revocatoria ordinaria e revocatoria fallimentare

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revocatoria ordinaria e revocatoria fallimentare
REVOCATORIA ORDINARIA
E
REVOCATORIA FALLIMENTARE
A)
Scheda introduttiva
Revocatoria ordinaria:
- arrt. 2901 e ss c.c.
- effetti: inefficacia degli atti di disposizione compiuti dal debitore
- applicabilità: nei confronti di qualunque debitore
- finalità: cautelare e meramente conservativa del diritto di credito e non
recuperatoria, essendo diretta a conservare e/o ricostruire nella sua integrità, la
consistenza patrimoniale del debitore, dallo stesso depauperata con un atto
dispositivo;
- condizione: può essere chiesta indipendentemente dallo stato d’insolvenza del
debitore ma se latto da lui compiuto può arrecare pregiudizio alle ragioni del
creditore
- natura degli atti revocabili: 1) atti a titolo gratuito se il creditore prova oltre al
pregiudizio (eventus damni) la scientia fraudis (consapevolezza del debitore di
arrecare pregiudizio al creditore); 2) atti a titolo oneroso se il creditore prova oltre
al pregiudizio (eventus damni) e la consilium fraudis (consapevolezza del debitore
di arrecare pregiudizio al creditore) anche la partecipatio fraudis (consapevolezza
del terzo del pregiudizio)
Revocatoria fallimentare:
- arrt. 64e ss. L. Fall.
- effetti: inefficacia degli atti di disposizione compiuti dal debitore
- applicabilità: solo in caso fi fallimento nei confronti di un imprenditore
- finalità: ricostituire l'attivo fallimentare per fare in modo che vi possa essere
soddisfatto un numero maggiore di creditori
- condizione: è, di regola, necessario lo stato d’insolvenza in un periodo che varia da
sei mesi a due anni dalla dichiarazione di fallimento
- natura degli atti revocabili: 1) atti a titolo gratuito sono autonomamente revocabili;
2) atti a titolo oneroso a) se anormali, solo se il curatore riesce a provare le
condizioni previste dalla legge, b) se normali nell’esercizio del commercio il
curatore riesce a provare la conoscenza dello stato d’insolvenza da parte del terzo
B) Revocatoria ordinaria
a) ragione di credito: occorre che chi agisce in revocatoria sia innanzitutto titolare di
un credito: pagamento, contratto, garanzia o altro.
Non importa che il credito sia accertato giudizialmente o non contestato in quanto
anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia
che si tratti di credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in
separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l’insorgere
della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ex art.
2901 c.c. avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore e il giudizio promosso
con l’indicata azione non è soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. in
quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce
l’antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria essendo,
d’altra parte, da escludersi l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza a
tutela dell’allegato credito litigioso dichiarativa dell’inefficacia dell’atto dispositivo e
la sentenza negativa sull’esistenza del credito (Cass. Sez. Unite Civili 18/95/2004, n.
9440)
Neppure rileva che l’atto traslativo di cui si chiede la revoca riguardi un bene
sottoposto a vincolo in quanto da un lato nell'art. 2901 c.c., la nozione di pregiudizio
è astratta e, quindi, il giudizio sulla sua esistenza deve essere svolto dal giudice caso
per caso e dall’altro, il pregiudizio non s'identifica con gli effetti dell'atto che,
interferendo in un processo esecutivo, pregiudicano la pur remota eventualità di
soddisfacimento di un creditore chirografario, ma deve essere specificamente
valutato - nella sua certezza ed effettività - con riguardo al potenziale conflitto tra il
creditore chirografario e il creditore garantito da ipoteca, e quindi in relazione alla
concreta possibilità di soddisfazione del primo con riguardo all'entità della garanzia
reale del secondo, di tal che la sottoposi zone del bene a ipoteca non pregiudica il
diritto del creditore ad agire in revocatoria.
b) oggetto dell’azione revocatoria è un atto di disposizione con il quale il debitore
modifica la sua situazione patrimoniale o trasferendo ad altri un diritto che li
appartiene o assumendo un obbligo nuovo o costituendo diritti a favore di altri sui
suoi beni. Avendo l’azione revocatoria la funzione di ricostituire la garanzia generica
fornita dal patrimonio del debitore, è sufficiente anche la mera variazione qualitativa
del patrimonio del debitore con il pericolo di danno costituito dalla eventuale
infruttuosità di una futura azione esecutiva.
