Teosofia e pensiero utopico: l`idea di una

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Teosofia e pensiero utopico: l`idea di una
Teosofia e pensiero utopico: l’idea di una fratellanza universale
Luca Menconi
Dottorando dell’Università degli Studi di Firenze
Riassunto
Affrontando il tema dell’esoterismo, lo scopo del presente scritto è indagare le specificità utopiche
di un fenomeno religioso peculiare e minoritario come la Teosofia di matrice blavatskyana. Nata in
contesto anglosassone alla fine dell’Ottocento, essa si diffondeva in larga parte del mondo, grazie al
carisma ed alla capacità dei suoi principali esponenti, facendosi portavoce di un invito alla
fratellanza universale, senza distinzioni “di razza, credo, sesso, casta o colore della pelle”. La sua
complessa cosmologia ed antropologia si esplicava con progettualità ambiziose atte a rinnovare
l’economia, la vita politica, il sistema di detenzione e la pedagogia. Rimaste prive di effetti pratici,
le elaborazioni della Società Teosofica in vista di una maggiore vicinanza all’interno del genere
umano rappresentano, tuttavia, le significative aspirazioni di una piccola elitè sovranazionale, di
non secondaria importanza per connotare le specificità del movimento.
Parole chiave
Teosofia, fratellanza, utopia
Luca Menconi è dottorando al Dipartimento di Scienze politiche e sociali all’Università di Firenze.
Laureatosi all’Università di Pisa in Storia Contemporanea (110 e lode), sta attualmente lavorando
alla sua tesi di dottorato, Giovanni Preziosi e “La Vita Italiana”, imperniata sullo studio di una
precisa componente (antisemita ed estremista) del fascismo italiano.
MORUS – Utopia e Renascimento, 10, 2015
Theosophy and Utopic Thought: the Idea of an Universal Brotherhood
Luca Menconi
PhD student at the University of Florence Ana Cláudia Romano Ribeiro
Abstract
Confronting the theme of esotericism, the purpose of the present essay is to investigate the
specifical utopical features of a peculiar religious phenomenon like blavatskyan Theosophy. Born
in an anglo-saxon context at the end of nineteenth century, Theosophy spread herself in the whole
world, thanks to the charisma and to the ability of her more important exponents, preaching the
opportunity and necessity of an universal brotherhood, without distinctions of “race, creed, sex,
caste or colour”. Her complex cosmology and anthropology explicated herself in ambitious projects
to renew the economy, the political life, the penal system and the pedagogy. Without pratical
realization, these reflections of the Theosophical Society in the sight of a more united humanity
represent, however, the significant expression of a small International elitè, which are of no
secundary importance in the characterization of this specific movement.
Key words
Theosophy, brotherhood, utopy.
Luca Menconi is PhD student at the Department of Political and Social Sciences of the University
of Florence. Graduated at the University of Pisa (110 cum laude), he is actually working on his PhD
thesis, Giovanni Preziosi e “La Vita Italiana”, dedicated to the study of a specific component
(antisemitism and extremism) of the Italian fascism.
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Teosofia e pensiero utopico: l’idea di una fratellanza universale
efinita da James Santucci (1999, p. 7) 1 come uno dei più “influenti
movimenti del milieu esoterico ed occultista” dell’età contemporanea, la
Società Teosofica fissava definitivamente, nel 1896, in tre obiettivi la
propria missione (Goodrick-Clarke, 2008, p. 325) 2 , attribuendo precipua
importanza al primo che insisteva sul principio della “fratellanza universale
dell’umanità senza distinzioni di razza, credo, sesso, casta o colore della
pelle”. A differenza dei due successivi obiettivi (“incoraggiare lo studio comparato delle religioni,
filosofie e scienze” e “investigare le leggi inespresse della natura ed i poteri latenti del cosmo”),
l’accettazione di questo primo principio-valore era ed è la condizione sine qua non per la quale si
poteva entrare a far parte della Società (Santucci, 1999, pp. 5-6)3. Nel gruppo degli studiosi della
“Scienza divina” o “Sapienza divina” (Faivre, 1994, p. 23), pertanto, si entrava obbedendo
dapprima più ad un imperativo sociale, che non ad uno propriamente detto di indagine spirituale.
Indagare i legami di questa tradizione di pensiero con l’utopia è lo scopo del presente
scritto, il quale si concentrerà principalmente sul concetto di fratellanza, dove questa prospettiva
ideale si palesa in maniera più marcata.
Prima di approfondire un simile aspetto, appare opportuno, tuttavia, descrivere brevemente
il movimento teosofico, nonché i principi basilari della sua peculiare visione del mondo4.
Sul piano pratico, a spingere in direzione della fratellanza era la stessa connotazione
internazionalista della Società Teosofica. Sin dalla sua fondazione a New York, il 17 novembre
1875, le due figure di spicco del movimento, Helena Petrovna Blavatsky5 e Henry Steel Olcott6,
avevano mirato a trasformare la neonata Società in un veicolo per la “synthesis of Western and
Eastern metaphysical categories” (Albanese, 2007, p. 275)7. Per farlo miravano ambiziosamente a
1
Si veda anche J. Santucci (2013). Per una classificazione degli elementi qualificanti dell’esoterismo e per una breve
esposizione dei principi teosofici: Faivre (1994, pp. 10-15, 23-26, 45-46, 71-82).
2
Sull’evoluzione degli obiettivi della Società: Edoardo Bratina, Corso di Teosofia: terza parte,
http://www.teosofica.org/it/spunti-di-riflessione/corso-di-teosofia-3,3,82 (consultato il 12.09.2015).
3
http://www.teosofica.org/it/societa-teosofica/gli-scopi-della-societa-teosofica/,54 (consultato il 12.09.2015).
