Il Romanticismo tedesco

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Il Romanticismo tedesco
Il Romanticismo
tedesco:
Una breve antologia
Anno Accademico 2015/2016
Docente: Simona Molteni
11 gennaio 2016
Introduzione
Molte sono le personalità che, grazie alle loro idee e alle loro opere, hanno reso
possibile la nascita di quel movimento romantico che tanto interesse aveva destato in
Germania prima e nell’intera Europa in seguito.
Oggi ci occuperemo della poesia e della fiaba, due generi letterari particolarmente
cari ai romantici.
La poesia era considerata il genere letterario per eccellenza poiché riusciva a
produrre una rottura con la tradizione precedente, dando origine a qualcosa di
veramente nuovo.
Le connotazioni principali di questo genere letterario sono la malinconia,
l’introspezione, il sentimento, la nostalgia.
La poesia è il prodotto della fantasia, un processo istintivo che nasce dalla spontanea
ispirazione, cioè da una forza irrazionale, una sorta d’istinto, che in certi momenti
afferra l’artista e lo guida verso le forme dell’arte e della creazione poetica.
Oggi analizzeremo alcune poesie, le cui tematiche principali sono: la natura, l’amore,
il sentimento e la “Sehnsucht”.
Ritengo sia utile riprendere, molto brevemente, quanto già presentato nella
precedente lezione relativamente a queste tematiche.
Riguardo alla Natura va ricordato che i romantici la consideravano un elemento
caratterizzato da “organicismo”, cioè un tutto organizzato e composto da parti che
esistono solo in funzione di questo insieme, da “vitalismo”, cioè una forza dinamica
vivente, dotata di energia e in grado di perseguire degli scopi (“finalismo”) e infine
una natura che è anche spirito, uno “spirito in divenire” (“spiritualismo”).
L’amore – la seconda delle tematiche che analizzeremo oggi – è il mezzo per uscire
dal quotidiano e dal reale, dall’umano e dal terreno, per poter vivere una vita divina;
è una sorta di “estasi suprema”, cioè “vita della vita della stessa”.
Il sentimento, che traspare in ognuna delle poesie che leggeremo, è connotato come
un insieme indefinito di emozioni in grado di aprire nuove dimensioni all’animo
umano.
Per ultimo riscopriremo il tema della “Sehnsucht”, la condizione dell’animo
romantico per eccellenza, quell’aspirazione che si spinge verso l’oltre, quel desiderio
di conoscere l’inconoscibile e di spingersi verso traguardi sempre nuovi.
Gli autori scelti per questa breve antologia sono Novalis e Eichendorff, grandi
personalità romantiche nell’ambito della produzione poetica, mentre gli altrettanto
importanti Ludwick Tieck e i fratelli Grimm ci introdurranno al mondo vasto e
fantastico delle fiabe.
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NOVALIS pseudonimo di GEORG FRIEDRICH
PHILIPP FREIHERR VON HARDENBERG
Nacque in Sassonia, a Schloss Oberwiederstedt, nel 1772.
Era il primo dei sette maschi e il secondo degli undici figli del barone Erasmus. Solo
uno dei figli sopravvisse ai genitori; Uno annegò a tredici anni, gli altri, compreso
Friedrich, si spensero tisici tra i venti e i trent’anni d’età.
L’educazione impartita in casa dai genitori era severamente pietistica.
Fin dalla più tenera età Novalis dimostrò una notevolissima vivacità intellettuale,
caratterizzata da una profonda originalità e da una grande capacità d’immaginazione.
Frequentò con successo il ginnasio e poi proseguì gli studi iscrivendosi alla facoltà di
giurisprudenza a Jena.
Trasferitosi a Lipsia frequentò corsi di matematica e filosofia. E’ durante questo
periodo che incontrò Friedrich Schlegel, che così scriveva al fratello August Wilhelm:
“Il destino mi ha dato in mano un giovane, che può diventar tutto. E’ un uomo ancora
molto giovane di buona e agile complessione, dal viso delicato, con occhi neri che
assumono un’espressione magnifica quando parla con fuoco di qualcosa di bello –
con un fuoco indescrivibile – egli parla tre volte di più e tre volte più velocemente di
noi altri – rapidissima è la capacità di apprendere e la recettività”.
Nel 1794, durante un viaggio a Grüningen, Friedrich conobbe la famiglia Rockentien;
la figliastra del signor Rockentien, la quindicenne Sophie von Kühn, gli lasciò
un’impressione profondissima. “Un quarto d’ora ha deciso della mia vita”, scrisse
Friedrich al fratello.
Il 15 marzo 1785 Friedrich si fidanzò con Sophie von Kühn e iniziò a lavorare presso la
direzione delle saline di Weissenfels. Di questo periodo è anche l’incontro,
fondamentale per la sua formazione, con il filosofo Fichte.
L’anno successivo, il 19 marzo 1797, Sophie, già gravemente ammalata e sottoposta a
più interventi, morì. Friedrich non era presente né alla morte né ai funerali. Il 18
aprile iniziò a tenere un diario la cui stesura si protrasse fino al 6 luglio. Tra le visite
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alla tomba di Sophie quella del 13 maggio dà luogo a una vera e propria esperienza
mistica, che sarà artisticamente rielaborata nel terzo degli Inni alla Notte.
Nel 1798 ebbe inizio la sua collaborazione con la rivista Athenäum. Per la prima volta
usò lo pseudonimo Novalis, dal latino “terreno da coltivare”.
Iniziò, da questo momento, la sua ampia produzione di poesie, epigrammi,
meditazioni sulla religione e riflessioni sulla sua vita.
Nel 1799 conobbe Ludwig Tieck: è una delle amicizie decisive per la sua vita e la sua
opera. Tieck, insieme a Schlegel, sarà il curatore delle tante opere che Novalis lascerà
frammentarie e che saranno pubblicate postume.
In quegli anni l’attività lavorativa di Friedrich presso l’amministrazione delle miniere
della Sassonia era instancabile – di lui si diceva che “possiede eccellenti disposizioni e
il suo impegno è infaticabile” – e altrettanto instancabile era la sua produzione
letteraria alla quale affiancava studi di scienze naturali, medicina, religione e poesia.