Atti a titolo gratuito è sufficiente che la conoscenza del pregiudizio esista in capo al
debitore perché la legge tra il terzo che cerca di realizzare un vantaggio e il creditore
che vuole evitare un danno non può che favorire quest’ultimo.
Particolari istituti a titolo gratuito sono il fondo patrimoniale e il trust.
Il fondo patrimoniale è previsto dall’ art. 167 c.c. e, consiste nella destinazione di
determinati beni immobili, mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito,
all’esclusivo soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Il perseguimento di una
simile finalità vincolistica ha indotto infatti la quasi unanime dottrina a definire
l’istituto come patrimonio di destinazione, distinguendolo dal suo momento genetico
rappresentato dall’atto costitutivo il quale, come vedremo, viene attualmente
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qualificato dalla giurisprudenza maggioritaria principalmente come atto di liberalità.
In altri termini il legislatore, in deroga al principio di cui all’art. 2740 c.c., ha
volutamente approntato una via preferenziale per soddisfare i bisogni della famiglia.
il relativo negozio istitutivo possa essere stipulato nella forma di atto inter vivos e sotto
forma di disposizione testamentaria. Circa invece la natura giuridica di tale negozio la
dottrina e la giurisprudenza della Suprema Corte sono da tempo orientati nel
riconoscervi un atto a titolo gratuito. Tale negozio è da ricondursi nell’ambito delle
convenzioni matrimoniali e come tale soggetto alle disposizioni dell’art. 162 c.c., ivi
inclusa quella contenuta nel comma 4 della medesima norma, che ne condiziona
l’opponibilità ai terzi all’annotazione a margine dell’atto di matrimonio nei registri
dello stato civile. In ragione della sua “finalità, il legislatore nella determinazione della
disciplina del fondo patrimoniale ha ritenuto di tutelare tale vincolo dall’attacco
indiscriminato dei creditori mediante una sorta di inespropriabilità relativa, ma non
può negarsi che la costituzione di un fondo patrimoniale rappresenti una potenziale
minaccia per le ragioni del ceto creditorio, ove si consideri che l’assoggettamento di
beni al vincolo in esame, da un lato, renderebbe questi ultimi non facilmente
aggredibili, dall’altro, ridurrebbe corrispondentemente la garanzia generica ex art.
2740 c.c. sui beni del debitore. Ai sensi dell’art. 170 c.c., infatti, possono essere
oggetto di esecuzione forzata non solo i frutti ma anche i beni che costituiscono il
fondo patrimoniale, purché i crediti siano sorti per far fronte ai bisogni della famiglia
o i creditori ignorassero che le obbligazioni fossero nate per motivi estranei al
soddisfacimento di tali bisogni. Risulta evidente dunque come la separazione
patrimoniale originata dalla costituzione del predetto vincolo di destinazione
determini una non trascurabile limitazione di responsabilità patrimoniale alle sole
obbligazioni contratte per il perseguimento dei bisogni familiari. Potrebbe infatti
accadere che i creditori personali dei coniugi aggrediscano beni in proprietà degli
stessi nonostante siano sottoposti al predetto vincolo: si rende allora necessario
verificare se la causa del credito vantato sia più o meno ancorata alla soddisfazione di
un interesse familiare. In caso contrario una eventuale azione esecutiva intrapresa
potrebbe anche paralizzarsi. In altri termini, il creditore impatterà contro il fondo
patrimoniale solo ove ricorra una duplice circostanza: una oggettiva, connessa alla
causa del credito, ed una soggettiva, riferita alla conoscenza che egli abbia degli scopi
extra-familiari perseguiti dal coniuge-debitore.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7250 del 22 marzo 2013, ha stabilito che si
deve ritenere ammissibile l'azione revocatoria da parte del creditore per ottenere la
dichiarazione di inefficacia dell’atto di disposizione con il quale è stato costituito un
fondo patrimoniale rivolto a soddisfare esigenze familiari: il presunto contrasto con
le esigenze della famiglia tutelate a livello costituzionale, infatti, va escluso
considerando il carattere facoltativo del fondo e la rimessione della sua eventuale
costituzione alla libera scelta dei coniugi.