4
Per una legenda dell’ampia letteratura sull’argomento si segnala il sito: http://www.cesnur.com/gruppi-teosofici-epost-teosofici/la-societa-teosofica (consultato il 12.09.2015).
5
Su Blavatsky: Giovetti (1991); Cranston, (1994); Godwin (1994, pp. 277-307); Washington (1996); Wehr (2002, pp.
27-64); Hanegraaff (2006, pp. 177-185); Ursula Keller e Natalia Sharandak (2013). Fonti contemporanee: Sinnett
(1886); Cooper et AA. VV. (1891); Solovyoff (1895); Ransom (1931). Di Blavatsky, sempre con informazioni
biografiche: Barker (1925); Blavatsky (1966-1991, voll. I-IV; XI-XV); (1950, vol. V), (1954, vol. VI), (1958-1964,
voll. VII-X). Per un’antologia di testi: Goodrick-Clarke (2004).
6
Su Olcott: Cf. Prothero (1995, pp. 281-302); Prothero (1996); Harvey (2013, p. 378). Di Olcott: Olcott (1881); Olcott
(1885); Olcott (1895-1935, voll. VI).
7
Editors of Theosophy Magazine (1925); Editors of the Cunningham Press (1951).
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raccogliere un elitè di esperti sovrannazionale in grado di concretizzare un tale incarico.
Argomentando come ogni religione fosse soltanto un frammento di una superiore verità unitaria, si
legittimava l’apporto di uomini e donne delle più diverse tradizioni religiose (Blavatsky, 1966
(1889), p. 13). Persino gli atei potevano rientrare nello sforzo comune di ricerca della Verità
proclamata dalla Teosofia8, a patto che tutti accettassero il relativismo delle proprie posizioni e
deponessero ogni forma di intolleranza e pregiudizio. L’appello non era destinato a rimanere
inascoltato.
Dopo la creazione nel 1883 della sede centrale ad Adyar in India (oggi Chennai, dove
permane tuttora), dalle due logge iniziali del 1879 (New York e Londra), l’organizzazione
raggiungeva l’apice di iscritti attorno agli anni 1928-1930, con poco oltre le 30'000 unità9. Numeri
ridotti, che, a detta degli studiosi, erano incomparabilmente inferiori all’impatto storico e culturale
esercitato dalla Società.
Nell’interpretazione autorevole di Antoine Faivre, il successo dell’esoterismo teosofico era
dovuto, principalmente, all’attrazione esercitata da alcune personalità di primo piano che facevano
parte o assumevano ruoli direttivi all’interno della Società. Le loro attività, dentro e fuori il
movimento teosofico in senso stretto, avevano ricadute benefiche sulla stessa, in termini di
pubblicità ed adesioni. A questo proposito, i contributi della fondatrice, Helena Petrovna Blavatsky,
della succeditrice di Olcott alla presidenza dell’organizzazione nel 1907, Annie Besant, e del suo
principale collaboratore, Charles Webster Leadbeater, meritano di essere particolarmente
sottolineati. Sono state, infatti, queste tre figure a definire i fondamenti del pensiero teosofico, a
divulgarli e a determinarne il successo, promuovendone una propagazione mondiale. Le loro
vicende biografiche, ampiamente indagate 10 , sono state segnate da numerose controversie e da
svolte anche clamorose: si ricordino, a solo titolo d’esempio, il rigetto dello spiritismo da parte di
Blavatsky, la conversione di Besant dall’ateismo socialista, attraverso l’anglicanesimo, ai principi
teosofici o, per Leadbeater, l’abbandono della sua funzione di sacerdote anglicano per divenire uno
dei principali teorici della “Sapienza divina”. Senza dubbio, nella vasta letteratura teosofica, i loro
numerosi scritti (monografie, opuscoli, articoli, testi di conferenze) costituiscono i riferimenti
8
Importante è segnalare come, con il termine Teosofia (in maiuscolo), si intenda indicare solo ed esclusivamente la
lezione blavatskyana, mirando a distinguerla dalla teosofia (in minuscolo) che incarnava una tradizione religiosa molto
più antica. Cf. Faivre (2000, pp. 167-207).
9
Gregory Tillett, Charles Webster Leadbeater, www.leadbeater.org (consultato il 08.09.2015), pp. 942-947. Pubblicato
come: Tillett (1986); Santucci (1999, pp. 78-87).
10
Su Besant: Nethercot (1961); Neterchot (1963); Wessinger (1988); Taylor (1992); Hanegraaff (2006, pp. 170-173);
Rizzo (2008). Con ampia bibliografia: http://www.victorianweb.org/authors/besant/diniejko.html (consultato il
11.09.2015). Di Annie Besant: Besant (1885); Besant (1893). Su Leadbeater, lo studio già citato di Tillett.
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imprescindibili11 per conoscere la Teosofia ed hanno ottenuto un considerevole apprezzamento da
parte del pubblico, come dimostra il loro notevole successo editoriale. L’originalità di partenza
delle opere di Blavatsky, tuttavia, era destinata nelle due successive figure a ridursi notevolmente,
portando, specie in Besant, piuttosto ad un tentativo di rendere maggiormente accessibili i difficili
concetti teosofici e a trarne le conseguenze pratiche. Del resto, la complessità stessa delle dottrine e
dei termini impiegati avevano suggerito già a Blavatsky di esporli, in forma dialogica e
semplificata, nel suo “catechismo”, La Chiave della Teosofia, ed in un apposito glossario,
pubblicato postumo (Blavatsky, 1966, p. 4)12.
Senza approfondire ulteriormente la vicenda storica della Società, si prenderanno in
considerazione gli aspetti centrali del suo pensiero, premessa necessaria alla comprensione della
nozione di fratellanza.
