I colori dell`acquacotta - Casa editrice Le Lettere
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I colori dell`acquacotta - Casa editrice Le Lettere
Patrizia Passalacqua I colori dell’acquacotta Le Lettere PRIMO INTERMEZZO Le donne della mia vita Mia madre aveva due sorelle. Lei era la minore. Erano tre perché mio nonno desiderava un maschio e, quando nacque mia madre, decise che tre femmine erano sufficienti e che era meglio non rischiare più. Virma, Elia e Ilva, questi erano i loro nomi: una diversa dall’altra, ma tutte e tre molto belle. Virma, la più grande è sempre stata un po’ gracile, con qualche problema di salute. Ricordo che quando andavamo da lei, la trovavamo spesso a letto con una benda sugli occhi, la tapparella abbassata, finestra e porta chiuse perché luce e rumori, in quei momenti, erano i suoi peggiori nemici. Aveva una dote unica: la fantasia. Quando era bambina, giurava e spergiurava di parlare con le fate. Si rannicchiava contro un angolo della stanza e incominciava a parlottare sommessamente. E continuava a bisbigliare, finché le due sorelle non la tiravano per la gonna, incuriosite, perché volevano sapere cosa avevano da dirle le fate. Lei raccontava storie fantastiche di castelli, draghi e principi e per dare forza ai suoi racconti mostrava i pizzi che le fate le avevano regalato. Passava parte delle sue notti a lavorare all’uncinetto al lume della luna. È morta un paio di anni fa, dopo alcuni anni di assoluto silenzio. Non parlava e non vedeva più. Mi piace pensare che la sua mente e i suoi occhi siano stati rapiti dalle fate della sua infanzia. Elia aveva una bellezza ribelle nonostante gli occhi azzurri e i lineamenti lievi. Amava ballare e lo faceva in continuazione anche mentre apparecchiava la tavola, o sbrigava le faccende di casa. Era allegra, rumorosa e molto testarda. Il suo primo grande amore partì per la guerra e non fece ritorno. 34 Era una cuoca stupenda: amava cucinare e aveva avuto la fortuna di sposare un uomo che apprezzava la buona tavola. Lei passava molto del suo tempo in cucina, assaggiava, mescolava, aggiungeva e toglieva con la sicurezza di un alchimista e alla fine le sue pietanze, oltre ai profumi e ai sapori, rivelavano la presenza di un ingrediente indispensabile, la sua passione. Da quello che ricordo di lei allora, e con la conoscenza di oggi, posso dire che era davvero dotata, ma aveva il timore di aver sbagliato qualcosa: troppo pepe? troppo cotto? poco sale? Non so perché fosse sempre così titubante e insicura. Non ne aveva ragione, ma capita a chi è speciale e non lo sa. È stata la sola tra le sorelle ad avere avuto tre figli e quella alla quale la vita ha riservato più dolore e sofferenza. Perse il suo unico figlio maschio in un pomeriggio d’estate, un giorno di luglio molto caldo. La notizia arrivò per telefono e il suo urlo squarciò la noia di quel pomeriggio sospeso tra l’afa e l’ombra riportando tutti alla realtà, quella fredda e terribile che stava in un corpo disteso sul tavolo dell’obitorio di Pietrasanta. La perdita di quel figlio segnò profondamente il cuore e lo spirito di zia Elia che incominciò un lento percorso verso il suo appuntamento con l’aldilà. Il suo carattere cambiò lentamente e gli occhi vivaci si spensero giorno dopo giorno, pareva che gli accadimenti quotidiani le scivolassero addosso senza attraversarla. Una mattina d’inverno di alcuni anni dopo se ne andò per sempre anche suo marito, lo zio Bruno, un uomo mite e laborioso che l’aveva sostenuta con amore e tenacia soprattutto dopo la morte del figlio. Mi dispiace che lei ci abbia lasciati prima che avessi modo di dimostrarle quanto ero diventata capace nell’arte culinaria servendomi dei suoi segreti e dei suoi suggerimenti. Ilva, mia madre, era dotata di una bellezza mediterranea dalle forme morbide e con capelli ricci e neri, occhi scuri e penetranti. I suoi occhi mi hanno parlato molto di più di quanto non abbia fatto lei. 35 Ricordo che da piccola soffrivo di