I colori dell`acquacotta - Casa editrice Le Lettere

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I colori dell`acquacotta - Casa editrice Le Lettere
Patrizia Passalacqua
I colori
dell’acquacotta
Le Lettere
PRIMO INTERMEZZO
Le donne della mia vita
Mia madre aveva due sorelle. Lei era la minore. Erano tre perché mio nonno desiderava un maschio e, quando nacque mia
madre, decise che tre femmine erano sufficienti e che era meglio non rischiare più. Virma, Elia e Ilva, questi erano i loro
nomi: una diversa dall’altra, ma tutte e tre molto belle.
Virma, la più grande è sempre stata un po’ gracile, con
qualche problema di salute. Ricordo che quando andavamo da
lei, la trovavamo spesso a letto con una benda sugli occhi, la
tapparella abbassata, finestra e porta chiuse perché luce e rumori, in quei momenti, erano i suoi peggiori nemici. Aveva una
dote unica: la fantasia. Quando era bambina, giurava e spergiurava di parlare con le fate. Si rannicchiava contro un angolo della stanza e incominciava a parlottare sommessamente. E
continuava a bisbigliare, finché le due sorelle non la tiravano
per la gonna, incuriosite, perché volevano sapere cosa avevano da dirle le fate. Lei raccontava storie fantastiche di castelli,
draghi e principi e per dare forza ai suoi racconti mostrava i
pizzi che le fate le avevano regalato. Passava parte delle sue
notti a lavorare all’uncinetto al lume della luna. È morta un paio di anni fa, dopo alcuni anni di assoluto silenzio. Non parlava e non vedeva più. Mi piace pensare che la sua mente e i suoi
occhi siano stati rapiti dalle fate della sua infanzia.
Elia aveva una bellezza ribelle nonostante gli occhi azzurri e i lineamenti lievi. Amava ballare e lo faceva in continuazione anche mentre apparecchiava la tavola, o sbrigava le faccende di casa. Era allegra, rumorosa e molto testarda. Il suo
primo grande amore partì per la guerra e non fece ritorno.
34 Era una cuoca stupenda: amava cucinare e aveva avuto la
fortuna di sposare un uomo che apprezzava la buona tavola.
Lei passava molto del suo tempo in cucina, assaggiava, mescolava, aggiungeva e toglieva con la sicurezza di un alchimista e alla fine le sue pietanze, oltre ai profumi e ai sapori, rivelavano la presenza di un ingrediente indispensabile, la sua
passione. Da quello che ricordo di lei allora, e con la conoscenza di oggi, posso dire che era davvero dotata, ma aveva il
timore di aver sbagliato qualcosa: troppo pepe? troppo cotto? poco sale? Non so perché fosse sempre così titubante e insicura. Non ne aveva ragione, ma capita a chi è speciale e non
lo sa.
È stata la sola tra le sorelle ad avere avuto tre figli e quella alla quale la vita ha riservato più dolore e sofferenza. Perse il suo unico figlio maschio in un pomeriggio d’estate, un
giorno di luglio molto caldo. La notizia arrivò per telefono e
il suo urlo squarciò la noia di quel pomeriggio sospeso tra
l’afa e l’ombra riportando tutti alla realtà, quella fredda e terribile che stava in un corpo disteso sul tavolo dell’obitorio di
Pietrasanta. La perdita di quel figlio segnò profondamente il
cuore e lo spirito di zia Elia che incominciò un lento percorso verso il suo appuntamento con l’aldilà. Il suo carattere
cambiò lentamente e gli occhi vivaci si spensero giorno dopo
giorno, pareva che gli accadimenti quotidiani le scivolassero
addosso senza attraversarla. Una mattina d’inverno di alcuni
anni dopo se ne andò per sempre anche suo marito, lo zio
Bruno, un uomo mite e laborioso che l’aveva sostenuta con
amore e tenacia soprattutto dopo la morte del figlio.
Mi dispiace che lei ci abbia lasciati prima che avessi modo di dimostrarle quanto ero diventata capace nell’arte culinaria servendomi dei suoi segreti e dei suoi suggerimenti.
Ilva, mia madre, era dotata di una bellezza mediterranea
dalle forme morbide e con capelli ricci e neri, occhi scuri e
penetranti. I suoi occhi mi hanno parlato molto di più di
quanto non abbia fatto lei.