Il postulato basilare della Teosofia era l’esistenza di un Principio Unico a fondamento della
realtà, il quale si configurava come “Sostanza-Principio, Una, Omogenea e Divina, Causa Unica
radicale” (Blavatsky, 2009 (1889), pp. 45, 57-59, 350-351), di natura impersonale, immanente e
trascendente al tempo stesso (panenteista in linguaggio filosofico)13. Esso, che comprendeva al suo
interno tanto la materia quanto lo spirito, manifestava ciclicamente, in un processo di costante
emanazione ed assorbimento, l’Universo ed ogni cosa che lo componeva (2009, pp. 368-380). Di
contrasto, l’esistente dei sensi era soltanto un’illusione (maya), segnato da un apparente
molteplicità, che solo attraverso la conoscenza teosofica era possibile penetrare.
Compito della “Sapienza divina” era di superare intuitivamente il senso di separatezza
illusorio e ricondurre tutte le cose, compresi i prodotti umani come “religioni, sette e nazioni”
(1966, p. 5) al principio unitario da cui derivavano. Come tale, la “dottrina segreta” (2009 (1889),
pp. 29-30) 14 era stata trasmessa fin dagli albori dell’esistenza attraverso l’opera di Maestri che
11
È da segnalare come gran parte degli scritti teosofici siano ad oggi digitalizzati e, dunque, accessibili liberamente
online. Si veda il sito: http://www.blavatskyarchives.com (consultato il 15.08.2015). Per i riferimenti cartacei, invece,
gli scritti: Blavatsky (1877); Blavatsky (1966); Blavatsky (2009). Un terzo volume della Dottrina segreta (pubblicato
postumo a cura di Annie Besant nel 1897) è compreso nell’ultimo volume dei Collected Writings. Per una selezione
delle opere più significative di Besant e Leadbeater (talvolta in collaborazione): Besant (1899); Besant (1901); Besant
(1903); Besant (1903); Besant (1909); Besant (1910); Besant (1912); Besant (1920); Besant e Leadbeater (1921);
Besant e Leadbeater (1947); Leadbeater (1899); Leadbeater (1903); Leadbeater (1903); Leadbeater (1918); Leadbeater
(1920); Leadbeater (1948).
12
Blavatsky (1892). Si veda anche in italiano: Parola (2013).
13
http://www.treccani.it/enciclopedia/panenteismo_(Dizionario-di-filosofia) (consultato il 10.09.2015).
14
Su questa pretesa della Teosofia blavatskyana di configurarsi come l’antica comune tradizione religiosa del mondo si
sarebbero imperniati gli attacchi più severi dei numerosi critici del movimento. Fra di essi, spiccano per rilevanza,
Julius Evola e Renè Guènon, che avrebbe coniato il termine dispregiativo teosofismo per descrivere le dottrine della
pensatrice russa. In due opere particolarmente critiche, i due esoteristi tendevano a distinguere nettamente fra una
corrente teosofica, espressione veritiera della tradizione trascendente a cui essi si richiamano, e una Teosofia
“sincretistica”, adulterata e contraddittoria. Evola (1963, pp. 13–15, 71–91); Guènon (1921, pp. 5-9, 107-122).
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vigilavano sulle sorti dell’umanità (la cosiddetta Fratellanza della Loggia Bianca), fra i quali
figuravano anche i creatori delle principali fedi religiose (2009, p. 32). Lungi dall’essere “angeli” o
“messaggeri della collera di Dio”, queste entità, denominate anche “Mahatma” in ambito teosofico,
erano uomini “perfezionati”, i quali differivano dal resto del genere umano per avere completato il
loro progresso spirituale e superato “il senso di personalità” separativa15.
Divenire come questi esseri perfezionati e, nello stesso tempo, accostarvi apostolicamente il
resto dell’umanità, mettendola “in armonia” con la legge ciclica dell’Universo, doveva essere il
compito proprio dei teosofi, secondo la formula “come in basso, così in alto”. Nell’interpretazione
blavatskyana, l’essere umano, infatti, era costituito dalla medesima Sostanza Unica dell’esistente, di
cui il corpo fisico era soltanto “tempio o tabernacolo” (1966, pp. 19, 37). Rispetto a questa verità,
per Blavatsky, il razionalismo proprio del modo di pensare umano (“mentalismo”) e del
materialismo positivistico agiva da negatore ed avversario, conducendo l’individuo ad immaginarsi
come separato dal Principio Unico. In realtà, “l’uomo, il microcosmo” era “la copia in miniatura del
macrocosmo” e, come tale, faceva parte integrante del meccanismo ciclico di nascita-morterinascita della realtà, evolvendo e degenerando fra i due poli, rispettivamente, della materia e dello
spirito (2009, pp. 3, 352-353). Nello schema generale di sette “razze-radice” successive16, l’uomo,
partendo da una condizione di ignoranza, poteva realizzare così la suprema conoscenza teosofica
soltanto attraverso l’esperienza di più rinascite e la sopportazione del dolore inerente a tale
esperienza (2009, p. 61)17.
Derivato da religioni orientali, ma anche ancorato, nelle argomentazioni teosofiche, al
cristianesimo delle origini (Harvey, 2013, pp. 52-54, 58-64, 125-126) 18 , il ciclo delle rinascite
(samsàra) si legava strettamente alla costituzione settenaria dell’uomo, suddivisa in “personalità”
(quaternario inferiore) ed “individualità” (ternario superiore). Mentre la prima costituiva il
rivestimento materiale, temporaneo e perituro della persona, la seconda ne rappresentava l’essenza
più intima, immortale e pura, chiamata ad attraversare un percorso di progressiva spiritualizzazione
per ritornare al Principio Unico, dal quale entrambe erano state originariamente emanate.
