l`informatore brassicolo
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30 OTTOBRE 2015 “ NEWSLETTER N°02 L’INFORMATORE BRASSICOLO Newsletter a cura de “Il Forum Della Birra” Italian Grape Ale Cosa sono le Italian Grape Ale ma soprattutto come si possono fare in ambito casalingo brassiccolo ” DMS - Dimetilsolfuro Primo appuntamento sui difetti delle birre o meglio sugli “off flavour” che si possono riscontrare LACTOBACILLUS... FAI DA TE Un metodo semplice per selezionare e propagare una coltura di batteri lattici Ad Maiora!!! L’”hobby” della sanitizzazione Un’idea originale per un evento speciale Spendiamo più tempo a produrre o a ... Sanificare? Lieviti per Idromele Analizziamo quali lieviti possono essere utilizzati al fine di ottenere un prodotto consono alle nostre aspettative. COME SI FA’ UNA ITALIAN GRAPE ALE??? Di Antonio De Feo - Jigen_Daisuke Italian Grape Ale Categoria N°29 Fruit Beer, questa è la classificazione secondo il BJCP del 2015 riferito alla birra o meglio ad uno stile di birra che possa essere definito 100% made in Italy. Tempo ci è voluto ma alla fine un riconoscimento ci è stato dato pur avendo altre birre fatte con aggiunta di prodotti autoctoni e classificati anche come IGP, basta pensare alle castagne, alle mele, ai mirtilli o alla liquirizia. Basta pensare che anche l’industria della birra ha puntato su prodotti definiti “Regionali” per attirare la curiosità dei consumatori e farli sentire più patriottici... Ritorrnando alle Italian Grape Ale ci sono stati molti birrai professionisti che con la loro intraprendenza e voglia di fare prodotti “diversi” hanno utilizzato l’uva come componente principale cercando di valorizzarla al meglio nelle loro birre (Montegioco Tibir, Toccalmatto Jadis, LoveBeer BeerBera ecc.) oggi il BJCP (unico ente internazione bla bla bla) , questo loro duro lavoro di studio, analisi e ricerca ha portato ad ottimi risultati tali che queste birre possano essere riconosciute come birre Italiane. Vediamo ora come il BJCP ha descritto è definito questo stile: ESTRATTO DAL BJCP 2015 I mpressioni generali: Semplice e rinfrescante ma alcune volte più Pagina 01 complessa caratterizzata da diverse varietà di uva. contribuire ad aumentare la percezione di secchezza. Profumo: si devono sentire le caratteristiche aromatiche delle diverse uve utilizzate ma non deve coprire gli altri aromi. L’uva o il mosto devono essere piacevoli e ben bilanciati dal malto e dal luppolo che possono essere più o meno m a r c a t i. S i p o t r e b b e p e r c e p i r e quell’acidità o quei sentori tipici di un lambic come il wild, terroso ma non troppo intenso e nessun diacetile. Aspetto: il colore può variare da oro al marrone scuro. Il Rosso è di solito dato dall'uso di uve rosse. La chiarezza è generalmente buona, mapuò essere influenzata dall'uso di uva. Ingredienti: Pils o malto di base chiaro con alcune aggiunte (se presenti) di malti speciali. Si arriva ad utilizzare anche il 40% di uva o suoi derivati da usare in diverse fasi della birrificazione. Anche la fermentazione può essere data da lieviti neutri o che rilasciano diversi aromi anche speziati. Sapore: molto variabile a seconda dell’uva utilizzata. Si potrebbe avere sapori di frutta tropicale (pesca, albicocca, ananas) può provenire da uve bianche e sapori di frutta rossa (ad esempio, ciliegia, fragola) da vitigni a bacca rossa. Diversi tipi di malti speciali possono essere utilizzati, ma devono essere di supporto e devono amplificare gli aromi delle uve e non coprirli. Aromi legnosi tipo rovere ed una lieve acidità possono favorire la bevuta e possono essere