Contratto preliminare e comunione legale dei beni

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Contratto preliminare e comunione legale dei beni
LEGALE
Contratto preliminare
e comunione legale dei beni
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Gabriele Mercanti
Continua il cammino attraverso l’analisi delle più frequenti
problematiche giuridico-operative attinenti alla figura del contratto
preliminare. Proprio per la volontà di rendere maggiormente proficuo
questo percorso argomentativo comune a chi scrive e a chi legge, il
lettore non esiti ad esternare i propri dubbi attraverso la redazione della
Rivista ovvero il sito internet www.avvocatogabrielemercanti.it.
C
enni sulla comunione
legale dei beni.
La comunione legale dei beni è il regime giuridico che, in assenza di diversa
convenzione tra marito e moglie, disciplina i rapporti patrimoniali tra i medesimi intercorrenti1.
Esso consta di una serie di
regole il cui il principio ispiratore dovrebbe essere quello
di garantire una piena e paritaria partecipazione tra i coniugi in ordine alle ricchezze
patrimoniali accumulate durante il matrimonio2. Questa
compartecipazione coniugale si realizza – emblematicamente – nelle due fasi cruciali di ogni vicenda patrimoniale: in quella dell’“ingresso”
del bene e/o del diritto nella
comunione legale dei beni
ed in quella della sua “uscita”
mediante il compimento un
atto di amministrazione del
patrimonio3.
Per quanto attiene all’ingresso, l’art. 177 primo comma
lettera a) c.c. stabilisce, tra
l’altro, che “Costituiscono oggetto
della comunione […] gli acquisti
compiuti dai due coniugi insieme o
separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi
ai beni personali”4.
Per quanto attiene all’uscita
mediante il compimento di
un atto di amministrazione
del patrimonio, da un lato abbiamo l’art. 180 c.c. in forza del
quale “Il compimento degli atti
eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti
con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e
la rappresentanza in giudizio per le
relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi”5,
dall’altro vi è la previsione di
cui all’art. 184 c.c. in base alla
quale “Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso
dell’altro coniuge e da questo non
convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili”.
Ciò premesso, ove entrambi i
coniugi sottoscrivano il contratto preliminare (nella qualità di promittenti venditori o
di promissari acquirenti) non
nascono particolari questioni
interpretative: essendo il vincolo contrattuale sottoscritto
da entrambi i soggetti, non
occorre “scomodare” il particolare regime legislativo
della comunione legale ed il
contratto sarà pienamente
vincolante verso entrambi.
Il discorso, invece, muta ove
la promessa di vendita o di
acquisto venga sottoscritta
da un solo coniuge6, perché le
speciali regole in tema di rapporti coniugali potrebbero in
qualche modo incidere
sull’intera vicenda contrattuale.
Preliminare di vendita concluso
da un solo coniuge.
Può accadere nella contrattazione immobiliare che un coniuge singolarmente prometta di vendere a terzi un
bene non di sua esclusiva
proprietà bensì facente parte
della comunione legale, il
tutto in violazione della sopra
esposta norma che richiede il
consenso congiunto di entrambi.
La Giurisprudenza non ha assunto una posizione univoca
IL GEOMETRA BRESCIANO 2015/2 - 41
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per determinare le conseguenze giuridiche di una simile condotta, infatti sono
state sostenute fondamentalmente tre opzioni ricostruttive.
Secondo una tesi più rigorosa (ma nettamente minoritaria)7, il contratto sarebbe inefficace nei confronti della
comunione legale perché –
ragionando diversamente – si
consentirebbe ad un singolo
coniuge di disporre potenzialmente dell’intero bene,
con evidente danno per
l’altro coniuge che non ha prestato consenso di sorta. Logica conseguenza di questa
impostazione è che al promissario acquirente non competa mai l’esercizio dell’azione giudiziale per ottenere
una sentenza traslativa della
proprietà8, ma solo ed esclusivamente il risarcimento
danni contro il promittente
venditore. Questa ricostruzione ha l’indubbio merito di
garantire al massimo la posizione del coniuge non contraente il quale non correrà mai
il rischio di vedersi coinvolto
in una vicenda legale e/o processuale riguardante un bene
della comunione oggetto di
un contratto in relazione al
quale questi non ha espresso
consenso di sorta; è altrettanto vero, però, che si tratta
di una ricostruzione non perfettamente aderente al dato
normativo, in quanto il sopra
citato art. 184 c.c. sancisce
l’annullabilità della fattispecie e non la sua inefficacia9.
