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1.
GENESI DEL PROGETTO FERROVIARIO Qualsiasi attività umana (lavoro, studio, svago, consumi, ecc.) necessita, per essere espletata, del supporto di una infrastruttura di trasporto. Il tempo impiegato per lo spostamento, insieme alla tariffa richiesta dal vettore, rappresenta il costo del trasporto che costituisce una parte del costo del bene o servizio prodotto con quello spostamento. In un sistema di libero mercato la concorrenza si basa sulla migliore qualità e sul minor costo di qualsiasi bene o servizio. Ne consegue che tutta la collettività abbia interesse ad abbassare il costo del trasporto in quanto parte del costo di qualsiasi bene o servizio. Se ne ha la possibilità, la prima scelta di un utente generico è quella del modo di trasporto che ottimizzi il costo dello spostamento. In quest’ottica i modi di trasporto (stradale, ferroviario, aereo e navale) sono in perenne concorrenza fra loro per accaparrarsi la domanda di trasporto già esistente o per incentivare la creazione di una nuova domanda. La domanda (esistente e/o creata) è funzione sia del reddito prodotto nell’area di riferimento che del costo del trasporto. Man mano che aumenta la forbice fra questi due parametri, si incrementa anche la domanda. La diminuzione del costo di trasporto non solo fa abbassare anche il costo del bene o servizio prodotto da quello spostamento ma fa accedere a quel trasporto anche fasce di popolazione il cui reddito prima non consentiva o non giustificava l’accesso. L’utente in definitiva è attirato dal modo di trasporto che presenta il minor costo di trasporto (sia di tempo che di tariffa) senza trascurare l’attenzione alla qualità del servizio ed alla sicurezza del trasporto. Il tempo impiegato per lo spostamento dipende dalla velocità complessiva da A a B (inclusi gli eventuali tempi di attesa). Con il termine velocità complessiva si intende quella derivante dal tempo totale per andare da A a B. Dal momento che tutti i vettori collettivi non fanno un servizio da porta a porta, ma da fermata a fermata, in genere lo spostamento da porta a porta è la somma di diversi tratti complementari in cui ogni modo di trasporto esplica la sua peculiarità. F1 B A LIN
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F2 Ne consegue che i diversi modi di trasporto sono non solo in concorrenza fra loro ma anche complementari. Il passaggio, in uno stesso itinerario, da un modo di trasporto ad un altro si chiama “rottura di carico”, proprio perché il primo passaggio fra modalità di trasporto fu quello dalla nave al vettore terrestre, le cui unità di carico erano frammentate rispetto a quelle della nave. E’ evidente quindi che l’utente affronti la rottura di carico o perché non ne può fare a meno o perché ha convenienza, che sussiste nella misura in cui il cambio di vettore gli fa guadagnare tempo rispetto al vettore precedente. In questo contesto si inserisce il vettore ferroviario, il quale per sua natura non solo non permette quasi mai il collegamento da porta a porta, ma, nei paesi più evoluti quali il nostro, è in concorrenza con il modo stradale (e spesso anche con quelli aerei e navali). Riepilogando si può dire che il vettore ferroviario ha quasi sempre la necessità della complementarietà del modo stradale e può essere, a sua volta, complementare del modo navale ed aereo, oltre ad essere in concorrenza con tutti i modi di trasporto. Quali sono quindi le peculiarità del modo di trasporto ferroviario e in quale mercato si collocano? Innanzitutto la capacità di trasporto di un singolo vettore (da cui dipende il costo per unità di prodotto). Soltanto la nave riesce ad avere una capacità maggiore, ma non certo l’aereo e qualsiasi vettore stradale. Un treno può portare comodamente 1000 passeggeri o 1000 tonnellate di merci. Il secondo indicatore fondamentale del vettore ferroviario è la velocità operativa. Velocità dell’ordine di 300÷350 km/h sono oggi possibili. Il terzo indicatore è la sicurezza, che lo colloca statisticamente al primo posto fra tutti i vettori di trasporto. Da quanto detto, si evidenziano immediatamente le fasce di mercato in cui si può collocare. Per quanto riguarda il traffico passeggeri di media e lunga percorrenza, sicuramente è attraente per tutti quegli utenti per cui non sia troppo oneroso il doppio tratto (in partenza e in attivo) complementare stradale. Quindi tutti gli utenti dei centri urbani in cui raggiungere la stazione sia più conveniente che effettuare tutto lo spostamento sul vettore stradale. Dal momento che la velocità del treno può essere più del doppio di quella del veicolo stradale, è evidente che più aumenta la percorrenza sul treno e maggiore risulta la convenienza del vettore ferroviario. In altre parole, quanto meno pesano le tratte complementari stradali sullo spostamento complessivo e tanto più è conveniente la scelta del modo ferroviario. La convenienza quindi è frutto della vicinanza da A e B ai rispettivi F, ma anche della distanza fra F1 e F2. A tutto questo ovviamente si deve aggiungere l’ammontare della tariffa per andare da F1 e F2: deve essere concorrenziale con il costo del tutto strada da A a B. Man mano che aumenta la distanza da F1 e F2 (e quindi la convenienza rispetto al tutto strada ) subentra la concorrenza del vettore aereo per i passeggeri e di quello navale per le merci. Entrambi questi due vettori infatti presentano sul territorio un’accessibilità più limitata rispetto al treno e quindi in genere necessitano di due tratte complementari più onerose, però sulla lunga distanza recuperano o in termini di velocità (l’aereo) o in termini di costi (la nave). Il treno quindi appare vocato per la fascia di spostamenti medio/lungo termine con una accessibilità alle stazioni non eccessivamente onerosa (all’interno dei centri urbani). Come già detto, il treno si presta bene anche come vettore complementare a supporto (sia in partenza che in arrivo) dei vettori aerei e navali. Ne conseguono i collegamenti ferroviari fra gli aeroporti ed i centri urbani limitrofi o fra i porti e gli interporti vicini. Ultima non trascurabile fascia di riferimento per il treno è quella del traffico pendolare che converge sulle grandi aree urbane, la cui attrattiva, rispetto al vettore stradale, è data dal ridotto costo della tariffa, dal minor tempo di percorrenza, dalla affidabilità del servizio in genere. Infine se vogliamo inserire nell’ambito del generico modo di trasporto su ferro anche le metropolitane e le linee tranviarie, si può constatare come il trasporto in sede dedicata sia conveniente in termini di tariffa che di tempo di spostamento, anche per i traffici in aera urbana. Esplorato il campo delle possibili applicazioni del trasporto su ferro, ne consegue che la genesi del progetto di un’infrastruttura ferroviaria stia o nella possibile copertura di aree in cui non risulti presente o molto più probabilmente nel miglioramento delle prestazioni offerte dall’infrastruttura esistente, con particolare riferimento al tempo di percorrenza ed alla capacità. Per quanto riguarda il primo è noto che esista un legame imprescindibile (cosi come anche nel modo stradale) fra le prestazioni del vettore e le caratteristiche geometriche dell’infrastruttura, nel senso che le une sono commisurate alle altre e viceversa. La rete ferroviaria italiana ed europea in genere si è sviluppata all’inizio del 900 in sintonia con le prestazioni consentite ai vettori di quel tempo. Man mano che queste prestazioni sono migliorate per i vettori, si è