PERSONE FISICHE NON IMPRENDITORI: VENDITA DI UN BENE E
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PERSONE FISICHE NON IMPRENDITORI: VENDITA DI UN BENE E
PERSONE FISICHE NON IMPRENDITORI: VENDITA DI UN BENE E AZIONE REVOCATORIA ORDINARIA Sono un debitore‐persona fisica di una banca e vorrei vendere un bene di valore di cui sono proprietario senza rischiare la revoca dell’atto. Quali criteri qualitativi e quantitativi vengono considerati rilevanti dalla giurisprudenza? È sufficiente essere in difficoltà economica per incontrare ostacoli alla vendita? Per valutare la revocabilità di un atto di alienazione posto in essere dal debitore si devono considerare diversi elementi. A tal riguardo, la giurisprudenza ritiene pacifico che: “In tema di azione revocatoria ordinaria, non è richiesta, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore (es. a seguito della dismissione di beni), ma anche in una modificazione qualitativa di esso (es. in caso di conversione del patrimonio in beni facilmente occultabili o in una prestazione di "facere" infungibile)” (così, ex plurimis, Cassazione Civile, sez. III, 15 febbraio 2007, n. 3470, in Mass. Giust. civ., 2007, 6). Ed ancora: “Tale rilevanza quantitativa e qualitativa dell'atto di disposizione deve essere provata dal creditore che agisce in revocatoria, mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore” (Cassazione Civile, sez. III, 29 marzo 2007, n. 7767 in Mass. Giust. civ., 2007, 3). “Il pregiudizio, per il creditore, infatti, si realizza anche nel caso di trasferimento dei beni del debitore al giusto prezzo; in quanto sostituisce beni facilmente aggredibili con attività finanziarie suscettibili di essere sottratte alla esecuzione” (Cassazione Civle, sez. I, 17 aprile 2007. N. 9134, in Guida al diritto, 2007, 25, 48). Lo stato di forte indebitamento e l’incapienza del patrimonio del debitore sono invece indici della sua consapevolezza circa il pregiudizio arrecato al creditore attraverso l’alienazione del bene. Va inoltre ricordato che, in ipotesi di alienazione a titolo oneroso, non è necessario, per il creditore, ai fini della revocatoria ex art. 2901 c.c., dimostrare la collusione tra le parti del contratto, ma è sufficiente provare, anche attraverso presunzioni, la consapevolezza dell’acquirente della “pericolosità dell'atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione” sui beni del venditore‐debitore (così Cassazione Civile, sez. III, 9 marzo 2006, n. 5105, in Mass. Giust. civ., 2006, 3; Cassazione Civile, sez. III, 21 aprile 2006, n. 9367, in Mass. Giust. civ., 2006, 4; Cassazione Civile, sez. II, 18 gennaio 2007, n. 1068, in Mass. Giust. civ., 2007, 1). La giurisprudenza riconosce, inoltre, specifico valore probatorio al grado di parentela tra le parti del contratto, al fine di dimostrare, quanto meno per presunzioni, la consapevolezza, da parte del terzo acquirente, del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori (Cassazione civile, sez. II, 11 febrbaio 2005, n. 2748, in Mass. Giust. civ., 2005, 2). Sul punto, in una recente pronuncia, la Suprema Corte ha precisato che: “In tema di azione revocatoria ordinaria, la consapevolezza dell'evento dannoso da parte del terzo contraente, prevista quale condizione dell'azione dall'art. 2901, comma 1 n. 2, prima ipotesi, c.c., consiste nella conoscenza generica del pregiudizio che l'atto di disposizione posto in essere dal debitore, diminuendo la garanzia patrimoniale, può arrecare alle ragioni dei creditori, e la relativa prova può essere fornita anche a mezzo di presunzioni. Nel caso di vendita contestuale in favore di un terzo di una pluralità di beni del debitore, ovvero di vendita dell'unico bene immobile di proprietà del debitore, l'esistenza e la consapevolezza del debitore e del terzo acquirente del pregiudizio patrimoniale che tali atti recano alle ragioni del creditore, ai fini dell'esercizio da parte di questi dell'azione pauliana, possono ritenersi "in re ipsa": in questo caso, incombe sul debitore, e non sul creditore, l'onere probatorio di dimostrare che il proprio patrimonio residuo sia sufficiente a soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Cassazione Civile, sez. II, 27 marzo 2007, n. 7505, in Mass. Giust. civ., 2007, 3). Non solo, quindi, è ammissibile la prova della partecipatio fraudis del terzo acquirente attraverso presunzioni, ma, nel caso di alienazione dell’unico cespite aggredibile da parte del debitore, la consapevolezza del terzo del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore deve ritenersi in re ipsa. Redazione Diritto Bancario