Secondo altra tesi10, il contratto è annullabile ai sensi
del sopra citato art. 184 c.c., in
quanto atto certamente qua42 - IL GEOMETRA BRESCIANO 2015/2
lificabile di straordinaria amministrazione compiuto
senza il necessario consenso
di un coniuge. Per atto di straordinaria amministrazione,
infatti, deve intendersi non
solo l’atto diretto di disposizione di un bene, ma anche
l’atto che – potenzialmente –
può andare ad incidere sulla
consistenza del patrimonio
coniugale. Tuttavia, pur trattandosi di un atto che è pienamente produttivo di effetti
fino a che non sia stata giudizialmente pronunciato l’annullamento, in base a tale orientamento non competerebbe al promissario acquirente l’esercizio dell’azione
giudiziale per ottenere una
sentenza traslativa della proprietà (né dell’intero né della
quota), ma solo un’azione risarcitoria danni contro il promittente venditore. Il motivo
di tale preclusione per il promissario acquirente deriva
dal fatto che, ove così non
fosse, al singolo coniuge contraente sarebbe di fatto consentito di disporre dell’intero
bene.
Secondo il più recente trend
giurisprudenziale11, invece,
il contratto è sì annullabile ai
sensi del sopra citato art. 184
c.c., ma al promissario acquirente non è affatto precluso
l’esercizio dell’azione giudiziale per ottenere una sentenza traslativa della proprietà. Nel momento in cui,
infatti, il Legislatore sancisce
la mera annullabilità del contratto concluso singolarmente
da un coniuge, implicitamente ammette eccome che
l’atto possa incidere sull’intero bene in quanto: a) per
regola generale il contratto
annullabile è pienamente
produttivo di effetti sino a
Sentenza che ne accerti il
vizio; b) il coniuge non contraente potrebbe rinunciare ad
esercitare l’azione di annullabilità; c) il coniuge non contraente potrebbe semplicemente non esercitare l’azione
nel termine prescrizionale.
Tali indici argomentativi starebbero a significare, dunque,
che il contratto concluso da
un solo coniuge può per definizione coinvolgere l’intero
bene ed, anzi, tale coinvolgimento sarebbe la conseguenza fisiologica e necessitata nel caso in cui il coniuge
non contraente omettesse di
agire giudizialmente per far
valere i suoi diritti contro la
condotta abusiva dell’altro
coniuge entro il ridotto termine prescrizionale previsto
dalla Legge12.
Una volta ammessa, come
detto sulla base di quest’ultima interpretazione, l’esercizio dell’azione coattiva del
trasferimento da parte del
promissario acquirente è,
poi, dibattuto quale sia il
ruolo processuale del coniuge non contraente: in termini strettamente pratici, ci si
chiede se il promissario acquirente debba citare in giudizio solo il coniuge che ha
sottoscritto il contratto o se,
invece, debba comunque agire anche nei confronti
dell’altro coniuge non formalmente contraente.
Per alcune pronunce13 non è
obbligatorio – ma solo opportuno al fine di evitare future
contestazioni – coinvolgere
nel giudizio anche il coniuge
non firmatario del contratto.
Per altre (ormai prevalenti)14
il coniuge non contraente, invece, sarebbe una controparte necessaria del giudizio,
con evidenti riflessi di inopponibilità del giudicato
contro il coniuge non citato in
giudizio.
Preliminare di acquisto concluso
da un solo coniuge.
Nella prassi contrattuale può,
altresì, capitare il caso speculare a quello trattato nel paragrafo precedente e cioè che
un solo coniuge prometta di
acquistare un determinato
cespite, il tutto in violazione
della sopra esposta norma
che richiede il consenso congiunto di entrambi per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione.
Al riguardo, può porsi il
dubbio in ordine all’applicabilità o meno dell’acquisto
automatico in capo al coniuge
non contraente dei diritti nascenti dal contratto preliminare (uno su tutti quello di
pretendere il trasferimento
della proprietà): dubbio che
può sorgere, in quanto l’art.
177 1° comma lettera a) c.c. già
citato prevede l’assoggettamento al regime della comunione per tutti gli acquisti
compiuti anche separatamente dei coniugi. Ebbene il
quesito di fondo è il seguente:
il diritto che sorge in capo al
sottoscrittore promissario acquirente è tecnicamente un
acquisto?