35 Ricordo che da piccola soffrivo di gelosia. Quando la vedevo in atteggiamenti teneri con altri bambini mi assaliva una
rabbia sorda che mi faceva mancare il fiato, mi dava le vertigini e mi feriva profondamente. Oggi, se non sono gelosa, dipende dal fatto di essere stata troppo male allora.
Lei era molto forte, rigorosa, concreta, incredibilmente
generosa e terribilmente pessimista. Ha forgiato la mia vita e
il mio carattere, senza poter nulla contro il mio innato ottimismo e la mia voglia di vivere. L’ho amata e odiata in egual
misura e, forse per questo, sono grata alla vita che mi ha dato un figlio maschio.
Quando penso a lei, sento di non essere mai riuscita a parlarle serenamente, ad aprirle il mio cuore, a raggiungere quella confidenza complice che pensiamo naturale tra madre e figlia. Tra noi pareva correre sempre un vento ghiacciato che
raffreddava la capacità di parlare, di entrare in confidenza, di
sentirci intimamente libere e sicure di non essere giudicate.
Verso di lei ho provato grandi rabbie e infinita tenerezza. La
rabbia più sorda esplose un pomeriggio, in cucina, mentre insieme preparavamo la cena. Lei mi punzecchiava e mi sfidava perché il fidanzato che volevo sposare non era, secondo
lei, la persona giusta per me. Io l’ascoltavo, rispondevo a monosillabi e cercavo di non sentire quelle parole che volevano
scuotermi dallo stato di catalessi in cui vivevo. Capivo che
quello che mi diceva era corretto, vero, ma il mio orgoglio
non mi permetteva di accettarlo. Esasperata, a un certo punto, mi voltai e le diedi uno schiaffo. Lei si zittì sorpresa dalla
mia esplosione di rabbia e io, raggelata dalla mia stessa reazione, fui incapace di piangere e di chiederle scusa. Ancora
oggi faccio un sogno: per difendermi, devo schiaffeggiare
qualcuno, ma non ci riesco.
Ho provato la tenerezza struggente e dolorosa negli ultimi giorni della sua vita quando la fine, ormai vicina, le aveva
tolto anche la parola lasciandole solo la forza prepotente dello sguardo: due bellissimi occhi scuri e profondi.
36 C’è una vecchia foto in bianco e nero che guardo e riguardo, e quando mi capita tra le mani, fatico, poi a riporla.
Ci siamo io e lei in quella fotografia in bianco e nero: siamo
sulla soglia della casa di Semproniano, incorniciate dal portone e alle nostre spalle tutto è nero. Lei non ha nemmeno
trent’anni, sorride ed è bellissima. Anch’io sorrido. Indossa
un vestito elegante, probabilmente blu e ai piedi calza un paio di scarpe alte intrecciate; io un vestitino chiaro e un fiocco
in testa. Ci teniamo per mano e siamo felici, fiduciose. La vita ci sorride. Così mi piace ricordare mia madre: allegra e giovane, solo mia, tutta mia, per sempre.
Con mia madre
nel 1955
37 Natale 1998, Capodanno 1999
Carissimi,
se speravate che la mia lettera ecumenica dello scorso anno avesse un seguito, eccovi accontentati.
È il pomeriggio inoltrato del 7 dicembre. L’aria è fredda
e pulita, il sole sta calando e ci regala un tramonto superlativo, con colori che vanno dal rosa, al viola, all’indaco, uno stacco di cielo azzurro trasparente e poi il resto è blu notte acceso di stelle. È un po’ come quei bellissimi tramonti che si possono ammirare quando si viaggia in aereo.
Sono seduta sul divano davanti a un bel fuoco vivace e vi
scrivo, ripartendo dalle ultime righe della mia lettera di
un anno fa.
Era dicembre e mi accingevo a decorare la locanda e a
preparare il menù di San Silvestro.
L’anno è terminato con un problema: Brunella, la signora
che mi aiutava in cucina, aveva deciso di dedicarsi a un’altra attività e io ero felice per lei, ma molto preoccupata
per me e per quello che mi aspettava.
Io e Roberto abbiamo deciso di accettare, per il 31 dicembre, non più di venticinque persone. E così la notte di San
Silvestro avevamo ventidue ospiti a cui abbiamo servito:
Salmone affumicato con crostini caldi
Sformatini di verza con una salsa allo zafferano
Ravioli di baccalà
Gnocchi di pane allo speck di cinghiale
Arista la forno con porcini, cipolline e carote
Cotechino vaniglia (importato direttamente da Milano)
con lenticchie stufate
Mousse di uva fragola
Vi scrivo la ricetta degli sformatini perché è molto facile
e il successo è assicurato.