Nell’autunno del 1800 il suo stato di salute cominciò a peggiorare: la tubercolosi si
era acutizzata.
A Dresda, dove si era trasferito e dove riceveva visite regolari da parte del fratello
Karl e del padre, trascorse l’ultimo periodo della sua vita prima di ritornare nella casa
paterna di Weißenfeld, dove morì il 25 marzo 1801, assistito dal fratello Karl e
dall’amico Friedrich Schlegel.
Le sue opere principali sono:
 Inni alla Notte (1797, 1800)
 Pòllini (1798)
 I Discepoli di Sais (1798-1799)
 La Cristianità o l’Europa (1799)
 Canti Spirituali (1799)
 Discorsi sulla Religione (1800)
 Heinrich von Ofterdingen (1798-1802)
Inni alla Notte
Oggi analizzeremo uno degli Inni alla Notte, che costituiscono l’unico ciclo di poesia
compiuto, pubblicato durante la vita di Novalis.
La concezione e la composizione del “lungo poema”, suddiviso in sei parti, cadono tra
due date incontrovertibili: il 19 marzo 1797, giorno della morte della giovanissima
fidanzata Sophie, e il 31 gennaio 1800, giorno dell’invio del manoscritto a Friedrich
Schlegel.
Gli Inni alla Notte sono un poema in prosa ritmica e in versi, suddiviso in sei parti
disuguali, che hanno come punto di partenza un’esperienza personale
profondamente e drammaticamente vissuta.
Il nucleo dell’esperienza è la morte della quindicenne fidanzata del poeta, dopo una
dolorosa malattia come precedentemente accennato; gli Inni sono l’immagine
artisticamente rielaborata dell’evoluzione subita da Novalis nello spirito, nel
pensiero, nella poesia, dalla scomparsa di Sophie sino quasi alla vigilia della propria
morte. Non si può affermare che Novalis sia diventato poeta a seguito di quel triste
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evento; il suo ingegno aveva già dato prova di grande capacità di assimilazione e di
originale rielaborazione, si era applicato alla ricerca filosofica e alla ricerca scientifica
sin dagli anni precedenti il suo ingresso all’università. E’ incontestabile, però, che
l’esperienza dolorosa del marzo 1797, rafforzata anche dalla scomparsa, a tre
settimane di distanza, del fratello Erasmus di due anni minore di lui, compagno di
università e confidente prediletto, diede alla potenzialità del suo spirito una direzione
ben precisa.
Nei giorni che seguirono la morte di Sophie, il poeta tenne un diario, dal 24 aprile
sino al 6 luglio, scrivendo accanto a ogni data il computo dei giorni dalla scomparsa
della giovane. Leggendolo, cogliamo l’atteggiamento dello spirito del poeta nella vita
reale: il centro dei suoi pensieri in quel periodo era costituito dalla certezza della vita
oltre la tomba e del ricongiungimento con la scomparsa nell’aldilà; l’unico conforto
risiedeva nella speranza di seguirla presto nell’altro mondo.
La data del 13 maggio 1797 riveste un’importanza essenziale: è il giorno in cui
Novalis, recatosi alla tomba della giovinetta, passa attraverso un’esperienza spirituale
di straordinaria intensità. Queste le parole del diario:
“La sera andai da Sophie. Qui mi sentii indescrivibilmente lieto,
lampeggianti momenti di entusiasmo,
soffiai via la tomba avanti a me, come polvere
secoli e momenti erano la stessa cosa
la sua vicinanza era sensibile
io credevo che da un momento all’altro dovesse apparirmi…”
Non una visione vera e propria quindi, ma qualcosa di più: la sensazione che il tempo
e lo spazio fossero aboliti, la sensazione del superamento della soglia tra mondo
visibile e mondo invisibile, dell’entrata in un’altra dimensione che può dare a chi vi
partecipa la misura dell’illusorietà della vita materiale. Le parole del diario hanno un
riscontro preciso nel III Inno e quindi possono essere considerate il germe
dell’interno poema.
Prima di passare alla lettura dell’Inno, occorre sottolineare anche che il III Inno in
particolare, ma anche tutti gli altri cinque che compongono l’opera, esprimono quella
Sehnsucht romantica verso un mondo che sta al di là del mondo stesso, verso
l’Eternità. L’immagine della notte, che spesso appare in contrapposizione a quella del
giorno, diventa il simbolo del mistero, il simbolo della morte come annullamento di
tutte le frontiere, di tutti i limiti.
Inoltre l’immagine di Sophie, l’immagine della donna ideale del poeta, da fine
diventa mezzo: se da principio il poeta aspetta con desiderio la morte per
ricongiungersi a lei, in seguito lei diventa l’intermediaria che lo condurrà a Cristo e
attraverso la morte lo farà entrare nella casa del Padre, quindi un mezzo per
raggiungere l’Infinito.
Il poeta giunge definitivamente alla certezza dell’esistenza di un’altra vita attraverso
l’amore e la visione dei “tratti trasfigurati” dell’amata morta; per un attimo è
sollevato nel regno della notte. Il legame della nascita si rompe ed egli prova
indicibile gioia. La traccia duratura di questa esperienza è la fede nella notte e nel suo
sole, l’amata. Attraverso l’esperienza, sia pure istantanea, della rinascita il poeta
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sente di appartenere ormai al mondo del giorno e a quello della notte, a quello del
finito e a quello dell’Infinito.
Gli altri cinque inni ruotano attorno a questo nucleo centrale, sono complementari a
esso e in qualche modo lo completano.
Nel I Inno viene mostrato il rapporto dialettico tra notte e giorno, tra oscurità e luce,
e quindi tra morte e vita. La luce è “il re della natura umana”, ma il poeta, colpito
dalla morte della persona cara, fa l’esperienza della notte intesa come Infinito.
Nel II Inno si sottolinea come tramite l’amore e la fede sia possibile, anche nel regno
della Luce, quindi nel mondo finito, entrare in contatto con la notte e quindi con
l’Infinito.
Nel IV Inno il poeta è presentato come annunciatore del legame che esiste tra il
mondo della luce e quello della notte. Tutto quello che il giorno può offrire è poca
cosa rispetto alle beatitudini del regno della notte.
