Vivere la Carità in parrocchia

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Vivere la Carità in parrocchia
DIOCESI DI REGGIO EMILIA E GUASTALLA
ASSEMBLEA DIOCESANA
CARITAS PARROCCHIALI
Sabato 2 ottobre 2004
SEMINARIO VESCOVILE - VIALE TIMAVO, 93
REGGIO EMILIA
Vivere la Carità in parrocchia
PREGHIERA
LETTURA DAL VANGELO DI LUCA (Lc. 5, 1-11)
In quel tempo Gesù, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret e la folla gli faceva
ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori
erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco
da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca». Simone
rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola
getterò le reti». E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.
Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e
riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al veder questo, Simon Pietro si
gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore».
Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che
avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù
disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini».
Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
COMMENTO AL VANGELO DI DON MATTEO MIONI
Testo tratto dalla registrazione, non rivisto dall’autore.
Ho scelto questo testo della pesca miracolosa nella versione di Luca per raccogliere alcuni
spunti che possono aiutare il lavoro di oggi anche la riflessione su cosa può significare vivere la
carità nella parrocchia. Non faccio un’esegesi stretta del testo, ma sottolineo soltanto alcuni punti
che, interpretati un po’ in una lettura spirituale, possano avere una ricaduta nelle vostre discussioni
nei gruppi.
Soltanto una parola di inquadratura del testo. Siamo agli inizi del ministero di Gesù; nel
Vangelo di Luca Gesù ha iniziato la sua attività pubblica e il primo aspetto sul quale Luca vuole
centrare l’attenzione è la parola che Gesù annuncia, la potenza della parola. E’ una parola che qui
abbiamo ascoltato, viene annunciata alle folle e attira le folle, e una parola che fonda la fiducia dei
discepoli e su quella parola faranno delle scelte forti, è una parola che chiama alla sequela. Proprio
perché ho visto la parola all’opera ed è qualcosa che è capace di attrarre la mia vita.
Ecco allora in questo contesto dell’inizio della vita di Gesù, questa pericope ci presenta alcuni
elementi essenziali di quello che significa essere chiamati a un servizio, a una missione, a un
ministero. C’è l’immagine del mare che è sempre segno del mondo e noi potremmo pensare al mare
delle povertà. Ci sono le folle in attesa, ci sono le file di poveri davanti ai Centri di Ascolto, davanti
alla Caritas, davanti alle chiese. C’è l’importanza dei collaboratori: Gesù non vuole fare da solo,
vuole avere bisogno, vuole chiamare dei collaboratori a quello che sta facendo, già dall’inizio del
suo ministero. E c’è una chiamata che parte da dei segni, non soltanto da un annuncio ma da segni
di potenza.
In questo contesto, io vi propongo 5 punti più specifici più un sesto che mi sembra sintetico
del tema che oggi affrontate.
Il primo è legato al riflettere sull’ascolto dei discepoli. E’ un ascolto docile, un ascolto che si
lascia coinvolgere; è un ascolto in cui la parola dell’altro, la parola del maestro diventa così
autorevole da fare una cosa che in quanto tale non avrebbe senso. Allora io credo che la qualità di
questo ascolto possa essere illuminante nel vedere anche come, penso ai Centri di Ascolto ma anche
a tanti altri meno istituzionali e meno formali, siamo capaci di ascoltare il povero, come
permettiamo alla parola del povero di cambiare la nostra vita. Credere alla parola del povero non
vuol dire diventare dei creduloni, che qualunque cosa dicono va bene e ci stendiamo a realizzarla,
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ma vuol dire riconoscere in quella parola del povero una chiamata del Signore, una chiamata al
servizio; in quali forme (questo appartiene poi alla nostra capacità anche di usare l’intelligenza nel
vivere la carità) ma senz’altro se non partiamo da questa disponibilità totale di un ascolto che è
disposto anche a rimettere in discussione tutto quello che hai fatto fino a quel momento e disposto a
mettere in discussione anche tutto quello che sai (perché sappiamo che pescare al mattino è
destinato all’insuccesso). Ecco, allora vuol dire ributtare le reti sulla parola del Signore, ridare
fiducia, ridare credibilità a quella richiesta, a quell’incontro. Questo mi sembra un primo punto sul
quale di può riflettere: quale ascolto siamo capaci di mettere in gioco nel momento in cui l’altro ci
presenta la sua situazione, la sua sofferenza, la sua richiesta. Quanto siamo capaci alla luce di
quell’ascolto di ributtare le reti per Lui, con Lui.
Un secondo spunto di riflessione è legato alla qualità della pesca; dice il testo che avendo fatto
quello che Gesù ha detto presero una quantità enorme di pesci. E’ una pesca miracolosa, così viene
definita e in questo credo che noi possiamo fare due cose: primo è fare memoria di tutti i miracoli
che abbiamo visto operare dalla carità, di tutte le volte in cui abbiamo visto questo potere
miracoloso della carità, di come la carità ha spianato delle strade che sembravano sbarrate, ha
aperto dei cammini personali, familiari, comunitari che ritenevamo impensabili; di come la carità ci
ha permesso di pescare anche quando era già mattina (e quindi non aveva senso); di quando la carità
ci ha permesso di fare una pesca miracolosa anche quando la vita del fratello la vedevamo già nelle
tenebre e non eravamo capaci di vedere uno spiraglio di luce nella sua esistenza.
Abbiamo bisogno di fare memoria della miracolosità della carità proprio per rimotivarci e per
avere un ascolto di fede di quello che attraverso la carità che possiamo vivere il Signore vuole
compiere, il Signore vuole realizzare. La fiducia nella parola che ha avuto Filippo negli Atti quando
al capitolo 8 gli viene detto di andare in una zona desertica e là incontra l’etiope e può iniziare
l’annuncio. La scrittura è piena di questi episodi in cui il credere alla parola, il credere alla carità
produce effetti insperati, anche nel senso della quantità.
Il terzo spunto è legato all’atteggiamento di Pietro che dopo avere visto questa pesca
miracolosa si getta alle ginocchia di Gesù dicendo: “Signore allontanati da me che sono un
peccatore”. In questo credo che possiamo trovare un aiuto per … Pietro è un po’ l’emblema di cosa
vuol dire il timore di Dio, da un certo punto di vista, cioè non tanto la paura ma avere il senso della
distanza che c’è tra me peccatore e Te che sei Dio, avere questo senso della distanza, questo è il
rispetto della grandezza che mi sta davanti non è la paura. Ecco, allora penso che questo
atteggiamento possa illuminarci per tutte le volte che noi ci rapportiamo al povero: avere questo
timore di Dio, questo timore del povero in cui incontro Dio. Sentirci sempre e comunque dei
privilegiati (“allontanati da me non sono degno di servirti”, ti ringrazio per ché ho il privilegio di
poterti servire). Questo so che è una cosa che si fa fatica a vivere; è più facile dire allontanatevi da
me che non io mi allontano da te, di fronte all’insistenza, a certe situazioni. Invece una lettura di
fede del rapporto con il povero ci porta a vivere la stessa esperienza di Pietro, vivere in fondo il
senso dell’indegnità di ciò che stiamo facendo. E’ un privilegio essere chiamati a servire Cristo nei
poveri e a servire la comunità nell’animazione alla carità, ad animare la parrocchia con
l’accoglienza, con la condivisione.
Anche questo mi sembra un punto importante: cogliere l’indegnità di quello che stiamo
facendo, ma nello stesso tempo sapere che è stato il Signore che ha colmato questo senso di
indegnità (e dopo vedremo anche nelle parole che dice a Pietro).
Un quarto punto è quando Pietro ha manifestato la sua indegnità, il suo stupore, Gesù dice a
lui: “Non temere d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Permettetemi di fare un riferimento alla
parola greca che esprime questa idea di pescatore. Qua Luca, che di solito quando si parla della
pesca usa altri termini, usa un verbo che vuol dire proprio il “catturare” vivo qualcuno ma per
tenerlo in vita. E’ una cosa strana perché in genere i pesci si pescano per mangiarli, però c’è questa
espressione specifica che Luca usa: catturare vivi per tenerli in vita. E allora anche in questo credo
che ci sia qualcosa che non sia casuale ma che sia illuminante ancora per il nostro rapporto con i
poveri, quelle persone che serviamo.
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Quante volte abbiamo avuto chiara l’impressione di avere catturato dall’abisso del male, delle
loro povertà questi nostri fratelli, di averli salvati dall’abisso della loro condizione, del loro peccato,
della loro miseria. Li abbiamo catturati, li abbiamo tenuti in vita, ma per tenerli in vita. E questo
credo che lo possiamo leggere a due livelli: non è soltanto il dire una volta che ti abbiamo dato da
mangiare, abbiamo la responsabilità di aiutarti a procurarti da solo il cibo quindi di andare a
lavorare, di avere una casa, una sistemazione degna della tua condizione. Non è soltanto da un
punto di vista materiale, ma credo che questa parola di Luca, questo verbo così specifico ci dica
anche un’altra cosa, letta poi nel contesto della Caritas ma non solo: cioè una volta che abbiamo
“catturato i poveri” dall’abisso della loro povertà, dobbiamo tenerli in vita nelle nostre comunità,
cioè dobbiamo permettere che loro nelle nostre comunità parrocchiali manifestino la vita che è in
loro e diventino non soltanto oggetto dei nostri servizi, ma diventino soggetto di annuncio; che il
gesto stesso di accoglierli diventi evangelizzante per tutta la comunità, ma che loro stessi siano
messi nella condizione di diventare soggetto che evangelizza. E diventano certo responsabili anche
del loro futuro, ma che anche nella comunità la loro presenza sia una presenza evangelizzante;
questo vuol dire tenerli in vita, ma non in un senso di sussistenza, ma in un senso di pienezza di vita
che è pienezza di dono che viene riconosciuto a loro, in vari modi: dall’islamico (è difficile pensare
che una persona dell’Islam è evangelizzante, ma lo è, non per i contenuti della fede che ci annuncia,
ma per tanti altri aspetti che ci chiede. Quindi è chiaro che questo discorso implica una riflessione,
un approfondimento di come, e in questo la Caritas Italiana credo sia maestra, nello spiegare che i
poveri sono soggetto di evangelizzazione.
Però, mi piace molto richiamare questo senso del tirare su dall’abisso imminente per
permettere di continuare non solo ad essere vivi ma di dare la vita e di dare il Vangelo a tutti i
battezzati perché nell’accoglienza del povero e nel riconoscere al povero questa capacità
evangelizzante, come la lettera del Vescovo ci richiama, non siamo cristiani ma diventiamo
cristiani, diventiamo comunità accogliente, diventiamo comunità evangelica.
L’ultimo punto è legato al fatto che Pietro dopo tutto questo itinerario lascia tutto e segue
Gesù insieme agli altri. E questo è soltanto per richiamare quello straordinario potere vocazionale
che ha la carità.
Anche in questo credo che dobbiamo molto fare memoria di come la Caritas di Reggio è stata
veramente una fucina di vocazioni, ma non soltanto nel senso di quanti ragazzi sono entrati in
seminario (e ce ne sono stati; ricordo bene al tempo di don Luigi alcuni ragazzi in base
all’esperienza che hanno fatto hanno maturato la loro vocazione) ma anche in un senso più grande:
sentirsi chiamati a una vita piena, a una vita battesimale piena, a una vita battesimale che diventa
vita eucaristica nel momento in cui divento dono per gli altri.
Non dimentichiamo questo e non smettiamo, a livello diocesano, parrocchiale, personale, di
continuare a scommettere su questa capacità vocazionale straordinaria della carità, del servizio.
Continuiamo a investire su questo, continuiamo a proporre con coraggio ai ragazzi ma anche alle
famiglie, anche agli anziani questa via per vivere in pienezza fino alla fine quella chiamata
all’amore che è strutturale per il cristiano.
E in fondo anche Pietro segue, anche Pietro è un ripescato, anche Pietro scopre la sua
vocazione non soltanto segue Gesù, perché Pietro fa un passaggio: viene ripescato dalla propria
indegnità e viene mandato a una responsabilità; anche lui è pescato per rimanere vivo e sappiamo
bene come Pietro è rimasto vivo nella Chiesa. Quindi quello che è il cammino di Pietro viene
proposto ad ognuno di noi: passare dalla consapevolezza della nostra indegnità, dell’avere il
privilegio di essere chiamato a servire Cristo nel povero, alla consapevolezza della responsabilità
che mi viene affidata.