dovuto intervenire anche sulle linee per consentire che quei miglioramenti fossero possibili. In Italia l’attuale standard è quello delle nuove linee AV dove con raggio planialtimetrico minimo di 6000m e pendenza longitudinale max. dell’11‰, i nuovi treni AV possono raggiungere i 300 km/h. Questi standard, essendo molto diversi da quelli di una linea storica, si raggiungono progettando una nuova infrastruttura con quelle caratteristiche. Ovviamente tutto quanto detto finora analizza il problema della genesi di un progetto ferroviario dal punto di vista dell’offerta, nel senso che sono stati individuati quei segmenti di trasporto possibili in ui si può collocare una ferrovia. Ma tutto questo non ha senso se non si analizza la questione anche dal punto di vista della domanda, che deve essere tale da poter giustificare l’investimento. La domanda esiste già o sullo stesso modo di trasporto o su quelli concorrenti e quindi una nuova offerta si giustifica solo se si è in grado di offrire condizioni più vantaggiose che riescano a far spostare la domanda già esistente. A questa va aggiunta la cosiddetta domanda “creata” dalle nuove opportunità offerte. Abbiamo già detto che uno spostamento a minor costo può attirare fasce di reddito che prima non potevano permetterselo o non trovavano conveniente la precedente offerta. Questo in definitiva è il vero beneficio della collettività: produrre un bene o servizio a costo di trasporto inferiore rispetto a prima e consentire ad una fascia di minor reddito di usufruire di quel bene o servizio. Lo strumento con cui si determinano queste considerazioni è l’analisi benefici-­‐costi, in cui si confrontano i benefici ottenuti come differenza fra il costo del trasporto prima e dopo l’intervento moltiplicato per il numero di utenti previsti nell’arco della vita utile dell’intervento ed i costi di realizzazione, di manutenzione e di esercizio per la stessa durata temporale dei benefici. Dal momento che il danaro non è asettico rispetto al tempo, per poter confrontare costi che avvengono in tempi diversi, occorre effettuare un’attualizzazione dei costi allo stesso orizzonte temporale dei benefici (in genere l’anno di apertura al traffico del nuovo intervento, che corrisponde al completamento della realizzazione ed all’inizio dell’esercizio). Dal momento che i costi ed i benefici non solo avvengono in tempi diversi ma anche in termini di durata molto differenti (di qualche anno i costi che corrispondono al periodo di costruzione e di alcune decine di anni i benefici che si ricavano durante l’esercizio) risulta fondamentale per qualsiasi confronto Benefici/Costi la scelta del tasso di attualizzazione. E’ questo il motivo per cui alcuni preferiscono ricavarlo dal calcolo che eguaglia i benefici ai costi e verificare di quanto si scosta dal tasso corrente interbancario. Tutto questo, che corrisponde alla cosiddetta “analisi economica” del Progetto, non è affatto sufficiente per assicurare la genesi del Progetto stesso. Come in qualsiasi altro progetto infatti, anche in questo caso, occorre prima investire (e quindi affrontare i costi) e poi sperare nei benefici. Ne consegue che sia necessaria una disponibilità finanziaria proporzionale sia ai costi da sostenere sia ai tempi di incasso dei benefici. Come chiunque ritenga opportuno fare un investimento, deve dimostrare a chi gli presta il denaro (banche) di avere la capacità di restituirlo in tempi certi. All’analisi economica va affiancato pertanto “un’analisi finanziaria” che deve mettere a fuoco proprio la capacità di restituire i capitali necessari a coprire i costi. Entrambe le analisi con i relativi conteggi ed impegni contrattualizzati sono la diretta conseguenza del Progetto, che deve non solo nascere ma anche svilupparsi in tempi e dimensioni certe. Conseguentemente il discorso si sposta dalla genesi all’iter progettuale di un progetto ferroviario in Italia. La normativa attualmente in vigore prevede 3 livelli di progettazione (preliminare, definitivo ed esecutivo), cui si aggiungono i due livelli non obbligatori che corrispondono allo Studio di fattibilità ed al Progetto costruttivo. Il primo comprende tutto quanto si è detto fino ad ora a proposito della genesi. A mio parere il titolo non è molto ben azzeccato perché il termine fattibilità lascia immaginare che l’opera si possa fare oppure no, anche in caso di analisi positiva. Ritengo che il termine più opportuno sia “verifica dell’inderogabile necessità dell’opera”. Ritornando infatti al tema delle ricadute economiche di una infrastruttura di trasporto, cosi come è indispensabile verificare che non si utilizzi denaro pubblico per finanziare una infrastruttura non strettamente necessaria, è altrettanto irrinunciabile che non si ritardi di un solo minuto un investimento che si dimostri inderogabilmente necessario per la collettività. Nonostante l’enorme importanza di questo passo, si tratta di un livello di pre-­‐progettazione purtroppo non codificato dalla normativa, anche se fortunatamente entrato nella prassi corrente. 2. ITER PROGETTUALE Dopo aver verificato, attraverso lo Studio di fattibilità, che l’intervento sulla rete (nuova opera o riqualificazione e/o potenziamento di opere esistenti) sia “inderogabilmente necessario”, l’Ente gestore della rete, che in Italia può essere RFI per quanto riguarda la rete nazionale, le Società Regionali in riferimento alle reti regionali o infine quelle Comunali per le reti urbane, può decidere di avviare l’iter progettuale. Il primo passo riguarda la predisposizione del Progetto Preliminare. Si tratta di un elaborato molto importante in quanto si prefigge diversi obiettivi, da cui dipende il buon prosieguo del procedimento. Mentre nello Studio di fattibilità l’analisi era in gran parte rivolta all’interno dell’infrastruttura (in pratica al rapporto opera – utenti potenziali), in questa fase diventano predominanti le relazioni dell’intervento in progetto sia con il territorio e l’ambiente coinvolti sia con le altre opere connesse o con cui in qualche modo si potrebbe interferire. Essendo la ferrovia una infrastruttura lineare in genere la prima opzione si trasforma nella scelta del corridoio fra più alternative possibili, a meno che non si tratti di un intervento puntuale quale potrebbe essere il riferimento o il potenziamento di una stazione o di qualche altro impianto. Nel caso di una nuova linea o di interventi su una linea esistente, lo studio del corridoio di riferimento implica una prima geometrizzazione plano-­‐altimetrica a grande scala. è questo il momento in cui si estrinsecano i legami fra velocità (e quindi tempo di percorrenza), standard planimetrici (raggi di curvatura), altimetrici (pendenze longitudinali) e stima preliminare dei costi di costruzione. E’ evidente infatti che spostandosi sul territorio per corridoi alternativi, a parità di standard geometrici, possano risultare costi di realizzazione sostanzialmente diversi. D’altra parte, se si fa riferimento al territorio italiano o più in generale europeo, si riscontra quasi ovunque un’antropizzazione talmente spinta che risulta quasi impossibile occupare uno spazio senza interferire con qualcosa di esistente o programmato. Occorre quindi proporre delle scelte ragionevoli fra possibili alternative. Non a caso questa fase si conclude con una Conferenza dei Servizi, cui a partecipano tutti gli Enti coinvolti. Il risultato della suddetta Conferenza è impegnativo sia per l’ente Proponente, che dovrà tener conto di tutte le prescrizioni ricevute, sia per gli Enti