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La parola Trust in lingua inglese significa “affidamento”.Ed è proprio sulla fiducia
che si basa questo innovativo strumento di pianificazione patrimoniale, conosciuto
ed utilizzato in Italia solo da pochi anni, precisamente da quando il nostro Paese ha
ratificato la Convenzione dell'Aja (art. 2 della L. 16.10.1989 n. 364, in vigore dal
1992). E’ la Convenzione stessa che fornisce la definizione di Trust, stabilendo che
con tale termine debbano intendersi i rapporti giuridici istituiti da una persona con
atto tra vivi o "mortis causa", qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un
"Trustee" nell'interesse di un “Beneficiario” o per un fine specifico. In altri termini, il
Trust realizza una netta separazione tra il patrimonio del Disponente (di colui, cioè,
che dà vita al Trust stesso) e quello dell'effettivo Beneficiario e del Trustee. Quindi,
alla costituzione ed alla gestione del Trust, generalmente, intervengono tre soggetti: il
Disponente, cioè il proprietario dei beni; il Trustee, cioè il gestore fiduciario dei beni;
il Beneficiario, cioè il soggetto nell’interesse del quale i beni vengono conferiti nel
Trust e gestiti dal Trustee. Lo schema contrattuale tipico del Trust è il seguente: il
Disponente trasferisce i propri beni e istituisce il Trust attribuendo la proprietà degli
stessi al Trustee (gestore), che è la figura chiave di tutto lo strumento e che, oltre a
divenire l'effettivo proprietario, assume funzioni di gestione; Il Trustee, a sua volta,
dispone dei beni secondo l'atto di Trust, ma è comunque obbligato a gestirli
nell'interesse dei Beneficiari od allo scopo determinato dal Disponente. Il
Disponente ed il Trustee possono anche coincidere nella stessa persona, se il Trust è
istituto per il perseguimento di uno specifico scopo (Trust di scopo). Il punto
sostanziale che caratterizza un Trust è la piena separazione ed il totale distacco del
patrimonio conferito dalla sfera giuridica del Disponente, per passare in piena
proprietà al Trustee, seppure a titolo fiduciario e nell’interesse del Beneficiario. Il
patrimonio conferito nel Trust è messo al riparo da eventuali pretese creditorie di
terzi cosi individuati:
1) i creditori del Disponente, poichè il patrimonio non è più di sua proprietà;
2) i creditori del Trustee, poichè il Trustee, seppure effettivo proprietario del
patrimonio stesso, lo deterrà solo ed esclusivamente nella sua qualità di Trustee e
mai a titolo personale;
3) i creditori del Beneficiario, fino a quando esso non riceva i beni con successivo
passaggio dal Trustee.
Riassumendo, le caratteristiche essenziali di un Trust sono le seguenti:
a) i beni trasferiti dal Disponente costituiscono una massa distinta e non fanno parte del
patrimonio nè del Trustee, né tantomeno del Disponente medesimo, che li ha ceduti;
b) i beni del Trust sono intestati a titolo fiduciario al Trustee;
c) il Trustee è investito del potere e dell’onere di gestire, amministrare e disporre dei
beni secondo i termini del Trust, deve agire nell'esclusivo interesse dei Beneficiari ed
è sottoposto al potere di vigilanza e di cooperazione del Disponente;
d) i beni che formano oggetto di Trust non sono in tal modo aggredibili dai creditori del
Trustee e neppure da quelli del Disponente, in quanto costituiscono un patrimonio
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separato ovvero segregato.
Nel Trust possono essere conferiti tutti i beni mobili o immobili e tutti i diritti che
appartengono a persone fisiche e/o a società (es. titolo di credito, conti bancari,
somme di denaro, azioni, quote di società immobiliari, preziosi, opere d'arte, quote di
fondi comuni d'investimento, immobili, autoveicoli, imbarcazioni, mobili ed arredi).