Infine, quello che mi sembra sintetico un po’ di tutti questi aspetti e anche più specifico in
merito al tema del vivere la carità in parrocchia, è il riferimento alle due barche. All’inizio ci viene
detto che Gesù vede due barche poi ne sceglie una, sceglie quella di Pietro quindi non è una scelta
casuale, non va sulla prima che trova, ma sceglie quella di Pietro. E tutto parte da lì per annunciare
e poi tutto il resto.
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A un certo punto c’è questa pesca straordinaria, miracolosa e cosa succede: chi è sulla barca di
Pietro sente la necessità di chiedere aiuto, sa che da solo non ce la può fare e allora il testo dice “fa
un cenno a quelli dell’altra barca perché venissero ad aiutarli” (il verbo che Luca usa nel dire
aiutarli è lo stesso che viene usato all’inizio del Vangelo di Luca quando si parla del concepimento
di Maria) noi potremmo dire “perché venissero a concepire” cioè a raccogliere il frutto della loro
obbedienza; Maria nel concepire raccoglie il frutto della sua obbedienza nella fede come questi
pescatori obbedendo alla Parola raccolgono il frutto della loro obbedienza.
La cosa che mi sembra importante è che sentono la necessità di chiedere aiuto, devono
organizzarsi, devono parlarsi, devono collaborare, devono fare insieme perché da soli non ci
riescono. E da soli non riescono perché c’è una quantità straordinaria di pesce e allora per poterla
raccogliere tutta c’è bisogno di quelli dell’altra barca. Se quelli della barca di Pietro volessero fare
da soli, avessero la pretesa di raccogliere tutto loro, affonderebbero; se gli altri se ne fregassero
della barca di Pietro, non mangerebbero niente, al massimo potrebbero arrivare ad accontentarsi
dicendo raccogliamo ciò che sta nella nostra barca. Invece: dove sta la salvezza, dove sta la chiave
di volta? Nel chiedere la collaborazione degli altri; la barca di Pietro chiede aiuto agli altri per poter
raccogliere il frutto della loro obbedienza.
Allora in questo siamo chiamati a chiamare per nome queste barche. Sappiamo che nel
Vangelo la barca è l’immagine della Chiesa; ma qui il fatto che ci sono due barche può essere
un’indicazione che la Chiesa vive in realtà plurali, non soltanto in un’unica espressione. E allora è
nel rapporto di queste pluralità che si raccoglie la pesca miracolosa, altrimenti o si affonda o
ognuno non mangia o ci si accontenta. Ma abbiamo a disposizione la totalità della pesca, la
pienezza quelli che Giovanni chiama 153 grossi pesci, una quantità enorme. La posta in gioco è
proprio questa quantità enorme e la posta in gioco è che la possiamo raccogliere tutta se ci sentiamo
Chiesa in una realtà plurale non singola.
Questo cosa può voler dire: che Gesù certo ha scelto la Chiesa ma sappiamo che la carità non
la fa soltanto la Chiesa. Gesù ha scelto una barca e noi potremmo dire questa è la barca della
comunità parrocchiale. Ma il Vangelo non viene annunziato soltanto dalla comunità parrocchiale,
dall’istituzione della parrocchia, ci sono dei movimenti, ci sono dei gruppi, delle realtà suscitate
dallo Spirito che portano avanti questo. Potremmo dire che la Caritas parrocchiale è l’organismo
scelto, è quella barca scelta sulla quale Gesù è salito, ma non possiamo pensare che solo la Caritas
parrocchiale sia deputata a raccogliere la pesca miracolosa.
E allora, nel sentire che abbiamo bisogno, sia che ci troviamo su una barca che sull’altra,
dell’altra barca, ripeto non per sussistere, non per essere dignitosi, ma per raccogliere quella
pienezza che il Signore ci vuole donare, per farci toccare con mano quel miracolo della carità che il
Signore vuole realizzare. E allora la collaborazione porta alla pienezza e alla sazietà.
L’individualismo porta a tutti quegli atteggiamenti che vi dicevo prima.
Ecco perché mi sembrano molto importanti questi passaggi. Il vedere la necessità di entrambe
le barche, senza che si dimentichi che Gesù ne ha scelta una e senza che questa scelta diventi
discriminante, cioè determini dei sensi di superiorità nei confronti delle altre barche; ma sapere che
soltanto nella collaborazione, nella comunione noi possiamo accogliere la pienezza della pesca
miracolosa.
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INTRODUZIONE DEL VESCOVO ADRIANO CAPRIOLI
DOMENICA, PARROCCHIA E CARITÀ
“Se noi custodiamo la domenica,
la domenica custodirà noi”
(CEI, Il volto missionario delle parrocchie
in un mondo che cambia, n. 8 )
Premessa
Mi è stato chiesto di introdurre questo convegno diocesano Caritas, riprendendo quanto avevo
detto al Convegno nazionale di Lecce (14 – 17 giugno 2004), che ha visto il tentativo di far
convergere i tre Uffici pastorali – catechesi, liturgia e carità – sul tema della “Domenica o Giorno
del Signore”, in preparazione al prossimo Congresso eucaristico di Bari del maggio 2005.
Pertanto rifletterò sul tema odierno, Vivere la carità in parrocchia, a partire dalla Eucaristia e
in particolare dalla Eucaristia nel Giorno del Signore in parrocchia.
1. Vivere la domenica in parrocchia
Sono note le difficoltà sociali e culturali per una esperienza viva della domenica nelle nostre
comunità parrocchiali: la questione della mobilità, il pendolarismo, il turnover lavorativo, l’attività
sportiva, il divertimento giovanile. Sono fenomeni che portano spesso le persone a vivere fuori
parrocchia diversi momenti della loro esistenza quotidiana, festa compresa.
Sta cambiando il rapporto parrocchia e territorio. Una volta era il territorio ad appartenere alla
parrocchia, perché tutta la vita si svolgeva come all’ombra del campanile: la nascita in casa, la
scuola dei piccoli, il lavoro dei campi, la malattia e la stessa morte. Anche la festa - non si parlava
di tempo libero - apparteneva alla parrocchia. Oggi non è più così.
Non è più il territorio che appartiene alla parrocchia, ma la parrocchia che appartiene al
territorio, ed è chiamata perciò a leggerne i cambiamenti e a interpretarne i bisogni, esercitando una
forte capacità di ascolto e di discernimento dei cambiamenti in atto: ad es. a livello di tipologia di
famiglie, di mentalità e di costume, di immigrazione.
Si aggiunga sul piano soggettivo, la mentalità diffusa anche tra i praticanti di vivere la
domenica come precetto o bisogno religioso da esaudire senza coinvolgimento ecclesiale e
missionario. Anche se ancora sommerso e più difficilmente riscontrabile, c’è il fenomeno della
cosiddetta “appartenenza debole alla Chiesa”, per cui il cristiano oggi, spesso, tende a scegliere la
propria parrocchia al di là del criterio territoriale, così come tende a scegliere le norme morali da
osservare e gli stessi articoli del Credo. Da qui un certo allentamento del “vincolo parrocchiale”.
2. Eucaristia e carità
Scrivono i Vescovi italiani, a proposito degli Orientamenti pastorali delle nostre Chiese locali
per questi anni: “Se un anello fondamentale per la comunicazione del Vangelo è la comunità fedele
al Giorno del Signore, la celebrazione eucaristica domenicale, al cui centro sta Cristo che è morto
per tutti ed è diventato il Signore di tutta l’umanità, dovrà essere condotta a far crescere i fedeli,
mediante l’ascolto della Parola e la comunione al Corpo di Cristo, così che possano poi uscire dalle
mura della chiesa con animo apostolico, aperto alla condivisione e pronto a rendere ragione della
speranza che abita i credenti (cf. 1 Pietro 3,15). In tal modo la celebrazione eucaristica risulterà
luogo veramente significativo dell’educazione missionaria della comunità cristiana” (CVMC 48).
Ricordo che l’Eucaristia e il Giorno del Signore è stato il tema di partenza del mio servizio
come parroco nella parrocchia di S. Magno. A distanza di qualche anno confesso che quella scelta è
oggi ancora più attuale. L’abbiamo presa in considerazione nell’anno pastorale appena trascorso
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con la lettera pastorale “Andate e annunciate: è la missione”. La missionarietà è iscritta nel cuore
dell’Eucaristia. La Messa non ci appartiene, ma noi apparteniamo al Corpo del Signore che è morto
e risorto per tutti.
Quindi, se vai alla Messa per dovere o precetto, fai bene, ma non basta. Se vai per fare festa
tra i tuoi amici, fai bene, ma non basta. Se vai alla Messa per ottenere qualche vantaggio (dicono
che una statistica del Nord Carolina ha accertato che quelli che frequentano la Messa regolarmente
hanno il 28% in meno di infarti!), fai bene, ma non basta. Se vai alla Messa per uscirne più
missionario, fai meglio, perché ha colto il senso vero dell’andare alla Messa.
Si dice che nella loro lunga storia gli Ebrei hanno custodito il “sabato”, ma forse è più vero
che è stato il “sabato” a custodire la fede degli Ebrei. Qualcosa di analogo si dovrebbe dire della
domenica e dei cristiani. Scrivono perciò i Vescovi italiani: “Assolutamente centrale sarà
approfondire il senso della festa e della liturgia, della celebrazione comunitaria attorno alla mensa
della Parola e dell’Eucaristia, del cammino di fede costituito dall’anno liturgico. La Chiesa deve
sempre ricordare l’antico adagio, secondo cui è la lex orandi a stabilire la lex credendi: la fonte
della nostra fede è la preghiera comune della Chiesa (CVMC 49).
Il significato di questa antica formula è ecclesiale. La preghiera, il rito cristiano, il sacramento
sono il luogo in cui non solo ci si educa alla Chiesa, ma che costruisce la Chiesa. Come a dire:
“Celebrate bene e farete la Chiesa! Mettiti in fondo alla Chiesa la domenica: guarda come la
comunità celebra l’Eucaristia e vedrai come la comunità si lascia plasmare dalla Messa: guarda la
sua fretta e vedrai una comunità funzionale; osserva il suo ritmo e vedrai l’Eucaristia che costituisce
la comunione; guarda i suoi protagonisti e vedrai la sinfonicità delle sue vocazioni e dei suoi
ministeri; ascolta il suo canto e vedrai la sua gioia di credere, ascolta le sue preghiere e sentirai la
forza della sua carità”.
Quando sei andato alla Messa domenicale e torni a casa e ti godi il resto della giornata festiva,
non dovresti sentirti un cristiano a posto. È come se il Signore ti dicesse: “Ti ho dato il mio Corpo e
il mio sangue. Ti ho fatto partecipe della mia libera e suprema decisione di amarti fino alla fine, di
andare a morire per te. Ebbene, che ne hai fatto di questo tesoro prezioso? Quanto amore è nato da
questo incontro? Quanta disponibilità effettiva e concreta a metterti a servizio della fame e della
sete di amore, di perdono, di prossimità che ti circonda? Ti ho dato in sovrabbondanza il dono del
mio Spirito, proprio perché tu possa donare con la mia grazia, il tuo corpo e il tuo sangue per la vita
del mondo. Che ne hai fatto?”.
3. Domenica, parrocchia e carità
Se è vero quanto osservato, sia pure succintamente, nelle precedenti riflessioni, mi si pone una
domanda sul tema del nostro convegno, Vivere la carità in parrocchia. Soggetto e punto di forza è
la parrocchia, e la domenica ne è piuttosto il campo di azione, il terreno d’impegno, ma anche il
problema pastorale da affrontare. Sembra che alla fine sia la parrocchia chiamata a “salvare” la
domenica, a togliere la domenica e in genere la festa dalla crisi in cui versa, moltiplicando le
iniziative pastorali in proposito. Penso, ad esempio, alla iniziativa delle “domeniche a tempo pieno”
dove non solo si va alla Messa insieme, ma insieme si fa festa, si pranza, si vivono momenti belli.