La Giurisprudenza formatasi
sul punto lo esclude tassativamente, affermando che il
sistema del c.d. coacquisto
riguarda beni e/o diritti, ma
giammai il meccanismo contrattuale in forza del quale i
beni e/o diritti sono acquisiti
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nel patrimonio 15 . Questo
concretamente significa che
tutte le azioni attive e passive
connesse alla conclusione
del contratto preliminare
sono esercitabili esclusivamente dal o nei confronti del
solo coniuge contraente,
perché fino al vero e proprio
acquisto del bene (attraverso
il rogito notarile o la sentenza
traslativa della proprietà) il
coniuge non contraente non
diventa titolare di diritti e
prerogative relative al bene
medesimo.
Mutamento di regime.
Il regime della comunione legale non è immutabile, dato
che la Legge prevede una
serie di ipotesi che ne provocano lo scioglimento con conseguente instaurazione automatica del regime della separazione dei beni16.
Potrebbe ben, allora, accadere che i coniugi si trovino in
regime di comunione legale
al momento del perfezionamento del preliminare, ma
che non lo siano più al momento della conclusione del
contratto definitivo.
Per collegarci a quanto detto
nei precedenti paragrafi 2 e 3,
si possono presentare allora
le seguenti possibilità:
• coniugi in comunione legale dei beni che abbiano
entrambi promesso di vendere, ma che al momento
del rogito siano in separazione dei beni: fondamentalmente nulla muta, in
quanto lo scioglimento
della comunione dei beni
non ha determinato la cessazione dei vincoli contrattuali dai medesimi assunti
(cambierà, invece, la desti-
nazione del prezzo ricavato
dalla vendita, la cui metà
sarà di esclusiva spettanza
di ciascun coniuge);
• coniugi in comunione legale dei beni ove uno solo
abbia promesso di vendere, ma che al momento
del rogito siano in separazione dei beni: poiché si è
verificata la fuoriuscita del
bene dal regime della comunione legale per entrare
in quello della comunione
ordinaria, il promissario acquirente non può agire per
ottenere una sentenza traslativa della proprietà
poiché – essendo venuto
meno lo “speciale” regime
della comunione legale dei
beni – ritornano ad applicarsi le “normali” regole
della comunione ordinaria
in base alle quali la quota
del comproprietario non
contraente non può mai essere trasferita senza la di lui
volontà17;
• coniugi in comunione legale dei beni che abbiano
entrambi promesso di ac-
quistare, ma che al momento del rogito siano in
separazione dei beni: fondamentalmente nulla
muta, in quanto lo scioglimento della comunione
dei beni non ha determinato la cessazione dei vincoli contrattuali dai medesimi assunti (cambierà, invece, il regime giuridico del
bene acquistato che sarà
non più di comunione legale, bensì di comunione
ordinaria);
• coniugi in comunione le-
Nuova “vita” per il prestito vitalizio ipotecario?1.
Ancorché praticamente sconosciuto alla prassi finanziaria italiana, il prestito vitalizio ipotecario è stato introdotto nel nostro ordinamento nel lontano 2005 in forza dell’art. 11- quaterdecies della Legge n. 248/2005.
Esso veniva introdotto con lo scopo di finanziare le persone fisiche con età superiore ad anni sessantacinque
le quali avessero la disponibilità di un immobile ad uso abitativo da concedere in garanzia ipotecaria al finanziatore. Come noto l’età avanzata del soggetto finanziato è spesso elemento ostativo alla concessione di un
finanziamento, in quanto, essendo presumibile che il soggetto muoia prima di aver restituito l’intero prestito,
l’Istituto di Credito potrebbe trovarsi nella sgradita situazione di dover vantare il suo credito avverso gli eredi
del defunto con tutte le incognite del caso (indentificazione soggettiva, solvibilità, contenziosi ereditari ecc.). La
particolarità dell’operazione risiedeva nel fatto che il finanziato non era tenuto ad effettuare un rimborso rateale del prestito in base ad un piano di ammortamento (come avviene nei normali finanziamenti ipotecari), ma
che fossero i di lui eredi, una volta aperta la successione, a decidere il da farsi: cedere l’immobile al finanziatore o rimborsare il prestito?