dati dall’invecchiamento anche in botte. Sensazione al palato: medio-alta carbonatazione migliora la percezione dell'aroma. Il corpo è generalmente da basso a medio e alcuni acidità possono Come fare una IGA? Abbiamo appena visto quali sono le caratteristiche principali di questo stile ma in realtà non sappiamo come mettere in pratica questi consigli. Ci dice che può essere usato qualsiasi tipo di uva o suo derivato fino ad una concentrazione massima del 40%. Ovviamente questa “UVA” deve essere abbinata a dei malti sia base che speciali e che questi ultimi non devono andare in contrasto con l’uva utilizzata ma devono essere capaci di esaltarne al meglio le caratteristiche organolettiche. La stessa cosa va fatta per i luppoli e per il lievito. Nel BJCP ci sono tutte le indicazioni ma di certo non vi è una ricetta specifica. L’eccessiva varietà di uve presenti ed anche il tipo di forma o derivato che si va ad utilizzare può mandare in crisi l’homebrewer di turno che si vuole cimentare in questo stile. CURIOSITA: La cosa assurda è questa: La legge 82/2006 impedisce l'uso nella presentazione, etichetta, pubblicità i riferimenti a vino, uva, mosto di vino, etc... per prodotti non legati al vino; uno fra tutti: la birra. È incredibile che, anche dopo un riconoscimento internazionale così importante, come quello del BJCP, esistano nell'ordinamento italiano delle contraddizioni simili. Quindi abbiamo uno stile riconosciuto dal BJCP ma in casa nostra non la possiamo produrre (inteso come birrifico/beer firn) perché potremmo incorrere in sanzioni Se continuiamo a leggere nel BJCP ci sono dei paramentri che possono esserci di aiuto e questi sono i dati di OG e di IBU: Vital Statistics: OG: 1.043 – 1.090 IBUs: 10 – 30 FG: 1.007 – 1.015 SRM: 5 – 30 ABV: 4.8 – 10% Pagina 02 COME SI FA’ UNA ITALIAN GRAPE ALE??? Di Antonio De Feo - Jigen_Daisuke Anche questi sono molto variabili e possiamo avere birre con una OG ed una IBU molto bassa quasi come una Blanche oppure arrivare ad avere una OG di 1.090 con un grado alcolico del 10% ed una IBU relativamente bassa. LA IBU deve essere comunque bassa perché le IGA sono birre che devono avere poco corpo e l’acidità rilasciata dal mosto ne potrebbe aumentare la percezione. Ed ora? Siamo di nuovo al punto di partenza e non sappiamo ancora dove andare a parare per poter metter su una IGA ... Qualcosa di sicuro l’abbiamo capita, la birra deve avere poco corpo e con un amaro basso il tutto proporzionale al grado alcolico e all’acidità finale. Avendo definito questi parametri possiamo incominciare a decidere quale “Grape” o uva utilizzare e soprattutto in che forma ed in quale fase della produzione. UVA NERA: =>Malto base Pale o anche Monaco, Cara o Crystall 120, Bisquit-MelanoidinChoccolate-Carafa-Roasted-Peated in % basse a seconda del tipo di uva anche se molti sconsigliano l ’uso di malti eccessivamente invasivi o troppo torrefatti ma ad ogni buon conto è la % che si va ad utilizzare.. =>Luppolatura varia a seconda del tipo di uva, si predilige luppoli con aromi floreali o terrosi e poco citrici, possono essere utilizzati varietà intercontinentali che richiamano sentori di frutta rossa come fragola, ciliegio, ribes. Pagina 03 =>Lievito: può essere utilizzato un lievito neutro o uno che produce aromi lievemente speziati che ben si accostano alla tipologia di uva utilizzata o utilizzare un enolievito nel caso si utilizza un 40% di mosto di uve. La fermentazione potrebbe essere fatta in due fasi, la prima controllata con lievito neutro e la seconda con lievito wild aggiungendo al travaso mosto di uva in fermentazione