È vero, tutto questo è bello. C’è il rischio che tutto questo venga vissuto da pochi, meno
ancora rispetto a quelli che ancora frequentano la Messa domenicale, con accenti ancora
autoreferenziali e poco missionari. Sorge allora la domanda se la parrocchia che vive la domenica
non sia anzitutto la comunità cristiana che si interroga: “Perché la domenica?”. “Perché vivere la
domenica in parrocchia?”. “È anzitutto la parrocchia che vive la domenica, o è la domenica che fa
vivere e ritrovare alla parrocchia il suo vero volto di comunità missionaria?”.
Le domande non rovesciano il tema del convegno, in quanto c’è “circolarità” tra
l’affermazione della centralità dell’Eucaristia domenicale e la rilevanza della stessa parrocchia;
riconducono piuttosto il tema del convegno al suo punto di osservazione originario e fondamentale.
Sembra questa, del resto, l’impostazione che al tema è data dagli “Orientamenti pastorali CEI”: “Ci
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sembra molto fecondo ricuperare la centralità della parrocchia e rileggere la sua funzione storica
concreta a partire dall’Eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio e vero antidoto
alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il Regno” (citazione da Comunicare il Vangelo in un
mondo che cambia n. 47, che a sua volta riprende un testo della Novo Millennio ineunte, n. 36).
4. Piste di ricerca
La mia introduzione al Convegno potrebbe finire qui con la domanda “È anzitutto la
parrocchia che vive la domenica o è la domenica che fa vivere e ritrovare il vero volto della
parrocchia?”. Una buona domanda è già un buon inizio. Eucaristia domenicale e comunità
parrocchiale: se lette come due realtà che si rapportano secondo un principio di circolarità non
puramente estrinseca ed occasionale, ma intrinseca e reciproca, allora diventano meglio percorribili
alcune piste di ricerca.
GIORNO DEL SIGNORE
La prima pista di ricerca è quella che guarda alla comunità parrocchiale come ad una Chiesa
che sa “sostare davanti al Mistero”. È questa la prospettiva che Giovanni Paolo II, all’indomani del
Giubileo del Duemila, ha indicato come il cammino delle Chiese all’inizio del nuovo Millennio. Si
veda in particolare il capitolo III della Novo millennio ineunte intitolato “Ripartire da Cristo”, che
non a caso dedica una particolare attenzione alla Eucaristia domenicale (nn.35-36).
Si tratta anzitutto di interrogarsi sul “carattere irrinunciabile” dell’Eucaristia domenicale.
Nonostante il calo della frequenza domenicale, spesso i fedeli sono, ancora oggi, una folla. La
responsabilità dei pastori è anzitutto quella di non sciupare un’enorme possibilità ancora a portata di
mano. Tenendo conto che là, dove in modo abituale si trascura il Giorno del Signore, e soprattutto
la partecipazione all’Eucaristia, la fede stessa è in pericolo. Alcune esperienze già presenti in
Europa sembrano confermarlo. Ricordando la storia degli Ebrei, qualcuno ha detto che, se è vero
che essi hanno salvato il Sabato, è ancora più vero che il Sabato ha salvato gli Ebrei, custodendone
la fede. Non bisogna, forse, dire la stessa cosa nei confronti della domenica per i cristiani?
Celebrare il Giorno del Signore diventa così il luogo normale, in cui educare la comunità
parrocchiale a rivolgersi al suo Signore “nell’atto della fede”, che non può essere risolto una
tantum, una volta per sempre, ma chiede di essere di nuovo suscitato come la manna nel cammino
del popolo di Dio nel deserto. Si comprende perciò meglio il valore del celebrare il “Giorno del
Signore” come il sostare davanti al Mistero”: con linguaggio biblico si direbbe il tempo del
“riposare dei discepoli”, accogliendo l’invito del Maestro: “Venite e riposatevi un po’” (Mc 6,31).
La centralità dell’Eucaristia domenicale nella vita della parrocchia verrebbe così a
semplificare la settimana della comunità cristiana già fin troppo oberata, riconducendo le tante
iniziative catechetiche, caritative... a poche, anzi ad una sola iniziativa significativa, quale appunto
quella eucaristica, imparando così a sostare alla radice dello stesso fare carità. Si profila qui quanto
irrinunciabile e significativo diventi il compito della pastorale del “Giorno del Signore” per la vita
della comunità parrocchiale.
Ricordo un mio amico prete milanese, educatore di tanti giovani, che negli anni ’70 vedeva
con stupore la generosità dei suoi gruppi giovanili in fatto di carità, raccogliendo stracci, ferri rotti,
vetri da riutilizzare da vendere per darne il ricavato in carità. Ma non ne volevano sapere di andare
alla Messa la domenica. Lo giudicavano un perditempo per la carità. Per motivarli, don Luigi
Serenthà spiegava loro che andare alla Messa era come “dire pane al pane e vino al vino”: prendere
coscienza cioè che la nostra carità non è anzitutto frutto della terra e dell’opera umana, ma il dono
che anche chi fa la carità riceve dal Signore che è morto per noi e per tutti, il “Pane spezzato” e il
“Sangue sparso”.
GIORNO DELL’UOMO
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Già il Concilio invitava a guardare alla domenica come alla “festa primordiale che deve essere
proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal
lavoro” (SC 11). Ora il riferimento del “Giorno del Signore” alla Risurrezione e alla Eucaristia
chiarisce anche il senso di “gioia e riposo”.
Non bisognerà perciò trascurare il significato psicologico e sociale del riposo festivo, richiamato
già dalla antica prassi del sabato ebraico: “Ricordati di osservare il giorno di sabato... di riposare tu,
tuo figlio, tua figlia, il tuo schiavo, la tua schiava, il tuo bue e il tuo asino... il tuo ospite” (Deut
5,12-14). Non solo riposare, ma “far” riposare l’altro.
È evidente il significato familiare, sociale del riposo festivo. Esso non è solo funzionale al
lavoro, ma alla crescita personale, alla sana vita familiare e alla stessa vita sociale. In questo senso il
riposo festivo è anche un valore civile e un bene comune che non può essere privatizzato,
demandandolo alla semplice contrattazione tra le parti, all’accordo tra imprenditori e dipendenti. La
praticabilità della festa come tempo per la famiglia, per rinnovati incontri con i parenti e gli amici,
per nuove opportunità di partecipazione alla vita sociale, e certo anche per andare a Messa, è un
fatto di civiltà, non soltanto un fatto cultuale. E come tale la Chiesa, come hanno richiamato i
vescovi del Piemonte, sta cercando di difenderlo.
Ho sotto gli occhi un articolo de La Stampa intitolato “Il furto della domenica”. Scrive
l’autore: “La nostra cara Europa sta per disfarci la festa. Se le parti sociali non troveranno un
accordo, a gennaio il governo dovrà applicare la normativa comunitaria sull’orario di lavoro, che
non prevede più la domenica come giorno di riposo obbligatorio.
Il nuovo corso incomincerà nel commercio, ma non gli ci vorrà molto a planare sull’industria
e da lì sulla vita di tutti gli italiani… La scomparsa della domenica presenta infatti i suoi vantaggi:
meno ingorghi sulle autostrade e agli skilift, meno crisi depressive per i cuori in subbuglio, meno
domeniche in. Purtroppo, dalla visita alla chiesa a quella in pasticceria, sancirà anche la fine di una
serie di riti e si andrà a inserire in quel filone di innovazioni che con l’alibi di liberalizzare la società
tendono invece ad appiattirla, togliendo enfasi ai diversi momenti dell’esistenza e scoraggiano le
occasioni di incontro.
Un mondo senza domeniche, dove ognuno si ferma quando vuole e può, è una folla
spezzettata di solitudini che si strusciano su Internet non avendo più modo di farlo dal vivo. E’ un
mondo senza sacralità e codici condivisi, in cui ogni abitudine farà la fine del calcio, che da quando
ha violato la monogamia domenicale è diventato una emozione sfibrata, che privandosi del sapore
della festa rinuncia a quello ancora più gradevole dell’attesa. Un vero scempio perpetrato in nome
di una finta modernità. Persino ai laici non resta che sperare nella reazione della Chiesa”. (M.
GRAMELLINI)
GIORNO DELLA CHIESA
Ma poi la Chiesa, che difende il valore civile del riposo festivo, dovrà promuovere
specificatamente un significato ecclesiale. Il riposo festivo domenicale è funzionale alla comunità.
La domenica diventa così il luogo per eccellenza, anche se non unico, per vivere lo spirito della
carità ecclesiale che l’Eucaristia continuamente esprime ed alimenta. “Ubi charitas, ibi festivitas”
scriveva S. Giovanni Crisostomo.
La carità ecclesiale può assumere diverse forme di servizio e di impegno: la cura di una degna
celebrazione della Messa e della liturgia festiva con i relativi ministeri; la visita ai malati recando
loro la comunione della Parola del giorno e del Pane dei forti; l’assistenza dei piccoli che
maggiormente soffrono momenti di disgregazione familiare; l’animazione dei gruppi ecclesiali; il
servizio della pace nelle contese; la visita domenicale ai fratelli e sorelle che dormono il sonno della
pace.
Per chi vive così la domenica è tutt’altro che giorno di riposo. Ma quanti la vivono così?
Quanti sono stati educati a questo modo di vedere e vivere la festa? E come educare?
Dall’Eucaristia, celebrata bene e inserita in un contesto di ascolto della Parola e di contemplazione
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del Mistero, scaturisce una forza educativa alla missione. Quando questo avviene, ha luogo una
straordinaria conversione personale e comunitaria: così l’Eucaristia rende missionaria la comunità.
L’assemblea eucaristica si rivela perciò nello stesso tempo come segno della presenza, ma
anche dell’assenza della comunità. L’assenza della comunità risalta in particolare in coloro che, pur
frequentando poco o niente la vita della comunità, continuano tuttavia a chiedere per sé o per i figli
i sacramenti (il matrimonio, il Battesimo…). Scrivono i Vescovi: “Tutti questi momenti, che alle
volte potrebbero essere sciupati da atteggiamenti di fretta da parte di presbiteri o da freddezza e
indifferenza da parte delle comunità parrocchiali, devono diventare momenti di ascolto e di
accoglienza” (CVMC 57).
Non è un caso che tra gli orizzonti di cambiamento pastorale per una parrocchia missionaria,
nella recente Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia,
strettamente congiunta con la pastorale del primo annuncio, è messa in risalto la figura della
“Chiesa madre che genera i suoi figli nella iniziazione cristiana” (n. 7). Sono note le difficoltà in cui
versa la Chiesa in tema di iniziazione cristiana: la debolezza educativa della famiglia, prima ancora
l’evanescenza della vita della comunità parrocchiale.
E, tuttavia, una presenza il più possibile completa della comunità cristiana nel cammino di
iniziazione cristiana non è impensabile: la comunità vera, reale, quotidiana; quella che celebra la
domenica, ma non solo; quella che vive i ritmi dell’anno liturgico, che si anima e si accende per le
sue feste e devozioni; quella che cerca di essere attenta ai poveri che abitano tra la sua gente, che ha
parole di consolazione e di speranza. È dall’incontro e dal convergere sinergico di tutti questi aspetti
visti nel luogo e nel momento della loro azione, che alla fine per i nostri ragazzi e giovani risulterà
significativa l’immagine della comunità cristiana, diversamente vuota ed astratta.
Occorrerà pensare e progettare dei percorsi di iniziazione cristiana che facciano incontrare,
osservare e vivere i luoghi, i tempi e i ritmi che caratterizzano la vita della comunità cristiana, in cui
i giovani saranno chiamati a professare la fede. Sia pure con modalità diverse, l’obiettivo è quello di
ridare alla domenica il suo significato profondo di “Giorno del Signore”, ma insieme “Giorno della
comunità” e quindi anche di “Iniziazione alla vita della comunità”: un giorno in cui tutta la
comunità si rimette in stato di iniziazione e assolve così il suo compito di iniziare alla fede le nuove
generazioni.
Conclusione
L’intento di questa introduzione, già a partire da queste piste di ricerca – insieme ad altre che
il Convegno non mancherà di prospettare – voleva mostrare come la scelta della centralità
dell’Eucaristia domenicale costituisca il vero fondamento che dà il suo volto alla comunità
parrocchiale e rende possibile la realizzazione di quella pastorale organica che va sotto il nome di
“pastorale integrata” tra Parola, Liturgia e Carità. Il Convegno così inteso acquista, oltre al suo
significato pastorale, anche un significato ecumenico.