38 Sformatini di verza con salsa allo zafferano Ingredienti per quattro sformatini
una verza di media grossezza
250 ml di panna liquida
una bustina di zafferano
(due se il colore della salsa vi sembrerà troppo pallido)
uno scalogno
pane grattato q.b.
sale, burro, olio d’oliva
Sbollentare le foglie esterne per qualche minuto in acqua salata,
scolarle e allargarle su un canovaccio.
Tagliare la parte centrale della verza in sottili listarelle e stufare
in una padella con tre cucchiaiate d’olio, un pezzetto di burro, sale e lo scalogno tritato. Quando il tutto sarà cotto, aggiungere un
paio di manciate di pane grattato, amalgamare bene e tenere da
parte. Con le foglie scottate foderare gli stampini imburrati, fare
in modo che le foglie debordino perché serviranno per racchiudere il ripieno. Suddividete il ripieno negli stampini e comprimetelo con un cucchiaio. Richiudere il tutto con le foglie della verza.
Mettere gli sformatini a bagnomaria in una teglia e passare in forno a 180° per venti minuti.
Per la salsa versare in una casseruola 250 ml di panna liquida,
una bustina di zafferano (o due) e un pizzico di sale. Cuocere a bagnomaria per una ventina di minuti per ottenere una salsa corposa. Togliere gli stampini dal forno, girare direttamente sul piatto di portata e versare sopra un paio di cucchiaiate di salsa allo
zafferano.
Il piatto è pronto e può essere sia un delizioso antipasto sia un ottimo contorno, in questo caso senza salsa.
39 A mezzanotte abbiamo brindato con i nostri ospiti senza
Philippe e Gabrio che erano altrove, ma si sono ricordati
di noi con una telefonata di auguri.
Ogni volta che finisce un anno si pensa, e si spera, che
quello nuovo sarà migliore, magari perfetto. E ogni volta
che il nuovo anno diventa quello vecchio ci si accorge che
il sogno non si è avverato. Ma la speranza con la quale ci
rivolgiamo al futuro in quei primi secondi che aprono ogni
primo gennaio è unica. È la magia nella quale si concentrano ottimismo e positività che ci aiuteranno a vivere per
tutto il resto dell’anno.
Il 10 gennaio abbiamo chiuso la locanda per vacanze e restauri. I muratori hanno sistemato il muro del terrazzo e
innalzato una parete nella sala da pranzo per ricavare un
salotto per la conversazione.
Abbiamo trascorso i primi quindici giorni di febbraio a
Milano per soddisfare il bisogno e la voglia di incontrare
tutti i nostri amici. L’inverno era mite e Milano ci è sembrata più maleodorante del solito, ma assolutamente fantastica: sarà perché lì abitano i nostri amici o forse perché
gran parte della nostra vita è spalmata nelle sue vie e piazze. Sono tanti i ricordi che ci appartengono e che ci portiamo dentro come un tesoro impossibile da perdere.
Quando siamo tornati a casa, Trilly ci guardava con distacco: l’avevamo offesa con il nostro abbandono e ci ha
messo qualche giorno prima di degnarci, di nuovo, delle
sue attenzioni più tenere.
In uno dei giorni di vacanza, abbiamo deciso di visitare Saturnia e dintorni. Al mattino siamo andati alle terme e, a dispetto dell’aria frizzante, ci siamo messi in costume per immergerci nell’acqua fino al collo dove siamo rimasti per un
paio d’ore a godere del massaggio delle cascatelle, del tepore delle acque e del paesaggio verde che circonda le piscine.
Poi, una volta asciugati e rivestiti, siamo saliti in paese.
Saturnia si presenta come una grande piazza circondata
da case. È forse il meno bello tra i paesi della zona, ma sicuramente il più conosciuto, con piccole botteghe, qualche ristorante interessante e deliziosi caffè.
40 Dal castello, che erge sul punto più alto, si può occhieggiare la valle sottostante; inoltre è possibile ammirare il
“bagno secco”, una grande vasca vuota che, migliaia di
anni fa, raccoglieva l’acqua calda e le mura romane con le
diverse porte. Sotto quella posta a fianco della chiesa passava l’antica via Clodia che conduceva a Roma.