Anche il trust può essere revocabile poiché ha sicuramente natura gratuita l'atto di
conferimento di beni in trust posto in essere allo scopo di provvedere al
soddisfacimento dei propri bisogni ed esigenze familiari al fine di assicurarsi il
mantenimento dell'attuale tenore qualità di vita, le cure e l'assistenza, personale e
medica, soprattutto nel caso in cui il disponente rivesta anche la qualità di trustee e di
beneficiario, così che, il conferimento dei beni in trust, sia rimasta sostanzialmente
invariata la situazione di "signoria" sui beni che ne hanno formato oggetto.
Atti a titolo oneroso visto che tanto il terzo quanto il creditore vogliono evitare u
danno occorre per la proponibilità dell’azione la partecipatio fraudis del terzo ossia
che il terzo sia consapevole del pregiudizio arrecato al creditore e della prova di tale
consapevolezza e onerato chi agisce il revocatoria. L’art. 2901 c.c. richiede, infatti, che
il debitore, “al momento del compimento dell’atto, conoscesse il pregiudizio che
l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del
credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il
soddisfacimento”; prosegue stabilendo che, trattandosi di atto oneroso, il terzo deve
essere stato partecipe della dolosa preordinazione. La prova della "partecipatio
fraudis" del terzo, necessaria ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria
nel caso in cui l'atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può
essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un
vincolo parentale tra il debitore ed il terzo, quando tale vincolo renda estremamente
inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante
sul disponente.
La Suprema Corte (Cass. Civ., Ord. 26/01/2016, n. 1404) ha ritenuto, ad esempio,
legittimo presumere che la moglie, terza acquirente della casa coniugale, essendo legata al
debitore da un rapporto di coniugio, fosse perfettamente consapevole che l'atto traslativo
della proprietà avrebbe arrecato pregiudizio alle ragioni creditorie della Banca, ritenendo
così raggiunta la prova della sua cd. partecipatio fraudis.
c) Il pregiudizio (eventus damni) consistente nel fatto che come conseguenza
dell’atto di disposizione compiuta il patrimonio del debitore diviene insufficiente a
garantire il soddisfacimento del creditore così mentre non sarà considerato
pregiudizievole il pagamento di un debito scaduto in quanto esso già incideva nel
patrimonio del debitore, lo sarà la datio in solutum quanto la cosa data in
pagamento abbia un valore superiore all’oggetto del debito o in caso di novazione
quanto l’obbligazione assunta sia di entità maggiore rispetto a quella novata. Il
pregiudizio deve poi essere valutato anche in relazione ai beni residui del debitore
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nel senso che questi non devono essere sufficienti a soddisfare i creditori: la prova
dell’esistenza di altri beni sui quali il creditore può soddisfarsi deve essere fornita
dal disponente.
d) Consilium fraudis è la conoscenza del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del
creditore e non è necessaria la specifica intenzione di nuocere da parte del debitore
ma è sufficiente la consapevolezza che sappia di divenire insolvente o di rendere
più difficile e incerta l’esecuzione a causa dell’atto dispositivo.
e) prescrizione dell’azione: in tema di azione revocatoria, la norma dell'art. 2903
cod. civ. va coordinata con quella prevista dall'art. 2935 cod. civ., secondo cui la
prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Ne
consegue che, nel caso in cui sia esercitata un'azione ex art. 2901 cod. civ. per la
revoca di un atto di trasferimento di un immobile, la prescrizione inizia a decorrere
non già dalla data di stipulazione ma da quella di trascrizione dell'atto, necessaria
affinché il trasferimento sia reso pubblico, conoscibile ai terzi ed a loro opponibile
(Cassazione civile sez. VI 27 maggio 2014 n. 11815)
La revocatoria ordinaria nel fallimento
La giurisprudenza dominante ha ritenuto che, nel caso in cui dopo la proposizione
dell'azione revocatoria sopravvenga il fallimento del debitore, la legittimazione processuale
alla prosecuzione dell'azione spettasse in via esclusiva e per tutta la durata della procedura al
curatore fallimentare, il quale subentra al creditore originario che perde il proprio interesse
all'azione (Cass., 5.12.2003, n. 18607; Cass., 6.8.2002, n. 11760,). A tale orientamento, se ne
è contrapposto altro che ha ipotizzato invece la possibilità per il creditore di proseguire il
giudizio, a prescindere dall'iniziativa del curatore (Cass., 19.5.2006, n. 11763,). Preso atto del
contrasto sorto fra le sezioni semplici, la questione è stata da ultimo rimessa al vaglio delle
sezioni unite (Cass., ord. 25.2.2008, n. 4717), le quali hanno infine precisato che qualora nel
corso di un giudizio di revocatoria ordinaria promosso da un creditore, sopravvenga il
fallimento del debitore convenuto, il curatore, in veste si sostituto processuale della massa,
ha facoltà sia di subentrare nel relativo processo sia di proporre ex novo la medesima
azione, ex art. 66 l. Fall.; in entrambi i casi la legittimazione processuale dell'organo
concorsuale è esclusiva, non potendo cumularsi a quella del creditore singolare, data la
finalità tipica ed essenziale dell'azione revocatoria di consentire il soddisfacimento esecutivo
a vantaggio di tutti i creditori concorsuali. Di conseguenza, la domanda individualmente
proposta dal creditore, divenuto privo di interesse e di titolo per proseguire il giudizio, va
dichiarata improcedibile, ancorché trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento
(Cass., S.U., 17.12.2008, n. 29420).