Ciò detto in estrema sintesi, il nuovo testo di Legge – in attesa di pubblicazione in G.U. e di regolamento
attuativo da parte del Ministero dello Sviluppo Economico – dovrebbe incentivare la diffusione dell’istituto in
quanto:
a. È stata abbassata l’età minima del finanziando da 65 a 60 anni;
b. Sono stati previsti nuovi eventi che possono condurre al rimborso integrale del debito in un’unica soluzione
(morte del soggetto finanziato; trasferimento in tutto o in parte della proprietà o di altri diritti reali o di godimento sull’immobile dato in garanzia; compimento di atti che ne riducano significativamente il valore,
inclusa la costituzione di diritti reali di garanzia a favore di terzi che vadano a gravare sull’immobile) nonché
i poteri dell’Istituto di Credito ove il prestito non venga rimborsato entro dodici mesi dall’evento che ha
determinato l’obbligo di restituzione;
c. È stato esplicitata l’assimilazione fiscale con le operazioni di credito a medio o lungo termine, con la conseguente possibilità di optare di versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte ordinarie.
1 Mentre era imminente la stampa del presente numero della Rivista, il sempre attento Direttore Bruno Bossini mi faceva
notare che in data 19 marzo 2015 il Senato aveva approvato definitivamente il Disegno di Legge n. 1564, ora in attesa di
pubblicazione in G.U. Tale Legge, relativa alla figura del prestito vitalizio ipotecario, ha modificato l’attuale 11 - quaterdecies
comma 12, della Legge n. 248/2005 aggiungendo alla stessa i commi da 12 - bis a 12 – sexies. Nonostante i tempi tecnici
della stampa non abbiano consentito uno studio più organico della materia, in questa sede verrano effettuati solo brevi cenni,
con l’impegno di tornare a breve sull’argomento.
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gale dei beni ove uno solo
abbia promesso di acquistare, ma che al momento
del rogito siano in separazione dei beni: essendo
cessato il regime di comunione legale dei beni, il
bene acquistato con il contratto definitivo sarà di esclusiva spettanza del singolo coniuge, diventando la
vicenda del tutto irrilevante
per l’altro coniuge.
Conclusioni
Stante il fortissimo collegamento giuridico-patrimoniale che il regime di comunione legale dei beni crea tra
le vicende contrattuali dei
coniugi, è buona regola operativa del terzo contraente
nonché doverosa prassi per il
professionista chiamato a
prestare la propria attività in
sede di contrattazione preliminare accertare preventivamente il regime patrimoniale
della controparte onde evitare possibili intoppi nel percorso che porta al rogito.
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Ove da detto accertamento
preventivo risulti la vigenza
del regime della comunione
legale dei beni, è fortemente
consigliabile – nonostante sia
detto comune “tra moglie e marito non mettere il dito” – pretendere che il contratto sia sottoscritto da ambo i coniugi. T
Note
1 Si deve ricordare che il regime della
comunione dei beni è, a far tempo dall'entrata in vigore della Legge n. 151/1975 (cioè
dal 15 settembre 1975 fatta eccezione per
una serie di norme transitorie che ne
hanno dilatato l'entrata in vigore per le
coppie già coniugate a tale data), il regime
"legale" nel senso che esso opera in assenza di diversa convenzione matrimoniale tra i coniugi. Detto regime si può evincere dalle pubbliche certificazioni anagrafiche: nello specifico dall'estratto per
riassunto dall'atto di matrimonio, al cui rilascio è competente l'Ufficio Anagrafe del
Comune del luogo in cui i coniugi si sono
sposati, ove dallo stesso risulti la dicitura
“nessuna annotazione”.
2 Ancorchè non vi sia unità di vedute tra
gli studiosi della materia, è frequente l'affermazione che il fulcro ispiratore del regime di comunione legale sia l'art. 29 della
Costituzione in base al quale “Il matrimonio
è ordinato sul'eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia
dell'unità familiare”.
3 La precisazione sul presupposto
dell'“uscita” costituito dal compimento di
un atto di amministrazione del patrimonio
non è superflua, in quanto la cessazione
della sussistenza del regime di comunione legale su determinati beni può essere anche la conseguenza dello scioglimento della comunione in sé, con conseguente assoggettamento dei medesimi al
regime della comunione ordinaria.