Partecipanti, che si assumono la responsabilità delle informazioni trasmesse. La preparazione e l’istruttoria del Progetto Preliminare consentono all’Ente Proponente di avere un quadro sufficientemente esaustivo delle problematiche connesse alla realizzazione dell’intervento ed al CIPE, che è l’organismo preposto al finanziamento di tutti i progetti statali, di deliberare l’eventuale ammontare del finanziamento (parziale o totale). A questo punto può partire la fase 2 corrispondente alla redazione del Progetto Definitivo. Come dice la parola stessa, si tratta di un progetto, che in seguito non potrà più cambiare se non a seguito di gravi e ben giustificati motivi. Se infatti il Preliminare è per definizione il progetto di tutti i possibili cambiamenti, il Definitivo al contrario deve raggiungere un livello di dettaglio tale da non mettere più in dubbio costi e tempi di realizzazione. Anche perché la legge consente che con quel progetto possa essere bandita la gara di appalto con la denominazione di “appalto integrato” della progettazione esecutiva e della realizzazione dell’opera. Affinché il Progetto Definitivo possa raggiungere questo elevato grado di credibilità, occorre non solo che vengano svolte accuratamente tutte le indagini topografiche e geognostiche necessarie, ma anche che il progetto stesso venga sottoposto alla procedura di VIA per ottenere il giudizio positivo di compatibilità ambientale. A seguito della Direttiva CEE del 1985, tutti i Paesi europei sono stati obbligati ad introdurre nelle procedure di approvazione dei progetti (fra cui quelli ferroviari) anche la VIA. La norma italiana prevede che questa procedura si svolga sul Progetto Definitivo accompagnato dal SIA (Studio di Impatto Ambientale). Quest’ultimo documento è composto da tre quadri di riferimento (Programmatico, Progettuale ed Ambientale). Questa configurazione ad ampio raggio è la conseguenza della scelta italiana di svolgere la procedura di VIA una sola volta nell’ambito dell’iter progettuale e quindi necessariamente di andare oltre le informazioni strettamente necessarie per la redazione del Progetto Definitivo. Ne consegue che il Quadro di riferimento Programmatico affronti problematiche più vicine al Progetto Preliminare ed allo Studio di fattibilità che a quello Definitivo, quali appunto la verifica di coerenza del Progetto con la pianificazione e programmazione sia territoriale che di settore, con particolare riferimento all’analisi dell’opzione zero. Si tratta di informazioni non strettamente pertinenti con il giudizio di compatibilità ambientale dell’opera, ma che contribuiscono alla comprensione dello scenario di riferimento in cui si va ad inserire l’intervento. A tal riguardo occorre evidenziare la peculiarità della procedura di VIA italiana rispetto a quella di altri Paesi. In Italia questa procedura si conclude con l’espressione di un “giudizio di compatibilità ambientale” rilasciato dal Ministero dell’Ambiente, da cui ne consegue che, affinché tale giudizio possa essere espresso, debbano essere fornite una serie di informazioni che vanno al di là delle ricadute ambientali del Progetto e che appunto sono contenute nei Quadri di riferimento Programmatico e Progettuale. Negli altri paesi la procedura di VIA invece è articolata soltanto sui contenuti del Quadro di riferimento Ambientale, restando nell’esclusiva responsabilità dell’Ente pertinente i contenuti Programmatici e Progettuali. E’ questo uno dei motivi, ma non il solo, per cui in Italia si assiste abbastanza frequentemente a “varianti” anche sostanziali sul Progetto Definitivo, quando questo non dovrebbe avvenire per definizione. Il Quadro di riferimento Ambientale costituisce il vero oggetto del SIA. In questo documento tutte le componenti ambientali vengono analizzate separatamente nelle tre condizioni ante operam, durante i lavori di costruzione e post operam o in esercizio. In genere per una ferrovia, la fase predominante è proprio quella che riguarda l’esecuzione dei lavori. Gli standard plano-­‐altimetrici infatti sono tanto condizionanti da rendere difficile l’adeguamento alla morfologia del territorio, da cui conseguono frequenti viadotti, gallerie e sostanziosi movimenti di materie, che vanno ad impattare su tutte le componenti ambientali, talvolta anche in maniera irreversibile. Diversa la situazione in esercizio (post operam), in cui prevale la componente “rumore e vibrazioni”, che tuttavia può essere governata attraverso opportuni interventi di minimizzazione. In teoria questa procedura dovrebbe durare 90 giorni, ma è evidente che, data la complessità intrinseca, possa andare ben oltre. L’agognata approvazione del Progetto Definitivo costituisce il punto di non ritorno di qualsiasi iter progettuale. Può essere bandita la gara d’appalto e conseguentemente si può stipulare il contratto per la Progettazione Esecutiva e la realizzazione dell’Opera. Il Progetto Esecutivo non può mettere in discussione la localizzazione dell’opera (le procedure di esproprio sono già avviate) né le principali scelte progettuali. L’Impresa può trovare ancora spazi nella scelta dei materiali (ad esempio può proporre un ponte in ferro invece che in calcestruzzo, o viceversa). Può proporre, a parità di prestazioni, procedure realizzative meno onerose o più rapide. Può in definitiva ottimizzare il progetto in funzione delle proprie attrezzature, ma non può cambiare nulla che alteri gli accordi con terzi stipulati in sede di Progetto Definitivo. L’approvazione del Progetto Esecutivo costituisce la formale conclusione dell’iter progettuale e l’inizio dei lavori. Può capitare che, durante i lavori, l’Impresa ritenga, opportuno e di propria convenienza, la redazione anche di un Progetto Costruttivo, che vada ancora più in dettaglio rispetto al Progetto Esecutivo già approvato. Si tratta di un’opportunità che vale all’interno delle relazioni con i sub-­‐appaltatori o con la stazione appaltante e che quindi non è prevista dalla norma come obbligo. 3. CORRELAZIONE VELOCITA’ -­‐ GEOMETRIA Si è già detto del valore economico della velocità e di come questa dipenda dalle caratteristiche sia del vettore che della geometria della linea. A sua volta quest’ultima si distingue in un andamento planimetrico ed in un andamento altimetrico, apparentemente separati fra loro, in realtà coesi in un rapporto bidimensionale. L’andamento planimetrico è costituito da rettifili ed archi di circonferenza raccordati fra di loro da curve di transizione. Quello altimetrico da livellette a pendenza costante raccordate fra loro da archi di parabola. In questo ambito i due elementi che condizionano la velocità di percorrenza sono il raggio minimo di curvatura planimetrico e la pendenza massima della livelletta. Per risolvere il primo problema occorre analizzare l’equilibrio in curva del veicolo e quindi l’interfaccia binario-­‐treno. L’infrastruttura ferroviaria è composta da due rotaie fissate su traversine (in legno o in calcestruzzo) a loro volta affondate nel ballast (pietrisco con particolari caratteristiche). La distanza fra i funghi delle due rotaie è di mm 1435 e prende il nome di scartamento, che è uguale per la gran parte delle linee ferroviarie del mondo, ma non per tutte. Le rotaie vengono fissate alle traversine in modo tale da avere un’inclinazione verso l’asse del binario di 1/20. Su questo armamento si muove il rodiggio che è formato da un carrello in cui generalmente sono inseriti rigidamente due assi, ognuno dei quali è fissato sempre rigidamente a due ruote. Sul carrello, attraverso