15
Molto importante è ricordare come ai Maestri si contrappongono, negli insegnamenti teosofici, i “Fratelli
dell’Ombra” o Dugpa, i quali costituiscono una “Fratellanza nera” opposto alla Grande Loggia Bianca. Blavatsky
(1966, pp. 133-135).
16
È noto come la Teosofia asserisca l’esistenza successiva sulla Terra di sette “razze-radice” o “razze radicali”, a loro
volta composte ciascuna da sette “sotto-razze”. L’umanità attuale sarebbe la quinta, la razza ariana, con la quale
riprendeva il percorso di ascesa spirituale destinata a condurla all’Uno Tutto. Ampia è la discussione sulla natura
razzista o meno della Teosofia. Sull’argomento: Viswanathan (1998, pp. 177-207); Hanegraaff (2006, pp. 91-97); Cf.
Santucci (2008, pp. 37-63); Goodrick-Clarke (2005, pp. 19-21); Cf. Staudenmaier (2008, pp. 4-36); Lubelsky (2013);
Staudenmaier (2014).
17
Ne La dottrina segreta, Blavatsky offriva una interpretazione del Loto come “l’emanazione dell’Oggettivo dal
Soggettivo; l’ideazione divina che passa dall’astratto al concreto, o forma visibile”. Blavatksy (2009, pp. 481-482).
18
Più generalmente sui rapporti stretti fra Teosofia e buddhismo si veda: Prothero (1996).
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Nell’ambito dell’”individualità”, in particolare erano le sole due componenti più elevate (Atma e
Buddhi) dell’essere umano, definite dai Teosofi come “monade”, a poter completare questo
ricongiungimento. Per farlo, imprigionata nei “corpi fisici” del quaternario inferiore, la “monade” si
serviva di continue “vite” sulla Terra, in sempre nuovi corpi umani (sia maschili sia femminili).
A regolare la natura di queste successive esistenze era il Karma, cioè la “legge della
giustizia retributiva”, anch’essa di derivazione indiana, sulla quale influivano tutte le azioni ed i
pensieri delle precedenti incarnazioni. Se il comportamento della “monade” era stato virtuoso, la
nuova vita terrena sarebbe stata migliore, altrimenti si sarebbe vissuti in gravi condizioni di disagio,
sociale, fisico e mentale. Al termine del samsàra, la “scintilla divina” dell’uomo avrebbe raggiunto
il Nirvana, interpretato teosoficamente “come dispersione della materia”, vivendo in uno stato di
beatitudine fino all’inizio di un nuovo ciclo dell’universo 19 . L’insieme poi dei vari Karma
individuali costituiva quello della nazione, il quale, assommandosi agli altri aggregati umani
nazionali, costituiva il destino karmico del mondo. Di fatto, ogni individuo finiva così per essere
legato invisibilmente ai propri simili e doveva ponderare le conseguenze delle proprie azioni, non in
termini esclusivamente personali, ma in un orizzonte più ampio ed universale di conseguenze.
Direttamente collegata al ciclo delle rinascite, nella Teosofia, era poi la nozione del dolore,
sia fisico sia mentale. Connaturata all’esistenza, la sofferenza veniva vista come parte
indispensabile del processo evolutivo dell’individuo, avvertendolo, con la sua presenza, sul corretto
cammino da intraprendere. Considerando il dolore come corrispondente al male e la gioia al bene,
Blavatsky li definiva sinonimici, rispettivamente, di “disarmonia” e di “armonia”. Contrariamente
alle apparenze, essi erano soltanto condizioni transitorie delle coscienze individuali (“separate”) ed,
attraverso una corretta interpretazione teosofica, era possibile trascenderle per ricondurle alla loro
reale Unità (Blavatsky, 2009, pp. 524-530).
Pertanto, nell’ambito delle vicende umane, la Teosofia chiamava i suoi sostenitori a farsi
portavoce di un indirizzo per il superamento delle divisioni politiche, religiose, sociali o culturali,
sole apparenze di fronte al carattere “divino” ed unico del genere umano. In altre parole, realizzare
una fratellanza nella vita del maya come corrispondente pratico ed exoterico della fratellanza ideale
ed esoterica del “Sé tutto” (2009, pp. 417-418). Riflettendo su questi concetti, mediante l’appoggio
della “Sapienza divina”, l’individuo poteva prendere atto della propria identità con gli altri esseri
19
Sulla natura settenaria dell’uomo, sul percorso dopo la morte, sull’esistenza ciclica dell’individuo, ma anche
dell’universo “manifesto” si vedano: Blavatsky (2009, pp. 73-82, 468-480, 682, 819-835); Blavatsky (1966, pp. 46-47,
50, 54-56, 58-60, 62-71, 81-82, 89, 93-95, 99-101); Besant (1895); Besant (1909); Besant (1914, pp. 12-14, 18-37, 4048, 53-64, 68-71); Besant e Leadbeater (1947); Leadbeater (1918); Leadbeater (1929); Goodrick-Clarke (2005, pp. 220222); Albanese (2007, pp. 343-346, 386-387).
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umani e considerarli come fratelli, non in termini retorici od esteriori, ma in quanto costituiti dalla
medesima Sostanza. La natura comune delle prove da affrontare, l’identica meta e la necessaria
compartecipazione del prossimo al raggiungimento dei propri fini evolutivi costituivano l’apporto
teorico più forte della Teosofia al principio della fratellanza.