gelosia. Quando la vedevo in atteggiamenti teneri con altri bambini mi assaliva una rabbia sorda che mi faceva mancare il fiato, mi dava le vertigini e mi feriva profondamente. Oggi, se non sono gelosa, dipende dal fatto di essere stata troppo male allora. Lei era molto forte, rigorosa, concreta, incredibilmente generosa e terribilmente pessimista. Ha forgiato la mia vita e il mio carattere, senza poter nulla contro il mio innato ottimismo e la mia voglia di vivere. L’ho amata e odiata in egual misura e, forse per questo, sono grata alla vita che mi ha dato un figlio maschio. Quando penso a lei, sento di non essere mai riuscita a parlarle serenamente, ad aprirle il mio cuore, a raggiungere quella confidenza complice che pensiamo naturale tra madre e figlia. Tra noi pareva correre sempre un vento ghiacciato che raffreddava la capacità di parlare, di entrare in confidenza, di sentirci intimamente libere e sicure di non essere giudicate. Verso di lei ho provato grandi rabbie e infinita tenerezza. La rabbia più sorda esplose un pomeriggio, in cucina, mentre insieme preparavamo la cena. Lei mi punzecchiava e mi sfidava perché il fidanzato che volevo sposare non era, secondo lei, la persona giusta per me. Io l’ascoltavo, rispondevo a monosillabi e cercavo di non sentire quelle parole che volevano scuotermi dallo stato di catalessi in cui vivevo. Capivo che quello che mi diceva era corretto, vero, ma il mio orgoglio non mi permetteva di accettarlo. Esasperata, a un certo punto, mi voltai e le diedi uno schiaffo. Lei si zittì sorpresa dalla mia esplosione di rabbia e io, raggelata dalla mia stessa reazione, fui incapace di piangere e di chiederle scusa. Ancora oggi faccio un sogno: per difendermi, devo schiaffeggiare qualcuno, ma non ci riesco. Ho provato la tenerezza struggente e dolorosa negli ultimi giorni della sua vita quando la fine, ormai vicina, le aveva tolto anche la parola lasciandole solo la forza prepotente dello sguardo: due bellissimi occhi scuri e profondi. 36 C’è una vecchia foto in bianco e nero che guardo e riguardo, e quando mi capita tra le mani, fatico, poi a riporla. Ci siamo io e lei in quella fotografia in bianco e nero: siamo sulla soglia della casa di Semproniano, incorniciate dal portone e alle nostre spalle tutto è nero. Lei non ha nemmeno trent’anni, sorride ed è bellissima. Anch’io sorrido. Indossa un vestito elegante, probabilmente blu e ai piedi calza un paio di scarpe alte intrecciate; io un vestitino chiaro e un fiocco in testa. Ci teniamo per mano e siamo felici, fiduciose. La vita ci sorride. Così mi piace ricordare mia madre: allegra e giovane, solo mia, tutta mia, per sempre. Con mia madre nel 1955 37 Natale 1998, Capodanno 1999 Carissimi, se speravate che la mia lettera ecumenica dello scorso anno avesse un seguito, eccovi accontentati. È il pomeriggio inoltrato del 7 dicembre. L’aria è fredda e pulita, il sole sta calando e ci regala un tramonto superlativo, con colori che vanno dal rosa, al viola, all’indaco, uno stacco di cielo azzurro trasparente e poi il resto è blu notte acceso di stelle. È un po’ come quei bellissimi tramonti che si possono ammirare quando si viaggia in aereo. Sono seduta sul divano davanti a un bel fuoco vivace e vi scrivo, ripartendo dalle ultime righe della mia lettera di un anno fa. Era dicembre e mi accingevo a decorare la locanda e a preparare il menù di San Silvestro. L’anno è terminato con un problema: Brunella, la signora che mi aiutava in cucina, aveva deciso di dedicarsi a un’altra attività e io ero felice per lei, ma molto preoccupata per me e per quello che mi aspettava. Io e Roberto abbiamo deciso di accettare, per il 31 dicembre, non più di venticinque persone. E così la notte di San Silvestro avevamo ventidue ospiti a cui abbiamo servito: Salmone affumicato con crostini caldi Sformatini di verza con una salsa allo zafferano Ravioli di baccalà Gnocchi di pane allo speck di cinghiale Arista la forno con porcini, cipolline e carote Cotechino vaniglia (importato direttamente da Milano) con lenticchie stufate Mousse di uva fragola Vi scrivo la ricetta degli sformatini perché è molto facile e il successo è assicurato. 