le sospensioni, poggia il carro ferroviario. Le ruote hanno la particolarità di avere un bordino sul lato interno, di avere il cerchione di forma tronco conico con inclinazione della superficie di 1/20 a diminuire verso l’esterno e di avere uno scartamento fra i due bordini dello stesso asse inferiore di 9 mm a quello già citato fra le superficie interne dei funghi delle due rotaie. Qual è il motivo di questa architettura? E’ proprio quello di consentire al veicolo in curva di spostarsi verso la rotaia esterna per effetto della forza centrifuga. Lo spostamento del carrello dei famosi 9 mm consente di fare avvenire il rotolamento delle due ruote, interna ed esterna, su due diametri diversi dei cerchioni: maggiore l’esterno e minore l’interno per effetto della troncoconicità. Quest’artificio sostituisce di fatto quello che in campo stradale è il differenziale, che consente a due ruote di uno stesso asse di percorrere due curve di raggio diverso senza slittare. Affinché ciò avvenga, è necessario che l’equilibrio in curva del veicolo sia orientato in tal senso. E’ noto che in curva il veicolo è soggetto ad una forza centrifuga che dipende dal quadrato della velocità e dal raggio di curvatura. Per controbilanciare la forza centrifuga, in campo stradale si usa la pendenza trasversale della piattaforma (da cui dipende la componente della forza peso) e l’aderenza trasversale fra penumatico e pavimentazione. In ferrovia l’aderenza si esplica al contatto fra due superfici rigide e molto ristrette, per cui il contributo è considerato nullo. Quindi il bilanciamento della forza centrifuga è affidato soltanto alla componente della forza peso, che dipende dal sopralzo della rotaia esterna rispetto a quella interna. Tuttavia, affinché si ottenga lo spostamento del rodiggio verso l’esterno, occorre che la forza centrifuga non venga totalmente compensata. La componente della forza centrifuga non compensata, ovviamente non può superare il valore limite al ribaltamento attorno al bordino della ruota esterna, ma nemmeno raggiungere valori che arrechino disturbo al confort dei passeggeri. Per questo motivo in ferrovia si usa un valore massimo del sopralzo (106 mm) limitato rispetto a quello stradale con la conseguenza che a parità di velocità si devono usare raggi di curvatura di gran lunga superiori rispetto a quelli stradali. Tutto ciò è ancora più condizionante nella misura in cui la ferrovia sia predisposta per un traffico di tipo promiscuo (treni veloci e lenti), per cui a parità di raggio di curvatura si hanno velocità diverse, forze centrifughe diverse e pesi diversi. Ovviamente, come su strada, anche in ferrovia c’è il problema della transizione da rettifilo a curva circolare e viceversa. In questo caso la curva di transizione dal raggio infinito a quello della curva circolare è una parabola cubica, che non solo deve limitare il contraccolpo a valori accettabili, ma deve anche fare in modo che in ogni punto l’equilibrio delle forze porti il rodiggio a spostarsi verso la rotaia esterna e non verso quella interna. Proprio perché in ferrovia non esiste la sterzatura, il problema del contraccolpo è molto più sentito che su strada. Per quanto riguarda l’andamento altimetrico, l’approccio logico è simile a quello planimetrico. Per fare in modo che la pendenza longitudinale non influenzi significativamente il grado di prestazione della linea, si usano pendenze massime molto basse (12‰). D’altra parte sarebbe perfettamente inutile avere raggi di curvatura planimetrici dimensionati per una velocità che non sarebbe possibile raggiungere per la pendenza longitudinale. Non a caso le linee vengono definite per il loro “grado di prestazione” che è funzione della somma della resistenza in curva e di quello dovuto alla pendenza longitudinale. Nella rete italiana sono individuati 31 gradi di prestazione, ad ognuno dei quali corrisponde il carico trainabile per ogni prestazione. In definitiva se il raggio planimetrico minimo e la pendenza longitudinale massima sono dimensionati in funzione della velocità massima che si vuole ottenere, è evidente che la stessa velocità sia sempre ottenibile su tutte le altre curve di raggio maggiore del minimo e livellette di pendenza minore della massima. Un altro vincolo da considerare è il cosiddetto “grado di frenatura” della linea, che dipende sempre dalla pendenza longitudinale. Il principio su cui si basa la circolazione ferroviaria è quello di suddividere la linea in “sezioni di blocco”, all’interno delle quali si può trovare un solo treno per volta, che deve potersi fermare prima di qualsiasi ostacolo eventuale. Con questo sistema un convoglio può entrare in una sezione soltanto quando è stata liberata dal treno che lo precede. Le modalità di trasmissione di questa fondamentale informazione si sono andate evolvendo dal semaforo a vista fino all’attuale dispositivo del blocco automatico con ripetizione dei segnali in cabina, che rende indipendente la condotta del treno dalla visibilità dei segnali. Come su strada, è impensabile la progettazione di una ferrovia svincolata dalle prestazioni dei treni che dovranno percorrerla. Anzi in molto Paesi esistono linee dedicate al transito di una sola tipologia di treno. In Italia invece si è privilegiato l’effetto rete, per cui tutta la rete delle ferrovie dello Stato (RFI) è interconnessa e quindi qualsiasi treno può passare da una linea ad un’altra, ovviamente adeguando le prestazioni agli standard di ogni linea, che non sono soltanto plano-­‐altimetrici, ma anche di carico per asse e di sagoma ammissibile. Una parziale limitazione all’interconnessione si ha nello Stretto di Messina, dove le attuali modalità di attraversamento con navi traghetto non consentono il transito ai treni AV con carenatura continua. Al contrario la rete italiana è ben connessa con le reti dei Paesi confinanti, per cui lo stesso convoglio può attraversare il confine senza particolari problemi. 4. IL SISTEMA FERROVIARIO Partiamo da una linea ferroviaria a binario unico fra due terminali A e B A B In assenza di altri dispositivi, l’esercizio può avvenire soltanto con un vettore/navetta che faccia avanti e indietro fra i due terminali. Si tratta del primo nucleo di una rete ferroviaria. Se la domanda si rivela superiore all’offerta possibile con un solo vettore ed ai conseguenti tempi di attesa, si può incrementare il numero dei vettori. Per far ciò occorre far in modo che due vettori che procedono in direzione apposta, possono incrociarsi. A tal fine è stato inventato uno strumento indispensabile per la circolazione ferroviaria, che consente al vettore di passare da un binario ad un altro: lo scambio (che rappresenta l’equivalente dello sterzo nella circolazione stradale). Innanzitutto, affinché possa avvenire il trasferimento del vettore da un binario all’altro, occorre che i due binari divergano a partire da un punto di tangenza. Data la forma a fungo della rotaia, è necessario che, nel tratto di tangenza, una delle due rotaie non abbia il fungo in modo da accostare il gambo sotto il fungo della rotaia (in aderenza all’altro gambo). Questo ovviamente vale per entrambe le rotaie ed i due tratti senza fungo prendono il nome di AGHI dello scambio. Ulteriore condizione, per il funzionamento del sistema, è che gli aghi siano mobili, possano cioè essere accostati o distaccati dalla rotaia tangente in modo tale da consentire al treno di percorrere entrambi i binari: quello originario se gli aghi sono scostati e quello deviato se gli aghi sono accostati. In definitiva