naturale. UVA BIANCA: =>Malto Base Pils con eventuali aggiunte di Vienna, Carapils 60- Caravienna, Frumento non maltato o Wheat. =>Luppolatura con luppoli nobili per lo più floreali e leggermente citrici o come il Nelson che richiama l’aroma del Sauvignone. =>Lievito: Per le IGA con uve bianche sarebbe opportuno utilizzare lieviti neutri come US05 o a bassa fermentazione ed in alcuni casi utilizzare un lievito saison che non tiri fuori elevati esteri come il Belle Saison a 18°C. Definita la tipologia di uva e di malti speciali da abbinare si deve decidere in che forma e dove usarla. Esistono diverse “forme”: • Naturale o pigna intera, si utilizza la pigna intera pigiata con tutto il raspo e va messa a fine boil per eliminare eventuali lieviti selvaggi • Mosto “muto”, si tratta del mosto ottenuto dalla pigiatura o premitura delle uve (con o senza raspo) prelevato prima della partenza della fermentazione. Deve essere usato nel giro di poche ore o va immediatamente congelato. Può essere utilizzato a fine boil o aggiunto al travaso per la componente wild • Mosto fermentato, si tratta appunto di mosto che ha subito una totale o parziale fermentazione data dai lieviti presenti sulla buccia degli acini e va aggiunto al travaso in modo da completare la fermentazione con la componente wild • Mosto “Cotto”, questo è un mosto tipico di determinate zone o regioni dell’italia, si prepara facendo bollire il mosto “muto” fino a ridurlo ad 1/3 in modo da concentrarlo. La bollitura prolungata caramellizza una buona parte degli zuccheri dando una nota meno vinosa, può essere usato direttamente in boil o aggiunto a fine boil. • Bucce di uva pigiate, in questo caso viene utilizzata solo la buccia delle uve che conferiscono più la parte tanninica che quella aromatica e si utilizzano per lo più in boil. Di solito sono le bucce che derivano dalla preparazione del mosto che viene usato da aggiungere al travaso. • Uva appasita, l’uva appassita non è altro che uva messa ad “asciugare” lasciandola appesa su specifici telai o bastoni o lasciata addirittura sulla vite dopo aver schiacciato il tralcio che la tiene alla pianta. Tale appassimento che avviene in luoghi ben ventilati e freschi consente l’evaporazione o meglio la disidratazione del chicco con una conseguente innalzamento del grado zuccherino che conferisce un sapore più dolce tipico dei vini passiti. Questa uva può essere usata in tutte le modalità sopra indicate (sconsiglio la preparazione del mosto cotto con il mosto di uva appassita per ovvi motivi). Sarebbe opportuno usare una parte di uva direttamente a fine boil ed una parte di mosto fermentato da aggiungere al travaso in modo da conferire la sua parte di lievito selvaggio. A questo punto o abbiamo le idee un poco più chiare o si hanno tante nozioni da andare ulteriormente in confusione. Passiamo ora ai fatti e cerchiamo di impostare due ricette che utilizzano due tipi di uve differenti. Pagina 04 COME SI FA’ UNA ITALIAN GRAPE ALE??? Di Antonio De Feo - Jigen_Daisuke Ricetta AG MoscatAle (con uva moscato nera o in alternativa con Malvasia nera) Uva moscata nera, si presenta con un Acino medio-grande, rotondo o debolmente ellittico, con buccia mediamente pruinosa nel corso della maturazione, che diviene invece quasi priva di pruina a maturità mostrando un colore nero o nero-violetto lucido; aroma debolmente moscato, sapore gradevole. Per questa tipologia di uva viste la sue caratteristiche si devono utilizzare ingredienti che non coprano i suoi profumi e sapori ma che li vadano ad ampliare pertanto si utilizzerà una base di malto pale con una piccola quantità