È stato notato che le tre grandi dimensioni della vita della Chiesa – Parola, liturgia e carità –
caratterizzano in modo speciale ciascuna delle tre grandi confessioni cristiane. Se la Parola è stata
posta in particolare valore dai nostri fratelli protestanti, se la Carità – e in essa mettiamo tutta la
dimensione operativa e pastorale della Chiesa – sembra aver caratterizzato soprattutto la nostra
tradizione cattolica, la centralità della vita liturgica sembra aver identificare meglio la specificità
delle vicine Chiese orientali.
L’opportunità perciò di un “ricentramento liturgico”, strettamente congiunto con una più
forte centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa, appare quanto mai urgente, e anche in
linea con le sollecitazioni che ci vengono dal prossimo Congresso eucaristico di Bari sul tema “Noi
non possiamo vivere senza la domenica”.
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INTRODUZIONE AI LAVORI DI GRUPPO
Ripartiamo … da dove siamo rimasti
Motivazione e spiegazione dei lavori di gruppo
o Valutazioni Convegno dello scorso anno chiedevano più tempo per i lavori di gruppo
o Quest’anno non si fa restituzione in assemblea per dare spazio alle proposte
o Si raccoglierà tutto e verrà inviato negli atti. Utile strumento di lavoro
Le verifiche: cosa sono e perché le facciamo
o Risultati degli ultimi due anni (vedi allegato)
o Importanza di tenere conto delle verifiche per progettare il futuro
Soprattutto dalle verifiche del maggio scorso emerge che
o è comune la difficoltà di trovare le modalità per sensibilizzare e coinvolgere tutta la
comunità nella vita di carità
o attività caritative spesso non inserite nella pastorale della parrocchia
o difficoltà con i parroci su: identità Caritas
o attenzione a non ritenersi gli unici che fanno e sono capaci di fare carità
Aspetti negativi / Fatiche
o Difficoltà per un CdA vicariale di arrivare alla sensibilizzazione di tutte le parrocchie
coinvolte
o Difficoltà di parrocchie dello stesso vicariato a mettersi insieme
o Difficoltà a lavorare o pensare qualcosa con la liturgia e la catechesi o altri gruppi
della parrocchia
o Difficoltà con i sacerdoti
o Nuove povertà (anziani, famiglie monoreddito, perdita lavoro, …): conoscenza e
risposte
o Necessità di conoscere il territorio: povertà, risorse, servizi
o Avere un buon CdA, organizzato e funzionale, non vuol dire essere a posto
o Difficoltà di animare/sensibilizzare la parrocchia
o In alcune parrocchie, risulta ancora poco chiara l’identità della Caritas parrocchiale
che rimane un “modo” di fare pastorale e non una struttura, una cosa in più da fare,
una organizzazione
Aspetti positivi
o Crescenti e buoni i rapporti con i servizi sociali
o Tendenza a organizzarsi tra parrocchie vicine
o Il CdA rimane luogo importante per la vita e testimonianza di carità della comunità
cristiana. E’ importante che la comunità cristiana dedichi un luogo alla vita di carità
(cfr. ETC e CVMC).
o Dalle famiglie povere che incontriamo e conosciamo dobbiamo imparare: sobrietà,
stili di vita diversi dai nostri che ormai non sono più sostenibili.
o Separare, all’interno del CdA, l’ascolto dalla distribuzione è risultato positivo
o L’incontro con stranieri, a partire da situazioni di bisogno e da richieste particolari,
ha aperto anche la strada a qualche tentativo di integrazione religiosa
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Richieste fatte a noi Caritas diocesana (nelle valutazioni del Convegno
scorso e nelle verifiche)
o quello a cui abbiamo cercato di dare risposta
• formazione (manca ancora qualche richiesta di approfondimenti particolari)
• informazione: rubrica sulla Libertà, rinnovo sito internet, spazio al territorio,
dossier CdA
• progetti mirati e particolareggiati per le diverse realtà del territorio (zona,
vicariato). Per questo nasce il Laboratorio
• formare e informare i preti: quest’anno incontro con i preti nei vicariati,
seminaristi hanno partecipato al corso di Caritas Italiana
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LAVORI DI GRUPPO
DOMANDE
La parrocchia è il luogo ottimale in cui promuovere la
programmazione unitaria delle tre dimensioni e la formazione
comune dei rispettivi animatori. In un’ottica di pastorale “integrata”,
in che modo, nella tua parrocchia, l’attività caritativa stimola e
collabora con le altre dimensioni (liturgia, catechesi, missioni,
famiglia, giovani, …)? Quali proposte per lavorare in questa
direzione?
Rispetto all’attività caritativa, in che modo la tua parrocchia
collabora con le parrocchie vicine o del vicariato? Come potrebbe
collaborare meglio?
Quali modalità si possono pensare per mettere a conoscenza tutta la
comunità parrocchiale delle povertà locali o mondiali? Quali
proposte per animare e sollecitare risposte?
L’attività caritativa è attenta ai rapporti con le istituzioni e con i
problemi sociali del nostro territorio? Con quali mezzi nella tua
parrocchia o zona si cerca di conoscere il territorio (povertà, risorse,
servizi)?
L’incontro con persone di altre nazionalità, altre culture e religioni,
in che modo interpella la comunità cristiana?
Cosa chiedete alla Caritas diocesana per sostenere, migliorare,
stimolare la vostra attività di pastorale caritativa?
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RESOCONTO LAVORI DI GRUPPO
RESOCONTO GRUPPI N. 1 E N. 2
Alcune premesse:
Il gruppo è stato molto gelido, è stato difficile rompere il ghiaccio iniziale. Dopo aver suggerito
alcuni esempi per dare il la non ci sono stati riscontri di particolare rilievo. È stato impossibile
seguire la traccia delle domande.
Domanda 1: Pastorale Integrata
È stato difficile far ragionare sul senso della pastorale integrata, sono uscite esperienze come quella
dell’accoglienza di donne a Santa Croce, l’accoglienza delle donne presso le suore del Verbo
Incarnato, la distribuzione dei pasti caldi a Sassuolo. Il collegamento con la parrocchia ed il
consiglio pastorale è stato possibile solo per Sassuolo, nella altre realtà sono stati più facilmente
interventi di un gruppo di persone ristrette a cui il servizio è stato delegato. Alcune parrocchie
(Meletole e Castelnovo Sotto) hanno sottolineato come spesso chi si occupa della Carità venga
etichettato come gruppo Caritas, inteso come qualcosa di esterno al resto della parrocchia, si
vorrebbe invece far capire che, come esposto nel convegno, tale gruppo dovrebbe poter lavorare
assieme agli altri.
Domanda 2: collaborazione fra parrocchie
Tutti hanno sottolineato come le opere caritative aiutino a lavorare insieme, sembra ormai assodato
che lavorare da soli nel proprio piccolo non è più sufficiente. Si sottolinea il rischio però che tali
attività, non avendo un legame diretto con la parrocchia, essendo formate da persone di realtà
differenti, non riescano ad allargarsi e ad avere una ricaduta diretta sulla propria chiesa.
Domanda 3: Modalità per mettere a conoscenza
Si riassume tutto nella comunicazione, in particolare:
- Migliorare il sito internet della Caritas, aggiornandolo più frequentemente
- Aumentare gli spazi quali quelli sulla libertà che sono molto graditi
- Rendere note a tutti idee e progetti di altre realtà che hanno ottenuto dei risultati
Domanda 4: non è stata affrontata
Domanda 5: non è stata affrontata
Domanda 6:
Sono richiesti alla Caritas maggiori momenti di formazione, soprattutto dislocati sul territorio. Si
sente una forte esigenza di andare oltre alle opere segno, soprattutto fra chi lavora con i ragazzi. In
particolare anche fra i Centri d’Ascolto già nati da tempo si sente l’esigenza di fermarsi e
confrontarsi sulle scelte da prendere.
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RESOCONTO GRUPPO N. 3
Dopo essersi presentati e aver letto le domande – spunti di riflessione, ogni componente del gruppo
è intervenuto partendo dalla propria esperienza personale: attraverso ciò si è cercato di essere
propositivi e di poter dare dei suggerimenti. Ecco alcuni spunti di riflessione riassunti e alcune
proposte.
“l’ascolto aiuta per capire l’altro, dobbiamo essere in grado di aiutarci e di aiutare gli altri a
vivere insieme (liturgia, carità e catechesi). Dobbiamo capire di essere dei privilegiati, che il tempo
è importante…”
PROPOSTE:
1. Proporre e favorire incontri tra le tre realtà (liturgia, catechesi e carità)
2. Procedere per piccoli passi, piccoli gesti, metterci insieme nelle diverse situazioni della vita
parrocchiale
3. Avere un punto ed un momento fisso insieme in parrocchia
“… come Caritas dobbiamo capire che non possiamo fare tutto noi, abbiamo bisogno degli altri…
dobbiamo suscitare degli interrogativi alla parrocchia”
PROPOSTE:
1. Incontri con il gruppo dei catechisti e con chi segue l’aspetto liturgico
2. Durante la predica della S. Messa il parroco parla di carità
“… siamo chiamati ad animare alla carità, in comunione. Il luogo privilegiato di tutto ciò è
l’Eucaristia”
PROPOSTE:
1. Al termine della S. Messa il parroco espone e sottolinea le varie esigenze
2. Accoglienza davanti al sagrato della chiesa di chi arriva per la S. Messa prima e dopo la
stessa
“ … i poveri devono essere visibili, la S. Messa deve essere un momento famigliare …”
PROPOSTE:
1. Istituire il “cesto della carità” ben visibile in Chiesa dove tutti possono contribuire.
“… dobbiamo bussare alla carità in parrocchia ed anche negli altri luoghi che frequentiamo
quotidianamente”
PROPOSTE:
1. Riunioni Caritas allargate anche agli altri
2. Osservare e saper leggere il territorio
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RESOCONTO GRUPPO N. 4
Novellara: non c’è collaborazione con le parrocchie più piccole dell’unità pastorale a livello
Caritas, ma adesso i laici hanno fatto presente al parroco la necessità di collaborare e ora si sta
camminando in questo senso. Buone le relazioni e la conoscenza delle realtà laiche e sociali che
operano sul territorio. I volontari Caritas collaborano con il Comune e i Servizi Sociali.
S. Ilario: buoni i collegamenti con le istituzioni e ben radicati sul territorio. La Caritas parrocchiale
ha perseguito una buona pastorale sul territorio con molti appoggi esterni, avvenuto quasi
automaticamente. Ciò ha permesso di “ripescare” persone lontane, dai quali non si immaginava un
simile impegno. C’è una fascia trascurata che è quella degli adulti/anziani, magari soli anche se
autosufficienti. Si fa più fatica a promuovere la carità in parrocchia che nell’ambiente esterno ad
essa. La grazie più grande per la nostra Caritas è stata proprio l’avvicinamento dei lontani e questo
dimostra la ricchezza della presenza della Caritas.
Preziosissimo Sangue: c’è una possibilità di coinvolgere tutta la parrocchia (tutte le fasce di età)
nell’attività stabile della carità.
Buon Pastore: prevale la logica di sopperire ai bisogni contingenti e sono sempre le stesse persone
che fanno tutto.
Cavriago: forte presenza della S. Vincenzo. Grazie ai piani di zona è stata possibile la conoscenza
della realtà del territorio e la collaborazione con i Servizi Sociali. La formazione della S. Vincenzo
è stata fatta in parrocchia aperta a tutti; alcune assemblee fatte anche in sala consigliare del
Comune. Ha aiutato anche la unificazione delle due parrocchie. Nella canonica vuota di S. Nicolò è
andata ad abitare una famiglia che fa accoglienza e che ora anima un gruppo di famiglie. E’ nata
una sorta di struttura Caritas che coordina le varie forze parrocchiali per non seguire in più di uno lo
stesso caso. Dobbiamo essere noi che siamo più dentro a delegare ad altre persone in modo diverso
a seconda dei casi (per es. sono stati venduti buoni pasto in parrocchia per pagare la mensa, così da
coinvolgere anche quelli che fisicamente non possono venire a dare una mano).
Correggio: cercare di capire perché c’è una risposta migliore fuori dalla parrocchia.
Sesso: rischio della sottorializzazione nella parrocchia in cui gli ambiti vanno avanti da soli. Forse
la Caritas può aiutare in questa integrazione all’interno della parrocchia.