Nel V Inno la vicenda luce-notte si storicizza nella presentazione del mondo antico,
pagano, e del mondo vivificato dalla presenza del mediatore divino, Cristo. Novalis
descrive il cammino attraverso il quale l’umanità arriva a comprendere il significato
della vita e della morte e a vincerne il terrore.
Il VI Inno, che porta il titolo Desiderio di Morte, esprime la gioia per la morte, per il
raggiungimento del Regno dei Cieli visto come culmine della storia dell’umanità e
come il fine di ogni individuo. Il poeta varca le porte dell’eternità accompagnato
dall’amata e da Cristo.
Ecco il testo del III Inno:
Un giorno che versavo amare lacrime, che la mia speranza si dileguava dissolta in
dolore, e io stavo solitario vicino all’arido tumulo, che nascondeva in angusto oscuro
spazio la forma della mia vita – solitario, come non era mai stato nessuno, incalzato
da un’angoscia indicibile – senza forse, non più che l’essenza stessa della miseria.
Come mi guardavo attorno in cerca d’aiuto, non potevo proseguire né arretrare, e mi
aggrappavo alla vita sfuggente, spenta, con nostalgia infinita – allora venne dalle
azzurre lontananze: – dalle alture della mia beatitudine un brivido crepuscolare – e
d’un tratto si spezzò il cordone della nascita, il vincolo della luce. Si dileguò la
magnificenza terrestre e il mio cordoglio con essa – confluì la malinconia in un nuovo
imperscrutabile mondo – tu estasi della notte, sopore del cielo ti posasti su di me – la
contrada si sollevò poco poco; sopra la contrada aleggiava il mio spirito sgravato e
rigenerato. Il tumulo divenne una nube di polvere – attraverso la nube vidi i tratti
trasfigurati dell’amata. Nei suoi occhi era adagiata l’eternità – io afferrai le sue mani
e le lacrime divennero un legame scintillante non lacerabile. Millenni dileguarono in
lontananza, come uragani. Al suo collo piansi lacrime d’estasi per la nuova vita. – Fu il
primo, unico sogno – e solo d’allora sentii eterna, inalterabile fede nel cielo della
notte e nella sua luce, l’amata.
Novalis ha utilizzato il suo grande genio romantico non solo per la stesura di poesie
che hanno rappresentato l’apice della produzione letteraria romantica. La sua
grandezza è anche ampiamente dimostrata da un’altra opera fondamentale per la
comprensione del suo pensiero e di tutto il Romanticismo tedesco, il romanzo
Heinrich von Ofterdingen, pubblicato postumo nel 1802.
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Si tratta di un “Bildungsroman”, cioè di un romanzo di formazione, quel genere
letterario riguardante l’evoluzione del protagonista verso la maturazione e l’età
adulta.
Il romanzo – di cui solo la prima parte è completa, della seconda esiste solo il capitolo
iniziale – è ambientato nell’Alto Medioevo e nelle intenzioni del protagonista doveva
essere un vero “lavoro romantico”, vale a dire la ricerca di un’unità tra tutte le
contraddizioni presenti nel mondo.
Nella prima parte, Heinrich, il protagonista, inizia un viaggio che lo porterà a
conoscere, tramite racconti e dialoghi, il senso della sua stessa vita e del suo tempo:
il mondo delle esperienze della mitica preistoria, dell’Oriente e della guerra, ma
anche della natura e della storia che gli appaiono via via sempre più attuali. Tutte
queste conoscenze contribuiscono a “plasmare le forze interne” che dispiegano lo
“spirito della poesia”. E’ in questo romanzo che appare l’immagine del “fiore azzurro”
tanto cara ai romantici. Il “fiore azzurro” è simbolo d’ispirazione, rappresenta
l’amore, il desiderio e la Sehnsucht, l’anelito verso ciò che è irraggiungibile.
Ecco un breve riassunto della storia: Il giovane Heinrich vede in sogno il volto di una
fanciulla e l’immagine di un fiore azzurro. Queste due visioni permettono a Heinrich
di comprendere qual è lo scopo della sua vita: perseguire l’amore e la poesia. Guidato
da questa visione e da un suo presentimento, Heinrich inizia un viaggio che lo
porterà a conoscere il senso della sua vita e del suo tempo.
Giunto alla fine del viaggio, il protagonista conosce il poeta Klingshor e la figlia
Mathilde. Klingshor gli fa comprendere l’essenza della poesia e Mathilde, nella quale
Heinrich riconosce il volto della fanciulla che gli era apparso in sogno, gli fa conoscere
l’amore. La fiaba che Klingshor racconta alla fine della prima parte, introduce alla
seconda parte incompiuta, che, con il definitivo annullamento dei confini tra realtà e
sogno, doveva assumere essa stessa un carattere fiabesco.
Il romanzo termina con l’inizio della seconda parte. Novalis non ebbe tempo di
completare la sua opera.
Qui di seguito è riportato un breve stralcio del racconto del sogno del giovane
Heinrich:
… Gli sembrò di vagare da solo nel buio di un bosco. Solo raramente la luce si
insinuava attraverso la fitta rete verde. Ben presto giunse a una rupe scoscesa:
dovette arrampicarsi su massi muschiosi, trascinati da un’antica frana. Quanto piu
saliva, tanto piu il bosco diradava e si rischiarava. Infine giunse a un piccolo prato,
sulla pendenza della montagna. Dietro il prato si ergeva un ‘alta roccia, ai piedi della
quale egli scorse una piccola apertura, come l’inizio di un percorso scavato nella
roccia. Il percorso lo condusse sempre piu avanti, fino a un ampio spiazzo, dove gli
venne incontro da lontano una luce chiara[...].
Gli sembrò che una nuvola del tramonto lo avvolgesse: una sensazione celeste inondò
il suo animo; con intima voluttà innumerevoli pensieri tesero a fondersi in lui; sorsero
immagini nuove, mai viste, e anch’esse confluirono e divennero in lui presenze reali...
Ma ciò che lo attrasse con maggiore intensità era un fiore di un blu luminoso, che
sorgeva vicino alla fonte, e lo sfiorava con le sue foglie ampie e splendenti.