di malto vienna e melanoidin con aggiunta di fiocchi. Ricetta: litri finali 28,0 (in bollitura 33,0) efficienza 75%, bollitura 60 min. OG 1,052; IBU: 23,1; EBC: 19; Malti: 4000 gr Pale, 61% 500 gr Vienna, 8% 300 gr Melanoiden Malt, 5% 300 gr Crystal 90L, 5% 1,5litri Mosto Moscato a fine boil, 23% Luppoli: 20 gr Cascade, 60 min, 12 gr Pacific Gem, 20 min, 12 gr Cascade, 20 min, 20 gr Pacific Gem, 0 min, 20 gr Cascade, 0 min, Mash: 30 minuti a 65°C-30 minuti a 68°C Lievito: US05 a 18°C Pagina 05 Ricetta ChardonnAle (con una bianca chardonnay) l’acino è di media grandezza, con buccia mediamente consistente, tenera e di colore giallo dorato. il profumo, caratteristico, è delicato e fruttato (frutta tropicale, ananas in particolare) Ricetta Sour Italian Grape Ale “SfIGA” (con MOSTO DI UVA MONTEPULCIANO) redatta dai Southern Homebrewers per la gionata nazionale dell’Homebrewing. Il grappolo si presenta mediamente grande, alato e di forma conica. La buccia è spessa e rilascia molti pigmenti durante la vinificazione. Conclusioni Avere un riconoscimento per uno stile completamente italiano è una grande conquista è potrebbe essere un ottimo trampolino di lancio per i diversi produttori Italiani anche per creare un pò di concorrenza tra i vini e cercare di farsi strada nel settore della ristorazione. Ricetta: litri finali 25,0 (in bollitura 15,0) efficienza 100%, bollitura 60 min. OG 1,075; IBU: 30,2; EBC: 19; Malti: 5000 gr Estratto Liquido Light ,70% 200 gr Fiocchi di frumento,3% 150 gr Munich Malt,2% 150 gr CaraPilsner,2% 150 gr Pilsener,2% 1,5 litri Mosto a fine boil, 21% Luppoli: 20 gr Perle, 60 min, 10 gr Nelson, 20 min, 10 gr Perle, 20 min, 10 gr Saaz, 20 min, 10 gr Nelson,10 min, 20 gr Perle, 10 min, 10 gr Saaz,10 min, 10 gr Nelson, 5 min, 35 gr Saaz, 0 min, Ricetta: litri finali 27,0 (in bollitura 35,0) efficienza 75%, bollitura 60 min. OG 1,063; IBU: 30; EBC: 30; Malti: 3000 gr Pils, 32% 2000 gr Munich Malt, 21% 1000 gr Vienna, 11% 600 gr Weizen,6% 300 gr Caramunich II, 3% 300 gr Special B, 3% 300 gr Melanoidin, 3% 2 litri Mosto Montepulciano fine boil, 21% Luppoli: 40 gr Saaz, 60 min, 20 gr Saaz,3 0 min, Lievito: Irish Ale (Primario) Brettanomyces Bruxellensis (starterizzato in mosto d’ uva) Extra: 4 litri di mosto in secondaria Chips di rovere americano 1gr/litro La cosa che più mi affascina delle IGA è la grande varietà o meglio versatilità dello stile dove a seconda della materia prima usata e delle varie combinazioni si possono ottenere diverse birre che possono sovrapporsi anche altri stili, come le saison (infatti quando ancora non si parlava di IGA tali birre potevano essere viste come saison autunnali o birre stagionali) o delle belgian ale o anche a delle IPA. Ora tocca a noi dilettarci ed affinare le ricette per utilizzare al meglio la stragrande varietà di uve che abbiamo a disposizione in modo da sorprendere amici, parenti ed anche gli altri homebrewers... Pagina 06 L’”hobby”della sanitizzazione... Di Giacomo Anania - Tecnico Birraio L'analisi riguarderà tutto quello che accade dal momento in cui si smette di fornire energia termica al mosto al momento in cui vengono stappate le bottiglie, alcuni passaggi saranno semplificati per facilitare la lettura, l'autore resta a disposizione per approfondimenti, chiarimenti e parolacce all'indirizzo: [email protected] Differenze tra lieviti e batteri Le due grandi famiglie che ci troviamo ad analizzare svolgono un ruolo centrale nella produzione di birre. In relazione agli stili produttivi tradizionali dei diversi paesi del mondo, l'utilizzo di un ceppo piuttosto che di un altro determina