Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Acclamato in Italia fin dagli anni di My beautiful Laundrette, divenuto celebre con Le
relazioni pericolose, Frears è abituato a navigare tra generi diversi ma non rinunncia
mai a un tocco di brillantezza, qui più evidente che mai in un film che racconta i
meravigliosi effetti di una vita beatamente menzognera.
scheda tecnica
un film di Stephen Frears, con: Meryl Streep, Hugh Grant, Simon Helberg, Rebecca
Ferguson, Nina Arianda, John Kavanagh, David Haig, Christian McKay, Mark Arnold,
sceneggiatura: Nicholas Martin; montaggio: Valerio Bonelli; Gran Bretagna 2016,
111’. Qwerty Films, Pathé, BBC Films, Distribuzione: Lucky Red.
premi e nomination
Oscar 2017, 2 nomination: Miglior attrice a Meryl Streep, Migliori costumi a
Consolata Boyle; David di Donatello 2017, Miglior film dell'Unione Europea; Golden
Globes 2017, 3 Nomination: Miglior attore non protagonista a Simon Helberg,
Miglior film brillante, Miglior attore in un film brillante a Hugh Grant, Miglior attrice
in un film brillante a Meryl Streep; BAFTA - British Academy of Film and Television
Art 2017, Miglior trucco a Stephen Rose, 3 nomination: Miglior attrice a Meryl
Streep, Miglior attore non protagonista a Hugh Grant, Migliori costumi, Miglior
trucco.
Stephen Frears
Dopo il diploma al Gresham's School, si iscrive a giurisprudenza ad Trinity College
dell'università di Cambridge, ma abbandona presto gli studi per dedicarsi al teatro.
Dopo numerose esperienze sul palcoscenico in veste di regista, passa alla direzione
di alcuni lavori per la televisione. Nello stesso periodo è anche assistente del ceco
Karol Reisz e di Lindsay Anderson, grazie ai quali impara i trucchi del mestiere di
regista cinematografico. Il debutto nel lungometraggio avviene nel 1972 con la
commedia noir Gumshoe, seguita poi da una ricca galleria di lavori per la tv. Con
Vendetta (1984) ritorna al cinema, ottendendo un discreto successo di pubblico ma
un apprezzamento pressocchè totale dalla critica che vede, già allora, il suo talento
nel rappresentare pregi e difetti dell'era thatcheriana.
Con My Beautiful Laundrette (1985) raggiunge la notorietà, raccontando la storia
d'amore tra un pakistano e un bianco inglese razzista. L'intelligenza registica di
Frears mette in luce la bravura degli attori, Daniel Day-Lewis su tutti, e costruisce
una storia apparentemente semplice ma ricca di sfaccettature illuminanti
sull'integrazione culturale inglese. Seguono Prick Up - L'importanza di essere Joe
(1987) e Sammy e Rosie vanno a letto (1987).
Anche Hollywood punta gli occhi sul regista e lo chiama per dirigere la trasposizione
cinematografica del romanzo Le relazioni pericolose di Pierre Choderlos de Laclos. Il
cast eccezionale (Michelle Pfeiffer, John Malkovich e Glenn Close) e l'eleganza dello
stile registico ne fanno un piccolo gioiello della storia del cinema mondiale. Rimane
negli Stati Uniti a girare Rischiose abitudini (1990), per il quale riceve la candidatura
all'Oscar come migliore regista. Poco dopo ottiene un grande successo di pubblico
con Eroe per caso (1992), seguito da The Snapper (1993) e da Mary Reilly (1996), con
Julia Roberts e John Malkovich.
Ha meno fortuna con il western The Hi-Lo Country (1998) e la commedia Due sulla
strada (1996). Ma riprende subito dopo la vecchia vena creativa con Alta fedeltà
(2000), tratto dall'omonimo romanzo di Nick Hornby, e Liam (2000), ambientato
durante gli anni Trenta in Irlanda, sotto la pressione di un cattolicesimo fervente.