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Tutt’intorno vi erano innumeri fiori di tutti i colori, e un profumo prezioso si spandeva
nell’aria. Ma egli non vide che il fiore blu, e lo contemplò lungamente, con indicibile
tenerezza. Infine pensò di avvicinarsi a lui, ma improvvisamente il fiore cominciò a
muoversi e a mutare: le foglie si fecero ancor piu splendenti e si strinsero agli steli
crescenti; il fiore si protese verso di lui, e i petali mostrarono un ampio colletto, nel
quale fluttuava un volto delicato[...]
“Non i tesori hanno risvegliato in me un desiderio così indicibile”, disse a se stesso:
“lungi da me è ogni cupidigia: ma bramo vedere il fiore blu. Incessantemente occupa
il mio pensiero [...]. Mai mi sono sentito così: è come se avessi sognato, o fossi
scivolato nel sonno in un altro mondo; giacché nel mondo in cui vivo chi si sarebbe
occupato di fiori? E di una simile passione per un fiore non ho mai sentito dire...”
Cerco il fiore blu,
lo cerco e mai lo trovo,
e sogno che in quel fiore
fiorisce la mia buona sorte.
Con la mia arpa vago
per paesi, città, campagne
per ritrovare in qualche luogo
il fiore blu da rimirare.
Vago da molto tempo,
a lungo ho sperato, fidato,
ma ahimè, in nessun luogo mai
il fiore blu ritrovai.
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JOSEPH FREIHERR VON EICHENDORFF
Eichendorff nacque in Alta Sassonia nel 1788 e morì in Slesia nel 1857.
Studiò legge a Halle e a Heidelberg dove pubblicò i suoi primi versi e dove entrò in
contatto con Fichte, Clemens Brentano, Achim von Arnim.
Allo scoppio della guerra prussiana di liberazione nel 1813, Eichendorff si arruolò e
combatté contro Napoleone.
Le guerre napoleoniche, che furono la causa del declino della sua famiglia e della
perdita del castello nel quale era nato, sono la fonte di quella nostalgia che traspare
nella sua poesia.
Dopo la guerra lavorò nel servizio civile prussiano a Danzica e a Königsberg e, dopo il
1831, a Berlino.
Nel 1844 si ritirò dal servizio civile per dedicarsi completamente alla scrittura,
pubblicando la sua storia della letteratura tedesca e diverse traduzioni di autori
spagnoli.
La formazione di Eichendorff è stata tipicamente romantica con l’usuale
peregrinazione nella natura: la Wanderung ha luogo nello Harz e il diario del poeta
appena ventenne conserva squarci notturni di minaccia e seduzione:
Dai dintorni ci fissava una notte illimitata e spaventosa, nere nubi s’incrociavano in
basso con furia selvaggia, da remote lontane voragini saliva gemendo una gelida
tremenda tempesta. A tratti l’uragano lacerava il cupo manto di nuvole sopra di noi:
ed ecco che risplendeva improvvisa la luna, con luminoso bagliore nel cielo,
rischiarando per un secondo con fioca luce la spoglia solitudine.
Qui si ritrovano i motivi caratteristi
ci di Eichendorff studente: un Io in posizione
centrale, un paesaggio renano che diventa esperienza interiore, immersa nello
scenario romantico; il mulino, le rovine, cascate d’acqua e sentieri solitari, elementi
che costituiranno anche la base per il suo primo romanzo, Presentimento e presente.
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Nel 1806 Eichendorff si trasferisce a Heidelberg per proseguire gli studi iniziati a Halle
ed entra nella cerchia dei coetanei romantici che celebrano la memoria di Novalis,
scomparso nel 1801. La nuova parola d’ordine è “Novalisieren!”, il Romanticismo
visto quindi come forma di vita oltre che movimento prettamente letterario.
Nascono poi i primi amori e le prime poesie, tra le altre L’anellino infranto che sarà
musicata da Friedrich Glück.
Ecco il testo della ballata:
In una fresca gola,
là gira la ruota di un mulino,
scomparsa è la mia bella
che vi abitava.
Mi aveva giurato fedeltà,
un anellino mi aveva dato,
poi mancò di parola,
e l’anellino s’infranse.
Come mi piacerebbe viaggiare per il mondo
suonando e cantando le mie ballate, andando di casa in casa.
Come mi piacerebbe avventarmi a cavallo
nella sanguinosa battaglia,
bivaccare intorno al fuoco sul campo nell’oscura notte.
Ma come sento il cigolìo di quella ruota non so più cosa voglio —
soprattutto mi piacerebbe morire, allora vi sarebbe pace.
Nella realtà la donna amata da Eichendorff – il poeta aveva rifiutato un matrimonio
d’interesse consigliatogli dal padre in bancarotta – è Luise von Larisch che sposerà
nel 1815.
Dopo Heidelberg è la volta di Berlino. Eichendorff vi si trasferisce e incontra
personaggi importanti della letteratura romantica: Clemens Brentano e Achim von
Arnim, tra gli altri, e partecipa alle cosiddette “serate estetiche” organizzate dal
redattore della rivista Phöebus, von Kleist.
Poi passa a Vienna, dove prosegue gli studi di legge ma frequenta assiduamente
anche le lezioni di storia letteraria di Friedrich Schlegel. Siamo nel 1811 ed ecco uno
spaccato della società intellettuale in cui è introdotto Eichendorff:
“La prima lezione di Friedrich Schlegel nella sala da ballo imperiale: Lui, tutto in nero
fino alle scarpe, legge su una pedana dietro a un tavolino. Profumo di legna che arde
nel camino. Grande pubblico. Davanti, la cerchia delle dame, la principessa
Liechtenstein con le sue principesse, Lichnovský e altri. Ventinove principi. Sotto, un
gran scalpitare di carrozze. Come a un ballo. Molto chic.”
Rapidamente il poeta familiarizza con i salotti romantici, tanto che sarà Dorothea
Schlegel, figlia del filosofo Moses Mendelssohn e moglie di Friedrich, a correggere e
persino a suggerire il titolo del romanzo d’esordio di Eichendorff Ahnung und
Gegenwart (1813). Un dato, questo, che richiama l’integrazione in quegli anni di
svariati intellettuali ebrei nella comunità berlinese.