profili organolettici tipici di tali zone produttive. Il prodotto finale di questo processo produttivo noto come “Birra” sintetizza quindi la storia e la cultura di un popolo, portandosi dietro guerre, rivoluzioni, carestie, politica, leggi sbagliate, sangue, sudore e tanto amore per la vita. Lieviti Nei secoli con l'evoluzione degli strumenti dal laboratorio è stato possibile classificare migliaia di specie di lieviti, fanno parte del regno dei funghi, e la presenza di un nucleo cellulare ben distinto e separato all'interno del citoplasma li posiziona quindi nel dominio Eucaryota. Nella produzione della birra i lieviti più utilizzati sono quelli del genere Saccharomyces. Il Saccharomyces è fungo (mycos) dello zucchero (saccharo) che si riproduce per Pagina 07 gemmazione e che presenta un metabolismo “anaerobico facoltativo”, lo scopo di questo tipo di organismo è quello un po di tutti gli organismi, accrescere la propria colonia e salvaguardare la specie. Il Saccharomyces è un organismo che preferisce un substrato a base di glucosio con la presenza di ossigeno, il suo scopo è sostanzialmente riprodursi e queste condizioni per il suo metabolismo sono le migliori per poterlo fare. Non conosce la birra e birrai, attiva un processo fermentativo anche con solo 0,2 g/l di glucosio e con ossigeno scarsissimo, ogni singola cellula si può riprodurre decine di volte e vive in colonie di miliardi di individui, non è molto diverso da noi in fondo, no? Pur essendo un organismo preferenzialmente aerobico, svolge il suo compito egregiamente anche in condizioni anaerobiche o tendenzialmente anerobiche percorrendo quell'autostrada enzimatica che è la glicolisi. Batteri A differenza dei lieviti, i batteri sono degli organismi procarioti, non presentano quindi una compartimentazione delle varie componenti all'interno della membrana cellulare, a volte assolutamente assenti di alcune componenti e con l'acido desossiribonucleico libero nel citoplasma. Il nostro interesse si muove sulle sottocategorie dei batteri non fotosintetici, in particolare acetobatteri e batteri lattici. La p r i m a c o s a c h e r i c h i e d e i l metabolismo di tali organismi è la produzione di energia, tale energia servirà nelle fasi successive del ciclo metabolico e viene prodotta sotto forma di ATP sia in presenza che in assenza di ossigeno. Nel primo caso avremo respirazione cellulare e l'ossidazione completa dei substrati ospitanti i batteri, nel nostro caso il substrato sarà sempre glucosio e l'ossidazione produrrà CO2 e H2O. Nel caso di mancanza di ossigeno si genererà un processo fermentativo che avrà nome e prodotto diverso a secondo dei batteri interessati (f. lattica, f. acetica, etc..) Ridurre i rischi Nella produzione dei mosti e in quella successiva della birra, diversi momenti assumono carattere di criticità igienica, sopratutto al livello casalingo. Non lavorando con attrezzature da laboratorio e non potendo quindi sterilizzare nel vero senso della parola le attrezzature, tutto quello che possiamo fare è ridurre la probabilità di una infezione. Nonostante il grande impegno e gli studi fatti neanche nel birrificio più all'avanguardia e pulito si riesce ad evitare infezioni che oltre a causare un'ovvia “delusione” nel produttore, nel caso di produzioni commerciali causano anche un danno di natura economica. Per ovviare a questo sistema, i produttori commerciali più strutturati utilizzano diversi gradi di filtrazione e pastorizzazione per fare in modo che il prodotto abbia una shelf life più lunga e stabile. Al livello casalingo e nei microbirrifici più piccoli (in genere sotto