Ogni volta che torno in quel punto, mi ritrovo a ripetere
il gioco che facevo da bambina con mio nonno: quello di
cercare “lo zoccolo del diavolo” in una delle pietre della
pavimentazione. Il nonno mi raccontava la bellissima leggenda secondo la quale il diavolo, scappando, spiccava un
salto oltre la porta e, ricadendo, lasciava la sua impronta
prima di sparire per sempre nel buio della notte. Non ho
mai smesso di cercare quell’impronta di zoccolo.
Dopo pranzo abbiamo gironzolato in macchina e ho rivisto i posti che frequentavo da bambina: la piana dei crostoli oltre il ponte dell’Albegna, disseminata di sassi bianchi scolpiti dalla pioggia e dal tempo dove si narra che sia
sepolto il vitello d’oro. Poco più in là Pian di Palma,
un’area piuttosto vasta costellata di tombe etrusche a tumolo. A prima vista sembrano dei cumoli di sassi abbandonati in modo disordinato, ma a un esame più attento ci
si accorge che hanno una precisa struttura e collocazione.
La nostra ultima tappa è stata alle Caldine, una collinetta
dalla quale nasce l’acqua calda e sulfurea a dimostrazione
che, qui intorno, il Vulcano spento del Monte Amiata ha
ancora un cuore attivo e ribollente.
In quei giorni di calma mi sono dedicata a una radicale
pulizia della locanda e alla sistemazione di alcune stanze
che non mi piacevano.
Ho rivestito l’armadio della “Camera del buongiorno” con
ritagli di quotidiani e sostituito il tendone con una stoffa
con la stampa di un sole sorridente comprata a Milano.
Ho sostituito anche tutte le tende delle finestre e ho fatto
un tendone colorato per il salottino al piano delle camere.
Ma è nella “Camera francese” che ho lavorato al meglio
della mia fantasia realizzando, con un tessuto di voile bianco e rosa, un baldacchino pieno di fiocchi e leziosità che
41 le è valso il titolo di “camera degli innamorati”.
Con alcuni giorni di ritardo, il 7 marzo abbiamo riaperto
la locanda.
Il primo appuntamento è stato, come d’abitudine, quello
con una quarantina di signore che volevano festeggiare l’8
marzo.
Ho preparato il solito buffet con torte salate, uova ripiene, arancini di riso, insalata russa, canapè vari, vitello tonnato, conchiglioni ripieni di ricotta e spinaci, gnocchi di
pane, polpettine di vitello con mele al curry, pollo all’hawaiana, panna cotta e bavarese all’arancia. Le donne hanno assaggiato tutto con grande curiosità e hanno chiuso la
serata, lasciandosi trasportare dalla musica in tanghi figurati e voluttuosi valzer. Roberto si è chiuso nella stanza del
camino per non sentire, soprattutto per non vedere.
Vi riporto qui a fianco la ricetta delle polpettine di vitello
con mele al curry, perché le polpette sono sempre buone
e con le mele e il curry diventano superlative.
Sono così buone che non bastano mai.
Il giorno successivo siamo ripiombati nell’inverno e poco
dopo è arrivata la prima neve. Il lavoro è cominciato a rilento grazie al mancato arrivo della primavera e alla costante presenza di una gelida tramontana.
Un marzo infreddolito ha lasciato spazio a un aprile altrettanto rigido, ma per Pasqua sono arrivati i clienti anche a dispetto della pioggia e della grandine che in quei
giorni non sono davvero mancati.
Con il menù pasquale credo di poter dire di avere superato me stessa.
Cipollotti di ricotta
Sauté di coniglio con crema di scalogno
Sformatini di riso
Quenelle di ricotta con erbette
Stufatino d’agnello con purè di ceci
Sfogliatine con pollo ed erbette
Torta ripiena guarnita di fragole
Biscottini di pastafrolla
42 Polpettine di vitello con mele al curry Ingredienti per sei persone
700 gr di carne di vitello macinata
4 fette di pancarrè ammollate nel latte tiepido
2 uova intere
parmigiano grattugiato qb
una grattatina di buccia di limone
pane grattato, se necessario
6 mele golden
olio di semi
curry qb
(giusto quel tanto che basta per dare colore e sapore alla pietanza)
500 ml di panna fresca
olio d’oliva, burro e sale
In una ciotola mettere la carne macinata, il pancarrè, le uova, il
parmigiano, il sale e la buccia di limone.