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Il romanzo rispecchia lo spirito del tempo. La guerra dilaga ovunque sullo sfondo di
castelli incendiati e determina il destino dei personaggi. Nella narrazione ritroviamo
impulsi, immagini e sequenze della poesia di Eichendorff: la partenza, l’inoltrarsi
solitario nella foresta, il corno da caccia e il capriolo in pericolo, il dolore e la
nostalgia di morte. Anche l’accendersi di passioni sfrenate che caratterizza un po’
tutta la produzione romantica. Si tratta di una prosa animata da intermezzi poetici
quale la composizione Zwielicht - Crepuscolo, il decimo del Liederkreis Op. 39 di
Schumann:
Il crepuscolo dispiega le ali,
in un tremito si muovono gli alberi,
nubi corrono come sogni grevi
perché questa angoscia?
Se un capriolo ti è più caro degli altri,
non lasciarlo pascolare da solo,
i cacciatori nella foresta suonano il corno,
voci vanno e vengono.
Se quaggiù hai un amico,
non fidarti di lui in quest’ora,
amabile egli di sguardo e parola, medita guerra in pace infida.
Quel che oggi stanco declina,
domani sorge rinato.
Qualcosa si perde nella notte
stai in guardia, sii vigile e desto!
I simboli, tanto cari ai romantici, sono presenti in questa poesia ad esempio
nell’utilizzo dell’immagine del crepuscolo, l’ora del non più e non ancora, il tempo
dell’irreale, dell’inquietudine. L’incipit evoca un senso di minaccia – Schumann aprirà
con un attacco a due voci del pianoforte, chiudendo muto di musica.
La natura della prima strofa è caratterizzata da lugubri alberi, da nubi come sogni
grevi: che significa quest’orrore? Il capriolo, che in alcune poesie è usato come
simbolo dell’oggetto amato, è in pericolo, intorno si ode un soffiare del vento, un
vociare di cacciatori. È l’ora dei tradimenti. La luce incerta, l’amico infido. Poi lo
stacco dell’ultima strofa: il mattino rigenera le forze, ma qualcosa, la notte, è andato
perduto o forse affiora ancora nel respiro del tempo diurno.
Ora un breve accenno alle altre opere di Eichendorff. La sua prosa più nota è
indubbiamente Aus dem Leben eines Taugenichts (Dalla vita di un fannullone),
iniziato nel 1817 ma pubblicato nel 1826. Ritroviamo qui il tema del Viandante: un
protagonista che vaga nel mondo con il suo violino, quasi a rappresentare
“l’incarnazione dell’inquieta anima tedesca”, noterà Theodor Fontane, l’autore delle
Peregrinazioni attraverso la Marca del Brandeburgo del 1862.
L’ultimo romanzo Dichter und ihre Gesellen – I poeti e i loro compagni – scritto nel
1834, alterna prosa e versi. Degno di nota all’interno del romanzo è la poesia
Sehnsucht, un testo molto noto, spesso inserito nelle antologie scolastiche tedesche,
che condensa diversi motivi della poesia di Eichendorff.
Nell’incipit il poeta, solo alla finestra in una notte “dorata di stelle”, sente il suono
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lontano del corno e il canto di due giovani viandanti. Il paesaggio evocato richiama
elementi di uno scenario italiano e tuttavia nel testo risuona inequivocabile la cifra
segreta e notturna della poesia di Eichendorff:
Splendevano d’oro le stelle,
alla finestra io da solo
udivo in lontananza
il corno del postiglione nella campagna quieta.
Bruciava in petto il mio cuore,
nell’intimo allora ho pensato:
chi mai può viaggiare nella grande notte estiva?
Due giovani avanzavano
Lungo il pendio del monte,
li udivo cantare andando
per la silente contrada:
di vertiginose gole rupestri,
dove i boschi stormiscono piano,
di sorgenti che dalle fessure
si precipitano nelle tenebre del bosco.
Cantavano figure di marmo,
giardini, che sulle rocce
inselvatichiscono in fogliame indistinto,
palazzi al chiarore della luna,
alle finestre fanciulle in ascolto,
quando il suono dei liuti si desta
e le fontane sonnolente mormorano
nella grande notte estiva.
Come già accennato, l’opera poetica di Eichendorff è stata di grande ispirazione per
molti musicisti suoi contemporanei, tra tutti Schumann che nel 1840 ha composto un
ciclo di Lieder per voce e pianoforte. La più famosa di tutte è Mondnacht – Notte di
luna – poesia definita da Thomas Mann come “la perla tra le perle”.
Era come se il cielo avesse
baciato silenzioso la terra,
e questa in uno scintillio di fiori
dovesse ora sognarlo.
La brezza spirava sui campi,
miti ondeggiavano le spighe,
i boschi stormivano lievi,
tanto chiara di stelle era la notte.
E la mia anima distese
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larghe le ali,
volando per silenti terre,
come se volasse verso casa.
Strutturalmente questa poesia è costituita da tre strofe di quattro versi ciascuno e da
rime alternate. Anche i tempi verbali presenti nell’originale in lingua tedesca –
congiuntivo, indicativo e chiusa onirica in congiuntivo di nuovo – contribuiscono a
creare una dinamica interna ben strutturata.
Sullo spartito di Schumann relativo a questa quinta canzone si legge l’indicazione di
esecuzione: tenero, segreto. E’, infatti, tenue e segreto il respiro di questa notte di
luna in cui, come nelle antiche cosmogonie, il cielo scende a baciare la terra,
costituendo una sorta di unità.
La poesia inizia con un’immagine onirica, una sorta di sogno in cui l’autore vede il
cielo piegarsi sulla terra e baciarla. Si passa poi a un’immagine descrittiva della
natura, alla presentazione reale di fenomeni quali la brezza che muove le fronde degli
alberi e le spighe nei campi e l’autore si pone nella posizione dell’osservatore della
notte e della natura in questa fase, per passare poi, nell’ultima strofa, a mettere in
comunicazione il suo Io con l’abbandono della Terra per volare verso una libertà
piena.