gli 8000-10000 hl/anno) la riduzione delle probabilità di possibili infezioni e ibridazioni è un pallino fisso. Mi piace spesso ricordare ironicamente che produrre birra è in realtà un “sottoprodotto” di una serie di lavaggi infiniti e accurati. Si lava, si sanitizza, si rilava e si risanitizza e lo si fa in continuazione tutti i giorni, e poi, alla fine dopo un paio di mesi di lavaggi abbiamo “birra”, incredibile ma vero! Regole per mantenere pulita l'attrezzatura casalinga. • Lavarsi le mani prima di cominciare, la prima attrezzatura a nostra disposizione sono loro. Comprate al supermercato un sapone liquido con antibatterico e lavatevi le mani BENE, non asciugatele con asciugamano ma usate dello scottex. Questa è una procedura molto utilizzata in ambito alimentare professionale: Bagnare ed insaponare le mani con sapone liquido; Strofinare accuratamente facendo particolare attenzione agli spazi ungueali e interdigitali, per 15-30 sec.; Risciacquare abbondantemente con acqua corrente; Asciugare bene con salviette monouso; Utilizzare l’ultima salvietta per chiudere il rubinetto. Pagina 08 L’”hobby”della sanitizzazione... Di Giacomo Anania - Tecnico Birraio Ricordatevi che sulle mani abbiamo una miriade infinita di batteri che sguazzano in un substrato fatto di sudore e grasso, e che ogni piega della nostra pelle è per un batterio un grand canyon dove vivere con miliari di suoi simili affamati e golosi di zuccheri, avete voglia di bere questa roba? • Lavate l'attrezzatura appena l'avete usata. Non siate pigri, la pigrizia è la peggior nemica del birraio. Lavate tutto e subito c o n a b b o n d a n t e a c q u a c a l d a, ricordatevi che dovete prima di tutto sgrassare le superfici bene, eliminando i residui zuccherini e che poi, e solo poi potete partire con le operazioni di sanificazione. Smontate ogni rubinetto, aprite ogni valvola, sempre ogni volta che la utilizzate, smontatela e lavatela, se non avete modo di smontare alcuni componenti utilizzate del vapore o fate bollire il pezzo intero (es. Scambiatore di calore). Come attrezzature di lavaggio sono utili spazzolini per denti di diverse misure (da adulto, bambino e per dentiere) e scovolini da 8 e 20 mm. • Mantenete le attrezzature in un luogo pulito e copriteli dalla polvere. Le minuterie (piccoli raccordi ect..) e gli spazzolini potete metterli in una soluzione sanitizzante o in alchol, ricordatevi che l'azione battericida dell'acido peracetico (comunemente usato nell'industria alimentare) si ottiene con un contatto di Pagina 09 20 minuti a 20 gradi centigradi, ogni cambiamento di questi parametri riduce il potere sanitizzante della soluzione. vettori di lieviti e batteri. E' imprescindibile un buon lavaggio con acqua calda non appena bevute per evitare che i sedimenti solidifichino, nel caso ciò avvenisse devono essere lasciate a mollo per diverse ore con acqua calda e un prodotto detrattante, io consiglio la Vebisoda che viene venduta “pura” da diluire al 10% con acqua calda (60°). Per la sanitizzazione delle bottiglie, la cosa migliore a mio avviso è il forno, una volta pulite e asciutte si possono mettere per quaranta minuti a 180° per levarsi ogni pensiero. • Utilizzate prodotti specifici per la pulizia, l'acido peracetico è difficilmente reperibile per i privati, è un prodotto professionale con una particolare scheda di sicurezza che viene venduto solo all'ingrosso, il mio consiglio è uno sgrassatore con antibatterico per sgrassare e l'ipoclorido di sodio per sanitizzare, comunemente in commercio come varecchina. Una soluzione al 5% dovrebbe garantirvi dei livelli adeguati di