Seguono il delizioso noir Piccoli affari sporchi (2002), Lady Henderson presenta
(2005) e il dissacrante The Queen (2006) sulla reazione di Elisabetta II alla morte
della principessa Diana.
Nel 2009 si dedica alla realizzazione di Chéri, dramma in costume, ambientato nella
Parigi cortigiana di inizio Novecento. Nel 2010 firma Tamara Drewe - Tradimenti
all'inglese, commedia romantica interpretata da Gemma Arterton e nel 2012 la
commedia Una ragazza a Las Vegas. Ma sarà il drammatico Philomena (2013), a
regalargli riconoscimenti in tutto il mondo.
Il 2015 è invece l'anno di The Program, che racconta l'imbroglio sportivo del ciclista
Lance Armstrong, che nel film ha il volto di Ben Foster, mentre nel 2016 gira con
Meryl Streep Florence.
La parola ai protagonisti
Intervista ai protagonisti
Meryl Streep
Come si fa a cantare male? È difficile come farlo bene per chi è stonato?
Ho ascoltato le registrazioni, che si trovano anche su YouTube: nel suo canto non
c'erano solo stecche, ma anche un vero entusiasmo, uno zelo genuino, un costante
desiderio. Non era proprio pessima, era un soprano di coloritura che beccava quasi
sempre la nota: su quelle alte, anche le più difficili, non aveva grandi problemi, ma
su quelle basse sbrodolava. Non se ne accorgeva, continuava per la sua strada:
questi inciampi producevano un effetto irresistibile, la gente non riusciva a smettere
di ridere. E lei era felice di spargere gioia e divertimento. Spargeva anche fiori sul
pubblico. Con troppa generosità: una volta che le rose erano finite le andò a
riprendere in sala per lanciarle di nuovo sugli spettatori. Una scena impagabile, una
perfetta combinazione di cattivo gusto e delizia.
L'America un po' ingenua e provinciale che non aveva ancora perso la sua innocenza,
si potrebbe dire.
Tutta questa innocenza nella storia americana non l'ho mai vista. C'è sempre stata la
crudeltà: contro i nativi, contro le donne, contro i neri. E quello di Florence non era
un pubblico sprovveduto, ma sofisticato ed eventualmente camp, con quel
deliberato spostamento dei gusti artistici verso il kitsch. Il film cattura molto bene
questo atteggiamento, nuovo per l'epoca, quando i fan incitano Florence a dare il
peggio, dichiarando che l'adorano. È anche un po' quella morbosità di quando ti
fermi per guardare un incidente. Ma non poteva essere solo perfidia: nessun
spettatore regge uno strazio di due ore solo per divertirsi alle spalle dell'artista
Un film sulla mediocrità, quindi?
La mediocrità è il seme da cui germoglia lo humour, ma questo è un film sulla
devozione. Sull'amore dilettantesco per la musica di Florence, con tutto il cattivo
gusto che il dilettantismo comporta. Sulla venerazione di St. Clair per Florence e
anche sull'impegno di Cosme, il pianista accompagnatore che all'inizio affronta
l'impresa con un inevitabile cinismo, ma poi ci si butta con passione. Oltre che
pianista, Cosme era un sollevatore di pesi; abbiamo trovato una sua vecchia foto
meravigliosa scattata durante un torneo di culturismo: lui era giudice di gara e il
concorrente Arnold Schwarzenegger lo sollevava come un bilanciere.
Lei sembra avere una profonda venerazione per il personaggio di Florence, è così?
Per costruirlo, ho pensato a mia madre: Florence dispensa divertimento e allegria e
anche mia madre era così, quando entrava in una stanza la accendeva come una
lampadina, tirava su l'umore a tutti. Era una missione di vita che si era data e che
voleva passare anche a me. Una volta mi disse: "Meryl tu puoi decidere di essere
felice". Il guaio è che io ho preso da mio padre, un tipo molto più melanconico.