38 Sformatini di verza con salsa allo zafferano Ingredienti per quattro sformatini una verza di media grossezza 250 ml di panna liquida una bustina di zafferano (due se il colore della salsa vi sembrerà troppo pallido) uno scalogno pane grattato q.b. sale, burro, olio d’oliva Sbollentare le foglie esterne per qualche minuto in acqua salata, scolarle e allargarle su un canovaccio. Tagliare la parte centrale della verza in sottili listarelle e stufare in una padella con tre cucchiaiate d’olio, un pezzetto di burro, sale e lo scalogno tritato. Quando il tutto sarà cotto, aggiungere un paio di manciate di pane grattato, amalgamare bene e tenere da parte. Con le foglie scottate foderare gli stampini imburrati, fare in modo che le foglie debordino perché serviranno per racchiudere il ripieno. Suddividete il ripieno negli stampini e comprimetelo con un cucchiaio. Richiudere il tutto con le foglie della verza. Mettere gli sformatini a bagnomaria in una teglia e passare in forno a 180° per venti minuti. Per la salsa versare in una casseruola 250 ml di panna liquida, una bustina di zafferano (o due) e un pizzico di sale. Cuocere a bagnomaria per una ventina di minuti per ottenere una salsa corposa. Togliere gli stampini dal forno, girare direttamente sul piatto di portata e versare sopra un paio di cucchiaiate di salsa allo zafferano. Il piatto è pronto e può essere sia un delizioso antipasto sia un ottimo contorno, in questo caso senza salsa. 39 A mezzanotte abbiamo brindato con i nostri ospiti senza Philippe e Gabrio che erano altrove, ma si sono ricordati di noi con una telefonata di auguri. Ogni volta che finisce un anno si pensa, e si spera, che quello nuovo sarà migliore, magari perfetto. E ogni volta che il nuovo anno diventa quello vecchio ci si accorge che il sogno non si è avverato. Ma la speranza con la quale ci rivolgiamo al futuro in quei primi secondi che aprono ogni primo gennaio è unica. È la magia nella quale si concentrano ottimismo e positività che ci aiuteranno a vivere per tutto il resto dell’anno. Il 10 gennaio abbiamo chiuso la locanda per vacanze e restauri. I muratori hanno sistemato il muro del terrazzo e innalzato una parete nella sala da pranzo per ricavare un salotto per la conversazione. Abbiamo trascorso i primi quindici giorni di febbraio a Milano per soddisfare il bisogno e la voglia di incontrare tutti i nostri amici. L’inverno era mite e Milano ci è sembrata più maleodorante del solito, ma assolutamente fantastica: sarà perché lì abitano i nostri amici o forse perché gran parte della nostra vita è spalmata nelle sue vie e piazze. Sono tanti i ricordi che ci appartengono e che ci portiamo dentro come un tesoro impossibile da perdere. Quando siamo tornati a casa, Trilly ci guardava con distacco: l’avevamo offesa con il nostro abbandono e ci ha messo qualche giorno prima di degnarci, di nuovo, delle sue attenzioni più tenere. In uno dei giorni di vacanza, abbiamo deciso di visitare Saturnia e dintorni. Al mattino siamo andati alle terme e, a dispetto dell’aria frizzante, ci siamo messi in costume per immergerci nell’acqua fino al collo dove siamo rimasti per un paio d’ore a godere del massaggio delle cascatelle, del tepore delle acque e del paesaggio verde che circonda le piscine. Poi, una volta asciugati e rivestiti, siamo saliti in paese. Saturnia si presenta come una grande piazza circondata da case. È forse il meno bello tra i paesi della zona, ma sicuramente il più conosciuto, con piccole botteghe, qualche ristorante interessante e deliziosi caffè. 