igiene lasciatela a contatto con le superfici per 20 minuti e risciacquatela con abbondante acqua calda. L'acciao inox nel lungo periodo è intaccato dall'ipoclorido, ma se mantenete i tempi e le percentuali che vi ho consigliato, non ci saranno problemi. Gli alleati dell'igene alimentare (temperatura, pressione, chimica) La combinazione dei tre elementi TEMPERATURA – PRESSIONE (forza abrasiva) – CHIMICA è la via da seguire per qualsiasi lavaggio che si rispetti. • Discorso a parte merita la pulizia dei vasi (bottiglie). Sono spesso il peggior nemico dell'igiene brassicola, nei microbirrifici spesso non vengono lavate p e r c h é n u o v e, a l c u n e l i n e e d i imbottigliamento le “soffiano” per eliminare qualche residuo di polvere interna. Ricordate che vengono da un processo di lavorazione ad altissime temperature e se nuove ed imballate non ci sono i presupposti per una proliferazione batterica mancando di fatto un substrato dove vivere. Al livello casalingo si utilizzano spesso e volentieri bottiglie riciclate, pericolosissimi Inutile è passare una spugnetta asciutta sullo sporco incrostato, inutile (o quasi) uno sgrassatore spruzzato e basta, idem per acqua calda sulle superfici senza ulteriori lavorazioni, per un corretto potere sgrassante bisogna combinare le tre cose. Per la produzione di ACQUA CALDA, e per i lavaggi dell'ultimo momento, un must utilizzato comunemente anche nei birrifici è un normale bollitore per acqua. Si possono ottenere piccole quantità di acqua a 100° in brevissimo tempo, utilissima per dare un ulteriore colpo di grazia, a qualsiasi cosa che nel frattempo potrebbe essersi annidata in una piega o in un tubo o per essere utilizzata insieme ad altri prodotti per ottenere la c o m b i n a z i o n e acqua+pressione+chimica Per quanto riguarda la PRESSIONE, nelle aziende alimentari, per diverse difficoltà oggettive nel raggiungere tutti i punti “a mano”, vengono utilizzare sfere di lavaggio ad alta pressione che garantiscono una adeguata forza abrasiva sulle pareti dei tank di fermentazione e all'interno dei tini di produzione. Al livello casalingo, una comune spugnetta (non paglietta metallica) e dell'olio di gomito svolgono e g r e g i a m e n t e q u e s t o c o m p i t o, ricordatevi di cambiare di tanto in tanto la spugnetta, di lavarla bene con acqua calda ogni volta che la usate e di riporla, il più asciutta possibile, in un luogo pulito. Per la CHIMICA i nostri alleati invece sono (al livello casalingo): Un comune sgrassatore con antibatterico per i lavaggi preliminari, la vebisoda per scrostare le bottiglie. E per la successiva sanitizzazione la soluzione con ipoclorido di sodio per un massimo di 20 minuti a 20 °C Conclusioni: Ricordatevi sempre che l'igene è la base imprescindibile per la produzione di mosti e di birre, dedicate a lui la stessa passione e lo stesso impegno che mettete nel realizzare ricette, non siate pigri e studiate sempre sistemi che semplifichino i passaggi di lavorazione del prodotto, sopratutto a freddo. Pagina 10 Lactobacillus ... Fai da te! Di Vincenzo Follino - Thiell Che i Lactobacillus fossero un elemento fondamentale nella nutrizione umana e nella tecnologia alimentare non è questione nuova, basti pensare al loro ruolo nelle tecnologie lattiero-casearie, nella vinificazione, o come componente o probiotico per il corretto sviluppo del microbioma intestinale. Da qualche anno, con la renaissance di determinati stili birrari per molto tempo rimasti desueti, tra gli homebrewers e tra i birrai è accresciuta la curiosità di utilizzarli nel processo produttivo di birrificazione, fino a