il telaio rigido degli aghi costituisce un vero e proprio bivio per il treno, che percorre l’uno o l’altro binario a seconda della posizione degli aghi. Qualsiasi sia l’opzione di percorrenza, le rotaie interne dei due binari si intersecano poco dopo il telaio degli aghi in corrispondenza del cosiddetto CUORE dello scambio. E’ evidente che in corrispondenza di questa intersezione le due rotaie debbano interrompersi per un tratto strettamente necessario affinché le ruote del treno possano percorrere entrambi i binari senza incontrare alcun ostacolo. Ma è altrettanto evidente che, cosi facendo, si perda il vincolo fra rotaia e bordino del cerchione, indispensabile per qualsiasi circolazione ferroviaria. Il problema si risolve ponendo due controrotaie, parallele alle rotaie esterne dei due binari, in corrispondenza del cuore. Instaurando un doppio vincolo sulle ruote esterne del treno, si supplisce alla temporanea mancanza di vincolo sulle ruote interne. Con questo sistema, abbastanza semplice, si risolve il problema del passaggio del treno da un binario ad un altro. Se torniamo alla linea di prima con binario unico fra due terminali, ecco che l’incrocio fra due treni, provenienti da direzione apposta, si può risolvere con il cosiddetto POSTO DI MOVIMENTO, che non è altro che un tratto di binario parallelo, lungo quanto basta per ospitare interamente un treno e collegato al binario principale attraverso due scambi. Analogo al posto di movimento è il BINARIO DI STAZIONAMENTO, che, in corrispondenza del terminale, affianca il binario principale per consentire la sosta del treno senza condizionare partenze ed arrivi. In questo modo qualsiasi treno può partire od arrivare al terminale, anche se un altro convoglio si trova in sosta nello stesso terminale. Il posto di movimento a sua volta si può trasformare in binario di stazionamento nella misura in cui lungo la linea si intraveda l’opportunità di ubicare una fermata/stazione per il carico e scarico di passeggeri e/o merci. In questo caso il treno esce dal binario di percorrenza e si inserisce nel binario di stazionamento per consentire la fermata e le conseguenti operazioni di carico e scarico per poi riprendere la marcia rimettendosi nel binario di corsa. In questo caso la stazione si dice PASSANTE e deve essere attrezzata con tanti binari di stazionamento, paralleli a quello di corsa, quanti sono i possibili treni fermi contemporaneamente in stazione, con banchine pedonali interposte fra un binario e l’altro e coperte di pensiline, con un sottopasso pedonale per l’accesso a livello sfalsato ad ogni banchina e con un fabbricato viaggiatori, che consenta lo scambio intermodale fra gomma da un lato e ferro dall’altro. Il posto di movimento assolve un’altra importante funzione oltre a quello di consentire l’incrocio fra due treni in direzione opposta; si tratta della manovra di sorpasso di un treno veloce rispetto ad un treno lento, che consente la circolazione promiscua di treni con caratteristiche diverse su una stessa linea. Questa funzione, fra l’altro, giustifica la presenza del posto di movimento anche nelle linee a doppio binario, che non hanno l’esigenza dell’incrocio, ma hanno quella del sorpasso. Quella della promiscuità della rete è una peculiarità italiana, che da sempre viene considerata come un input fondamentale nella progettazione di nuove linee, incluse quelle per alta velocità. Non è cosi in Francia dove le linee AV sono dedicate esclusivamente alla circolazione dei treni AV. Tutto questo ovviamente risulta penalizzante per la diffusione delle connessioni in rete, ma molto meno vincolante per la geometria del tracciato, che può essere tarata su una sola tipologia di vettore. Un’altra conseguenza dell’effetto rete è la schiacciante prevalenza di stazioni passanti rispetto a quelle di testa, che ormai sono limitate alle sole grandi città e che si presume, verranno gradualmente escluse dal traffico AV. La stazione di testa ha infatti il vantaggio rispetto a quella passante di consentire ai passeggeri l’accesso al treno a raso senza alcun sottopasso, il che costituisce un innegabile confort soprattutto per chi ha bagagli o handicap. Riflette quindi una visione romantica e poco attuale del viaggio con i bauli al seguito. Oggi ben pochi passeggeri si sentono penalizzati dal dover affrontare scale e/o ascensori. Mentre rimane ingiustificato l’enorme perditempo cui è sottoposto qualsiasi treno che non abbia la stazione di testa come fermata terminale. La sola manovra di entrata ed uscita di ogni convoglio è equivalente in termini di tempo alla percorrenza di decine di km di marcia normale. È questo il motivo per cui nelle grandi città in cui sono ancora presenti grandi stazioni di testa, stanno gradualmente sorgendo stazioni passanti che assorbiscano il traffico AV. La stazione passante si presta molto bene anche ad un’altra importante funzione che è quella di NODO della rete, cioè del punto in cui due o più linee si intersecano con la possibilità di transitare da una all’altra. Come già detto per lo SCAMBIO, il passaggio da una linea ad un’altra avviene sempre tangenzialmente, per cui occorre disporre parallelamente i binari all’interno del nodo, almeno per la lunghezza necessaria ad ospitare un intero convoglio. Si ha quindi uno schema di nodo, condizionato sia dalla possibilità di interscambio fra le linee sia dalla necessità di prevedere lo stazionamento per il trasbordo con rottura di carico, che in genere è la forma più usuale. Al di fuori del nodo, le linee riprendono il loro percorso naturale. Per quanto riguarda le precedenze dal momento che con questo sistema si creano vari punti di conflitto, prevale in genere la precedenza al treno in arrivo, che occupa un binario di corsa, rispetto a quello in partenza, che occupa un binario di stazionamento, a meno che non sia previsto diversamente. Una casistica particolare riguarda i due terminali per l’attraversamento su nave traghetto dello Stretto di Messina. Sono ovviamente due terminali di testa in cui non è previsto lo sbarco e imbarco dei passeggeri, ma il sezionamento del treno man mano che entra o esce dalla nave sospinto da un locomotore diesel. Ad ogni invasatura per l’approdo delle navi traghetto, corrisponde un binario su cui viene introdotto il treno sia in entrata che in uscita. La manovra viene ripetuta tante volte quante è necessario per sezionare o ricomporre il treno. Il comparto del trasporto merci in ferrovia sta subendo una profonda trasformazione rispetto a come era organizzato fino a pochi anni fa. Per questo motivo è bene conoscere il sistema di partenza e l’obiettivo verso cui si tende. Quando il trasporto ferroviario era prevalente rispetto a quello stradale, la raccolta e la distribuzione delle merci avveniva capillarmente nelle innumerevoli stazioncine sparse lungo la rete. Ogni scalo aveva il suo piccolo magazzino con il relativo binario dedicato sui cui sostava il carro adibito al trasporto merci. Ogniqualvolta il carro era pieno, veniva trasportato allo scalo merci di riferimento, che era organizzato in entrata con un fascio di binari in arrivo ed in uscita con un fascio di binari in partenza, collegati fra loro in uno snodo centrale. La logica del sistema è che l’unità di carico è il singolo carro, per cui il treno in arrivo non corrisponde mai al treno in partenza. In pratica il treno in arrivo porta carri con destinazione diversa, per cui sul fascio arrivi viene scomposto per distribuire singolarmente i carri sul fascio partenze in funzione della loro