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RESOCONTO GRUPPO N. 5
1. Le proposte per integrare tra loro Parola – Liturgia – Carità
• prevedere incontri periodici tra le tre commissioni esistenti (?) in parrocchia;
• fare proposte per esperienze caritative da proporre ai ragazzi di catechismo;
• dare visibilità alle processioni offertoriali attraverso doni per i poveri;
• utilizzare il momento del mandato ai catechisti per proporre iniziative in tal senso.
2. La collaborazione con le parrocchie del vicariato la si attua:
• soprattutto attraverso la presenza del centro di ascolto (zonale o vicariale) per le povertà,
che ha proprio lo scopo di raccogliere le esigenze del territorio chiamando poi le diverse
comunità a collaborare tra loro allo scopo di andare incontro alle necessità che si
presentano.
3. Per interessare e coinvolgere tutte le persone della parrocchia alle necessità caritative:
• occorre suddividere il territorio parrocchiale in sub-aree, incaricando soprattutto le
famiglie residenti di farsi portatrici delle esigenze locali;
• coinvolgere e fare partecipe del problema il consiglio pastorale parrocchiale;
• prevedere nel bilancio parrocchiale una quota da riservare alla carità alla quale il parroco
riservatamente (rispettando la privacy) può attingere per far fronte alle eventuali necessità,
in base alle informazioni che gli pervengono dai parrocchiani.
4. I rapporti con le istituzioni caritative del territorio si tengono attraverso i rapporti con le
assistenti sociali incaricate per quella zona.
5. Le iniziative nei confronti degli immigrati:
• in alcune parrocchie paiono essere inesistenti;
• in altre (Castellarano) vivono attraverso iniziative locali che mettono a disposizione degli
immigrati spazi di accoglienza allo scopo di favorire il colloquio nel reciproco rispetto
delle diverse culture, la cui presenza viene considerata come occasione di arricchimento.
6. Si chiede che la Caritas diocesana visiti le diverse parrocchie per portarvi contributi di idee e
di iniziative allo scopo di far comprendere la centralità che la Carità deve avere nell’ambito della
pastorale di ogni parrocchia.
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RESOCONTO GRUPPO N. 6
DIFFICOLTA’ GENERALE DI FONDERE
LE ATTIVITA’ DELLA CARITAS CON LE ALTRE DIMENSIONI
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Esperienze diverse tra paesi piccoli e città, (problemi operativi). Il prete è l’anima forte della
comunità. Oggi ci sono pochi preti. Integrazione tra preti e laici perché ci sia spinta in tutti i
campi. La chiave di volta parte dai preti. Occorre entusiasmo e disponibilità (input dai
sacerdoti). Proposta: i sacerdoti deleghino ai laici per fondere maggiormente. Siano guida.
Stimolare una liturgia viva e vera e creare consapevolezza della celebrazione eucaristica per
alimentare gli altri ambiti. A monte ci sia la liturgia della domenica.
In alcune parrocchie i parroci hanno già delegato ai laici. I vari ambiti poi hanno un
momento d’incontro in cui si riporta al parroco. I giovani hanno stimolato gli adulti.
Essendo anche in pochi numericamente, alcuni hanno anche compiti diversi, più di uno. Il
riferimento è il parroco. Ci sono idee e proposte ma mancano le persone.
Parrocchia molto attiva su molti fronti. Molte attività (preparazione al Battesimo,
coinvolgimento delle famiglie) Stimolare gli educatori alla responsabilità e ad essere
stimolo.
Poche forze . Incontro settimanale partecipato anche dal parroco. Il CdA è aperto da due
anni e visitato soprattutto da persone non della parrocchia; difficoltà a farlo sentire come un
posto per tutti e per i parrocchiani. Sono i catechisti a segnalare situazioni famigliari
particolari. Buona collaborazione con le istituzioni (servizi sociali, incontro mensile), cercati
in primis dal CdA. (quest’ultima è una conseguenza della testimonianza della comunità nella
società che si tramuta in stimolo per i servizi a lavorare bene).
Ha senso avere guardaroba e centri di smistamento (dove arrivano persone da fuori
territorio) quando il CdA ci consente di entrare maggiormente nelle situazioni individuale e
ci spinge ad andare verso le persone del territorio, cioè quelle che ci sono più prossime?
In alcune parrocchie serve informazione; la Caritas non è sentita o conosciuta molto (si
fanno giornate di raccolta di viveri rivolte ai parrocchiani).
Difficoltà a integrare a seconda dei parroci, pur essendoci attività e commissioni. Che ci sia
una manifestazione nella liturgia di situazioni di bisogno.
Fatica a tener viva l’attenzione a chi abbiamo accanto. Raccolta di alimenti come segno che
ci interroga e tiene vivo il coinvolgimento di tanti.
Chiamare persone da fuori a parlare per sensibilizzare alla liturgia domenicale (è quanto
hanno fatto a Rio Saliceto per destare maggior attenzione da parte dell’assemblea rispetto a
determinate iniziative e/o esigenze).
L’ambiente delle nostre comunità è difficile da sensibilizzare. C’è diffidenza nei confronti
dei poveri. C’è da impostare una formazione organizzata orientata alla carità. Abbiamo
pudore anche come ambienti parrocchiali a esporci negli ambiti caritativi. Dobbiamo
riappropriarci del senso della domenica e del senso comunitario.
Spesso le proposte su ambiti specifici cadono nel vuoto (pochi partecipanti). Nella
formazione degli educatori/catechisti occorre educare all’ascolto al servizio … Servono
incontri di formazione specifica e di preghiera ma non solo per addetti ai lavori.
In missione la carità ha costretto di più ad uscire e ad aprirsi per il bisogno. Coinvolgere e
aumentare i contatti tra persone dell’ambito missionario e caritativo. A volte ci si perde nel
concreto dei problemi, che scoraggia le persone. E’ necessario interrogarsi su come siamo
testimoni.
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RESOCONTO GRUPPO N. 7
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Si rinnova la necessità di un contatto più diretto e organizzato e strutturale con la Caritas
diocesana, soprattutto per le realtà più lontane (anche geograficamente si segnala la
necessità di avere strumenti operativi (tipo un manuale operativo) oppure anche solo
volantini per diffondere ai parrocchiani informazioni e iniziative. Probabilmente è meglio
identificare un referente a cui spedire il materiale piuttosto che inviarlo nella catasta di carta
delle perpetue...
Come esempio di una “buona pratica” vari referenti hanno segnalato che occorre fare sì che
il consiglio pastorale abbia all’interno un referente della Caritas parrocchiale. Anzi nel
consiglio dovrebbero esserci i rappresentanti delle varie dimensioni della pastorale in modo
che il compito della Caritas parrocchiale (in termini non tanto di nuove attività ma di
animazione e coordinamento, cioè RUOLO PEDAGOGICO) sia facilitato e quasi
automatico.
Si riafferma che il ruolo del parroco è fondamentale per attivare e/o migliorare o anche solo
parlare di Caritas parrocchiale … quindi si auspica un processo di formazione oltre che sugli
operatori laici anche per i sacerdoti.
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TESTIMONIANZE / PROPOSTE
PER UNA PASTORALE INTEGRATA
FAMIGLIE PER L’EMERGENZA (vedi anche allegato)
Daniela Casi
Testo tratto dalla registrazione, non rivisto dall’autore.
Si tratta di un gruppo di famiglie che si sono rese disponibili ai Servizi Sociali per accordarsi
sull’accoglienza in emergenza per tutti quei bimbi che nell’immediato rimanevano senza famiglia.
Vi faccio due esempi: una mamma che vive solo, con un bimbo e che viene ricoverata d’urgenza
per qualche motivo e magari è priva di rete parentale non sa dove appoggiare il suo bimbo, quindi
c’è bisogno immediatamente di una famiglia che si faccia carico del bimbo Oppure, esempi più
gravi, di situazioni familiari violente dove la mamma viene ricoverata e il papà viene portato in
questura, i bambini anche in questo caso hanno bisogno una collocazione immediata.
Ho semplificato molto per avere un’idea da cosa nasceva la richiesta dei Servizi di Reggio.
Sono sette anni che questa collaborazione è stata avviata e si è creato un ottimo rapporto tra
l’Istituzione che presiede alla tutela dei bambini a Reggio e le famiglie che hanno dato la loro
disponibilità ad accogliere i bimbi.
Inizialmente c’era una disponibilità di famiglie del Ramo delle Case della Carità poi questa
esperienza è stata contagiosa per cui il numero delle famiglie disponibili è aumentato e oggi non
sappiamo il numero di quelle che hanno lasciato la disponibilità a lasciarsi interrogare. Il germe
dell’accoglienza è presente in tutte le famiglie, quindi questa è stata semplicemente un’occasione
che ha aiutato le famiglie a valorizzare il dono dell’accoglienza che già è presente nel momento del
matrimonio.
Ho letto che nel rito del matrimonio c’è stata una piccola variazione: non si dice più io prendo
te come mio sposo, ma si dice io accolgo te. A me è piaciuta molto questa variazione perché è una
sottolineatura di come l’accoglienza sia costitutiva per una famiglia, l’accoglienza è io accolgo mio
marito e mio marito accoglie me e poi questa accoglienza si dilata, non solo ai figli naturali, ai
conoscenti della nostra cerchia, ma a tutti coloro che hanno necessità in un particolare momento di
essere accolti.
Nel documento di prospettive pastorali per quest’anno di Caritas Italiana, quando si parla di
pastorale parrocchiale con le famiglie, ci si interroga sul fatto che le famiglie difficilmente si
vedono insieme in parrocchia e quindi la pastorale parrocchiale troppe volte si rivolge alle famiglie
smembrate: ci si preoccupa dei bimbi, di colui che può offrire un servizio e raramente fa una
proposta alla famiglia in quanto tale. In questa opportunità che si è creata a Reggio, per cui gli
assistenti sociali chiamano le famiglie e chiedono: “Siete disponibili ad accogliere quel bimbo?”,
c’è la grossa possibilità di mettersi in gioco come famiglia.
Mi sembra una bella proposta da fare nelle nostre comunità parrocchiali perché un bimbo che
viene accolto in famiglia è un’occasione di servizio e di evangelizzazione per tutta la famiglia: per i
genitori, i figli e tante volte anche per i nonni. Tante volte mi viene detto: “Noi saremmo disponibili
ad accogliere un bimbo però i miei genitori sono un po’ all’antica e non capiscono come mai io
possa farmi carico di un bimbo che non è mio”. Quello che rispondo sempre e che ho visto in questi
anni è che i nonni si lasciano conquistare dai bimbi, i nonni sono quelli che nel momento in cui il
bimbo arriva più gli si dedicano perché, magari hanno dei pregiudizi, ma poi il bimbo diventa
occasione anche per loro di sperimentare la bellezza e il ritorno di ricchezza che l’accoglienza in
casa comporta.
Il desiderio mio di questa mattina è quello che in ogni parrocchia si approfondisca questa
possibilità che è presente a Reggio. Abbiamo una buona collaborazione con i Servizi Sociali, nel
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senso che loro ci presentano la situazione per tutto quello che loro conoscono in quel momento e
quindi è un’opportunità per conoscere maggiormente le povertà della nostra zona. Vi faccio un altro
esempio. Un assistente sociale ci chiama e ci dice (è una situazione reale di qualche giorno fa): “Io
so che c’è un bimbo che vive in una situazione abitativa precaria e la sua mamma deve essere
operata a un ginocchio e non va a operarsi perché non sa dove lasciare il bimbo. Tu sai di qualcuno
che possa tenerglielo ma anche portarglielo a casa il più presto possibile?”. Allora se c’è una
famiglia di Castelnovo Sotto che mi dice che è disponibile è un po’ scomoda perché questo bimbo
sta nella zona di Via Terrachini a Reggio. Se io so che in quella parrocchia (che comprende Via
Terrachini) posso rivolgermi a un responsabile della Caritas oppure a chiunque altro che interpella
la sua comunità parrocchiale dicendo che c’è un bimbo che in questo momento ha bisogno …
permettetemi di mutuare quella bellissima immagine che ci ha lasciato don Matteo questa mattina:
le due barche le possiamo vedere anche come la barca della nostra famiglia e quella della comunità
parrocchiale; se come famiglia io mi sento interpellata dalla necessità di questo bimbo e accetto che
questo bimbo venga accolto in casa mia ho bisogno della comunità parrocchiale perché la mia non
sia un’accoglienza che si basa sulle mie forze. La comunità parrocchiale è quella che mi restituisce
il significato dell’accoglienza perché so che sto camminando insieme ad altri fratelli che mi
sostengono con il pensiero o che magari mi portano un po’ di sugo per pasta perché il mio impegno
è cresciuto, e mi rendo conto che l’accoglienza non è un gesto mio, ma un gesto che è
accompagnato dalla comunità e quindi un gesto che diventa a tutti gli effetti di Chiesa.