40 Dal castello, che erge sul punto più alto, si può occhieggiare la valle sottostante; inoltre è possibile ammirare il “bagno secco”, una grande vasca vuota che, migliaia di anni fa, raccoglieva l’acqua calda e le mura romane con le diverse porte. Sotto quella posta a fianco della chiesa passava l’antica via Clodia che conduceva a Roma. Ogni volta che torno in quel punto, mi ritrovo a ripetere il gioco che facevo da bambina con mio nonno: quello di cercare “lo zoccolo del diavolo” in una delle pietre della pavimentazione. Il nonno mi raccontava la bellissima leggenda secondo la quale il diavolo, scappando, spiccava un salto oltre la porta e, ricadendo, lasciava la sua impronta prima di sparire per sempre nel buio della notte. Non ho mai smesso di cercare quell’impronta di zoccolo. Dopo pranzo abbiamo gironzolato in macchina e ho rivisto i posti che frequentavo da bambina: la piana dei crostoli oltre il ponte dell’Albegna, disseminata di sassi bianchi scolpiti dalla pioggia e dal tempo dove si narra che sia sepolto il vitello d’oro. Poco più in là Pian di Palma, un’area piuttosto vasta costellata di tombe etrusche a tumolo. A prima vista sembrano dei cumoli di sassi abbandonati in modo disordinato, ma a un esame più attento ci si accorge che hanno una precisa struttura e collocazione. La nostra ultima tappa è stata alle Caldine, una collinetta dalla quale nasce l’acqua calda e sulfurea a dimostrazione che, qui intorno, il Vulcano spento del Monte Amiata ha ancora un cuore attivo e ribollente. In quei giorni di calma mi sono dedicata a una radicale pulizia della locanda e alla sistemazione di alcune stanze che non mi piacevano. Ho rivestito l’armadio della “Camera del buongiorno” con ritagli di quotidiani e sostituito il tendone con una stoffa con la stampa di un sole sorridente comprata a Milano. Ho sostituito anche tutte le tende delle finestre e ho fatto un tendone colorato per il salottino al piano delle camere. Ma è nella “Camera francese” che ho lavorato al meglio della mia fantasia realizzando, con un tessuto di voile bianco e rosa, un baldacchino pieno di fiocchi e leziosità che 41 le è valso il titolo di “camera degli innamorati”. Con alcuni giorni di ritardo, il 7 marzo abbiamo riaperto la locanda. Il primo appuntamento è stato, come d’abitudine, quello con una quarantina di signore che volevano festeggiare l’8 marzo. Ho preparato il solito buffet con torte salate, uova ripiene, arancini di riso, insalata russa, canapè vari, vitello tonnato, conchiglioni ripieni di ricotta e spinaci, gnocchi di pane, polpettine di vitello con mele al curry, pollo all’hawaiana, panna cotta e bavarese all’arancia. Le donne hanno assaggiato tutto con grande curiosità e hanno chiuso la serata, lasciandosi trasportare dalla musica in tanghi figurati e voluttuosi valzer. Roberto si è chiuso nella stanza del camino per non sentire, soprattutto per non vedere. Vi riporto qui a fianco la ricetta delle polpettine di vitello con mele al curry, perché le polpette sono sempre buone e con le mele e il curry diventano superlative. Sono così buone che non bastano mai. Il giorno successivo siamo ripiombati nell’inverno e poco dopo è arrivata la prima neve. Il lavoro è cominciato a rilento grazie al mancato arrivo della primavera e alla costante presenza di una gelida tramontana. Un marzo infreddolito ha lasciato spazio a un aprile altrettanto rigido, ma per Pasqua sono arrivati i clienti anche a dispetto della pioggia e della grandine che in quei giorni non sono davvero mancati. Con il menù pasquale credo di poter dire di avere superato me stessa. Cipollotti di ricotta Sauté di coniglio con crema di scalogno Sformatini di riso Quenelle di ricotta con erbette Stufatino d’agnello con purè di ceci Sfogliatine con pollo ed erbette Torta ripiena guarnita di fragole Biscottini di pastafrolla 42 Polpettine di vitello con mele al curry Ingredienti per sei persone 700 gr di carne di vitello macinata 4 fette di pancarrè ammollate nel latte tiepido 2 uova intere parmigiano grattugiato qb una grattatina di buccia di limone pane grattato, se necessario 6 mele golden olio di semi curry qb (giusto quel tanto che basta per dare colore e sapore alla pietanza) 500 ml di panna fresca olio