Partendo da questi concetti basilari, i teosofi estendevano l’idea di fratellanza ai più
diversificati ambiti della vita sociale e politica. Anche per rispondere alle critiche, che vedevano
negli studiosi della “scienza divina” soltanto dei teorici, alienati dalla realtà, sia Blavatsky sia
Besant (in maggior misura) si sarebbero impegnate a delineare le caratteristiche della propria
società ideale ed ad indicare la strada per attuarla. È bene, tuttavia, precisare sin da subito come
queste posizioni costituissero, nell’ambito della letteratura teosofica, un elemento accessorio,
rispetto alle premesse teoriche già chiarite. Basti considerare come né in Iside svelata né ne La
dottrina segreta, Blavatsky esprimeva il benché minimo giudizio sulla vicenda sociale umana,
limitandosi ad esporre i capisaldi teorici sopra ricordati. Affermata, infatti, l’unicità dell’esistente,
compresa quella del e nel genere umano, le sue conseguenze nell’ambito della vita “illusoria”
apparivano, infatti, come inevitabile e semplice conseguenza logica. Ciò nondimeno, l’originalità
delle argomentazioni, la peculiarità delle visioni politiche e sociali espresse, nonché una certa
innegabile influenza fuori dagli ambienti esoterici propriamente detti, ne rendono comunque
significativa la presa in considerazione.
Già nel suo “catechismo”, La chiave della Teosofia, Blavatsky rispondeva seccamente alle
critiche del suo immaginario interlocutore sulla natura inconcludente della Società da lei fondata.
Contrariamente al sentore comune, per la filosofa era possibile rimuovere realmente la causa, cioè
l’egoismo separativo ed illusorio, che rendeva l’obbiettivo della fratellanza una falsa utopia. Del
resto, come argomentava anche Besant, combattere l’origine di questo male era ben più pratico che
non “cutting off the tops of the weeds” che consentiva alle radici dello stesso di rigenerarsi (Besant,
1910, p. 25). L’immaginarsi come ente separato era una percezione sbagliata continuamente
“rafforzata e stimolata”, invece, di essere “sradicata e combattuta” (Blavatsky, 1966, p. 23),
costituendo così il principale avversario dell’affermazione di una società più giusta ed equa. Per
costruirla, era essenziale la diffusione degli ideali teosofici stessi, gli unici in grado di insegnare la
natura unitaria del genere umano e mettere in grado di considerare le conseguenze karmiche di gesti
dannosi o negativi verso il prossimo. Assumendo questi principi e ricordando dell’esistenza anche
di un unico Karma nazionale, diveniva possibile adempiere consapevolmente il proprio dovere
verso il genere umano, cioè impegnarsi per la realizzazione della fratellanza.
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Il modo primo di ottemperarvi era il sacrificarsi, o, per dirla in termini blavatskyani,
“controllare e conquistare il sè inferiore mediante il Sè superiore” (1966, p. 112). Ricorrendo ad
un’altra metafora naturalistica, si sottolineava come ogni danno apportato al tronco comune
dell’umanità si ripercuoteva sistematicamente su tutte le foglie, cioè su ogni singolo uomo (1966, p.
24). In altre parole, porsi dall’angolo visuale superiore della comune identità umana per rinunciare
al proprio utile individuale e praticare l’altruismo come mezzo di evoluzione comune. Dunque,
nella “selfforgetfullness”, e nella pratica del servizio per gli altri, pur rifuggendo dalla
mortificazione eccessiva del proprio corpo ed aspirazioni, si trovavano i fondamenti dell’etica
teosofica.
Il presupposto per la creazione della fratellanza era un drastico cambiamento della natura
umana, che, tuttavia, i teosofi non consideravano per nulla utopistico. Come sostenuto da
Leadbeater, infatti, la fraternità non era “a poetical conception, but a definite and scientific fact”,
qualcosa di già esistente e non da realizzare (Leadbeater, 1918, pp. 138-141). Una legge naturale
(paragonata a quella di gravità), la violazione delle cui regole conduceva al fallimento delle civiltà
basate su falsi presupposti separatistici (Besant, 1920, pp. 24, 31). Piuttosto si trattava di cancellare
i tanti preconcetti e pregiudizi sul sé individuale, originati dal mentalismo. Un qualcosa che veniva
giudicato, per certi versi, come risultato di uno sforzo spontaneo ed inevitabile. Nel corso dei secoli,
infatti, la natura umana era mutata anche profondamente e, pertanto, non vi erano ragioni per le
quali, nel futuro, essa si sarebbe liberata del suo errore individualistico. Per un essere divino come
l’uomo nulla vi era di impossibile (Besant, 1910, p. 45). Ponendogli di fronte l’ideale costruttivo e
positivo di una vita sociale fraterna, conforme alla più oggettiva realtà delle cose, la Società
Teosofica contribuiva potentemente al suo riconoscimento (Besant, 1912, pp. 10-11).
Per il momento presente, tuttavia, il perpetuarsi di una percezione erronea della condizione
umana, portava i teosofi a prendere nettamente le distanze dalla sfera politica in senso stretto,
facendoli dichiarare contrari ed estranei alle competizioni di qualsivoglia corrente e partito. Tanto
più che, l’assenza di settarismo predicata dalla Società nei confronti del fenomeno religioso, si
estendeva al campo delle opinioni politiche, portando ad accettare nelle fila dell’organizzazione,
esponenti ed idealità fra le più diverse. Nella parola autorevole di Blavatsky, infatti, cercare di
conseguire “riforme politiche prima di aver effettuata una riforma nella natura umana, è come
mettere vino nuovo nelle botti vecchie”. Solo i cambiamenti concettuali effettuati grazie agli
insegnamenti teosofici avrebbero potuto condurre alla fine di “ogni antico abuso di potere, ogni
iniqua legge” ed al termine del predominio di uomini politici ambiziosi ed intriganti (Blavatsky,
1966, p. 108).