Hugh Grant
Il suo personaggio, questa volta, non è proprio il protagonista di un amore
romantico…
In lui coesistono altruismo ed egoismo, visto che approfitta della situazione. Mi sono
chiesto se amasse veramente la moglie e alla fine mi sono detto di sì: credo sia
possibile che in una relazione s’intreccino entrambi questi sentimenti.
Bayfield conduce una doppia vita. Secondo lei è un esempio da seguire?
È vero, ha pure una “fidanzata” che ama intensamente, anche se in modo diverso. E
penso che il film spieghi bene le sue motivazioni. Per quanto mi riguarda non me la
sento di dare giudizi: è un argomento troppo complesso.
Nasconderebbe alla sua compagna una verità scomoda, come fa Bayfield con
Florence illudendola sulla sua terribile voce?
Sì, io farei lo stesso. Personalmente non credo alla verità, penso sia meglio mentire il
più possibile (ride). E ne sono convinto specialmente quando le persone vogliono
dirmi cosa pensano della mia performance in un film…
Ha problemi a giudicarsi quando si rivede sullo schermo?
Hanno scritto che odio i miei film, ma non è vero: sono grandiosi, l’unica nota
stonata sono io. Ogni tanto mi capita, cambiando canale, di vedermi per caso in tv.
Non penso mai “ecco un bravo attore”. Molto più spesso mi dico “hai rovinato tutto”.
È la stessa cosa che provavo con la mia segreteria telefonica.
Cioè?
Ha presente quando si risente la propria voce registrata e la si odia? Rivedermi causa
quella sensazione moltiplicata per cento. All’inizio della mia carriera ero veramente
orribile. Poi impari qualche trucco e acquisti sicurezza.
Recensioni
Emiliano Morreale. L'Espresso
La vera storia di Florence Foster Jenkins, ereditiera newyorchese, aveva già ispirato
alla lontana un paio d’anni fa il francese Marguerite di Xavier Giannoli. Ed è curioso
che il cinema non ci avesse pensato anche prima, a raccontarla: miliardaria con
ambizioni di cantante, Florence era orribilmente stonata, ma tutto il mondo (critici,
musicisti, bel mondo) la assecondava per interesse.
Le sue incisioni sono diventate nei decenni oggetto di culto trash. Il film di Frears fa
miglior uso della storia di quello francese, e ne ricava soprattutto un piacevole
veicolo per il virtuosismo di Meryl Streep.[…] Florence è anzitutto un film d’attori,
divertiti e divertenti, in ruoli facili e rodati, sul filo dell’autoparodia e oltre. Hugh
Grant mantiene un contegno davanti alle catastrofi canore della moglie: alza le
sopracciglia, guarda furtivo di lato, strabuzza gli occhi e sorride ammiccante. Lui e
Simon Helberg (molto simpatico, nella macchietta del giovane pianista gay
tormentato che accompagna Florence) fanno da sponda nei controcampi, guidando
lo spettatore. Ma non ce ne sarebbe nemmeno bisogno, tanto è gigantesca Meryl
Streep, che lambisce il grottesco e il patetico, e sembra divertirsi a stuzzicare lo
spettatore. Trema, stringe in pugno fazzoletti, ruota la testa, tiene gli occhi bassi,
chiede approvazione guardandosi intorno o sorridendo in modo disarmante. E canta
davvero lei, cimentandosi nell’arte della perfetta stonatura.
Daniele Cassandro. Internazionale
[…] Florence è un film a due facce. Uno spettatore poco interessato ai cortocircuiti
estetici e alla storia del gusto ci vedrà una graziosa commedia agrodolce su
un’attempata signora che si illude e, per amore viene illusa dal marito, di essere una
grande cantante lirica. Uno spettatore più scaltrito e assetato di metadiscorsi ci
troverà una luminosa parabola sulla glorificazione postmoderna del trash. Quale
veicolo migliore per un trattato sul camp, sull’uso cioè consapevole e deliberato del
cattivo gusto, di un’ennesima, estrema prova attoriale di Meryl Streep? Cosa c’è di
più “meta” di prendere un mostro sacro come Streep, l’incarnazione della bravura, e
metterla a recitare il ruolo della madre di tutte le “cagne maledette”?