Tuttavia, le sezioni unite hanno altresì precisato che il sopravvenuto fallimento del debitore
non determina l'improcedibilità dell'azione revocatoria ordinaria promossa dal singolo
creditore qualora il curatore non manifesti la volontà di subentrare in detta azione, né
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altrimenti risulti aver intrapreso, con riguardo a quel medesimo atto di disposizione, altra
analoga azione a norma dell'art. 66 l. fall. (Cass., S.U., 17.12.2008, n. 29421).
La domanda revocatoria promossa dal creditore dell'alienante, ove sia stata trascritta
anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell'acquirente, non si pone in contrasto con il
divieto di azioni esecutive individuali posto dall'art. 51 l. Fall., risultando con ciò
procedibile. In questo caso il creditore viene a trovarsi, rispetto all'immobile ormai acquisito
all'attivo fallimentare, in posizione analoga a quella del titolare di diritto di prelazione su
bene compreso nel fallimento e già costituito in garanzia per credito verso debitore diverso
dal fallito (Cass., 2.12.2011, n. 25850).
Diversamente, la domanda revocatoria svolta dal creditore dell'alienante (anche) nei
confronti del terzo acquirente dell'immobile, dichiarato fallito, non trascritta anteriormente
al fallimento, risulta inopponibile ai creditori concorsuali, ex art. 51 l. fall., (Cass., 2.12.2011,
n. 2585). La giurisprudenza ammette l'intervento principale o adesivo autonomo in causa di
altro creditore, vietando, invece, l'intervento adesivo dipendente (Cass., 14.1.1982, n. 238).
Soggetti legittimati passivamente nell'azione revocatoria sono il debitore ed il terzo
acquirente, fra i quali si configura un'ipotesi di litisconsorzio necessario. Una parte
minoritaria della dottrina estende la necessità del litisconsorzio anche al sub acquirente,
mentre la dottrina predominante, così come la giurisprudenza, ritiene solamente possibile
l'estensione dell'azione a quest’ultimo.
C) Revocatoria fallimentare
a) occorre che il curatore, soggetto legittimato a esperire tale azione, in quanto
rappresentante la massa dei creditori, verifichi, e ne dia prova,: 1) che l’operazione
in questione nel momento in cui è stata compiuta aveva il carattere di “normale” o
“anormale”; 2) che è avvenuta nel periodo sospetto; 3) che chi ha contratto o chi è
comunque entrato in rapporto con il fallito conosceva l’insolvenza del debitore; 4)
che l’operazione è stata pregiudizievole per i creditori.
Premessa. Sono sempre revocabili i pagamenti anticipati (art. 65 L. Fall) e quelli
nascenti da contratto o da garanzie a titolo gratuito(art. 64 L. Fall.). L’art. 66 L. Fall.
