazione e le droghe sintetiche. Poco prima di salutarmi mi confidò, senza motivo, che suo
marito da tre anni era passato a miglior vita, ma lo disse senza inflessioni di commozione, come chi
ha già pianto fuori tutto e anche di più. Piuttosto seriamente compromesso nelle facoltà
intellettuali, a Milano pensai bene di passare a qualcosa di più forte quindi mi organizzai con
parecchi amari in bottigliette che sancirono il mio arrivo sul mare in uno stato di seria confusione.
La Giovina contribuì a ciò, civettando per tutto il tempo. Il dialogo con lei fu nettamente peggiore
di quello precedente, in quanto la minorenne conosceva a malapena chi fosse Picasso, tuttavia la
vista dei suoi zigomi sparsi mi diede un filo di speranza nella razza umana. Glielo dissi con parole
acrobatiche ma ella non apprezzò più di tanto. Senza salutarmi scese a Genova Est, io finii l'ultima
razione di amaro giusto giusto quando l'altoparlante disse Ovest.
RE INCHIOSTRO E' ARRIVATO IN CITTA'
Era notte, forse sera, magari l'imbrunire, il crepuscolo, il tramonto; di certo era scuro. Chiesi al
primo passante il nome di una locanda ad una stella o ancora meglio a mezza, ed egli gentilissimo
mi mandò poco distante dove trovai un rudere a dieci piani con la porta strettissima, recante un
nome femminile, forse Caterina, impiantato nel cemento come una forchetta. Mi accasai e senza
nemmeno darmi una lavata agli occhi subito scesi in strada. La premiazione era il giorno dopo,
avevo tutto il tempo di svagarmi come si doveva, tuttavia il collasso subentrò ben presto nella
specifica situazione. Avevo in corpo troppa nocività e quindi lo spegnersi era il risultato scontato.
Poco prima di svenire tuttavia riuscii a imbastire un divertente discorso con un paio di tizi genovesi
conosciuti in un bar in virtù della stessa passione per la musica che usciva dalle casse. Parlai loro a
lungo dell'Australia, argomento sul quale finirono le chiacchiere, narrando ai due le magnificenze di
tale posto dove io ero stato e loro volevano prossimamente andare. Poi, mentre le palpebre
drammaticamente mi si chiudevano per i troppi eccessi, chiesi ai miei due nuovi soci dove avrei
potuto trovare delle troie da strada poiché avevo bisogno di sfogare la protuberanza.
E CANTA OH OH CHE VITA MERAVIGLIOSA OH OH
Infatti, mentre parlavo di Sydney e dell'erba di Sydney, senza motivo mi balzò in testa l'immagine di
una tizia assai formosa che era stata presente nella stanza dove, poche ore prima, avevo
spudoratamente fatto uso di parecchio Assenzio, sicché i suoi enormi seni perfettamente allineati lì
per lì non mi avevano fatto l'effetto che invece proprio ora mi disturbava notevolmente il livello
ormonale. Mi fecero una piantina dettagliata, in verità piuttosto complessa da decifrare, riguardante
il luogo dove dieci zoccole di altrettante etnie sarebbero state ben disponibili a succhiarmi tutto
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previa pagamento. Tuttavia, a malapena riuscii a trovare Caterina, quindi il progetto naufragò.
Arrivato in camera ero comunque molto scosso per tutto l'insieme di pulsioni, quindi decisi di
chiamare la tipa orribile che avevo a più riprese rifiutato, la collega di lavoro, al fine di masturbarmi
coadiuvato da alcune parole zozze che ella avrebbe proferito su mia specifica richiesta. Non andò
proprio benissimo, anche perché la tipa fu felicissima di ricevere la mia chiamata ma non
esattamente entusiasta della mia idea, idea alla quale ella peraltro acconsentì pur non essendo
esattamente portata come speravo nell'espellere dalla sua bocca sconcerie telefoniche. Lo schizzo
comunque ci fu, e subito dopo troncai la linea senza nemmeno salutarla.
RE INCHIOSTRO ANNUSA E ANNUSA
Tale episodio rappresentò tuttavia un brutto precedente, in quanto, una volta tornato a casa, ella
cominciò un serio pressing nei miei confronti, più strutturato e selvaggio rispetto a prima, tanto che
infine capitolai e finii tra le sue gambe, nonostante non ne avessi il minimo desiderio. Del resto,
come tutti anch'io scendo dalle scimmie, e certi istinti per l'appunto bestiali sono difficilmente
castrabili con la ragione. Alla premiazione arrivai vestito come un cialtrone, ovvero con una lurida
maglietta che avevo nello zaino, poiché il vestito elegantissimo che calzavo fin dalla partenza era
terribilmente provato da tante ore di incoscienza e quindi irrimediabilmente sporco e sfilacciato.
Seduto in platea, mente aspettavo di essere chiamato sul palco a ricevere il Marengo d'Oro, sezione
saggistica, mi venne un balzo di ricordo relativo alla notte da poco terminata, quando, incapace di
aprire la mia serratura, cominciai a urlare come un ossesso finché la vicina di camera uscì e in
mezzo secondo mi spalancò la porta, inserendo facilmente nell'uscio la chiave che a me proprio
non rispondeva. Taglio ora corto il momento del mio trionfo. Salii sul palco tra gli applausi. I
dottori in letteratura mi fecero un bel pompino simbolico, passandosi il microfono l'un l'altro come
fosse il mio pene, declamando a turno le virtù del mio preziosissimo lavoro. Io, agghindato come
un meccanico dopo dodici ore di officina, dissi qualche cazzata che assolutamente non ricordo, poi
presi la moneta e tornai al mio posto, sempre con gli applausi di sottofondo.
IL RE STA MORENDO SOFFOCATO NEL SUO STESSO VOMITO INCHIOSTRO
Terminato l'evento strinsi amicizia con un paio di poetesse lesbiche e un romanziere toscano. Ci fu
lo scambio di indirizzi e numeri telefonici, ma giunto a casa non trovai più i biglietti quindi addio.
Mi ricorderò comunque per sempre il volto di una delle suddette poetesse, perché quando parlava
di sé diceva di essere fuori dal mondo, sottolineando tale cosa con un intrigante movimento della
mimica facciale, a metà tra il serio e il faceto. Del viaggio di ritorno sono da segnalare solo alcune
cose, ovvero un'attesa terrificante in stazione per un treno che proveniva dalla Francia in tremendo
ritardo, e le ore spese in un vagone in compagnia di cinque filippini che fumavano una sigaretta a
testa ogni dieci minuti. Quando ormai mancavano appena tre chilometri all'arrivo a casa, scrissi sul
biglietto del treno alcune frasi che conservo tutt'ora, ma che non voglio qui riportare perché tale
atto le sminuirebbe. Fine. Da allora ho scritto altri sette libri, i quali però non hanno, come detto
all'inizio, ricevuto nessun tipo di conio a mò di gratificazione.
INCHIOSTRO RE E' MOLTO MOLTO PIU' GRANDE DI QUANTO CREDI
GIA'
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