Florence Foster Jenkins era talmente stordita dal denaro e dal privilegio da credere
di essere un eccezionale soprano leggero. Le sue incisioni degli anni quaranta sono
ancora oggetto di culto: nessuna cantante ha mai osato stuprare Mozart, Delibes e
Strauss con tanta virulenza. Florence Foster Jenkins con la sua proterva mancanza di
talento è stata iconoclasta, eretica e blasfema come nessun altro. Si discute ancora
se lei se ne rendesse conto o no. Il film tiene giustamente i piedi in due staffe […].
In ogni caso, era a modo suo un’icona pop prima che il pop esistesse. Era nota per le
sue stravaganze, per i costumi assurdi che lei stessa confezionava per i suoi tableau
vivant, benissimo resi nel film di Stephen Frears. Florence era soprattutto una
generosa mecenate delle arti e i giornali newyorchesi parlavano bene di lei. Era più
complicato parlare bene di lei quando cantava, ma bastava chiudere le orecchie e,
nel caso, accettare con discrezione una bustarella.
La commedia di Frears è un triangolo, ma di tipo artistico più che amoroso. C’è
Florence, invasata di bel canto e di manie di grandezza, c’è il marito-manager Saint
Claire Bayfield (Hugh Grant) che l’ama teneramente pur mantenendo una doppia
vita e c’è il giovane maestro accompagnatore della divina, Cosmé McMoon (un
eccezionale Simon Helberg, sì quello di Big bang theory). La cosa più riuscita del film
è proprio il gioco di sguardi e di battute tra i tre. La faccia che fa McMoon il primo
giorno in cui accompagna Florence al piano e la sente finalmente cantare (succede a
venti minuti dall’inizio del film e l’attesa di sentire quella voce è alle stelle) è
indimenticabile [...].
Gabriele Niola. Badtaste.it
È uno sguardo stranissimo quello con il quale Stephen Frears si mette ad osservare
(e quindi mettere in scena) la storia di Florence Foster Jenkins […]. Il fascino di
questa donna è subito evidente, una mecenate al tempo stesso megalomane e
generosa, realmente appassionata ma anche realmente vittima di una società
accondiscendente per motivi venali[…] Frears ha già dimostrato di essere in grado di
conciliare le proprie idee fieramente laburiste con una grande ammirazione per la
regina in The Queen, qui sembra procedere sullo stesso binario con una gran voglia
di mettere in scena la parte migliore di un mondo che trabocca di menzogne. Arturo
Toscanini come il direttore della Metropolitan Opera, tutti vengono dalla signora
Jenkins a renderle omaggio per la sua voce e a chiedere un obolo per la propria
musica, anche il marito per interesse, Hugh Grant (anch’egli con velleità artistiche
che fatica a mettere da parte), non è troppo lontano da questa prospettiva […].
E' per questo che, con il passare dei minuti, Florence da film che racconta un fatto
strano e ridicolo, passa ad essere un film sulla malattia che è il recitare una parte, su
quanto fingere implichi una comprensione tale di ciò che si simula da finire per
provare realmente i sentimenti che dovrebbero essere finti.
In questo film dall’ironia così garbata che sarebbe potuto piacere alla stessa buona
società novecentesca che rappresenta, in cui non si fa economia di buoni sentimenti,
salvifiche prese di coscienza e colpi di scena sentimentali (il contenuto della borsa
che Florence porta sempre con sé rivela la consapevolezza della sua fragilità), c’è
anche il miglior racconto di un certo modo di guardare all’arte [...], uno sguardo
naive e ingenuo, rivolto più al passato che al presente, ma nondimeno sincero […].
Elisabetta Bartucca. Movieplayer.it
[…] Detesta gli oggetti appuntiti, adora i sandwich, le piace cantare - oh, se le piace,
rinuncerebbe "a un pezzo di pane piuttosto che a Mozart" - perché la musica per
Florence Foster Jenkins è comunione profonda.