rimanda alla disciplina della revocatoria ordinaria in caso di fallimento
1) pagamenti: il curatore può chiedere la revocatoria di tutti i pagamenti scaduti in
epoca anteriore al fallimento fatti dal debitore, poi fallito, nel periodo sospetto. La
disciplina della revocatoria è diversa a seconda che essa riguardi un pagamento
“normale” o con mezzi normali e un pagamento “ anormale” o con mezzi
anormali. Sono considerati pagamenti “normali” quelli effettuati: con denaro o con
titoli di credito, quelli effettuati in base a rapporti contrattuali, quelli effettuati a
impresa monopolistica quelli relativi alla prestazione di un professionista o di
lavoro, i pagamenti coattivi conseguenti a procedure esecutive ecc. Sono
considerati anormali: la cessione del preliminare di vendita, l’accordo con cui
l’imprenditore rilascia titoli cambiari assistiti da garanzia ipotecaria in sostituzione
di un obbligazione assunta con i creditori, la transazione, il trasferimento di un
immobile per adempiere all’obbligo di mantenimento del coniuge in costanza di
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2)
3)
4)
-
separazione legale, la procura a vedere un bene del fallendo rilasciata la proprio
creditore con espressa previsione che il creditore potrà trattenere il prezzo
ricavato dalla vendita per soddisfare il proprio pregresso credito, la ritenzione da
parte della banca di somme accreditate sul conto corrente chiuso del fallito ecc.
periodo sospetto: 6 mesi per gli atti di cui all’art. 67, comma 1 n. 4 (debiti
preesistenti scaduti) e comma 2 (pagamenti con mezzi normali e garanzie per debiti
contestualmente creati), L. Fall, 1 anno per gli atti di cui all’art. 67, comma 1 n. 1, 2
e 3 L. Fall. (pagamenti con mezzi anormali, contratti con prestazioni
sproporzionate debiti preesistenti non scaduti), 2 anni per gli atti di cui agli artt. 64
e 65 L. Fall.. Il punto di partenza è la dichiarazione di fallimento anche se
recentemente si è affermato il principio secondo il quale “le norme dettate dalla legge
fallimentare in materia di inefficacia e revocabilità di atti fanno indistintamente riferimento, ai fini
dell’individuazione del dies a quo di decorrenza a ritroso del periodo sospetto, alla data di
dichiarazione del fallimento, il che, nel vigore del testo originario di tale normativa, senza dubbio
indicava la data di pubblicazione della sentenza, intendendosi per tale la data di deposito in
cancelleria. Tuttavia, l’attuale testo dell’art. 16, comma 2, l.fall., come risulta modificato a seguito
delle recenti leggi di riforma, statuisce che l’efficacia verso i terzi della sentenza dichiarativa di
fallimento comincia a decorrere dalla data della sua avvenuta iscrizione nel registro delle imprese.
In materia revocatoria, il periodo sospetto decorre a far tempo non dalla data del deposito in
cancelleria della sentenza dichiarativa di fallimento, ma dalla data di iscrizione della stessa nel
registro delle imprese” (Trib. Milano, Sez. II, decr. 23/01/2014)
conoscenza dello stato d’insolvenza in capo a chi è convenuto in revocatoria: a)
se persona fisica, si deve considerare la sua eventuale competenza professionale e le
condizioni di tempo e di luogo in cui l’atto è stato compiuto; b) se è una persona
giuridica la conoscenza è valutata con riguardo alla persona fisica che la rappresenta
e il relazione alla struttura organizzativa della società. La conoscenza dello stato
Il pregiudizio ai creditori, l’insolvenza deve essere effettiva e può essere provata
tramite presunzioni e cioè indizi gravi, precisi e concordanti. La prova può dirsi
raggiunta nei seguenti casi:
pubblicazione di numerosi protesti;
protesto relativo a un titolo rilasciato dal convenuto in revocatoria;
esecuzione immobiliare proposta dal creditore convenuto;
esecuzione immobiliare e trascrizione del pignoramento nei pubblici registri
immobiliari;
decreto ingiuntivo ottenuto dal creditore convenuto;
pattuizione di una moratoria con tutti i creditori;
mutamento delle condizioni di pagamento peggiorativo per il debitore (es.:
pagamento contestuale alla ricezione della fornitura a seguito di notevole ritardo
nel pagamento delle forniture precedenti);
ritardi nei pagamenti e pagamenti parziali, anche se riferite a forniture di mesi se
non anni precedenti;
incasso del pagamento dopo aver richiesto il sequestro conservativo;
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dilazioni di pagamenti alle quali seguono pagamenti solo parziali;
sottoscrizione di un piano di rientro per debiti scaduti soprattutto se i debiti sono
di scarsa entità;
- reiterazione di accordi volti a consentire al debitore di rientrare attraverso
l’emissione di assegni postdatati;
- interruzione delle forniture;
- pagamento eseguito con titoli provenienti dai clienti del debitore e da questi girati
ai fornitori;
- iscrizione di ipoteca giudiziale o volontaria;
- notizie di stampa pubblicate in contesto territoriale nel quale opera anche il
creditore;
- conoscenza dei bilanci;
- se la società appartiene a un gruppo , conoscenza della crisi del gruppo ;
- chiusura dei locali ove l’imprenditore svolge la sua attività
La prova della conoscenza di solito non proviene da un solo elemento sintomatico ma dalla
sinergia tra i vari elementi e la valutazione del raggiungimento della prova deve essere
calibrata in ragione delle caratteristiche del creditore convenuto in revocatoria.