In tutta la composizione si denota un’armonia di fondo, in particolare tra la prima e la
terza strofa si riconosce una relazione tra l’autore e il sogno.
Il linguaggio usato è ricco di simboli. La notte riveste una grande importanza per i
romantici. L’oscurità rappresenta per l’uomo l’impossibilità di fare qualunque cosa,
l’impossibilità di muoversi e di orientarsi, ma la luna in questa notte fornisce un
mezzo di orientamento e permette di vedere ogni cosa sotto una luce diversa
rispetto a quella del giorno. Il Cielo può essere considerato il simbolo di ciò che è
ultraterreno e non visibile, contrapposto alla Terra, simbolo di realtà e di secolarità.
L’unione di questi due elementi – Cielo e Terra – porta al raggiungimento di
un’armonia e attraverso quest’armonia la Terra è trasformata in sogno. Chi riesce a
riconoscere tutto ciò si lascia stupire e incantare, in pratica è pronto per l’Aldilà.
Nell’ultima strofa l’anima del poeta si libera, lascia la Terra e vola “verso casa”, una
metafora che rappresenta il viaggio verso il paradiso.
Quindi per Eichendorff, così come per tutti i romantici, la vera vita inizia dopo la
morte, quando l’anima si è liberata da tutto ciò che è terreno. Ne consegue che la
vita terrena sia solo una fase di transizione, la vera patria, la “casa” è il cielo, così
come molte religioni cristiane e non cristiane insegnano.
Ora abbandoniamo la poesia per volgere la nostra attenzione verso un altro genere
letterario molto apprezzato dai romantici: la fiaba.
Il bisogno di superare la realtà e di accedere alla magica dimensione del favoloso è
vecchio quanto l’umanità. Già nell’antichità i racconti fantastici hanno segnato
l’immaginario collettivo, si pensi alle vicende di Polifemo, alla maga Circe, oppure la
fiaba di Amore e Psiche per citare solo alcuni esempi.
Altrettanto antiche sono le storie fantastiche di carattere popolare che hanno la loro
culla in Oriente, ma raggiungono la fantasia occidentale già molto tempo prima delle
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crociate. A partire dall’Umanesimo nascono, poi, in Europa le prime vere raccolte di
fiabe: si pensi a Le tredici piacevoli notti (1550) di Straparola o a Il Pentamerone
(1674) di Basile e avanti fino ai Racconti del mare (1697) di Pérrault che fissano per
iscritto una serie di storie fantastiche di matrice popolare, fino ad allora note solo per
trasmissione orale. All'inizio del Settecento poi, con le varie traduzioni de Le Mille e
una notte, il fiabesco mondo dell'Oriente finisce per mescolarsi con le diverse
tradizioni orali europee – celtica, slava, scandinava – diventando inesauribile fonte
d'ispirazione per le fiabe moderne.
Ed eccoci giunti all’epoca romantica in Germania.
I romantici, in risposta ai freddi canoni del razionalismo, trovarono nella fiaba il
mezzo per esaltare al massimo grado il regno della libera fantasia, della soggettività
dilatata all'infinito, capace di superare la concretezza del reale in voli immaginari
sfuggenti agli schemi della coerenza razionale.
Furono loro a portare la fiaba ai massimi livelli di dignità letteraria, identificandola
con l’essenza stessa della poesia.
Il termine tedesco Märchen - fiaba - è la forma diminutiva del sostantivo medio-altotedesco Mär, che significava originariamente “notizia”, “annuncio”, vale a dire breve
comunicazione in prosa accompagnata da musica. Solo a partire dal XIII secolo la
parola ha subito diverse successive trasformazioni semantiche, fino ad assumere il
significato che ancor oggi le viene attribuito, cioè di breve composizione in prosa i cui
caratteri peculiari si possono riassumere sinteticamente negli elementi dello
stupefacente e del fantastico.
I Romantici ebbero dunque una particolare predilezione per la fiaba, che in effetti,
dopo la poesia, fu il genere da loro più amato. A questo tipo di componimento
fantastico essi riconobbero molti meriti.
Novalis, tentando una definizione poetica della fiaba, scrisse:
“In una fiaba autentica tutto deve essere meraviglioso e arcano, privo di nessi logici e
animato ... L'intera natura vi deve essere mescolata in modo prodigioso con l'intero
mondo degli spiriti. Il mondo della fiaba è il mondo assolutamente opposto al mondo
della realtà, della storia - e proprio per questo a esso molto affine, come lo è il caos al
cosmo... La fiaba è nel contempo il canone della poesia - tutto ciò che è poetico deve
essere favoloso.”
Oltre a concedere l'evasione in un mondo di totale libertà fantastica ed esaltare la
dimensione della semplicità e della spontaneità – tanto care ai romantici in risposta
ai complicati intellettualistici sistemi di pensiero dell'Illuminismo – la fiaba, intesa
come fiaba popolare, in tedesco Volksmärchen, permetteva anche di recuperare e
dare nuova vita a un patrimonio di tradizioni autoctone, che era stato
progressivamente sempre più trascurato e liquidato solo come semi-letterario, che
non aveva certo favorito l'interesse per le espressioni di una cultura più
autenticamente popolare.
Il periodo romantico, che in Germania corrispose all’incirca con l'era napoleonica,
coincise quindi politicamente con l'epoca delle grandi lotte per l’indipendenza, in cui
ogni singola nazione tentava di imporre la propria autonomia e di sganciarsi
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dall'asservimento agli stranieri.
I Tedeschi si opposero, nello specifico, ai Francesi e lo fecero anche rifiutando i loro
modelli culturali e cercando invece di recuperare e di imporre la propria tradizione
nazionale.
Intento preciso della generazione romantica fu così quello di salvare e riproporre il
patrimonio culturale autoctono. Questa mania di riscoprire e collezionare le
espressioni autentiche del passato investì tutti i generi letterari. Per quanto riguarda
in particolare le Märchen, i primi sforzi per riunire in un volume fiabe di origine
popolare in lingua tedesca si ebbero già nel tardo Settecento, ma la prima autentica
cospicua raccolta è senza dubbio quella fatta dai fratelli Jakob (1785-1863) e Wilhelm
(1786-1859) Grimm con la loro voluminosa opera Kinder und Hausmärchen – Fiabe
per bambini e del focolare – dove finalmente trova codificazione scritta una lunga
serie di racconti della tradizione popolare germanica, trasmessi fino a quel momento
solo oralmente, di generazione in generazione.