Amalgamare il tutto con una forchetta. Se l’impasto risultasse
troppo morbido (ma non deve essere nemmeno troppo duro) aggiungere un po’ di pane grattato. Formare delle polpette grosse
come una pallina da ping-pong fino a esaurimento dell’impasto.
In una larga padella mettere l’olio di semi e, quando sarà caldo,
cuocere le polpettine in una o più cotture a seconda della grandezza della padella e girarle e affinché si coloriscano un po’ da tutte le parti. Toglierle man mano dal fuoco e appoggiarle su una carta assorbente.
Sbucciare le mele, dividerle in quattro quarti e ogni quarto dividerlo ancora a metà. Man mano che vengono sbucciate, tuffarle in
una ciotola piena d’acqua acidulata con il succo di un limone per
evitare che diventino nere.
Sciogliere un po’ di burro in una padella e unire le mele, che an-
43 dranno rosolate a fuoco vivace. Alla fine salare e spegnere.
In una teglia da forno mettere un filo d’olio d’oliva giusto per ungere il fondo, e adagiarvi le polpette e le mele. Diluire un cucchiaio di curry (o anche di più secondo il proprio gusto) nella panna, aggiungere un pizzico di sale, mescolare e versare il tutto sulle polpette e sulle mele. Infornare a 180° per una ventina di minuti. Se il sugo risultasse troppo liquido, togliere polpette e mele
e restringere la salsa sul fuoco. Se invece il sugo è troppo tirato, diluire con qualche cucchiaiata d’acqua calda.
In aprile abbiamo avuto il nostro primo corso di pittura
con Mario Massolo che era approdato l’anno passato alla
locanda per le cure termali e, chiacchierando, avevamo
scoperto che nella sua città teneva corsi di pittura. Così
quest’anno è tornato con i suoi allievi. La mattina, dopo
colazione, partivano alla ricerca di scorci fioriti e la sera,
dopo cena, dipingevano con impegno e passione nel salotto che pareva trasformarsi in uno studio d’artisti.
Maggio è iniziato all’insegna del tempo incerto ma, nonostante tutto, i campi hanno cominciato con calma, e inesorabilmente, a cambiare colore mentre le fioriture, ormai
sbiadite degli alberi, si sgretolavano lentamente. A metà
maggio un vecchio olivo segnalato nel libro delle piante
storiche d’Italia e che secondo i botanici contava più di
duemila anni, è stato bruciato. Un atto vandalico incomprensibile che ci ha privato per sempre di un prezioso regalo di madre natura. Chissà quante cose ha visto quell’albero, quante confidenze ha raccolto insieme alle gioie e ai
dolori, ai cieli e alle stelle e a tutti i cambiamenti del mondo? Ora non è rimasto che un tronco monco, carbonizzato che non rende giustizia della maestosità dei suoi ventidue metri di altezza e alla sua superba chioma verde-argento che sono andati perduti per sempre per colpa di pochi individui impossibili da appellare in modo efficace.
Una mattina degli ultimi giorni di maggio Trilly è uscita
come al solito di casa e non è più tornata. La nostra gatta
44 viziata è morta e, mentre vi scrivo di lei, mi viene ancora
un groppo alla gola e mi manca il respiro. Per tre giorni
l’abbiamo cercata, chiamandola disperatamente. Speravamo che avesse trovato un affascinante gattone e avesse
deciso una fuga romantica. Invece abbiamo scoperto che
è andata a morire, chissà per quale ragione, di fronte alla
casa di una coppia di nostri vicini.
Trilly resterà per sempre nel nostro cuore e nella nostra
memoria: unica e dolcissima.
In sua assenza le nostre attenzioni sono state rivolte alle
micie che durante i mesi invernali venivano a chiedere cibo. Ci siamo accorti che erano tutte in attesa dei piccoli e,
infatti, dalla fine di maggio hanno iniziato a figliare. A una
a una ci hanno portato i loro micetti. Ci siamo presi cura
di tutti ma in particolare di Dumbo, un micino soriano
dotato di enormi orecchie e di una fame insaziabile; Speedy, una micina bianca con qualche macchia nera qua e là,
fulminea nei movimenti; Pippo, il più delicato di salute,
un micino bianco e nero molto affettuoso.