Un caso particolare: la revocatoria bancaria.
Il curatore può provare che la banca conosceva lo stato d’insolvenza del suo cliente
analizzando gli estratti conto e i rapporti tra le parti. Non costituiscono indizi univoci: lo
sconfinamento dal fido che può essere stato determinato dalle più varie motivazioni (es.:
fiducia della banca nel proprio cliente); la prosecuzione del rapporto e la concessione di
ulteriore credito ( es.: la speranza di ottenere pagamenti parziali grazie alla ripresa
dell’impresa). Son invece anomalie nel rapporto banca-cliente dai quali può evincersi la
conoscenza dello stato d’insolvenza le seguenti situazioni:
- revoca di tutte le linee di credito e richiesta di rientro immediato dall’esposizione;
- revoca degli affidamento e congelamento del conto corrente;
- sospensione del fido accompagnata dalla richiesta di versamenti sufficienti a far
fronte agli assegni eventualmente in circolazione;
- chiusura del conto corrente ;
- conto corrente non affidato destinato al rientro;
- utilizzo del fido ben oltre l’accordato con una movimentazione del conto di tipo
ondulatorio con continue ricostruzioni e lievitazioni dello scoperto;
- segnalazione da parte della Centrale Rischi della Banca d’Italia di molti
sconfinamenti del debitore;
- bilancio d’esercizio dal quale risulti consistenti e perduranti perdite, situazione di
deficit, pesante esposizione debitoria, notevole illiquidità, forte squilibrio
patrimoniale.
Sono revocabili le rimesse eseguite dal fallito che hanno ridotto in maniera consistente e
durevole l’esposizione debitoria dello stesso nei confronti della banca e spetta al curatore
dimostrare: a) i presupposti generali dell’azione revocatoria; b) i requisiti particolari delle
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rimesse ossia 1) l’esistenza di un’esposizione debitoria 2) il fatto che le rimesse di cui si
chiede la revocatoria abbiano ridotto consistentemente e durevolmente l’esposizione
debitoria. Il problema della revocabilità delle rimesse in conto corrente si pone, quindi, nei
confronti della banca, per le rimesse che siano affluite su un conto del fallito che presentava
un saldo a debito del correntista poiché la rimessa può assumere la natura di pagamento del
debito in essere del correntista nei confronti della banca.
In conclusione quindi, per stabilire la revocabilità o meno delle rimesse in conto corrente
bancario occorre innanzitutto distinguere tra quelle aventi natura solutoria , e come tali
revocabili, e quelle aventi, invece, natura ripristinatoria della provvista, come tali non
revocabili. Alla superiore distinzione si ricollega quella tra “conto passivo” – ovvero conto
con saldo debitore assistito da apertura di credito di cui non è stato superato il limite – e
“conto scoperto” – ovvero conto assistito da apertura di credito ma con saldo debitore
oltre i limiti dell’affidamento ovvero con saldo debitore non assistito da apertura di credito;
quindi, il riconoscimento della natura solutoria, e quindi la revocabilità, va riconosciuto alle
sole rimesse affluite sul conto scoperto, in quanto immediatamente destinate ad estinguere,
anche solo parzialmente, il credito della banca, e non di quelle affluite sul conto passivo
dirette a una mera ricostruzione della provvista nella disponibilità del correntista.