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Tutto questo non significava, tuttavia, che singoli apprezzamenti e giudizi non fossero
rintracciabili nelle opere della stessa fondatrice della Teosofia, di Besant e Leadbeater e che i germi
della futura società ideale non fossero ravvisabili in determinati gruppi ed istanze. Un riferimento
preciso di Blavatsky in merito era rappresentato dal richiamo al movimento nazionalista ispirato
dallo scrittore Edward Bellamy negli Stati Uniti: un’esperienza di breve durata, destinata a
risolversi nell’arco del decennio compreso fra il 1888 ed il 1896. Nell’ottica della teosofa, questo
movimento (che nulla aveva a che fare con il nazionalismo comunemente noto) era quanto “di più
teosofico” vi potesse essere e gli riconosceva come pochi altri avessero affermato con tanta forza “il
sentimento di solidarietà e di mutua fratellanza”. Del resto, già numerosi seguaci della “sapienza
divina” erano accorsi in posizioni dirigenziali nelle fila dell’utopia predicata da Bellamy e
Blavatsky augurava ad esso i migliori successi (1966, pp. 24-25). Un appoggio così marcato si
spiegava con un’analisi dell’opera di Bellamy, i cui scritti e la cui azione avevano in effetti
numerosi punti in comune con i propositi teosofici.
Nel suo famoso romanzo, Looking Backward, pubblicato nel 1888, lo scrittore americano,
di orientamento socialista, si proponeva di spingere i suoi lettori a riflettere sulla natura dei
contrasti sociali del capitalismo ottocentesco, nonché sui possibili rimedi, adottando una “form of
romantic narrative” (Bellamy, 1889, p. 3). Il successo dell’opera conduceva alla formazione di oltre
160 club nazionalisti per gli Stati Uniti, in appoggio al Partito Populista, ma le difficoltà
economiche e lo spegnersi degli entusiasmi iniziali conducevano il movimento ad una precoce
scomparsa nel 1896.
Come fissato nel programma del movimento, scritto dallo stesso Bellamy, l’intento
primario era di stabilire una “economic democracy”, sostituendo al dominio di pochi capitalisti
quello di “public agencies” che lavorassero nell’interesse pubblico (1894, p. 3). L’affermarsi di
trusts, infatti, aveva spogliato la gran massa della popolazione di ogni potere di iniziativa e l’aveva
relegata ad una condizione di miseria, da cui derivavano continui contrasti sociali. Per rimediare, la
soluzione proposta dai “bellamisti” era una progressiva e pacifica nazionalizzazione (da cui
nazionalismo come nome del movimento) di tutto il sistema industriale-produttivo esistente, la cui
gestione veniva affidata, non più a pochi plutocrati, ma allo Stato, immaginato come un organo
democratico, nella cui economia ognuno aveva una propria quota di partecipazione (1894, pp. 4-5).
In questo modo, alla fratellanza naturalmente esistente fra gli individui si sarebbe accompagnata
una eguale condizione di benessere, evitando inutili accumularsi di odi e contrasti.
L’ottica nazionalista di Bellamy veniva ad essere particolarmente apprezzata nelle
riflessioni teosofiche per la sua attenzione alle classi sociali più povere, nonché per la morale
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Teosofia e pensiero utopico: l’idea di una fratellanza universale
austera ed egualitaria che essa proponeva. Praticamente identica era l’attitudine teosofica nei
confronti del fenomeno dei trusts. Se, al presente, erano considerati come il prodotto ultimo di un
sistema economico distorto, basato sulla sopraffazione e sulla rapacità, nondimeno potevano
costituire un’utile base per la futura società ideale. L’essenza del problema consisteva, infatti, nel
rimpiazzare “competition by cooperation” e nel sostituire all’egoistica diffidenza nei confronti del
prossimo, la consapevolezza di partecipare fraternamente al bene comune (Besant, 1910, p. 23). In
questo modo, i sistemi monopolitistici, definiti “the apotheosis” del capitalismo, sarebbero divenuti
utili e benefici per la comunità, mettendo le loro capacità produttive, distributive ed organizzative a
garanzia di un’equa ripartizione delle ricchezze. Un passaggio da realizzarsi anche
amministrativamente con l’assunzione della gestione diretta da parte dello Stato, il quale, privati dei
loro diritti di proprietà i dirigenti di questi organismi economici, ne assumeva la gestione “for the
Nation on the whole” (Besant, 1920, p. 17).
Un’importanza così forte veniva attribuita a questo aspetto economico anche dal punto di
vista morale. Per Besant, infatti, le antiche civiltà, rifiutandosi di riconoscere un’eguale
disponibilità di beni materiali ai loro membri (per il rigetto della fratellanza), avevano finito per
esaurirsi nella lotta fra “luxury and misery”, aprendo la strada a contrasti sempre più marcati
(Besant, 1910, p. 27). Argomenti già espressi da Blavatsky, che denunciava la ripartizione sociale
fra “persone che soffrono la miseria, la povertà e le malattie” e ed altre che “all’estremo opposto
vivono nel lusso materiale”, indicando nella rimozione di queste diseguaglianze uno dei principali
obbiettivi della solidarietà teosofica (Blavatsky, 1966, pp. 109-110).
In ultima analisi, erano innegabili suggestioni socialiste nel pensiero teosofico, anche se
piuttosto che al modello marxista, esse erano ispirate all’esempio del socialismo utopistico
settecentesco ed ottocentesco, non lontano da alcune suggestioni esoteriche (Faivre, 1994, pp. 8688). Non mancavano, infatti, negli scritti di Besant soprattutto, a dispetto del suo passato politico,
accenni critici nei confronti del materialismo della sinistra inglese ed americana ed un’ostilità
marcata nei confronti delle pratiche di sciopero. In quest’ottica, anche Looking Backward veniva
visto insufficiente rispetto alle esigenze di una popolazione ormai avanzata, le cui necessità
andavano al di là di una questione di salario o di stomaco (Besant, 1910, pp. 39-40). Si trattava
ormai di provvedere anche alla cultura ed alla spiritualità e di contribuire, secondo i principi
teosofici, all’evoluzione del genere umano.