Maggio è scivolato via tra giornate tiepide e altre quasi
fredde: un giorno sembrava scoppiata l’estate e quello successivo assomigliava a una fredda primavera. Le ginestre,
comunque, hanno vestito a festa le colline e i bordi delle
strade. E lentamente è arrivato giugno quando, all’improvviso, tutto ha assunto lo sfarzo dell’estate: i campi sono diventati d’oro con macchie di papaveri rossi. L’aria si
è surriscaldata e le giornate si sono allungate e il caldo afoso di fine giugno è diventato torrido a luglio e ha bruciato la terra e i campi.
La prima settimana di luglio, Roberto e io siamo andati a
Rodi Garganico e abbiamo apprezzato la Puglia per i profumi intensi, i colori scintillanti e la disponibilità della gente. In una sola settimana siamo riusciti ad abbronzarci e a
godere il mare, facendo più bagni possibili.
Luglio è scivolato via pigramente: Gabrio ha superato
l’esame di maturità con un punteggio di quarantotto sessantesimi, guadagnandosi così due settimane di vacanza a
Mykonos e io mi sono dedicata a rassettare la casa e a pre-
45 pararmi spiritualmente all’agosto che è arrivato sospinto
dal solleone e accompagnato dai turisti che, forse, erano
un po’ meno dell’anno precedente, ma non per questo
meno impegnativi.
Agosto è proprio il mese più importante dell’anno in questa tipologia di lavoro. Un grande numero, molto eterogeneo di persone, scappa dalla sua abituale, faticosa vita
e cerca relax, silenzio, aria pulita, profumi, sensazioni dimenticate, cibi dai sapori precisi proprio in questo territorio. Dico che è una clientela molto eterogenea, perché
a differenza di altri periodi dell’anno, in agosto c’è tutta la
varietà possibile dei vacanzieri. Ci sono quelli che vorrebbero silenzio assoluto, quelli che si stupiscono per il
troppo silenzio, quelli che si spaventano del buio profondo e misterioso delle nostre notti, quelli che, pur avendo
pagato per un soggiorno in un albergo a due stelle, vorrebbero un servizio da quattro. Quelli che hanno sempre
fame e il cibo non è mai abbastanza, quelli che mangiano
tutto, ma brontolano bonariamente per il fatto che mangiano troppo poiché il cibo è così buono che come si fa a
lasciarlo nel piatto? E se il lavoro normalmente è faticoso,
in questo mese lievita a dismisura. Tutti vogliono essere
ascoltati, sollecitati, stimolati, soprattutto coccolati.
Un pomeriggio in cui accompagnavo un cliente con il suo
cane dal veterinario, nell’ambulatorio c’era un uomo con
una piccolissima micina tutta colorata, molto spaventata e
con gli occhi azzurri. Voleva farla sopprimere. Mi è sembrata una cattiveria inutile e poi è stato amore a prima vista e quindi sono tornata a casa con quella gattina aggrappata alla maglietta.
E così Blu è entrata nella nostra vita con il suo carattere
giocoso e un’allegria che sembra non spegnersi mai tanto
che le è valso il soprannome di “Duracel”, perché nei momenti in cui corre, salta e fa le capriole, sembra proprio
caricata a pile. Abbiamo scoperto che le piacciono i dolci
e anche il cioccolato.
Settembre non ha portato variazioni di temperatura: caldo e niente pioggia. Solo verso la metà del mese il tempo
46 ha cominciato a cambiare. Con l’arrivo della pioggia i
campi, qui intorno, hanno tirato un grande sospiro di sollievo e, come per incanto, nel giro di pochi giorni dalla
terra bruciata è nato uno strato d’erba verde tenero capace di modificare il paesaggio, rendendolo più morbido e
gradevole allo sguardo. Il cielo, finalmente liberato dalla
calura estiva, è diventato trasparente e noi siamo riusciti
a riposare bene sotto una leggera coperta di lana.
Tra la fine di agosto e i primi di settembre, come d’abitudine, “Trottolino”, perfetto soprannome per mio padre
che è un uomo basso di statura e incapace di stare fermo,
mi ha portato chili e chili dei suoi dolcissimi fichi e delle
sue pesche profumate. Ho potuto fare soltanto qualche
vasetto di confettura perché abbiamo mangiato quasi tutte le pesche, mentre ho trasformato quasi tutti i fichi nella solita deliziosa marmellata.