destinazione. Sul fascio partenze viene man mano composto il treno con carri che hanno la stessa destinazione e cosi quando è terminata la composizione il treno può partire. Ovviamente nello scalo merci di destinazione avviene il procedimento opposto. Questo sistema aveva il pregio di consentire il trasporto anche a chi non aveva mezzi per organizzarselo da solo soprattutto sulle lunghe distanze, ma aveva l’enorme difetto di non poter garantire i tempi di consegna. Con l’avvento delle autostrade e dei TIR il tuttostrada ha cominciato a prevalere sul tuttoferrovia fino quasi a monopolizzare tutto il trasporto merci. L’esplosione dei traffici stradali ed il conseguente aumento dei costi ha messo in crisi anche il tuttostrada. Il sistema che si sta affermando è il cosiddetto INTERMODALE, per cui l’unità di carico non è più il tradizionale carro ferroviario, ma è un contenitore che si può muovere sia su strada che in ferrovia. I contenitori che vengono utilizzati sono di tre tipi. Il primo e più diffuso è il rimorchio del TIR, che può essere facilmente staccato dalla motrice in pochi minuti. Il secondo è il CONTAINER di origine navale ed il terzo è la cosiddetta CASSA MOBILE, i quali possono essere posizionati indifferentemente sul pianale sia del rimorchio del TIR che del carro ferroviario. Come prima s’identificava un’area di raccolta e distribuzione attorno ad ogni scalo merci, analogamente avviene con questo sistema attorno ad un terminale che viene chiamato INTERPORTO. Le differenze sono sostanziali. Mentre prima si utilizzava la capillarità delle rete ferroviaria per la raccolta e la distribuzione, con questo sistema si utilizza la maggiore accessibilità e velocità della rete stradale per la stessa operazione. Mentre prima i tempi di stazionamento nel terminale scalo merci potevano essere anche di giorni ai fini della composizione di ogni treno, nell’interporto il treno con sempre lo stesso numero di carri/pianale parte ed arriva ad orario prestabilito come qualsiasi treno passeggeri ed il tempo di carico o scarico non supera le due ore. In definitiva si affida alla gomma la breve tratta iniziale e finale ed al treno quella di lunga percorrenza fra i due terminali con tempi e costi certi e prestabiliti. Il passaggio da gomma a ferro e viceversa avviene per traslazione verticale con autogru o con carroponte in pochi minuti. Il terminale interporto è una struttura in cui si interfacciano i due modi di trasporto stradale e ferroviario e quindi è chiaro che debba essere ottimamente collegato ad entrambe le reti. I tre contenitori, di cui abbiamo già detto, riflettono un diverso approccio al mercato. Il rimorchio del TIR è il più diffuso in quanto non nasce esclusivamente per questo servizio, ma per poter offrire un trasporto su larga scala con una capacità di adattamento elevatissima e quindi molto flessibile e versatile. Ha il difetto di portare sul treno una tara inutile ed ingombrante, quale è appunto tutto il sistema sospensioni e ruote, tanto che è necessario utilizzare appositi pianali ferroviari, che consentono di inserire le ruote del rimorchio nello spazio occupato dal rodiggio ferroviario. Quindi molta praticità di uso, ma non la soluzione ideale. Il container navale è praticamente l’unico contenitore possibile se la merce proviene o è destinata al trasporto via nave e quindi il treno e la strada costituiscono modi complementari alla prevalente tratta navale. Il container navale rappresenta l’innovazione più profonda e radicale che sia avvenuta nel mondo dei trasporti negli ultimi tempi. Le sue dimensioni e le sue caratteristiche sono standard in tutto il mondo e nessuno si sognerebbe di cambiarle. Tuttavia, proprio per il fatto di essere stato pensato per il trasporto navale, non lo rende ideale per il modo stradale e ferroviario. Le sue dimensioni non combaciano con il pianale sia stradale che ferroviario con conseguente perdita di carico. Le sue caratteristiche di robustezza, pensate per poter impilare nella stiva di una nave fino a sette livelli di containers, sono ovviamente inutili sia sul TIR che sul carro ferroviario dove possono essere posizionati uno alla volta. Il contenitore intermodale strada/ferro ideale è la cassa mobile che ha le stesse identiche dimensioni del pianale del TIR senza perdere nemmeno un cm di carico e la robustezza sufficiente a contenere il proprio carico e basta. Tuttavia ha il problema di essere noto per questo tipo di servizio e quindi di non avere la stessa flessibilità di un rimorchio tradizionale. Soprattutto in Italia, dove la gran parte dei TIR sono di proprietà dei cosiddetti padroncini, non è favorita la diffusione delle casse mobili, che presuppongono un’organizzazione aziendale di una certa consistenza. Tuttavia dal momento che si tratta del sistema più efficace, avrà certamente uno sviluppo futuro. Come già detto il trasporto intermodale basato sugli interporti, per essere concorrenziale al tuttostrada, necessita di una tratta ferroviaria medio/lunga sufficiente a recuperare i perditempi relativi alle operazioni di carico e scarico, che, per quanto brevi, possono durare anche due ore per la concentrazione in prossimità dell’orario di arrivo e partenza. Esistono invece delle tratte brevi ma particolari, (come ad esempio l’attraversamento della Manica o di alcuni valichi alpini) in cui la percorrenza stradale o non esiste o è proibita, per cui il trasporto intermodale è stato concepito trasferendo sul carro ferroviario, appositamente progettato con ruote di piccolo diametro, l’intero veicolo stradale compresa la motrice. Ovviamente può sembrare assurdo trasportare una cosi rilevante tara inutile, ma tale incongruità è compensata dalla semplicità e rapidità di carico orizzontale e soprattutto immediata disponibilità al proseguimento dell’itinerario su strada. Si tratta di una sorta di traghettamento del veicolo stradale per un breve tratto su ferro. I problemi di sagoma sono risolti dal ribassamento del pianale di carico su ruote di piccolo diametro e quelli di carico e scarico da apposite rampe percorribili dal veicolo stradale in entrata ed in uscita. Questo sistema è chiamato AUTOSTRADA VIAGGIANTE proprio perché è una prosecuzione su ferro del tuttostrada. Un terminale idoneo deve avere soltanto una banchina carrabile affiancata al binario di stazionamento e non necessita di alcuna attrezzatura per il trasbordo verticale come autogru e carriponte, che invece sono tipici di un interporto, dove il trasbordo non avviene mai in orizzontale. 