d’oliva, burro e sale In una ciotola mettere la carne macinata, il pancarrè, le uova, il parmigiano, il sale e la buccia di limone. Amalgamare il tutto con una forchetta. Se l’impasto risultasse troppo morbido (ma non deve essere nemmeno troppo duro) aggiungere un po’ di pane grattato. Formare delle polpette grosse come una pallina da ping-pong fino a esaurimento dell’impasto. In una larga padella mettere l’olio di semi e, quando sarà caldo, cuocere le polpettine in una o più cotture a seconda della grandezza della padella e girarle e affinché si coloriscano un po’ da tutte le parti. Toglierle man mano dal fuoco e appoggiarle su una carta assorbente. Sbucciare le mele, dividerle in quattro quarti e ogni quarto dividerlo ancora a metà. Man mano che vengono sbucciate, tuffarle in una ciotola piena d’acqua acidulata con il succo di un limone per evitare che diventino nere. Sciogliere un po’ di burro in una padella e unire le mele, che an- 43 dranno rosolate a fuoco vivace. Alla fine salare e spegnere. In una teglia da forno mettere un filo d’olio d’oliva giusto per ungere il fondo, e adagiarvi le polpette e le mele. Diluire un cucchiaio di curry (o anche di più secondo il proprio gusto) nella panna, aggiungere un pizzico di sale, mescolare e versare il tutto sulle polpette e sulle mele. Infornare a 180° per una ventina di minuti. Se il sugo risultasse troppo liquido, togliere polpette e mele e restringere la salsa sul fuoco. Se invece il sugo è troppo tirato, diluire con qualche cucchiaiata d’acqua calda. In aprile abbiamo avuto il nostro primo corso di pittura con Mario Massolo che era approdato l’anno passato alla locanda per le cure termali e, chiacchierando, avevamo scoperto che nella sua città teneva corsi di pittura. Così quest’anno è tornato con i suoi allievi. La mattina, dopo colazione, partivano alla ricerca di scorci fioriti e la sera, dopo cena, dipingevano con impegno e passione nel salotto che pareva trasformarsi in uno studio d’artisti. Maggio è iniziato all’insegna del tempo incerto ma, nonostante tutto, i campi hanno cominciato con calma, e inesorabilmente, a cambiare colore mentre le fioriture, ormai sbiadite degli alberi, si sgretolavano lentamente. A metà maggio un vecchio olivo segnalato nel libro delle piante storiche d’Italia e che secondo i botanici contava più di duemila anni, è stato bruciato. Un atto vandalico incomprensibile che ci ha privato per sempre di un prezioso regalo di madre natura. Chissà quante cose ha visto quell’albero, quante confidenze ha raccolto insieme alle gioie e ai dolori, ai cieli e alle stelle e a tutti i cambiamenti del mondo? Ora non è rimasto che un tronco monco, carbonizzato che non rende giustizia della maestosità dei suoi ventidue metri di altezza e alla sua superba chioma verde-argento che sono andati perduti per sempre per colpa di pochi individui impossibili da appellare in modo efficace. Una mattina degli ultimi giorni di maggio Trilly è uscita come al solito di casa e non è più tornata. La nostra gatta 44 viziata è morta e, mentre vi scrivo di lei, mi viene ancora un groppo alla gola e mi manca il respiro. Per tre giorni l’abbiamo cercata, chiamandola disperatamente. Speravamo che avesse trovato un affascinante gattone e avesse deciso una fuga romantica. Invece abbiamo scoperto che è andata a morire, chissà per quale ragione, di fronte alla casa di una coppia di nostri vicini. Trilly resterà per sempre nel nostro cuore e nella nostra memoria: unica e dolcissima. In sua assenza le nostre attenzioni sono state rivolte alle micie che durante i mesi invernali venivano a chiedere cibo. Ci siamo accorti che erano tutte in attesa dei piccoli e, infatti, dalla fine di maggio hanno iniziato a figliare. A una a una ci hanno portato i loro micetti. Ci siamo presi cura di tutti ma in particolare di Dumbo, un micino soriano dotato di enormi orecchie e di una fame insaziabile; Speedy, una micina bianca con qualche macchia nera qua e là, fulminea nei movimenti; Pippo, il