Ottobre ci ha portato un tempo incerto e pochi clienti,
tranne che nei fine settimana. Manlio, che quest’anno aveva la sua casa, è venuto a Semproniano parecchie volte e
così ha incontrato le sorelle Pinori e le ha conquistate con
il suo fascino da attempato gentiluomo amante della conversazione, di tutta la musica e in particolare quella jazz,
della buona compagnia e dei piaceri della tavola. Il caso a
volte ci mette lo zampino e crea piccoli miracoli. Manlio
è vedovo ormai da molti anni ed Elsa è una single incallita. Condividono molti interessi: l’arte, la musica, il teatro
e la buona cucina. Elsa e Manlio si sono conosciuti per
una bizzarra coincidenza di fattori che ha modificato le
loro esistenze e noi ci auguriamo in senso positivo.
Manlio ha trovato un acquirente per la sua bella casa qui
in paese. Ha deciso di venderla perché il suo concetto di
regole e rispetto non collimava con quello dei suoi vicini
e ora sta cercando una nuova “tana” in quel triangolo di
terra che sta tra la Liguria, la Toscana e l’Emilia.
Nello stesso periodo sono tornate a trovarci Irene e Gertrude, due signore tedesche di mezza età che vengono a
studiare l’italiano per meglio capire e apprezzare l’opera
lirica.
47 È arrivata anche una lettera di Illia e Sabine con l’annuncio della nascita di Anna Salomè, una bambina che non
poteva che essere bellissima, come del resto testimoniano
le foto.
Per quello che mi riguarda, ho fatto la mia prima esperienza politica, partecipando alle riunioni della coalizione di centro-sinistra e contribuendo alla stesura del programma per l’elezione del sindaco. Il nostro candidato
non ha ottenuto la maggioranza, ma sono contenta di avere vissuto una simile avventura.
Il primo week-end di novembre la locanda si è riempita di
turisti vogliosi di tuffarsi nelle acque tiepide e “puzzolenti” di Saturnia. Se ne sono andati tutti felici e soddisfatti
tra la domenica e il lunedì.
Nei giorni successivi ho lasciato Roberto e Philippe a
guardia della locanda e sono scappata a Milano a sistemare la casa dei miei genitori per Gabrio e il suo amico
Maurizio che hanno deciso di iscriversi alla Facoltà di
Economia e Commercio all’Università Cattolica. Continuo a pensare che non sia una scelta adatta a Gabrio, ma
soltanto il tempo dirà se ho ragione o torto.
Sono rimasta a Milano per dieci giorni durante i quali,
grazie all’aiuto di un amico di mio padre, ho sistemato la
casa. Lui ha dipinto le stanze e io mi sono occupata delle
pulizie. Mi è spiaciuto ripartire senza avere la possibilità
di godermi l’effetto di tutto il mio lavoro.
Quest’anno, tra un impegno e l’altro, non sono riuscita ad
aiutare “Trottolino” a raccogliere le olive, ma ho goduto
del risultato perché l’olio, come sempre, è profumato e
saporito.
Ormai da alcune settimane fa proprio freddo e, sulle montagne più alte, è già caduta la neve. In questi giorni Philippe sta studiando “a cottimo”: gli mancano tre esami e
poi discuterà la sua tesi. E così, nel 1999, ci auguriamo che
possa entrare anche lui nel mondo del lavoro.
Il ponte di Sant’Ambrogio ci ha portato clienti e lavoro.
Io, come l’anno passato, sto pensando a come addobbare
la locanda e a cosa preparare per il cenone.
48 Nei campi ho raccolto rami con bacche di rosa canina, ginestra, quercia, pino e strani fiori con i pungiglioni: vorrei un addobbo che ricordi il bosco e tutta la sua magia.
Roberto, da alcuni giorni, ha rispolverato pennelli e colori che non usava da quarant’anni. Forse dipingere è un
po’ come andare in bicicletta: quando si impara, non si
scorda più. Spero che continui perché i risultati mi sembrano più che soddisfacenti.
Il giro del calendario si è concluso e anche la mia lettera
è giunta alla fine.
Se devo osare un bilancio di quest’anno, ripensando al
brindisi iniziale, è stato migliore quello passato. Per il terzo anno di attività mi ero prefigurata un ritmo più tranquillo, senza inciampi, e invece è stato estremamente ingarbugliato e ricco di problemi. Mi costringo a dire che
così è la vita. O almeno credo.