I Grimm sostennero strenuamente l’aspetto ingenuo delle loro fiabe, dichiarando di
averle trascritte così come le avevano sentite narrare nel corso della loro ricerca.
Durante gli anni settanta del Novecento fu invece dimostrato sulla base dei
manoscritti che gli interventi esornativi dei Grimm erano stati molto più cospicui di
quanto i due fratelli avessero sempre affermato. I Grimm cioè, pur partendo da un
patrimonio tramandato oralmente, riadattarono, abbellirono, allungarono le fiabe
che avevano raccolto, elevandole a un ottimo livello letterario.
Nelle Märchen cade la netta divisione fra mondo della realtà e mondo della fantasia
che convivono e s’intrecciano di continuo. I portenti sono all’ordine del giorno e
creature umane e animali s’intendono parlando la stessa lingua. Nulla è impossibile
in questa realtà, dove le leggi di natura sono sospese, come pure cessa una vera
connotazione temporale e topografica.
“Es war einmal” – c’era una volta – così inizia sempre una fiaba che racconta di
qualcosa che non si sa bene né dove né quando sia capitato. Per questo anche i
personaggi delle Märchen hanno nomi che nella maggioranza dei casi non sono veri
nomi propri, ma sostantivi che li caratterizzano per il loro aspetto esteriore, ad
esempio
Schneewittchen-Biancaneve,
Rotkäppchen-Cappuccetto
rosso,
Aschenputtel-Cenerentola, per la casta sociale o la classe d’età di appartenenza
König-re, Prinz-principe, Prinzessin-principessa, Bauer-contadino, Bürger-cittadino,
Edelmann-nobiluomo, oppure Kind-bambino, Mann-uomo, Vater-padre, Stiefmuttermatrigna, Fee-fata. Nonostante i molti elementi inquietanti che può contenere – ci
sono sempre situazioni conflittuali, lotte da combattere, intrighi da sventare –, la
fiaba è sostenuta sempre da un grande ottimismo: nel suo mondo il bene trionfa e il
male viene condannato. Alla fine insomma si ripristina un ordine in cui tutti ritornano
a vivere felici e contenti. Non solo: non di rado migliorano la loro condizione sociale e
da poveri diventano ricchi, da umili salgono ai massimi ranghi nobiliari.
Accanto, però, alle fiabe ispirate alla tradizione popolare, i romantici amarono
inventare fiabe nuove, dove potevano confluire numerosissimi spunti diversi e dove
la fantasia dell'autore trovava spazi di libertà totale. Questo secondo genere di fiaba,
prodotto d’arte e perciò definita Kunstmärchen – fiaba d’arte – ebbe successo presso
tutti i romantici perché offriva la possibilità di realizzare in concreto il principio
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poetico di base di questo movimento letterario, principio formulato da Friedrich
Schlegel, secondo cui la poesia romantica doveva essere una poesia "universale
progressiva".
La fiaba romantica, come ogni opera prodotta secondo questa nuova sensibilità,
voleva essere sempre espressione di sentimenti in costante evoluzione, ma anche
totalizzanti e assoluti. Ecco perché i romantici tendevano a dilatare infinitamente la
forma, a frantumare la rigida, classica separazione dei generi, che invece assai spesso
erano fusi e confusi; così spesso nelle fiabe venivano inserite canzoni in rima, mentre
le fiabe, a loro volta, essendo in genere piuttosto brevi, venivano disseminate
all’interno di opere di più ampio respiro.
La fiaba, come gli altri generi coltivati dai romantici, doveva essere espressione di
quell'anelito vago e indefinibile, concentrato tutto in un'unica parola: “Sehnsucht”,
che è brama irresistibile, tensione incoercibile, desiderio del desiderio. Per questo i
romantici vivevano in uno stato di spasimo costante, sempre alla ricerca di qualcosa
che appartenesse alle categorie dell'Assoluto, come la poesia in sé o il Divino, ma che
in ultima analisi restava sempre avvolto nel mistero, irraggiungibile, anche se intuibile
e prevedibile soprattutto nella dimensione del sogno. Il sogno è onnipresente nelle
Künstmärchen e ha spesso carattere premonitore, è “Ahnung”, ossia presentimento,
altra parola chiave del Romanticismo.
Altro elemento sempre presente nelle fiabe d’arte è il bisogno di inoltrarsi in un
mondo lontano e sconosciuto, ricollegabile a un altro tema tipico di tutto il
romanticismo, ossia il “Wandern”, il viaggiare, o meglio il vagabondare, il vivere quasi
in un eterno pellegrinaggio, specchio dell'inquietudine esistenziale dell'uomo
romantico, perennemente insoddisfatto e quindi ininterrottamente in movimento, in
costante tensione nel perseguimento del suo ideale universale.
Dopo questa breve introduzione alla fiaba in generale ci occupiamo ora di due
importanti autori romantici che hanno eletto questo genere letterario a loro mezzo
d’espressione preferito: Ludwig Tieck e i fratelli Grimm.
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JOHANN LUDWIG TIECK
Johann Ludwig Tieck nasce nel 1773 e muore nel 1853 a Berlino. Fin da giovanissimo
manifesta una notevole predisposizione per la lingua e la narrazione, scrivendo
racconti.
Studia filologia e letteratura presso le università di Halle, Göttingen ed Erlangen.
Culturalmente è attratto dalla novità, quindi sarà un grandissimo sostenitore e
promotore del nuovo movimento romantico, nel quale vede esaltare le emozioni
opponendole alla razionalità.
Nel 1798 si trasferisce a Jena, dove entra a far parte dello storico gruppo dei fratelli
Schlegel e dove incontrerà Fichte, Novalis e Schelling.
Il grande genio letterario di Tieck si rivela nelle novelle e soprattutto nelle fiabe
pubblicate in quegli anni come Il biondo Eckbert, Il fedele Eckart e la rivisitazione de Il
gatto con gli stivali, la favola di Perreault del 1797.