5. DISTANZIAMENTO Una delle problematiche fondamentali nella circolazione ferroviaria è il distanziamento fra due treni consecutivi su una stessa linea. Come anche su strada, è evidente come sia necessario che il distanziamento non possa essere inferiore alla distanza d’arresto del veicolo che segue. Solo che mentre su strada l’apprezzamento di questa distanza non solo è a vista ma è anche affidata alla stima del conducente, in ferrovia ovviamente non può essere cosi e quindi deve essere non solo programmato dalla tabella di marcia, ma anche verificato con apposito impianto di segnalamento. Se una linea fosse dedicata ad un solo tipo di treno e quindi tutti i convogli viaggiassero alla stessa velocità, sarebbe sufficiente assicurare la distanza d’arresto fra un convoglio e il successivo. Dal momento che in Italia tutte le linee sono promiscue, allora affinché la marcia del treno veloce non venga condizionata da quella del treno lento, occorre che venga preventivamente pianificato il sorpasso attraverso un posto di movimento. Se consideriamo una tratta elementare fra due posti di movimento successivi A e B, il treno lento, che precede, la percorre nel tempo T1 –T2 ed il treno veloce, che segue, nel tempo T3 – T4. T2 B SPAZIO T4 A T1 T3 TEMPO Quest’ultimo non può entrare nella tratta fino a che T4 non sia distante da T2 quanto serve per consentire l’arresto. Tutto questo fa capire immediatamente quanto la promiscuità condizioni la potenzialità della linea e quanto la frequenza dei posti di movimento ne riduca il condizionamento. La programmazione e quindi la predisposizione dell’orario di servizio avviene attraverso queste considerazioni. La verifica effettuata lungo la linea avviene attraverso il cosiddetto sistema delle SEZIONI DI BLOCCO, che non sono altro che segmenti di linea, di lunghezza media di circa 1500 m, all’interno dei quali viene rilevata la presenza del treno. Data la velocità di marcia di ogni treno ed il conseguente spazio di frenatura, ne consegue immediatamente il calcolo di quante sezioni di blocco debbono essere libere per consentire il proseguimento della marcia del treno. Il segnale, che una volta era costituito da un semaforo all’inizio di ogni sezione, oggi viene ripetuto in cabina con il blocco automatico del treno, che lo rende indipendente dalla visibilità del segnale semaforico. Mentre lungo la linea il distanziamento è regolato dai posti di movimento e dalle sezioni di blocco, il discorso cambia nelle stazioni. Se la stazione viene solo attraversata senza fermata, allora equivale ad un posto di movimento. Se invece è prevista la fermata (e a maggior ragione se si tratta di un nodo) allora occorre fare tutte le verifiche sulle possibili conflittualità con altri treni contemporaneamente in manovra, valendo sempre il principio che, rispetto a qualsiasi punto di conflitto, debba sempre essere assicurata la distanza d’arresto alla velocità corrispondente. 6. SOVRASTRUTTURA FERROVIARIA E SEZIONE TIPO La sovrastruttura ferroviaria è costituita da uno strato di pietrisco di opportuna granulometria e qualità, che poggia sul corpo stradale in rilevato o in trincea e sull’impalcato delle opere d’arte. Affondato nella sovrastruttura, trova alloggio l’armamento ferroviario. La sovrastruttura ferroviaria, comunemente chiamata BALLAST, ha funzioni analoghe a quella stradale. Innanzitutto scarica i carichi provenienti dall’armamento sulla parte sottostante (corpo stradale ed opera d’arte). Ma la funzione più specialistica è quella di assorbire le forti vibrazioni, trasmesse dal rotolamento delle ruote in acciaio sulle rotaie anch’esse in acciaio, attraverso l’attrito che si sviluppa nello scorrimento fra gli elementi lapidei del ballast. Affinché ciò avvenga, è necessario che il pietrisco sia quasi monodimensionale con assoluta assenza di materiale fino (che potrebbe risalire dal corpo stradale o dal sottofondo). In queste condizioni il materiale è perfettamente drenante e quindi protetto dagli effetti di qualsiasi rovescio anche di forte intensità. Ovviamente alla permeabilità del ballast, deve corrispondere l’assoluta impermeabilità sia del corpo stradale che del sottofondo. Per questo motivo il costipamento dello strato superiore del manufatto in terra deve spingersi ai valori massimi possibili di densità. Per maggior prudenza le ferrovie sulle linee AV hanno adattato anche uno strato di cosiddetto SUBBALLAST in conglomerato bituminoso che elimina alla radice sia la possibile risalita di materiale fino nel ballast, sia la deprecabile penetrazione di acqua nel corpo stradale. Ovviamente il ballast, essendo composto da materiale sciolto non legato, proprio per consentire l’attrito di scorrimento, deve essere verificato in continuazione per il mantenimento della sagomatura, affinché le rotaie stiano sempre alla quota ed alla distanza corretta. Per evitare questo pesante onere manutentivo, i giapponesi, veri cultori dell’AV, hanno pensato di sostituire il ballast tradizionale con dei piastroni in c.a.p., che galleggiano attraverso l’interposizione di strati elastici sul corpo stradale e sulle opere d’arte. L’assorbimento delle vibrazioni avviene nei due punti di appoggio: quello, già detto del piastrone e quello dell’armamento sul piastrone, entrambi dotati di strati elastici (neoprene o gomma). I vantaggi di questo sistema sono dovuti, oltre che alla minor manutenzione, anche al minor spessore del piastrone e quindi al minor peso (carico permanente). Da non trascurare anche la possibilità di percorrenza dei piastroni con veicoli gommati, che in caso di emergenza, soprattutto in galleria, è un vantaggio non secondario. L’unico vero problema dei piastroni è la dilatazione termica, che, se non perfettamente calcolata, può creare seri problemi per la stabilità del binario. In ogni caso, sia che la sovrastruttura sia in ballast, sia che siano previsti i piastroni in c.a.p., rimane di fondamentale importanza lo smaltimento dell’acqua meteorica. Il corpo stradale, sia che sia in rilevato, sia che si trovi in trincea, taglia sempre la pendice di naturale scorrimento dell’acqua piovana. Occorre quindi predisporre una seria di opere che proteggano la stabilità del corpo stradale dalla possibile aggressività degli agenti atmosferici. La prima in ordine di priorità è il fosso di guardia a monte del corpo stradale, sia esso in rilevato o in trincea, che intercetta il ruscellamento dell’acqua piovana prima che questa raggiunga la scarpata. Con o senza rivestimento, il fosso di guardia ha un andamento plano-­‐
altimetrico che dipende dall’intersezione della pendice naturale con il piede (rilevato) o la testa (trincea) della scarpata. Lo scarico del fosso di guardia avviene nei punti di compluvio attraverso un tombino che trasferisce l’acqua da monte a valle del corpo stradale. Nei tratti in rilevato analoga protezione viene ripetuta a valle del corpo stradale per evitare che l’acqua proveniente dalla piattaforma e dalla scarpata possa stazionare al piede della scarpata. Nei tratti in trincea occorre proteggere i due piedi delle scarpate con delle cunette che raccolgono sia l’acqua di piattaforma che quella delle scarpate. Per lo smaltimento vale sempre il concetto del trasferimento da monte a valle tramite tombino. 7. GALLERIE FERROVIARIE Dati gli standard plano-­‐altimetrici necessari per raggiungere una certa velocità, diventa molto naturale che, soprattutto in un territorio come quello italiano, si debbano avere gallerie sia frequenti che anche di considerevole lunghezza. La galleria costituisce sempre un’opera impegnativa per qualsiasi linea ferroviaria, sia nella fase di costruzione che in quella di esercizio; per questo motivo è necessario che il progetto affronti in chiave sistematica tutte le tematiche, a partire da quelle di base che sono il tracciato e la sezione tipo. In prima istanza dovrebbe prevalere la scelta di minor lunghezza, nella misura in cui questa sia congruente con la migliore scelta dei terreni attraversati e delle conseguenti modalità di scavo. Da non trascurare in questa fase la ricerca, soprattutto nel caso di gallerie lunghe, di possibili discenderie laterali lungo il percorso, che consentono un accesso intermedio sia in costruzione che in esercizio. Per quanto riguarda la sezione tipo, l’alternativa classica è quella fra un unico fornice a doppio binario o due fornici più piccoli e paralleli a singolo binario. Oggi le operazioni di scavo avvengono sempre più frequentemente con l’ausilio di macchine rotanti a sezione piena dotate di uno scudo attrezzato con appositi utensili di