più delicato di salute, un micino bianco e nero molto affettuoso. Maggio è scivolato via tra giornate tiepide e altre quasi fredde: un giorno sembrava scoppiata l’estate e quello successivo assomigliava a una fredda primavera. Le ginestre, comunque, hanno vestito a festa le colline e i bordi delle strade. E lentamente è arrivato giugno quando, all’improvviso, tutto ha assunto lo sfarzo dell’estate: i campi sono diventati d’oro con macchie di papaveri rossi. L’aria si è surriscaldata e le giornate si sono allungate e il caldo afoso di fine giugno è diventato torrido a luglio e ha bruciato la terra e i campi. La prima settimana di luglio, Roberto e io siamo andati a Rodi Garganico e abbiamo apprezzato la Puglia per i profumi intensi, i colori scintillanti e la disponibilità della gente. In una sola settimana siamo riusciti ad abbronzarci e a godere il mare, facendo più bagni possibili. Luglio è scivolato via pigramente: Gabrio ha superato l’esame di maturità con un punteggio di quarantotto sessantesimi, guadagnandosi così due settimane di vacanza a Mykonos e io mi sono dedicata a rassettare la casa e a pre- 45 pararmi spiritualmente all’agosto che è arrivato sospinto dal solleone e accompagnato dai turisti che, forse, erano un po’ meno dell’anno precedente, ma non per questo meno impegnativi. Agosto è proprio il mese più importante dell’anno in questa tipologia di lavoro. Un grande numero, molto eterogeneo di persone, scappa dalla sua abituale, faticosa vita e cerca relax, silenzio, aria pulita, profumi, sensazioni dimenticate, cibi dai sapori precisi proprio in questo territorio. Dico che è una clientela molto eterogenea, perché a differenza di altri periodi dell’anno, in agosto c’è tutta la varietà possibile dei vacanzieri. Ci sono quelli che vorrebbero silenzio assoluto, quelli che si stupiscono per il troppo silenzio, quelli che si spaventano del buio profondo e misterioso delle nostre notti, quelli che, pur avendo pagato per un soggiorno in un albergo a due stelle, vorrebbero un servizio da quattro. Quelli che hanno sempre fame e il cibo non è mai abbastanza, quelli che mangiano tutto, ma brontolano bonariamente per il fatto che mangiano troppo poiché il cibo è così buono che come si fa a lasciarlo nel piatto? E se il lavoro normalmente è faticoso, in questo mese lievita a dismisura. Tutti vogliono essere ascoltati, sollecitati, stimolati, soprattutto coccolati. Un pomeriggio in cui accompagnavo un cliente con il suo cane dal veterinario, nell’ambulatorio c’era un uomo con una piccolissima micina tutta colorata, molto spaventata e con gli occhi azzurri. Voleva farla sopprimere. Mi è sembrata una cattiveria inutile e poi è stato amore a prima vista e quindi sono tornata a casa con quella gattina aggrappata alla maglietta. E così Blu è entrata nella nostra vita con il suo carattere giocoso e un’allegria che sembra non spegnersi mai tanto che le è valso il soprannome di “Duracel”, perché nei momenti in cui corre, salta e fa le capriole, sembra proprio caricata a pile. Abbiamo scoperto che le piacciono i dolci e anche il cioccolato. Settembre non ha portato variazioni di temperatura: caldo e niente pioggia. Solo verso la metà del mese il tempo 46 ha cominciato a cambiare. Con l’arrivo della pioggia i campi, qui intorno, hanno tirato un grande sospiro di sollievo e, come per incanto, nel giro di pochi giorni dalla terra bruciata è nato uno strato d’erba verde tenero capace di modificare il paesaggio, rendendolo più morbido e gradevole allo sguardo. Il cielo, finalmente liberato dalla calura estiva, è diventato trasparente e noi siamo riusciti a riposare bene sotto una leggera coperta di lana. Tra la fine di agosto e i primi di settembre, come d’abitudine, “Trottolino”, perfetto soprannome per mio padre che è un uomo basso di statura e incapace di stare fermo, mi ha portato chili e chili dei suoi dolcissimi fichi e delle sue pesche profumate. Ho potuto fare soltanto qualche vasetto di confettura