Allo stesso modo la comunità parrocchiale ha bisogno che ci siano le famiglie perché è chiaro
che di fronte alla necessità di un bimbo non possiamo dire: “Ci penserà il gruppo Caritas” perché
quel bimbo ha bisogno di un posto definito dove mangiare, giocare con altri bimbi, … quindi la
comunità parrocchiale ha bisogno della famiglia e l’invito è un po’ questo. Proviamo a pensare se
nelle nostre comunità parrocchiali c’è posto anche per questa proposta. Siamo disponibili a venire
nelle parrocchie a spiegare meglio di quanto abbia fatto io adesso in questo tempo ristretto.
Spero di avervi almeno lasciato la curiosità di conoscere meglio la proposta.
E’ chiaro che non tutte le famiglie possono accogliere un bimbo concretamente. Allora già vi
ho detto prima che tutte la famiglie perché sono in una comunità parrocchiale accolgono sostenendo
la famiglia che accoglie, poi quando ci siamo trovati di fronte a casi particolarmente difficili di
accoglienza, davanti a situazioni particolarmente segnate dal dolore, abbiamo pensato che però
c’era un modo che tutti possiamo praticare nell’accogliere queste situazioni ed è l’accoglienza nella
preghiera. Allora da questo è nata la proposta di una messa mensile per ricordare tutti i bimbi che
hanno bisogno di accoglienza, tutte le famiglie che non ce la fanno o che non vogliono tenere i
propri bimbi e tutte le famiglie che invece si lanciano in questa avventura dell’aprire la porta di
casa. Ogni anno scegliamo una parrocchia per celebrare tutto l’anno in quella comunità perché
diventi anche fermento per la zona in cui si va; quest’anno siamo nella parrocchia di Sant’Agostino
a Reggio e, più o meno, la messa sarà tutti i primi lunedì del mese.
Per chi volesse saperne di più, abbiamo un indirizzario che aumentiamo continuamente per cui
basta che diciate a me o anche a Gianmarco il vostro nome riceverete gli avvisi e gli inviti alle
messe e per altre occasioni di incontro o di formazione sui temi dell’accoglienza.
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ISTITUTO DIOCESANO DI MUSICA E LITURGIA
Paolo Iotti
Testo tratto dalla registrazione, non rivisto dall’autore.
L’Istituto Diocesano di Musica e Liturgia (IDML) si occupa di formazione di musicisti per
suonare e animare nelle liturgie parrocchiali da quasi 30 anni. Non si occupa solo della formazione
musicale, perché per quella ci sono anche i conservatori o scuole private, ma si occupa di fornire
quel qualcosa in più che fa vivere l’esperienza della musica e del canto come dono; come dono per
la parrocchia, per la celebrazione, come dono anche per ciò che dalla celebrazione nasce.
A questo proposito dico che nelle esperienze degli ultimi anni dell’IDML non c’è solo quella
di corsi di musica o di formazione qui i n seminario, ma anche corsi nelle parrocchie, nelle unità
pastorali e in questi anni ci hanno invitato in diverse parrocchie e siamo, lo dico come proposta,
disponibili come IDML a venire a incontrare i vostri animatori o chi in parrocchia sarà interessato a
formazione musicale e liturgica in genere.
L’attività dell’IDML non si ferma solo qui ma è anche stata orientata a un atteggiamento
profondamente missionario. L’IDML ha contribuito alla formazione di musicisti e sacerdoti in
Albania in questi anni, ci sono stati contatti molto frequenti e attivi con il Rwanda, con il
Madagascar, con le terre di missione che conoscete molto bene. Sia nostri insegnanti che sono
andati in Albania per la formazione dei sacerdoti e degli animatori della liturgia del luogo, che
anche formazione dei nostri allievi qui perché maturassero che il gesto del suonare da solo non
risolve il problema. Suonare è solo l’inizio, ma poi c’è da maturare una sensibilità che va ben al di
là delle note che puoi produrre.
A questo proposito, quali proposte abbiamo da offrire? Intanto, i corsi che stiamo già
preparando (in questi anni abbiamo sempre passato i 100 allievi), non solo i corsi sistematici che
abbiamo qui in seminario, ma abbiamo la possibilità di offrire degli incontri nelle parrocchie (fate
riferimento all’ufficio dell’IDML) perché la formazione possa avvenire direttamente nei posti in cui
abitate. Naturalmente chi abita a Reggio è facilitato a partecipare a corsi che facciamo qui in
seminario, anche serali come abbiamo fatto lo scorso anno. Abbiamo fatto anche in questi anni corsi
da Guastalla alla montagna, quindi se siete interessati a corsi di formazione per unire le tematiche
che abbiamo ascoltato oggi, noi lo facciamo molto volentieri.
Tra i sussidi che possiamo offrirvi e che ci teniamo a fare conoscere c’è la rivista Celebrare
Cantando (la conoscete, vero?). Per chi non la conosce, è la rivista che è nata all’inizio solo per far
circolare dei canti all’interno delle nostre parrocchie in modo che i canti li cantassimo tutti nello
stesso modo; nel corso di questi più di dieci anni in cui pubblichiamo la rivista tre volte l’anno, ci
ha “preso un po’ la mano”. E’ diventata un posto dove ci sono non solo dei canti ma degli articoli di
studio o riflessione; gli articoli all’inizio erano di tipo liturgico poi sono diventati di tipo liturgico e
catechistico insieme. Negli ultimi mesi l’editoriale ma non solo avevano un taglio anche di
attenzione a che se non c’è la carità che nasce dalla liturgia, il nostro fare liturgia è mozzo, è finto.
Veramente, Celebrare Cantano dovrebbe essere quello strumento nelle mani di tutti, perché il canto
è solo la punta dell’iceberg. Per creare una parrocchia che canta, una comunità che canta e suona
all’inizio pensavamo che fosse sufficiente dare dei canti buoni, ma non è abbastanza; occorre creare
la sensibilità a percepire dentro di te come persona e come comunità la voglia di cantare. Cantare
perché scopriamo che Dio ci ama, cantare perché la risurrezione fa per noi, ma allora se scopriamo
che risurrezione fa per noi non lo teniamo per noi ma andiamo e annunciamo.
Ecco che allora il nostro percorso che all’inizio era scegliere dei canti, fare una scuola per
scegliere dei canti, sono nate altre domande: quali motivazioni portano a cantare? E allora il
percorso che offriamo ai nostri allievi è stato un percorso anche di riscoperta spirituale. Non solo
ma adesso che abbiamo riscoperto spiritualmente la freschezza della fede, nasce l’annuncio. A
questo proposito vi lascio due immagini che ci sono molto care all’interno dei percorsi di
formazione che abbiamo fatto all’IDML. Il primo è il libro di Neemia cap. 8. Se non lo avete
presente andate subito a leggervelo e per noi che ci occupiamo di liturgia bisogna saperlo quasi a
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memoria perché lì c’è la narrazione, lo schema di una liturgia biblicamente fondata; non voglio
dirvi di più, andatevelo a leggere. E in quel capitolo 8 di Neemia c’è scritto che la festa diventa vera
quando si prende del cibo e del vino e del materiale della festa e lo si va a portare ai poveri che alla
festa non ci sono. E’ quel gesto che rende vera la festa.
L’altra immagine che vi lascio è quella delle tre tende. Troppo facile fare una liturgia con i
canti che vanno bene, con i segni che funzionano bene. Ci viene da dire che bello per noi stare qui,
facciamo tre tende; Gesù dice no signori, andiamo, camminiamo! E’ troppo facile dopo un po’ che
suoni, canti, ti occupi di messa fare delle liturgie che stanno in piedi. Se una volta questo ci poteva
bastare, adesso no. Nasce forte l’esigenza di andare. Se una volta poteva bastare dire facciamo la
raccolta delle offerte adesso non basta: facciamo una raccolta di offerte che diventi significativa per
la parrocchia e diventi carità dopo. Voglio dire: nel percorso di studio che stiamo affrontando
adesso e che offriamo alla vostre parrocchie per la formazione, ci può essere anche questo: quali
sono i segni all’interno dell’Eucaristia che celebriamo che più immediatamente di altri ci possono
fare scoprire da subito il collegamento tra liturgia e carità?
Nella traccia che mi sono preparato per dire le cose che vi sto dicendo, ne ho elencati almeno
7 di questi segni. Uno soltanto vorrei dire: la processione offertoriale (che è emerso anche nel
lavoro di gruppo). Che senso ha che il giorno della Pasqua dello Sportivo portiamo i palloni
all’altare? Possiamo portare i palloni, ma quello che portiamo ai piedi dell’altare lo distribuiamo
fisicamente ai poveri. Oppure che senso ha se facciamo una raccolta di offerte? C’è bisogno di una
catechesi che dica che quel raccogliere le offerte sia ciò che la famiglia nella settimana risparmia e
mette a disposizione della vita della parrocchia e di tutto ciò che la vita della parrocchia riterrà
importante per il cammino di fede. E sono solo due dei punti sui quali possiamo lavorare all’interno
della liturgia per fare in modo che la nostra liturgia sia vera.
Basta dire: con due canti fatti bene, celebriamo bene! Qualche anno fa era un obiettivo:
trovare dei canti con un testo buono e ci abbiamo lavorato in questi anni; credo che tanti canti con il
testo banale non si fanno più (“Avevo tanta voglia di viaggiare, tu mi dicesti vai ed io partii”, ve lo
ricordate? “Son vivo dissi allora ad una donna a te amico mio pensaci tu” ma cosa cantavamo?
“Scusa Signore se bussiamo alle porte del tuo amore: siamo noi” e dovevo rispondere: scusa non
sapevo chi era, meno male che mi hai detto: siamo noi. Non si può. Queste cose che in altri parti
d’Italia si cantano ancora, a Reggio non si cantano più).
Qualità dei canti: problema risolto. Adesso c’è un’altra esigenza che sentiamo molto forte: la
verità dei gesti. Quindi dalla qualità dei canti alla verità dei gesti.
Questa in sintesi è la storia dell’IDML, ma è il cammino, la direzione che vogliamo prendere
condito da un entusiasmo fortissimo che siamo capaci di darci fra di noi quando ci troviamo a
lavorare perché abbiamo chiaro che non lavoriamo per noi ma per il “partito”.
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GRANELLO DI SENAPA (vedi anche allegato)
Matteo Gandini
Testo tratto dalla registrazione, non rivisto dall’autore.
Nel nostro gruppo di lavoro è venuta fuori una necessità, un’esigenza, una riflessione, cioè che
le nostre Caritas parrocchiali coinvolgono le persone lontane, le persone fuori dalla Chiesa, perché
vengono come volontari, sono attirati … ma si fa una fatica enorme a coinvolgere la comunità
parrocchiale. Molti chiedevano: ma che mezzi, che modi abbiamo per educare la nostra comunità
parrocchiale. Quello che dico, insieme alle altre ascoltate prima, possono essere alcuni mezzi.
Il Granello di Senapa è un coordinamento tra Caritas diocesana, Centro Missionario, Ufficio
di Pastorale Scolastica, Ufficio di Pastorale Giovanile, Ufficio Catechistico in collaborazione con
Reggio Terzo Mondo, Coop. Ravinala e Centro Missionario dei Frati Cappuccini di S. Martino in
Rio, che si propone, come obiettivo, la formazione alla mondialità e al servizio. Quindi noi andiamo
nelle scuole, nelle parrocchie, al Ce.I.S., … dove ci chiamano a fare degli incontri di due ore con
percorsi di 2, 3, 4 incontri su queste tematiche (che sono riassunte nel pieghevole che avete in
cartellina).
Così è nato il Granello di Senapa. Vedete, nel logo, il facciotto che
compie un cammino, un percorso di formazione e se questo percorso è
compiuto il mondo fiorisce.