scavo, che viene spinto con idonei martinetti contro il fronte di scavo, consentendo l’immediato posizionamento dei conci prefabbricati che costituiscono la volta, le pareti e la base della galleria. Si tratta di macchine che offrono una produttività impensabile con i sistemi di scavo tradizionali. Da non trascurare il tema che lo scavo di una galleria costituisce sempre oltre che un serio problema di ingegneria, anche un altrettanto serio problema ambientale. Si tratta infatti di alloccare notevoli quantità di materiale proveniente dallo scavo, eventualmente contaminato dai prodotti usati durante lo stesso scavo. Da quando è stata introdotta la procedura VIA, questo tema deve essere affrontato e risolto fin dalla fase del progetto definitivo ed in non pochi casi è risultato dirimente per il giudizio di compatibilità ambientale. Cosi come durante la costruzione, a maggior ragione in esercizio, la galleria pone problemi di sicurezza che in Italia sono stati regolamentati dal Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti del 28-­‐10-­‐2005. Come anche nel settore stradale la peculiarità di un ambito sostanzialmente chiuso ha enfatizzato la necessità di ricorrere a tutta una serie di misure tendenti a ridurre il rischio della circolazione in galleria. Nel caso ferroviario gli scenari temuti sono: l’INCENDIO, il DERAGLIAMENTO e la COLLISIONE. Cosi come avviene per qualsiasi misura di sicurezza, gli interventi previsti devono essere orientati sia nella direzione della SICUREZZA ATTIVA e quindi a prevenire cause di incidente, sia verso la SICUREZZA PASSIVA e quindi a contenere i possibili effetti del sinistro. A tal fine il Decreto citato impone che venga svolta un’ANALISI DI RISCHIO, che sia basata da un lato sulla PROBABILITA’ che possa verificarsi una certa circostanza e dall’altro sulla presunta gravità delle conseguenze che ne derivino in caso di accadimento. Da cui la nota formula R (rischio) = F (frequenza) x N (numero di vittime presunto). Su un piano bilogaritmo (log F e log N) R è rappresentato da rette inclinate tali per cui ad N crescente corrisponda F decrescente. È evidente che gli interventi di sicurezza attiva spingano verso la diminuzione di F e quelli di sicurezza passiva verso la diminuzione di N. I tre scenari individuati dal Decreto sono ovviamente sempre molto pericolosi, ma nel caso della galleria acquistano un’enfasi straordinaria proprio per il particolare ambiente confinato dell’opera, che si accentua quanto è lunga la galleria. Sia la frequenza che la gravità degli eventi critici possono essere influenzate sia da fattori endogeni (modalità progettuali e costruttive della galleria) sia da fattori esogeni (sviluppati dall’esterno della galleria). Ne consegue che sia possibile confrontare soluzioni alternative che portino ad una diversa valutazione del rischio. Il malfunzionamento o le avarie possono avvenire in una qualsiasi parte del sistema infrastruttura/treno, per cui deve essere sviluppata un’analisi di affidabilità del sistema per evidenziare le possibili condizioni di guasto dei singoli sottosistemi e poter stimare quindi le probabilità di accadimento di ogni evento critico. In parallelo in funzione delle caratteristiche della galleria e delle loro condizioni di funzionamento si procede all’analisi delle conseguenze di ogni possibile evento critico. Il risultato è una curva F/N da confrontare con le soglie di ammissibilità del rischio stimato. Se si prende in considerazione l’evento critico INCENDIO, la rappresentazione del rischio passa attraverso una serie di modelli, che, partendo dalla probabilità F che possa accadere, passano alla modalità di diffusione fino ad arrivare alla valutazione delle possibili vittime N. I modelli di diffusione sono disponibili in letteratura e servono a determinare l’evoluzione nel tempo e nello spazio dei fumi prodotti, della temperatura e dei principali prodotti della combustione. Le modalità di diffusione sono fortemente dipendenti dalle condizioni di ventilazione presenti in galleria al momento dell’evento. La sopravvivenza dei passeggeri dipende dalla concentrazione delle sostanze tossiche e dalla durata dell’esposizione. È evidente quindi che a seconda delle dotazioni di sicurezza previste nella galleria i valori di sopravvivenza possano variare notevolmente, cosi come è evidente che la probabilità di accadimento possa essere influenzata dalla tempestività e dall’efficacia della manutenzione. Il Decreto citato fissa le soglie di attuazione e di inaccettabilità del rischio individuale e del rischio cumulato. Con il primo termine si intende il rischio totale normalizzato rispetto alla popolazione esposta in un intervallo di un anno e per chilometro percorso di galleria. Mentre con il secondo termine si indica la probabilità cumulata che, in un anno e per Km di galleria, si abbia un danno maggiore di un assegnata soglia di tolleranza. Il Decreto citato individua i seguenti REQUISITI DI SICUREZZA per le gallerie ferroviarie: A) REQUISITI MINIMI: 1.
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Sistema di radiocomunicazione, Limitazione deviatori in galleria, Controllo sistematico dello stato del binario, Protezione e controllo degli accessi, Ispezione regolare dello stato della galleria, Piano di manutenzione della galleria, Resistenza e reazione al fuoco, Affidabilità delle installazioni elettriche, Impianto antincendio, Marciapiede, Corrimano, Segnaletica di emergenza, Illuminazione di emergenza, Uscite/accessi, Sistemi di controllo fumi nelle vie di esodo, Impianto telefonico di emergenza a viva voce e di diffusione sonora, Piazzale di emergenza, Aree di triage, Piazzale per l’elisoccorso, Strade di accesso, Impianto di radiopropagazione in galleria per le operazione di soccorso, Disponibilità di energia elettrica per le squadre di soccorso, Postazioni di controllo, Sezionamento della linea di contatto, Sistema di interruzione e messa a terra della linea di contatto, Materiali di motrice e carrozze protetto dal fuoco, Rilevatori di incendio a bordo del treno, Dispostivi manuali di allarme, Neutralizzazione del freno di emergenza, Mantenimento della capacità di movimento, Estintori portatili a bordo, Impianti fissi di estinzione, Comando centralizzato di spegnimento dell’aria condizionata, Illuminazione di emergenza, Equipaggiamento di primo soccorso a bordo, Dimensionamento per l’esodo di emergenza, Arresto per emergenza, Formazione del personale, Informazioni di sicurezza e istruzioni ai passeggeri sul comportamento in caso di emergenza, Piani di emergenza e soccorso, 41. Esercitazioni periodiche con le squadre di soccorso, 42. Mezzi di soccorso bimodali, 43. Informazioni sul trasporto di merci pericolose, 44. Disponibilità attrezzature di soccorso. B) REQUISITI INTEGRATIVI 1.
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Monitoraggio della velocità, Identificazione della posizione del treno, Impianti fissi per il controllo dello stato del treno prima dell’ingresso in galleria, Indipendenza dei binari in galleria (doppia canna), Requisiti di resistenza al fuoco dei cavi elettrici, Incremento delle uscite/accessi, Sezione dei collegamenti trasversali, Rivelazione incendio, fumi e gas nei locali tecnici, Sistema di controllo a distanza TVCC, Sistemi di estinzione incendio, Sistemi di estrazione fumi e/o di ventilazione, Nicchie, Galleria parallela di servizio e di sicurezza, Accessibilità per veicoli stradali, Equipaggiamento carrozze per facilitare l’esodo in emergenza, Regolamentazione trasporto merci pericolose.