perché abbiamo mangiato quasi tutte le pesche, mentre ho trasformato quasi tutti i fichi nella solita deliziosa marmellata. Ottobre ci ha portato un tempo incerto e pochi clienti, tranne che nei fine settimana. Manlio, che quest’anno aveva la sua casa, è venuto a Semproniano parecchie volte e così ha incontrato le sorelle Pinori e le ha conquistate con il suo fascino da attempato gentiluomo amante della conversazione, di tutta la musica e in particolare quella jazz, della buona compagnia e dei piaceri della tavola. Il caso a volte ci mette lo zampino e crea piccoli miracoli. Manlio è vedovo ormai da molti anni ed Elsa è una single incallita. Condividono molti interessi: l’arte, la musica, il teatro e la buona cucina. Elsa e Manlio si sono conosciuti per una bizzarra coincidenza di fattori che ha modificato le loro esistenze e noi ci auguriamo in senso positivo. Manlio ha trovato un acquirente per la sua bella casa qui in paese. Ha deciso di venderla perché il suo concetto di regole e rispetto non collimava con quello dei suoi vicini e ora sta cercando una nuova “tana” in quel triangolo di terra che sta tra la Liguria, la Toscana e l’Emilia. Nello stesso periodo sono tornate a trovarci Irene e Gertrude, due signore tedesche di mezza età che vengono a studiare l’italiano per meglio capire e apprezzare l’opera lirica. 47 È arrivata anche una lettera di Illia e Sabine con l’annuncio della nascita di Anna Salomè, una bambina che non poteva che essere bellissima, come del resto testimoniano le foto. Per quello che mi riguarda, ho fatto la mia prima esperienza politica, partecipando alle riunioni della coalizione di centro-sinistra e contribuendo alla stesura del programma per l’elezione del sindaco. Il nostro candidato non ha ottenuto la maggioranza, ma sono contenta di avere vissuto una simile avventura. Il primo week-end di novembre la locanda si è riempita di turisti vogliosi di tuffarsi nelle acque tiepide e “puzzolenti” di Saturnia. Se ne sono andati tutti felici e soddisfatti tra la domenica e il lunedì. Nei giorni successivi ho lasciato Roberto e Philippe a guardia della locanda e sono scappata a Milano a sistemare la casa dei miei genitori per Gabrio e il suo amico Maurizio che hanno deciso di iscriversi alla Facoltà di Economia e Commercio all’Università Cattolica. Continuo a pensare che non sia una scelta adatta a Gabrio, ma soltanto il tempo dirà se ho ragione o torto. Sono rimasta a Milano per dieci giorni durante i quali, grazie all’aiuto di un amico di mio padre, ho sistemato la casa. Lui ha dipinto le stanze e io mi sono occupata delle pulizie. Mi è spiaciuto ripartire senza avere la possibilità di godermi l’effetto di tutto il mio lavoro. Quest’anno, tra un impegno e l’altro, non sono riuscita ad aiutare “Trottolino” a raccogliere le olive, ma ho goduto del risultato perché l’olio, come sempre, è profumato e saporito. Ormai da alcune settimane fa proprio freddo e, sulle montagne più alte, è già caduta la neve. In questi giorni Philippe sta studiando “a cottimo”: gli mancano tre esami e poi discuterà la sua tesi. E così, nel 1999, ci auguriamo che possa entrare anche lui nel mondo del lavoro. Il ponte di Sant’Ambrogio ci ha portato clienti e lavoro. Io, come l’anno passato, sto pensando a come addobbare la locanda e a cosa preparare per il cenone. 48 Nei campi ho raccolto rami con bacche di rosa canina, ginestra, quercia, pino e strani fiori con i pungiglioni: vorrei un addobbo che ricordi il bosco e tutta la sua magia. Roberto, da alcuni giorni, ha rispolverato pennelli e colori che non usava da quarant’anni. Forse dipingere è un po’ come andare in bicicletta: quando si impara, non si scorda più. Spero che continui perché i risultati mi sembrano più che soddisfacenti. Il giro del calendario si è concluso e anche la mia lettera è giunta alla fine. Se devo osare un bilancio di quest’anno, ripensando al brindisi iniziale, è stato migliore quello passato. Per il terzo anno di attività mi ero prefigurata