In tema di revocatoria fallimentare le rimesse sul conto corrente dell’imprenditore, poi
fallito, sono legittimamente revocabili, ex art. 67 L Fall. tutte le volte in cui il conto stesso,
all’atto della rimessa, risulti scoperto, tale dovendosi ritenere sia il conto assistito da apertura
di credito che presenti un saldo a debito del cliente sia quello scoperto a seguito di
sconfinamento del fido accordato al correntista. Ne consegue che al fine di accertare se una
rimessa del correntista sul proprio conto corrente sia destinata al pagamento di un proprio
debito verso la banca ovvero solo a ripristinare la provvista sul proprio conto, occorre far
riferimento al saldo disponibile sul conto, vale a dire all’effettiva disponibilità di denaro
liquido da parte del correntista nel momento in cui effettua la rimessa, non al “saldo
contabile” che riflette la registrazione delle operazioni in ordine puramente cronologico, nè
al “saldo per valuta” che è effetto del posizionamento delle partite unicamente in base alla
data di maturazione degli interessi.
In tale prospettazione costituisce onere della banca fornire la prova delle circostanze atte ad
escludere la natura solutoria delle rimesse “non revocabili”; tale dimostrazione va resa nei
riguardi del curatore fallimentare che nella revocatoria assume la posizione di terzo nei cui
confronti l’eventuale produzione da parte della banca della documentazione contrattuale è
opponibile solo nei limiti del combinato disposto degli artt. 2704 c.c. e 45 L.Fall.
Ai fini di cui sopra, quindi la banca deve provare sia l’esistenza, alla data del versamento, di
un contratto di apertura di credito, sia l’esatto ammontare dell’affidamento ivi accordato al
correntista; onde ottemperare a tale onere, non appare sufficiente l’estratto del libro fidi
delle banca in caso di contestazione da parte della curatela.
In particolare occorre depositare il contratto scritto di apertura di credito; va tuttavia
rilevato che l’art. 117 TULB nel prevedere, a pena di nullità, l’obbligo di stipulare per
iscritto i contratti aventi per oggetto la prestazione di servizi finanziari e bancari, ha
tuttavia ammesso la facoltà di prevedere, per particolari contratti, la stipulazione in altra
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forma: detta facoltà ha trovato attuazione, dapprima con il DM 24/04/1992 del Ministero
del Tesoro e con la Circolare della Banca d’Italia 24/05/1992 e poi con la delibera CICR
4/03/2003 e con le Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia le quali hanno previsto che
l’adozione della forma scritta non è obbligatoria, tra gli altri casi, per le operazioni e i servizi
effettuati in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto. Alla luce di
ciò non può ritenersi nullo per carenza del requisito della forma il contratto di apertura di
credito concluso con il correntista allorquando l’originario contratto di conto corrente,
regolarmente stipulato per iscritto, abbia già compiutamente disciplinato il contratto di
apertura di credito. Deve, peraltro, escludersi che la prova, anche in questi casi, della
stipula del contratto di apertura di credito, possa essere fornita con la mera produzione
della delibera interna relativa alla concessione del fido, registrata sul libro fidi, oppure possa
essere desunta dalla tolleranza di fatto all’uso dell’affidamento, soprattutto quando dette
circostanze non consentono neppure di determinare l’entità del fido asseritamente
accordato.
4) Il pregiudizio ai creditori è il presupposto oggettivo comune a tutte le ipotesi di
revocatoria fallimentare e così l’atto sarà revocabile solo se abbia determinato un
impoverimento del patrimonio del fallito e quindi una diminuzione delle garanzia
patrimoniale dei suoi creditori.. La legge pone una presunzione generale che tutti gli atti
compiuti nel periodo sospetto abbiano arrecato tale pregiudizio e quindi il curatore non
deve provare l’esistenza del pregiudizio come pure irrilevante è la consapevolezza del
convenuto di tale pregiudizio, sarà quest’ultimo a dover dimostrare l’inesistenza de
pregiudizio vincendo la presunzione legale ( es.: denaro ricavato dalla vendita del bene,
congruo rispetto alle regole del mercato, si trova ancora nel patrimonio del debitore, il
pagamento ricevuto non ha pregiudicato i creditori in quanto non ha violato l’ordine legale
di ripartizione dell’attivo per essere il credito assistito da garanzia reale
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