Nel 1817 inizia la collaborazione con Schlegel per la traduzione delle opere di
Shakespeare, di cui aveva approfondito la conoscenza con un soggiorno di due anni a
Londra.
L’autorevolezza universalmente riconosciutagli lo porta a far parte nel 1825 del
consiglio per il Teatro di Corte e, nel 1841, del consiglio di corte di Berlino per diretta
volontà del re Federico Guglielmo IV di Prussia.
Tra le sue fiabe più note e più apprezzate troviamo Il biondo Eckart.
Il tema elaborato da questa fiaba è quello degli amici che spesso inconsapevolmente
diventano estranei l’uno all’altro. Eckbert è colto dal sospetto contro i suoi amici
proprio nel momento di maggior fiducia e diventa perciò pazzo. Nella remota
contrada in cui vive con la moglie Berta, bionda e bella, è angosciato dal pensiero di
dover nascondere all’amico Walther un segreto, la storia della vita della moglie,
abbastanza strana, perché lui pensa che agli amici non si debba nascondere nulla. E
persuade Walther a chiedere a Berta di svelargli il suo passato. Subito dopo, però,
proprio quando la sua angoscia dovrebbe essere placata e si dovrebbe sentire più
vicino all’amico, è preso dal pentimento per aver lasciato entrare quell’uomo in tanta
intimità e incomincia a concepire sospetti, alimentati e accresciuti da misteriosi segni
che gettano dubbi nel suo animo. Walther diventa per lui un incubo, l’amicizia si
trasforma in odio, ed egli uccide l’amico. E poi è ossessionato, perseguitato dal
ricordo del passato, vede l’ucciso in altri e diventa pazzo.
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L’aspetto misterioso e fiabesco del racconto è dato dalla presenza di una vecchia, di
un cane, di un uccello e di alcune perle. La vecchia è tutt’uno con Walther e alla fine,
accentuando il tono enigmatico e misterioso, si ha la rivelazione che la moglie di
Eckbert, morta subito dopo aver raccontato la storia della sua vita a Walther, altri
non è che sua sorella.
Tieck amò molto le fiabe e dalla storia di Eckbert si evincono alcune tematiche
tipicamente romantiche: la natura, la Wanderung, ed elementi fantastici partoriti da
una fervida immaginazione alla quale ora è possibile dare libero sfogo.
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JAKOB E WILLHELM GRIMM
Jakob e Wilhelm Grimm nacquero ad Hanau, una cittadina a est di Francoforte sul
Meno, rispettivamente nel 1785 e nel 1786.
Jakob, professore di lettere antiche e bibliotecario a Gottinga, fu destituito per le sue
idee liberali, ma nel 1840 il re di Prussia, Federico Guglielmo IV, lo chiamò a Berlino
all'Accademia delle scienze; fu deputato a Francoforte. Anche Wilhelm insegnò
all'università di Gottinga e fu espulso e, come suo fratello, fu membro dell'Accademia
delle Scienze di Berlino. Il primo era serio e taciturno, il secondo sempre allegro e
socievole. Vissero insieme anche dopo il matrimonio di Jakob; Wilhelm morì quattro
anni prima del fratello, nel 1859.
La raccolta di fiabe dei Grimm è il libro più letto nel mondo dopo la Bibbia e ne
esistono infinite riduzioni e adattamenti. Grande fortuna ha avuto grazie al cinema,
che ha contribuito a diffonderne la conoscenza: la fiaba di Biancaneve e i sette nani
ispirò il primo lungometraggio in cartone animato di Walt Disney, nel 1937. Frau
Holle ‒ La signora della neve ha ispirato un film con Giulietta Masina nel 1985.
Hänsel e Gretel diventò un'opera lirica, con le musiche di Engelbert Humperdinck, nel
1894.
Ai fratelli Grimm va attribuito anche il grande merito di contribuire alla nascita di
un’identità germanica. Per perseguire questo scopo lavorarono alla compilazione di
un dizionario di tedesco, il Deutsches Wörterbuch, che fu un passo essenziale nella
definizione della lingua tedesca moderna, probabilmente il più importante dopo la
traduzione della Bibbia da parte di Martin Lutero. Il dizionario dei Grimm, in trentatré
volumi, è considerato ancora oggi la fonte più autorevole per l’etimologia dei
vocaboli tedeschi. Altro loro grande contributo alla cultura tedesca è stata la
compilazione di una Deutsche Grammatik, una grammatica tedesca che per molti
anni è rimasta un punto di riferimento essenziale per gli studiosi della materia.
Tornando al capolavoro dei Grimm – la raccolta di fiabe – è da sottolineare il fatto
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che, trattandosi di racconti raccolti durante le loro visite presso le case di contadini in
luoghi diversi della Germania, non presentano tematiche tipicamente romantiche. I
temi e i personaggi sono i più disparati, sono l’espressione di credenze e di tradizioni
che trovano le loro radici in un passato lontanissimo e che solo grazie alla grande
tenacia di Jacob e Wilhelm sono giunti fino a noi.
Oggi leggeremo tre fiabe che non rientrano tra quelle che normalmente si citano o
che fanno parte ormai della nostra tradizione – penso a Biancaneve, a Cappuccetto
Rosso, a Cenerentola, a Raperonzolo, tanto per citare le più note –, ma ci
concentreremo su tre titoli non particolarmente noti: La luna, La vecchierella e I tre
ramoscelli verdi.
Queste tre fiabe sono emblematiche per la magia che trasmettono e per le atmosfere
che colpiscono l’animo del lettore e sono la testimonianza più vera della necessità e
del desiderio - tipici di un particolare periodo storico come quello in cui si sviluppò il
Romanticismo - di riscoprire le proprie tradizioni per poter costruire un solido futuro.
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Bibliografia
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Campioni M., De Matteis P., Lesezeichen, Novara, 2009
Grimm J. e W., Fiabe, Milano, 1999
Mittner L., Storia della Letteratura Tedesca, Torino, 1985
Novalis, Inni alla Notte, Milano, 1982
Schlegel F., Frammenti critici e poetici, Torino, 1998
Tieck L., Novalis, Brentano C., Fiabe Romantiche, Torino, 1942