un ritmo più tranquillo, senza inciampi, e invece è stato estremamente ingarbugliato e ricco di problemi. Mi costringo a dire che così è la vita. O almeno credo. Il “premio fedeltà”, quest’anno, va all’amico Manlio che non ha soggiornato alla locanda, ma ha condiviso con noi molto del suo tempo e molte cene rallegrandoci e deliziandoci con la sua simpatia, la sua arguzia, le battute divertenti e i fantastici dolcetti della pasticceria Corsini. Ma soprattutto con la sua voglia, mai dichiarata, di stare in compagnia. Lo aspettiamo per Natale, felici di condividere con lui tutte le feste, Capodanno compreso. Sono proprio alla fine e quindi ringrazio tutti coloro che mi hanno letto con pazienza. Con Roberto vi auguriamo tutto il meglio per le prossime feste, soprattutto per un inizio perfetto di questo 1999 che ha un suono tutto particolare, quasi di attesa. Buon Natale e Buon 1999. Con affetto, Patrizia 49 SECONDO INTERMEZZO La mia idea migliore Sei nato in una bella sera di novembre. Quella sera è nata, con te, l’idea del figlio che avevo sempre sognato. Quando sei uscito dal mio corpo e ti ho visto bagnato e indifeso, ho capito che dovevo aspettare. Dovevo aspettare con pazienza che passassero gli anni necessari per far diventare uomo il bimbo che dormiva sereno tra le mie braccia. La mia idea ti vedeva già grande e autosufficiente e, invece, eri piccolo, avvolto in una coperta colorata e bisognoso di tutte le cure e di tutte le attenzioni possibili. Solo il tempo avrebbe detto se il figlio immaginato, era proprio quello che avevo partorito da poche ore. Ricordo con angoscia i tuoi primi mesi. Piangevi molto, qualcosa ti disturbava. Forse il latte, forse io che non capivo ancora il tuo linguaggio o forse il clima di tensione che si respirava già nella nostra casa. Non c’è nessun medico, purtroppo, che prepara la madre a quel periodo, nessuno che spieghi come un neonato possa invadere la tua giornata togliendole spazio, fiato, forze, sonno e lasciando solo spossatezza e insoddisfazione. E tutto questo, insieme alla stanchezza e all’inesperienza diventano ossessione, malattia. Gli anni sono passati. Quando li vivevo, mi sembravano lenti e lunghissimi e invece sono rotolati via troppo in fretta. Ma oggi che sei diventato grande, posso dire che l’idea corrisponde al sogno e non mi delude. Benvenuto nella mia vita, Gabrio. Tu non lo sai, ma hai dato coraggio ai miei pensieri e corpo ai miei desideri. Hai reso possibili alcune scelte che, diver- 50 samente, non avrei fatto. Hai dato luce e forza alla mia vita. L’esperienza che ho vissuto con te, stando al tuo fianco e cercando di insegnarti quello che mi era stato passato in eredità da mio padre e da mio nonno, mi ha fatto capire quanto è straordinario, e al contempo difficile, essere madre. Mi hai fatto crescere, maturare, prendere coscienza di essere una persona con la testa e soprattutto con il cuore. Spero che di me ti resti soprattutto il cuore. G. Klimt, La maternità 51 Indice L’anello mancante prima dell’inizio p. 5 L’inizio » 11 Le prime fioriture Torta mimosa Gnocchi di patate e barbabietola su crema di zucca Cosciotto alle erbe fini Marmellata di fichi » » » » » 15 16 25 28 31 PRIMO INTERMEZZO Le donne della mia vita Sformatini di verza con salsa allo zafferano Polpettine di vitello con mele al curry » » » 34 39 43 SECONDO INTERMEZZO La mia idea migliore » 50 TERZO INTERMEZZO Il mio nome è Romeo Cantucci » » 61 68 QUARTO INTERMEZZO Le Streghe esistono ancora » 69 QUINTO INTERMEZZO C’era una volta Ottavia Filetto di maiale al gorgonzola » » 79 83 SESTO INTERMEZZO Mi piace la primavera p. 90 SETTIMO INTERMEZZO Il mio nome è Tre » 97 OTTAVO INTERMEZZO Il venditore di storie e l’uomo del baccalà Ravioli di baccalà su vellutata di cipolle Antico Peposo » » » 105 108 115 NONO INTERMEZZO Il mio migliore amico, il miglior compagno dei miei giochi Budino di riso » » 116 123 DECIMO INTERMEZZO Un pensiero dedicato a Roberto » 129 Ancora qualche parola » 137