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n° 363 - febbraio 2014
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La Fiumana di Pellizza
Una mostra a Milano ripercorre le tappe della lunga gestazione di un’opera destinata a segnare il XX secolo dal punto di vista sia artistico che sociale
Il Quarto Stato - Milano, Museo del Novecento
«S’ode...passa la fiumana dell’umanità genti correte ad ingrossarla», così
a margine di un bozzetto preparatorio, Pellizza da Volpedo nel 1895 annotava i propri pensieri, esponendo
l’idea sottostante la creazione di un’opera
che - in diverse tappe, fino a quella
definitiva del Quarto Stato - avrebbe
richiesto un decennio per essere portata a compimento. Risale infatti al
1892 il completamento degli Ambasciatori della fame, titolo della prima
versione dell’opera, un dipinto a olio
di modeste dimensioni, utilizzato da
Pellizza come bozzetto quando iniziò
due anni dopo a lavorare a una nuova
tela di grandi dimensioni (cm 255 x
438), che avrebbe intitolato Fiumana
e che oggi è custodita presso la Pinacoteca di Brera.
Alla storia del Quarto Stato, destinato
a divenire una vera e propria icona del
secolo appena trascorso, il Museo del
Novecento di Milano dedica una interessante mostra - Giuseppe Pellizza
da Volpedo e il Quarto Stato. Dieci anni
di ricerca appassionata - aperta fino al
9 marzo prossimo, nella quale sono
presentati numerosi bozzetti delle varie successive versioni, e cinque dipinti a olio, dalla piccola tavoletta con
il primo abbozzo, fino al monumentale Quarto Stato.
La sperimentazione compositiva e tecnica che caratterizza ogni fase creativa, viene seguita attraverso i disegni preparatori e le analisi radiografiche: un percorso che in circa trenta
opere analizza la complessità di valori
e significati di un quadro simbolo,
mettendo in risalto l’evoluzione della
tecnica pittorica adottata da Pel-
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sopra La Fiumana - Milano, Pinacoteca di Brera
a lato Studio di figura maschile - Alessandria, Pinacoteca Civica
lizza nel corso del decennio impiegato
per rielaborare e sviluppare un tema
così complesso e denso di significati
come quello del Quarto Stato e portarne a compimento la realizzazione.
In questa tela grandiosa (cm 293 x
545) sono scomparsi gli edifici che facevano da sfondo alla Fiumana, mentre hanno assunto maggiore risalto e
caratterizzazione individuale i personaggi, che nelle opere precedenti costituivano in gran parte una massa indistinta. Per tre estati, tra il 1898 e il
1901, Pellizza dipinse dal vero, facendo trasportare da alcuni dei suoi
modelli la grande tela sulla Piazza Malaspina di Volpedo, dove la scena è
ambientata. Per i personaggi facevano
da modello i cittadini volpedesi, a cominciare dalla moglie di Pellizza, Teresa, che è la donna col bambino al
centro del quadro. La tecnica divisionista adottata nella stesura del colore,
considerata all’epoca la più moderna
in quanto fondata su principi scientifici, si avvale di una solida struttura
disegnativa, come si ricava dai nume-
rosi cartoni con gli studi di figura: qui
le dimensioni dei personaggi rappresentati sono quelle che verranno riportate sulla tela, mentre i volumi
vengono definiti con un’accurata tecnica chiaroscurale, in apparente contrasto con le piccole pennellate di colore della pittura divisionista, che tendono ad alleggerire anche le masse più
solidamente corpose. Pellizza stava
cercando una sintesi tra classicità e
modernità, guardando a Raffaello - al
quale si ispirava nell’utilizzo dei cartoni e nella cura del chiaroscuro che
caratterizza i suoi disegni - considerato il punto di riferimento della bellezza ideale, mediante la quale trasformare in archetipo la quotidianità
di un’immagine che apparteneva alla
cronaca del suo tempo: gli anni in cui
Pellizza andava meditando e rielaborando il grande dipinto erano caratterizzati infatti da forti turbolenze sociali che culminarono nel 1898 a Milano, quando il generale Bava Beccaris schierò l’esercito contro gli scioperanti, provocando alcune centinaia
di morti.
Pellizza era ben consapevole della difficoltà di riuscire a trasferire sulla tela
i principi che lo ispiravano. Scriveva
infatti nel 1896 al pittore milanese
Angelo Morbelli:«Questo quadro che
è certamente un tentativo per fare
un’arte superiore, non formata soltanto di tecnica ma anche di pensiero,
mi costa una fatica terribile». Pellizza
voleva rappresentare nel Cammino dei
lavoratori (titolo che per qualche tempo
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precedette quello definitivo) la presa
di coscienza dei propri diritti e della
propria forza da parte di quella che
aveva definito la “fiumana dell’umanità assetata di giustizia”, convinto
che anche l’artista dovesse impegnarsi
in questo senso: «Sento che ora non è
più l’epoca di fare dell’arte per l’arte,
ma dell’arte per l’umanità».
Il Quarto Stato suscitò molto interesse
nella critica e nel pubblico dell’epoca
e divenne ben presto, diffuso in innumerevoli riproduzioni nei circoli operai e nelle case, un simbolo della lotta
di classe. La grande tela fu acquistata
nel 1920 dal Comune di Milano, con
il contributo di una pubblica sottoscrizione, per destinarla alla Galleria
Comunale d’Arte Moderna. Con la
creazione del Museo del Novecento,
nel 2010, si è scelto di aprire il percorso espositivo proprio con il Quarto
Stato, quale opera simbolo del passaggio tra l’arte del XIX secolo, improntata a un idealismo fiducioso nelle
sorti dell’umanità, e le inquietudini
che già al suo aprirsi segnavano quello
che sarebbe stato definito “il secolo
breve”.
federico poletti