Amica di Toscanini, grande appassionata di musica classica e intrattenitrice dell'elite
dei salotti newyorchesi, Florence è un personaggio realmente esistito, una ricca
ereditiera del '900 convinta di essere una cantante lirica di talento, anche se quella
che sentiva nella sua testa come una voce meravigliosa, in realtà risultava
terribilmente stridula e ridicola per chiunque l'ascoltasse.
Fu solo grazie al marito, l'inglese St. Clair Bayfield che cercò fino alla fine di
proteggerla dalla verità nascondendole accuratamente tutte le recensioni negative,
che Florence visse per anni una dolce illusione.
Oggi a riproporre sul grande schermo le performance canore della soprano stonata è
Meryl Streep, vera interprete di quella arte del buffo su cui un fine narratore come
Stephen Frears costruisce questo suo ennesimo ritratto di donna, Florence […].
Il regista britannico sceglie i toni del grottesco e della comicità agro-dolce per
restituire un'immagine della Jenkins che rimarrà scolpita a lungo negli occhi e nel
cuore del pubblico: il film ne svela le infinite sfumature umane, che permettono al
personaggio di conquistare un suo posto nel mondo evitando il rischio di fermarsi al
livello del pupazzo macchiettistico.
La narrazione scorre lieve per quasi due ore poggiando su una scrittura brillante
dotata di ritmo, equilibrio, una giusta dose di humour e tenerezza.
Una tenerezza infinita, la stessa di cui Florence è inconsapevole portatrice: una
donna bambina che non ha mai smesso di farsi sconvolgere dalla vita, buffa, ingenua
(chissà quanto, poi) e strenua sostenitrice dei propri sogni ("Qualcuno può dire che
non so cantare, ma nessuno potrà dire che non ho cantato", dirà).
Un'eroina romantica, l'ultima delle sognatrici, aiutata certo anche dai propri soldi, la
cui rocambolesca quanto assurda carriera diventa grazie al film di Frears una
rappresentazione singolare del potere delle illusioni e dei sogni.
Marzia Gandolfi. Mymovies.it
[...]Tutto era già stato detto su Florence Foster Jenkins in [...] Marguerite in cui il
regista, Xavier Giannoli, si prende qualche libertà rispetto al modello originale,
traslocando la storia nella Parigi degli anni Venti e cambiando i nomi ai personaggi.
Più fedele, l'adattamento di Stephen Frears restituisce alla protagonista il suo quadro
spazio-temporale, la New York degli anni Quaranta, recupera i nomi dei personaggi e
allega nei titoli di coda le foto della vera Florence Foster Jenkins, del suo consorte St.
Clair Bayfield e del suo pianista Cosmé McMoon. Diversi nelle intenzioni e nella
realizzazione, Marguerite e Florence condividono nel titolo e nello svolgimento una
donna che ha vissuto una vita fuori norma inseguendo la sua inclinazione fatale,
disastrosa e istrionica per l'arte lirica […]. Frears non si accontenta di realizzare un
biopic e prosegue la riflessione che aveva già avviato con Lady Henderson presenta,
dissertando di arte e del ruolo che giocano gli artisti (anche mediocri) nella società
[…]. Incarnata da Meryl Streep con gesto manierato e consolidato, Florence è una
sopravvissuta a un matrimonio combinato, a una malattia ereditata dall'ex consorte,
alla solitudine che la ghermisce nella camera da letto, alla perfetta incoscienza della
sua splendida voce falsa, ai tradimenti del nuovo compagno, l'aristocratico charmeur
interpretato da Hugh Grant, che trova un altro ruolo a misura del suo cambiamento
interrogandoci daccapo sulla longevità di un artista. Frears, alla maniera di St. Clair
Bayfield, protegge la sua eroina, 'corrompe' i critici e convince lo spettatore del
valore del suo canto. E poco importa se la nota non è quella giusta […]. Come Frears,
alla fine, ci scopriamo tutti innamorati di Florence […].