Perché oggi vi proponiamo il Granello? Perché, come abbiamo
detto anche prima nei gruppi di lavoro, la Caritas nell’articolo 1 del suo
statuto viene detto che ha una “prevalente funzione pedagogica”.
Banalizzando: facciamo le opere segno, certamente, ma siamo sempre
attenti a coinvolgere, a testimoniare la carità per coinvolgere, per
richiamare ognuno a questa propria funzione della carità. Quindi invece
di addossarci noi 3 casi come famiglie, chiediamo ad altre famiglie di condividere questi 3 casi. E
con il Granello cerchiamo proprio di fare questo: di andare a ricordare, a condividere, in modo
gioioso, dai bimbi fino agli adulti, che ognuno viene chiamato dal Signore nella sua sequela al
discorso della carità.
Vedete ora alcune foto per darvi un’idea di cosa facciamo.
Un’idea che ci è venuta: abbiamo comprato una rotonda stradale del Comune di Reggio e ogni
bimbo della parrocchie, delle scuole, di chi ci chiama, colora un sasso, ci scrive sopra una frase e il
sasso viene messo in una delle stradine interne alla rotonda che saranno sette secondo i colori della
bandiera della pace. Così ogni bimbo sa che se ogni piccolo uomo, nel suo piccolo mondo fa una
piccola cosa, il mondo cambia. Se io piccolo bambino metto il mio sasso, lo coloro, ci metto la mia
frase e lo metto insieme a migliaia di altri sassi faccio la grande rotonda della pace. Questo è un
modo per sensibilizzare i bambini in parrocchia (potete proporlo anche come Caritas parrocchiale)
al discorso della pace.
Altro esempi. Con le famiglie delle Case della Carità, con i bambini, abbiamo fatto un
incontro sul tema della pace. Poi, con gli scouts a Bercelo abbiamo cercato di far capire che le
risorse sono limitate: ogni abitante del sud del mondo ha un litro di acqua al giorno a testa.
Abbiamo chiesto a una bambina di lavarsi i piedi con quel litro di acqua, di lavarsi le mani, le
orecchie e poi le è rimasta pochissima acqua. Quella era l’acqua che aveva a disposizione per bere
in quel giorno! Allora i bambini dicono: “Così poca?” e così si parte a riflettere.
Altro esempio: don Davide ha portato un gruppo di ragazzi della sua parrocchia al magazzino
della Ravinala. Insieme abbiamo mangiato l’Equita (che è la “Nutella” del commercio equo e
solidale) e da lì siamo partiti a ragionare su cos’è il mercato equo e solidale.
Poi facciamo una teatralizzazione di una fiaba che prima viene raccontata ai bambini e poi
viene animata, i personaggi prendono forma e la fiaba diventa “vera” e i personaggi interagiscono
con i bambini.
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Ora, vi facciamo la proposta che per ogni Caritas parrocchiale o per ogni San Vincenzo o altre
realtà, attraverso il Granello di Senapa, si possa realizzare la prevalente funzione pedagogica.
Quindi il Granello si mette al vostro servizio e vi dice: se voi volete sensibilizzare la vostra
comunità, i vostri educatori, il gruppo famiglie, il Consiglio Pastorale, il gruppo degli allenatori,
una classe di catechismo, ai temi che trovate nel volantino, può essere un’occasione per realizzare la
funzione prevalente che l’articolo 1 della Caritas ci dice essere quella pedagogica.
Ci piace questo proverbio cinese che rispecchia proprio la funzione pedagogica della Caritas:
“Quando fai piani per un anno semina grano; se fai piani per un decennio pianta alberi; sei fai piani
per la vita forma ed educa le persone”.
Concludo dicendo che c’è una fortissima ignoranza, dai bambini fino agli adulti su queste
cose. L’ignoranza crea la paura e la paura crea azioni sbagliate. Quando ai bambini o ai ragazzi
chiediamo chi ha vinto il Grande Fratello, tutti lo sanno; quando chiediamo loro chi è il sesto in
campionato, lo sanno dire subito; se chiediamo i nomi delle due Veline ce lo dicono subito. Ma se
chiediamo quanti bambini muoiono al giorno ci rispondono: “Ma … 100, … 1.000, ma sì dai
facciamo 1.000” No, diciamo noi, sono 24.000! Ed è quella bocca aperta dei bambini a sentire
questa notizia il canale nel quale ci incuneiamo per dire loro: “Devi conoscere”. Non è sbagliato
sapere chi ha vinto il campionato, ma se non sai come va il mondo, quali sono alcune dinamiche che
regolano il mondo, quali sono le dinamiche che regolano la nostra paura, come la diversità non è
solo un peso ma anche una bellezza e una ricchezza …
Quindi, c’è una forte ignoranza in giro e da questa nasce la paura e se riusciamo un po’ a
lavorarci insieme sopra può essere utile a tutti. Noi per questo ci mettiamo a disposizione.
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CONCLUSIONI
Don Romano Zanni
Testo tratto dalla registrazione, non rivisto dall’autore.
Un grosso ringraziamento a tutti. Mi pare che a partire dalla riflessione di don Matteo che è
stata molto stimolante ed è stato capace di legare la riflessione spirituale alla quotidianità della vita,
le provocazioni del Vescovo che ho trovato particolarmente significative, queste testimonianze
finali, oltre al lavoro nei gruppi che avete fatto, hanno fatto ricca questa giornata. Quindi un grazie
di cuore a tutti di tutto.
La seconda cosa ce volevo dire è che avremo l’Avvento Caritas da organizzare e quest’anno
d’accordo con il Vescovo il progetto al quale devolveremo le offerte raccolte sarà proprio la Caritas
diocesana, perché siamo in “panne” per i debiti che abbiamo. Purtroppo per alcune vicissitudini
degli ultimi tempi siamo messi male.
Vi faccio solo un esempio. Quando abbiamo pensato il Granello di Senapa 4 anni fa,
l’avevamo pensato in modo autosufficiente per non pesare sulle casse della Caritas e degli altri
uffici pastorali. Poi c’è stata la riforma Moratti con numerosi tagli. In quel momento noi
chiedevamo 35 euro all’ora per gli interventi che si facevano nelle scuole e quando c’è stato il taglio
della Moratti, eravamo già a 420 ore prenotate agli inizi di ottobre, immediatamente molte scuole
hanno disdetto l’intervento per mancanza di mezzi e di fondi. Credendo fortemente in questa
funzione prevalentemente pedagogica della Caritas e degli altri uffici pastorali, abbiamo abbassato
il costo a 15 euro. Potete ben capire cosa ha voluto dire. Il prezzo che potrebbe compensare le spese
sarebbe sugli 80 euro. Già la nostra tariffa a 35 chiedeva una ricerca di fondi esterna; a 15 siamo
rimasti sotto di parecchi milioni (circa 40.000 euro).
Noi, però, crediamo fortemente che dobbiamo andare in questa strada perché, dicevo anche il
Vescovo, se crediamo davvero che la formazione è una priorità, diventa vero nella misura in cui su
quella priorità ci investiamo. Se non vogliamo investirci, ce la raccontiamo!
Ecco allora perché quest’anno, d’accordo con il Vescovo, visto che altri soldi la Diocesi non
riesce a darci, abbiamo pensato di utilizzare l’Avvento Caritas per finanziare il Granello che è una
delle tante spese, la Mensa che voi conoscete molto bene e che ora nella nuova sede di Via Adua ha
dei costi di gestione molto più alti di Via del Carbone (quest’anno, inoltre, anche a causa della
morte della Signora Spallanzani, la nostra mensa ha operato per più di 200 giorni). E così anche per
le altre attività di servizio.
Ora, è chiaro che la Caritas non deve guadagnare però ha bisogno di sopravvivere, quindi
pensiamo che quest’anno le raccolte che faremo per l’Avvento le metteremo a sostegno della
Caritas diocesana e delle attività dette prima. Ci sembra importante portare avanti tutte le azioni
della Caritas in termini pedagogici, portare avanti i Centri di Ascolto (diocesano e periferici) il che
vuol dire investimento in persone che seguano le attività.
L’ultima cosa è questa: continuiamo ad andare avanti, con molta fiducia. Credo che il
cammino di Chiesa che stiamo facendo e soprattutto quel cammino di insieme (il Granello di
Senapa ne è un modello, un esempio dove 5 uffici pastorali lavorano insieme) credo che debba
essere sottolineato e implementato molto di più. Quindi anche quello che oggi abbiamo molto
semplicemente iniziato invitando l’IDML a dirci qual è la via che già loro praticano, credo che
dobbiamo davvero percorrere questa strada di lavoro insieme. Perché liturgia, catechesi e carità
sono tra pilastri che nelle parrocchie o collaborano o altrimenti non si riesce davvero a fare una
testimonianza cristiana autentica e credibile.
Grazie ancora per la vostra partecipazione e buon lavoro a tutti!
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ALLEGATI
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RESOCONTO INCONTRI DI VERIFICA
CON CARITAS PARROCCHIALI E CENTRI DI ASCOLTO
Novellara 19-05-2004 – Reggio Emilia 27-05-2004
Sassuolo 28-05-2004 – Castelnovo ne’ Monti 03-06-2004
PREMESSA
Quest’anno, rispetto allo scorso, abbiamo deciso di aggiungere una serata di incontro nella zona
delle ceramiche (Vicariato di Sassuolo, Salvaterra, Casalgrande, Scandiano), cercando di
raggiungere più parrocchie possibili in zone con problemi e situazioni abbastanza omogenee.
Durante le quattro serate abbiamo avuto modo di incontrare circa 60 persone appartenenti a
venticinque realtà parrocchiali e/o vicariali. La partecipazione agli incontri di Novellara e
Castelnovo ne’ Monti è stata un po’ scarsa come rappresentanza di parrocchie. Il numero limitato di
partecipanti (per ogni serata) ha permesso a tutti di parlare e di approfondire alcune tematiche che
risultavano di interesse comune, permettendo ad ogni realtà di comunicare le proprie attività, fatiche
e elementi positivi.
CONSIDERAZIONI GENERALI
•
•
•
Tra tutte le realtà incontrate è comune la difficoltà di trovare le modalità per sensibilizzare e
coinvolgere tutta la comunità nella vita di carità. A volte è difficile anche reperire
volontariato e risorse materiali per i servizi di distribuzione o del CdA. C’è anche, però,
tanta carità che viene fatta nelle nostre parrocchie anche da chi non è impegnato nella
Caritas o nella vita parrocchiale: famiglie con disagi vari, con anziani, ammalati.
Altro punto abbastanza comune è la difficoltà di rapporto con il parroco. Spesso ci si trova a
fare le cose senza che siano inserite nella pastorale della parrocchia; oppure la carità viene
delegata al gruppetto di persone della Caritas parrocchiale; succede anche che alcune attività
della Caritas parrocchiale o del Centro di Ascolto siano ignorate e osteggiate dal parroco.
Chi è già “con le mani in pasta” e direttamente coinvolto nei servizi è un “privilegiato” ma
attenzione a non ritenersi gli unici che fanno carità: non tutti possono essere impegnati nei
servizi concreti più evidenti e la carità va vissuta negli ambienti quotidiani (famiglia, scuola,
lavoro). Chi fa i servizi deve farlo con gioia senza giudicare chi non fa.
ASPETTI NEGATIVI / FATICHE
Difficoltà per un CdA vicariale di arrivare alla sensibilizzazione di tutte le parrocchie coinvolte.
Difficoltà di parrocchie dello stesso vicariato a mettersi insieme per esprimere servizi; rimane
ancora molta autoreferenzialità e poca collaborazione.
Difficoltà a lavorare o pensare qualcosa con la liturgia e la catechesi o altri gruppi della
parrocchia.
Difficoltà con i sacerdoti (si preoccupano poco della pastorale della carità o hanno mentalità un
po’ “vecchia” e assistenzialistica).
Nuove povertà: famiglie “nostre” monoreddito, separati e divorziati, malattie improvvise, … per
questo bisognerebbe rafforzare una rete di famiglie che stiano vicine, sostengano quelle in
difficoltà.
Nuove povertà: anziani. Qualcuno ha fatto una mappatura delle situazioni di anziani ma stenta a
trovare il modo e le persone per andare nelle case, ma diventa sempre più un’esigenza e una
“nuova” espressione della Caritas (non solo CdA o distribuzioni varie).