Il “premio fedeltà”, quest’anno, va all’amico Manlio che
non ha soggiornato alla locanda, ma ha condiviso con noi
molto del suo tempo e molte cene rallegrandoci e deliziandoci con la sua simpatia, la sua arguzia, le battute divertenti e i fantastici dolcetti della pasticceria Corsini. Ma
soprattutto con la sua voglia, mai dichiarata, di stare in
compagnia.
Lo aspettiamo per Natale, felici di condividere con lui tutte le feste, Capodanno compreso.
Sono proprio alla fine e quindi ringrazio tutti coloro che
mi hanno letto con pazienza.
Con Roberto vi auguriamo tutto il meglio per le prossime
feste, soprattutto per un inizio perfetto di questo 1999 che
ha un suono tutto particolare, quasi di attesa.
Buon Natale e Buon 1999.
Con affetto,
Patrizia
49 SECONDO INTERMEZZO
La mia idea migliore
Sei nato in una bella sera di novembre.
Quella sera è nata, con te, l’idea del figlio che avevo sempre sognato. Quando sei uscito dal mio corpo e ti ho visto bagnato e indifeso, ho capito che dovevo aspettare. Dovevo
aspettare con pazienza che passassero gli anni necessari per
far diventare uomo il bimbo che dormiva sereno tra le mie
braccia. La mia idea ti vedeva già grande e autosufficiente e,
invece, eri piccolo, avvolto in una coperta colorata e bisognoso di tutte le cure e di tutte le attenzioni possibili. Solo il
tempo avrebbe detto se il figlio immaginato, era proprio quello che avevo partorito da poche ore.
Ricordo con angoscia i tuoi primi mesi. Piangevi molto,
qualcosa ti disturbava. Forse il latte, forse io che non capivo
ancora il tuo linguaggio o forse il clima di tensione che si respirava già nella nostra casa. Non c’è nessun medico, purtroppo, che prepara la madre a quel periodo, nessuno che
spieghi come un neonato possa invadere la tua giornata togliendole spazio, fiato, forze, sonno e lasciando solo spossatezza e insoddisfazione. E tutto questo, insieme alla stanchezza e all’inesperienza diventano ossessione, malattia.
Gli anni sono passati. Quando li vivevo, mi sembravano
lenti e lunghissimi e invece sono rotolati via troppo in fretta.
Ma oggi che sei diventato grande, posso dire che l’idea corrisponde al sogno e non mi delude.
Benvenuto nella mia vita, Gabrio.
Tu non lo sai, ma hai dato coraggio ai miei pensieri e corpo ai miei desideri. Hai reso possibili alcune scelte che, diver-
50 samente, non avrei fatto. Hai dato luce e forza alla mia vita.
L’esperienza che ho vissuto con te, stando al tuo fianco e
cercando di insegnarti quello che mi era stato passato in eredità da mio padre e da mio nonno, mi ha fatto capire quanto
è straordinario, e al contempo difficile, essere madre.
Mi hai fatto crescere, maturare, prendere coscienza di essere una persona con la testa e soprattutto con il cuore.
Spero che di me ti resti soprattutto il cuore.
G. Klimt, La maternità
51 Indice
L’anello mancante prima dell’inizio
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5
L’inizio
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11
Le prime fioriture
Torta mimosa
Gnocchi di patate e barbabietola su crema di zucca
Cosciotto alle erbe fini
Marmellata di fichi
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15
16
25
28
31
PRIMO INTERMEZZO
Le donne della mia vita
Sformatini di verza con salsa allo zafferano
Polpettine di vitello con mele al curry
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34
39
43
SECONDO INTERMEZZO
La mia idea migliore
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50
TERZO INTERMEZZO
Il mio nome è Romeo
Cantucci
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61
68
QUARTO INTERMEZZO
Le Streghe esistono ancora
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69
QUINTO INTERMEZZO
C’era una volta Ottavia
Filetto di maiale al gorgonzola
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79
83
SESTO INTERMEZZO
Mi piace la primavera
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90
SETTIMO INTERMEZZO
Il mio nome è Tre
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97
OTTAVO INTERMEZZO
Il venditore di storie e l’uomo del baccalà
Ravioli di baccalà su vellutata di cipolle
Antico Peposo
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105
108
115
NONO INTERMEZZO
Il mio migliore amico, il miglior compagno
dei miei giochi
Budino di riso
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116
123
DECIMO INTERMEZZO
Un pensiero dedicato a Roberto
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129
Ancora qualche parola
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137