L’incarico complesso di guidare la società verso le sue mete superiori era inevitabilmente
riservato al saggio, cioè a colui che, teosoficamente, fosse consapevole dell’intero processo
cosmico descritto precedentemente. È bene specificare, infatti, come per la Società Teosofica fra
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fine Ottocento ed inizio Novecento fratellanza ed uguaglianza non fossero considerati termini
sinonimici (“brotherhood does not mean equality”). Coerentemente a quanto descritto
precedentemente, relativamente ai percorsi evolutivi individuali, non tutti potevano essere al
medesimo livello di sviluppo e conoscenza e le monadi discese sulla terra si presentavano, pertanto,
nelle più diverse condizioni di consapevolezza. Perciò, come in una famiglia i membri più anziani
si prendevano cura dei membri più giovani, analogamente, in ambito sociale, le persone più
avanzate spiritualmente (o sagge) dovevano tutelare paternalisticamente quelle meno “avanzate”,
incapaci di autogestirsi da un punto di vista teosofico, vale a dire, di sollevarsi da un’ottica
egoistica ad una visione più generalizzata del bene comune. Una divisione, in altre parole, fra chi
era destinato “to guide” e chi invece “to serve” (1910. p. 75). Se potenzialmente, nella lunga
prospettiva, gli uomini erano uguali fra loro, essendo destinati prima o poi a raggiungere il Nirvana
come meta comune, sull’immediato esisteva, però, una “natural inequality” insormontabile, la
quale, a differenza di quella artificialmente costruita dalla società, non poteva essere rimossa, ma
soltanto attenuata ed accettata. È bene, tuttavia, precisare come queste distinzioni non riguardassero
per i teosofi quelle umanamente fondate, perlopiù, basate su pregiudizi e su posizioni stabilite nella
maya illusoria. Il riferimento critico era principalmente alla divisione in classi, in razze ed in
religioni, le quali rientravano nei prodotti umani e, come tali, nulla avevano a che fare con la vera
sapienza, l’unica in grado di legittimare l’assunzione del potere, sempre in una logica di servizio
(Besant, 1912, pp. 15-21).
Su queste basi, veniva modellata la forma ideale di governo dell’umanità, di cui la
fratellanza della Loggia Bianca forniva un archetipo ideale. Nella descrizione fornitane da
Leadbeater, essa si configurava come una sorta di governo ombra, chiamato a presiedere, non solo
alla diffusione di nuovi messaggi religiosi, ma al compito di far evolvere spiritualmente il genere
umano. Guidata da un “great Official”, in rappresentanza dell’Entità una, la “Great White
Brotherhood” si componeva poi di vari “departments”, affidati ciascuno ad un Adepto o Mahatma, i
quali gestivano segretamente, dietro l’apparente casualità del mondo, i più diversi aspetti spirituali e
materiali della vita umana. Si definiva così un più o meno preciso organigramma, nel quale la
precondizione era comunque sempre rappresentata dalla conoscenza della Teosofia e dalla pratica
del “selfsacrifice”, in quanto i membri della fratellanza, come esseri umani perfezionati, erano i
primi servitori altruisti del prossimo (Leadbeater, 1918, pp. 12-14).
L’ammirazione per una gerarchia di potere basata sul prestigio e sul consenso, così come
l’attitudine paternalista verso le componenti più diseredate della società spingevano Besant a
teorizzazioni originali in sede di regime politico. Innanzitutto, essa esprimeva la sua opposizione
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Teosofia e pensiero utopico: l’idea di una fratellanza universale
alla democrazia ed il suo sostegno ad una monarchia dei “bests”. Nell’attuale sistema di voto, per la
scrittrice inglese, vi era soltanto una libertà apparente, dove il controllo effettivo era nelle mani di
“king Purse” e “king Mob” (Besant, 1910, p. 101). La competizione plutocratica e la possibilità
conferita ai “children” (cioè agli elettori), per quanto “vicious” e “ineducated”, di esprimersi su
questioni delle quali nulla conoscevano, non potevano condurre al progresso ed alla prosperità.
L’alternativa consisteva nell’affidare la gestione del potere a coloro che, per la loro saggezza e
competenza, potessero fare il bene comune. Richiamandosi alle forme monarchiche dell’antica
India, Besant individuava in un sovrano, nominato “by the popular acclaim”, circondato da un
consiglio di esperti, la forma ideale di governo, in cui le scelte compiute in alto scendevano
attraverso una precisa gerarchia di consigli e funzionari fino al popolo. Spogliato di ogni diritto
elettorale, quest’ultimo avrebbe avuto la soddisfazione di essere guidato da menti sagge ed
illuminate, spinte unicamente dal bene comune (Besant, 1912, pp. 22-32).
Se, dunque, le idee teosofiche professate da Besant si risolvevano in ambito politico in
forme anche autoritarie, le medesime posizioni avevano, invece, un afflato profondamente
umanitario nei due temi dell’educazione e del diritto. In entrambi i casi, trattando della formazione
delle nuove generazioni e del comportamento da tenere nei confronti dei criminali, l’idea della
fratellanza si risolveva in una critica severa dei metodi all’epoca utilizzati, considerati poco efficaci
od addirittura controproducenti. In particolare, era il ricorso a pratiche coercitive ad essere
condannato: tanto nella scuola quanto nella prigione, i giovani ed i criminali erano repressi,
cercando di instaurare in loro quello che si considerava giusto attraverso il terrore della punizione o
l’allontanamento forzato dal resto della società civile. Diversa era, invece, la strada indicata in
ambito teosofico. Di nuovo, il riferimento imprescindibile era alle caratteristiche proprie delle
monadi incarnate, attorno alle quali il comportamento esterno doveva essere regolato di
conseguenza.