4 Per mera completezza ricostruttiva si
ricordi che l’art. 179 c.c. indica quali beni
personali: “a) i beni di cui prima del matrimonio,
JMDPOJVHFFSBQSPQSJFUBSJPÞPSJTQFUUPBJRVBMJFSBUJUPMBSFEJVOÞEJSJUUPSFBMFEJHPEJNFOUPC
JCFOJBDquisiti successivamente al matrimonio per effetto
EJÞEPOB[JPOFÞPÞTVDDFTTJPOFÞRVBOEPOFMMBUUPEJMJCFralità o nel testamento non è specificato che essi sono
attribuiti alla comunione; c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori; d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla condu[JPOFEJVOBÞB[JFOEBGBDFOUFQBSUFEFMMBDPNVOJPOF
F
JCFOJPUUFOVUJBUJUPMPEJÞSJTBSDJNFOUPEFM
EBOOPÞOPODI½MBQFOTJPOFBUUJOFOUFBMMBQFSEJUB
parziale o totale della capacità lavorativa; f) i beni
acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni
personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò
sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto”.
5 Diamo per presupposto in questa
sede che la conclusione di un contratto
preliminare immobiliare (di vendita o di
acquisto) sia di per sé atto di straordinaria
amministrazione e, quindi, non si ponga –
per definizione – la possibilità dell'amministrazione a firma disgiunta che è dalla
Legge consentita per i soli atti di ordinaria
amministrazione.
6 Il caso del coniuge contraente in via
esclusiva presuppone che questi non esteriorizzi al terzo il suo potere limitato,
ponendosi nei confronti della controparte
– al contrario – quale unico promittente
venditore ovvero quale unico promissario
acquirente. Diverso è, invece, il caso (e-
spressamente previsto dall'art. 1381 c.c.)
in cui in soggetto (cioè un coniuge) promette il c.d. “atto del terzo” e cioè che un
altro soggetto (cioè l'altro coniuge) effettui
una determinata prestazione: in quest'ultima ipotesi, infatti, il contratto sarebbe
certamente non vincolante per il terzo non
sottoscrittore (cioè il coniuge ingnaro), ma
altrettanto certa sarebbe la responsabilità
indennitaria del promittente il fatto altrui.
7 Cfr. Tribunale Catania 29.07.1986.
8 In spregio a qualsiasi galateo istituzionale, mi permetto di rinviare a quanto già
scritto su questa rivista (cfr. “Contratto
Preliminare e tutele legali connesse”, n.
1/2015 pg. 43 ss.) per definire sommariamente il concetto di esecuzione in forma
specifica: “Rimedio particolarmente utile per la
parte diligente è l'esperimento dell'azione giudiziale
di esecuzione in forma specifica, in forza della quale
il Giudice emette una Sentenza produttiva degli
effetti del contratto non concluso: nella sostanza, la
mancanza del consenso di un contraente viene
surrogata da un Provvedimento giudiziale”.
9 Senza volersi qui addentrare nei classici esercizi cervellotici da azzeccagarbugli
di Manzoniana memoria, la distinzione
basilare tra inefficacia ed annullabilità sta
nel fatto che il contratto inefficace è improduttivo di effetti fino a rimozione della
causa stessa di inefficacia, mentre il contratto annullabile è valido fino a sentenza
che ne accerti l'annullamento.
10 Cfr. Cass. n. 7.481/1994.
11 Cfr. Cass. n. 12.923/2012.
12 Cfr. art. 184 secondo comma c.c.: “L’
azione può essere proposta dal coniuge il cui consenso era necessario entro un anno dalla data in cui
ha avuto conoscenza dell’ atto e in ogni caso entro
un anno dalla data di trascrizione. Se l’ atto non sia
stato trascritto e quando il coniuge non ne abbia avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione l’azione non può essere proposta oltre
l’anno dallo scioglimento stesso”.
13 Cfr. Cass. n. 20.867/2007.
14 Cfr. Cass. Sez. Unite n. 17.952/2007 che
ha composto il dissidio giurisprudenziale
esistente.
15 Cfr. Cass. n. 17.216/2003.
16 Naturalmente tale mutamento di regime si verifica ove si tratti di ipotesi di
scioglimento della comunione legale che
al tempo stesso non abbiano determinato
anche la cessazione dello stato di coniugio
(si pensi alla decesso di un coniuge o al
divorzio), perché in tali casi, altrimenti,
non esisterà più nemmeno un regime
matrimoniale.
17 Può essere, invece, opinabile se al
promissario acquirente competa il diritto
di ottenere il trasferimento coattivo della
quota di un mezzo del coniuge contraente.
La risposta non può essere univoca, in
quanto è da accertarsi in concreto se la
volontà del promittente sia “scomponibile” (il preliminare era una sommatoria di
quote) o se sia “inscindibile” (il preliminare era un blocco unitario): nel primo caso
il trasferimento coattivo sarebbe ipotizzabile, nel secondo no.
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