Necessità di conoscere il territorio: povertà, risorse, servizi. Su questo punto si potrebbe
utilizzare il canale bambini/giovani che, bene o male, frequentano catechismo, oratorio o sono a
scuola con i nostri figli.
Attenzione a non “sedersi”. Avere un buon CdA, organizzato e funzionale, non vuol dire essere
a posto. L’incontro con il povero deve sempre scomodarci e l’incontro con lui deve essere
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sempre occasione di conversione per noi, non solo un bisogno da soddisfare nel modo migliore
possibile.
Difficoltà di animare/sensibilizzare la parrocchia. E’ spesso difficile essere visibili e manifestare
le necessità della Caritas e tenere informata la comunità parrocchiale, fare conoscere le povertà.
In alcune parrocchie, risulta ancora poco chiara l’identità della Caritas parrocchiale che rimane
un “modo” di fare pastorale (certo senza tralasciare il fare, ma con la pedagogia dei fatti) e non
una struttura, una cosa in più da fare, una organizzazione che deve essere riconosciuta.
ASPETTI POSITIVI / PUNTI DI FORZA
Buoni i rapporti con i servizi sociali: da due anni a questa parte i rapporti con i servizi pubblici è
molto cambiato e migliorato. Sono loro che cercano la Caritas e le collaborazioni sono anche in
termini di progettazione insieme su singoli casi. Inoltre, in molti comuni, si sono avviati gli
sportelli informativi per immigrati stranieri che hanno tolto un po’ di lavoro al CdA,
aumentando la professionalità nell’orientamento e l’erogazione dei servizi. Necessario è anche
coinvolgere e lavorare insieme ad altre associazioni o organizzazioni già presenti sul territorio e
già attive per servizi caritativi.
Tendenza a organizzarsi tra parrocchie vicine (unità pastorali, zone) per esprimere un solo
servizio (CdA o distribuzioni).
Dare più spazio, dedicare tempo all’ascolto degli altri, a far crescere la relazione e la
conoscenza (questo aiuta anche a superare le paure e gli stereotipi della nostra società sulla
diversità).
Il CdA rimane luogo importante per la vita e testimonianza di carità della comunità cristiana. E’
importante che la comunità cristiana dedichi un luogo alla vita di carità (cfr. ETC e CVMC).
Dalle famiglie povere che incontriamo e conosciamo dobbiamo imparare: sobrietà, stili di vita
diversi dai nostri che ormai non sono più sostenibili.
Positivo il “tirocinio pratico” presso CdA già aperti e attivi da parte di alcuni volontari che
stanno cercando di aprire a loro volta altri centri.
Separare, all’interno del CdA, l’ascolto dalla distribuzione è risultato positivo. C’è anche chi ha
decentralizzato la distribuzione alimenti andando a portarli direttamente nelle case e facilitando,
così, l’approfondimento del rapporto umano e la conoscenza.
L’incontro con stranieri, a partire da situazioni di bisogno e da richieste particolari, ha aperto
anche la strada a qualche tentativo di integrazione religiosa: soprattutto per le badanti (di solito
ortodosse) e per la comunità cattolica albanese. Ci sono esperienze già attive e continuative,
anche se non è facile e si rischia di concedere l’uso di spazi mantenendo comunque la
distinzione: non è facile e bisogna impegnarsi di più in questo ambito e trovare nuove idee.
RICHIESTE E PROPOSTE
Avere sussidi che aiutano a proporre temi Caritas ai catechisti.
Sapere le attività delle altre Caritas e CdA.
Lavorare molto con i giovani (post-cresima in particolare) coinvolgendoli nei servizi
caritativi.
Fare formazione sulle altre culture (corsi, serate, materiale didattico e di approfondimento).
Da Sassuolo: si chiede un operatore stipendiato esperto Caritas che aiuti e accompagni ad
avviare un CdA cittadino e segua la coscientizzazione delle parrocchie.
Formare i preti alla carità e cominciare anche in seminario.
Pensare a qualcosa per l’integrazione religiosa degli immigrati cristiani (soprattutto per le
badanti).
Si chiede alla Caritas diocesana il sostegno nella formazione e l’accompagnamento di chi si
è già avviato, rimanendo di supporto dal punto di vista teorico e pratico (nel caso dei CdA).
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GRANELLO DI SENAPA
CHE COS’E’ IL GRANELLO DI SENAPA
Il Granello di Senapa è il coordinamento diocesano degli Uffici di Pastorale per la formazione
giovanile e missionaria e degli organismi ecclesiali di servizio e di volontariato internazionale
missionario animati dal desiderio di collaborare e di crescere secondo una spiritualità di comunione
fondata sul mistero della Trinità “la cui luce rifulge sul volto di ogni persona” (NMI 43) e su ogni
pur minima realtà di chiesa.
Nato nel settembre del 2001, il Granello unisce la Caritas diocesana, il Centro Missionario
diocesano, l’Ufficio di Pastorale Giovanile, l’Ufficio di Pastorale Scolastica e l’Ufficio Catechistico
e si avvale della collaborazione della Coop. Ravinala, di Reggio Terzo Mondo e del Centro
Missionario dei Frati Cappuccini.
I NOSTRI TEMI
GLOBALIZZAZIONE
Fotografando l’attuale sistema mondiale si analizzerà come la globalizzazione diventi parte della
nostra quotidianità.
In particolare ci soffermeremo su alcuni meccanismi che favoriscono lo sviluppo di questo
fenomeno e le conseguenze a cui porta.
Gli argomenti che trattiamo sono:
Vivere sulla propria pelle alcune dinamiche mondiali (gioco di ruolo)
Definizione di globalizzazione e distribuzione della ricchezza nel mondo
I vari tipi di interdipendenze e le loro conseguenze
Cosa noi possiamo fare
INFORMAZIONE ALTERNATIVA
Questo filone è rivolto prevalentemente alle classi superiori per cercare di far capire ai giovani
come le notizie vengano manipolate e gestite da poche agenzie di stampa. Da qui nasce l’esigenza
di un ‘informazione alternativa.
INTERCULTURA
Lo scopo di quest’area è stimolare la curiosità per la diversità intesa come ricchezza umana.
Attraverso una serie di incontri cerchiamo di promuovere la mediazione e il confronto tra culture
diverse al fine di stimolare i ragazzi al confronto reciproco e allo scambio culturale e personale.
Alcuni temi potrebbero essere
Tutte le culture sono diverse ma di uguale importanza
Il pregiudizio e lo stereotipo
La diversità sulla carta: Peters
Chi sono gli stranieri
IL LAVORO MINORILE
Analizzando vari aspetti di questo tema si cercherà di valutarne le dimensioni e le caratteristiche per
conoscere come trasformare uno sfruttamento in un’occasione per aiutare i ragazzi.
Le tematiche affrontate sono:
Scopriamo il lavoro minorile
Chi e come ne parla del lavoro minorile
Diritti dei minori
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Il movimento NATS
PACE
La base di tutti gli incontri è di far interrogare i ragazzi sul significato della guerra. Il tentativo è
quello di dare alla guerra la sua vera identità e su questo costruire dei ragionamenti e delle
riflessioni sulle possibilità di costruire la pace.
Gli argomenti che trattiamo sono:
Capire cos’è veramente la guerra
Chi sono le vittime
Le motivazioni della guerra
Dov’è la guerra
Alcuni testimoni e Danica
Come possiamo essere testimoni di pace
STILE DI VITA
Una volta presentate le realtà di volontariato che ci circondano cerchiamo di coinvolgere i ragazzi
attraverso esperienze e testimonianze di vita “donata”.
Possibili percorsi sono:
Tra obiezione e servizio civile
Il volontariato internazionale
Il volontariato a Reggio Emilia
COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
Gli incontri cercheranno di chiarire le caratteristiche che differenziano il commercio normale e
quello equo e solidale, per sottolineare la valenza di quest’ultimo. Si tratta di un percorso
interdisciplinare che si incrocia con altre tematiche.
Il consumo critico
Il commercio equo come alternativa
Quali le caratteristiche di un commercio contro corrente.
PROSTITUZIONE ( in collaborazione con Rabbunì)
Questo percorso è rivolto ai ragazzi delle superiori e si articola in tre punti principali:
La realtà della strada: le contraddizioni e i conflitti
La mercificazione della persona
Il cliente : chi è e cosa vuole
LA VITA (in collaborazione con la Coop. Madre Teresa)
Partendo dal presupposto della vita come dono prezioso si analizzano le problematiche legate alla
dignità della vita umana prendendo come riferimento il CAV di Reggio Emilia (incontro nelle case
di accoglienza).
METODOLOGIE
Le nostre metodologie sono quelle comunemente definite attive.
La scelta di utilizzare giochi, simulazioni, role playing e teatralizzazioni durante gli incontri ci aiuta
ad avvicinarci ai ragazzi rendendo le nozioni e gli interventi maggiormente significativi.
Un altro metodo molto usato è la testimonianza.
Generalmente noi proponiamo alle scuole e ai gruppi non un singolo intervento ma un vero e
proprio percorso didattico per avere l’opportunità di approfondire gli argomenti trattati e rielaborarli
adattandoli alle singole esigenze.
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I percorsi che offriamo non sono standard ma vengono realizzati di volta in volta con la
collaborazione degli insegnanti e in base alle esigenze dei vari gruppi.
I FORMATORI
Il Granello di Senapa si avvale di formatori e animatori dipendenti dei diversi organismi o volontari
accomunati dalla passione per l’educazione e la diffusione delle tematiche trattate.
A CHI CI RIVOLGIAMO
Il Granello di Senapa si rivolge a tutte quelle realtà (scolastiche, religiose, associa-zionistiche ecc)
che desiderano approfondire le tematiche relative alla globalizzazione, al volontariato,
all’intercultura, al lavoro minorile, all’educazione alla pace, alle povertà o al mercato equo e
solidale, alla vita e alla prostituzione.
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FAMIGLIE PER L’EMERGENZA
“Chi nel cammino della vita, ha acceso anche solo una lampada nell’ora
buia di qualcuno, non sarà vissuto invano.”
(Madre
Teresa)“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.”
(Mt 25,40)
ACCOGLIERE LA VITA…
... perché
“Siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi?”
(dalla liturgia del matrimonio)
Un figlio è frutto di un atto d’amore, ma nella fantasia di Dio non esiste solo la fecondità fisica: ci
sono figli generati nella carne e ci sono figli, nati da altri genitori, che per un certo periodo, più o
meno lungo, cercano una famiglia disposta ad occuparsi di loro.
... chi
“Nel povero che noi accogliamo è Cristo che ci fa l’immenso piacere di venirci incontro”
(don Mario Prandi)
Ogni famiglia può aprirsi all’acco- glienza, innanzitutto pregando il Padre per le sofferenze e le
angosce che tanti bimbi sono costretti a vivere ogni giorno, ma anche aprendo concretamente la
porta di casa lasciandosi coinvolgere con il cuore e la vita.
... come
“Sono tante le situazioni di rischio che vedono coinvolti i bambini nella nostra città”
(dalla cronaca locale)
Grazie all’accordo tra i servizi sociali di Reggio Emilia e le famiglie delle Case della Carità è nato
un progetto di accoglienza per bimbi in difficoltà. La ricchezza di questa esperienza si è rivelata
contagiosa creando una rete che attraversa ormai moltissime parrocchie.
•
Le famiglie delle Case della Carità,
l’Ufficio di Pastorale Familiare e la Caritas diocesana
PROPONGONO:
la celebrazione dell’Eucaristia una volta al mese (1° lunedì) nella parrocchia di S. Agostino
a Reggio E.
• la disponibilità per incontri di approfondimento e di condivisione sulle tematiche relative
all’accoglienza familiare a gruppi familiari, corsi per fidanzati, consigli pastorali, singole
famiglie, …
Per informazioni:
Casarini Giuseppe e Daniela 0522
Gianferrari Roberto e Daniela
0522
558920Chiessi Lorenzo e Daniela 0522
511710Vecchi Marco e Milena
0522
920719
916170
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Pro Manoscritto ad uso interno
a cura di
CARITAS DIOCESANA DI REGGIO EMILIA – GUASTALLA
Via Aeronautica, 4 - Reggio Emilia
Tel. 0522-922520 Fax 0522-922552
E-mail [email protected]
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