Nell’ambito formativo, nulla assicurava che il bambino, per esempio, non fosse “an ego
sometimes older than that inhabiting the body of his teachers”. Pertanto, nei suoi confronti, si
doveva approntare una pedagogia atta, non a trasmettergli cognizioni o un piano di crescita
prestabilito, ma a lasciarlo libero di esprimersi, manifestando così i propri interessi. Compito degli
adulti “anagrafici” preposti ad insegnarli doveva essere solo stimolarlo continuamente nei più
diversi rami culturali ed artistici, appoggiandolo poi nei settori dove esprimeva potenzialità
significative. Non era un caso che i teosofi venissero ad assumere un atteggiamento di netto
appoggio nei confronti del metodo Montessori, la cui creatrice era, peraltro, lei stessa teosofa dal
1889. L’unica eccezione a questa totale ecletticità educativa era, tuttavia, l’inserimento obbligatorio
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nella formazione della religione, la quale doveva costituire la “basis of morality”. Reagendo
aspramente ad ogni tentativo di laicizzare l’insegnamento, particolarmente adatta alla formazione di
una robusta fibra morale appariva ovviamente la Teosofia, la quale, riconducendo ogni tradizione
all’unità, poteva superare le controversie dei singoli messaggi religiosi. Besant si spingeva fino ad
immaginare la redazione di “a universal text-book of religion and morals” da adottare nelle scuole,
traendo spunti e riferimenti sincreticamente dalle più varie scritture sacre (1912, pp. 36, 38-40, 45).
Analogo, come si è detto, il ragionamento elaborato nei confronti dell’allora vigente
sistema penale e detentivo. Se il bambino poteva celare un animo adulto, al contrario, il criminale
era sempre uno spirito giovane reincarnatosi, il quale aveva di fronte a sè un lungo e doloroso
percorso di evoluzione. Per difendersi, la società era legittimata a separare coattivamente dal
proprio corpo i responsabili dei vari reati ed applicare anche misure detentive. Tuttavia, l’intento
nei confronti di questi spiriti immaturi doveva essere di redenzione. In questo contesto, “the refined
and the cultured” dovevano prendersi cura dei propri fratelli “rougher and less educated”,
indicandogli le ragioni dei loro errori, ma anche il modo per reinserirsi produttivamente ed
onestamente nel consesso sociale. A questo fine, mezzi utili potevano essere l’introduzione di
insegnamenti teosofici nella loro formazione, l’apprendimento di un mestiere in carcere oppure
ancora, nel caso di minorenni, l’affidamento a famiglie di provata moralità. Esclusa la pena capitale
e ripudiata la violenza coercitiva, i colpevoli avrebbero preso atto in questo modo dei propri sbagli
e avrebbero potuto continuare il proprio percorso di perfezionamento, prendendo atto della bontà
della comune fratellanza umana. La loro vicenda, inoltre, avrebbe fatto da esempio positivo,
conducendo progressivamente ad una scomparsa degli atti criminali ed ad una società più solidale
(1912, pp. 89, 92-96; Besant, 1910, pp. 50-56, 60-62).
Al termine di questa trattazione, si è dimostrato come la correlazione fra Teosofia e
pensiero utopico sia un’utile traccia di indagine per illustrare un aspetto significativo della
complessa dottrina di questo movimento religioso. Gli stessi principi generali della Società, creata
idealmente da Blavatsky, una volta usciti dalla loro generalità per tentare di incarnarsi in atti
concreti, rivelano a pieno titolo la propria irrealizzabilità. È quanto emerso, in particolare, nel caso
della fratellanza, senza dubbio il corollario principale da trarre dalla complessa cosmogonia ed
antropogenesi teosofica. Le sue possibili applicazioni concrete in ambito politico e sociale facevano
appello, infatti, ad un cambiamento radicale della natura umana, nonché ad una revisione
complessiva di tutti i valori ideali comunemente accettati. Gli appelli al valore dell’esempio, a
quello della rinuncia ed alla nozione di bene comune conservavano, infatti, come mezzo per la
realizzazione di una fratellanza universale, una traducibilità pratica assai difficoltosa, che, nelle sue
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massime aspirazioni, restava al di fuori di qualsiasi possibilità attuativa. A questo contribuivano,
del resto, gli scarsi numeri dell’organizzazione, le sue divisioni interne, nonché le contraddizioni
spesso derivate dalle diverse contingenze storiche che la Società dovette attraversare.
Cionondimeno, la fratellanza costituiva un’ideale di riferimento (si potrebbe anche definire un
mito) verso cui tendere, garantendo, da un lato, un ottimo mezzo divulgativo, dall’altro, un
obbiettivo apparentemente pratico per serrare le fila del movimento.
A questo proposito, per concludere, molto importante sarebbe approfondire ulteriormente
l’indagine. In primo luogo, si potrebbero prendere in considerazione i pensatori e scrittori teosofici
minori rimasti fuori da questa indagine, le cui riflessioni, sebbene condizionate inevitabilmente
dall’esempio di Blavatsky, Besant e Leadbeater, potrebbero presentare aspetti di originalità. Una
specificazione possibile anche nei contesti nazionali (Stati Uniti, Inghilterra ed India), dove il
tentativo teosofico di passare da un piano meramente intellettuale a quello fattivo è stato più
marcato. In secondo luogo, si potrebbero prendere in considerazione tutta una serie di figure
esoteriche, vicine (come Rudolf Steiner ed Anna Kinglsey) o lontane (come Giuliano Kremmerz o
Eliphas Lèvi) dalla Teosofia blsvatskyana, ma da essa comunque influenzate, per vedere in quale
modo nelle loro specifiche riflessioni l’attuazione dell’utopia sia progredita.
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