poco tempo fa esclusivamente riservato alla classe dei lieviti. Di pari passo sono aumentate le richieste di info su forum e social network e le offerte di ceppi cosiddetti “wild” da parte dei rivenditori di materie prime. Sebbene ultimamente siano aumentate le proposte da parte di questi ultimi sui diversi ceppi di lacto, in realtà non sempre sono disponibili, alcuni sono dichiarati come “stagionali” e la varietà offerta è ancora piuttosto scarsa, tanto da rivolgersi (come il sottoscritto) ai rivenditori esteri. Da ex studente che ha incontrato diverse volte nel suo percorso microrganismi come i lacto, uno dei concetti che più mi è rimasto impresso è quello dell'ubiquitarietà dello stesso; li ritroviamo difatti nell'ambiente, sulla cute, nella cavità boccale, oltre che negli alimenti prodotti per fermentazione lattacida come yogurt, etc... Il malto d'orzo, quello Pagina 11 chiaro, non sottoposto ad intensivi colpi di fuoco, è un eccellente serbatoio di lattacidi e di tanti altri microrganismi; anche se personalmente, processi come quello che intendo approfondire non mi sono mai garbati a livello hobbistico, data la bassa possibilità di standardizzazione e replicabilità, in realtà, con la messa in campo di poche nozioni teoriche, si ha la possibilità di alzare notevolmente le possibilità di selezione e di replicabilità, anche senza l'ausilio di mezzi laboratoristici. Prima di approfondire il processo di coltura dei lactobacillus dai grani secondo la teoria e le mie esperienze personali, affrontiamo prima qualche nozione base sui batteri lattici. Caratteristiche generali I Lactobacillus, a differenza dei Saccharomyces e Brettanomyces, sono batteri ed organismi procarioti, di dimensioni decisamente inferiori a quelle dei lieviti, e per questo facilmente identificabili ad un'analisi microscopica. I Lactobacillus fanno parte di un ordine di batteri, i lattacidi, che include migliaia di specie batteriche, tra cui Leuconostoc, Lactococcus, Pediococcus, Enterococcus e tanti altri. A differenza degli eucarioti, i batteri non presentano nucleo e differenti organelli cellulari, motivo per cui la crescita è molto più rapida, con una capacità replicativa stimata in 20 minuti. Gram-positivi, i lactobacillus sono batteri a forma bastoncellare, asporigeni, anaerobi microfili, che producono acidità volatile mediante produzione di L-acido lattico, a partire da zuccheri di varia natura. Da un punto di vista metabolico, i batteri lattici possiedono un metabolismo esclusivamente di tipo fermentativo; come detto poc'anzi, essi sono organismi anaerobi, ovvero accrescono efermentano in assenza di ossigeno, ma possono tollerare (in misura minore o maggiore dipendentemente dalla specie) piccole quantità di ossigeno molecolare; essendo microrganismi catalasi negativi, vi è l'impossibilità da parte di questi ultimi di degradare le forme tossiche dell'ossigeno che vi si formano durante la respirazione. acido lattico, anidride carbonica, etanolo e acido acetico in piccole quantità (in base alla specie); le specie eterofermentative producono una maggiore quantità di lattato rispetto alle specie omo. I actobacillus sono batteri molto esigenti da un punto di vista nutrizionale; oltre a necessitare di una fonte di carbonio (gli zuccheri), abbisognano di una fonte di azoto, di purine e pirimidine, di composti fosforati e solforati, di vitamine (tiamina, biotina) e di sali minerali quali magnesio e manganese per le reazioni intracellulari. Ciò pone diversi problemi, analizzati in seguito, circa il conferimento di un idoneo substrato per la crescita e per la fermentazione lattica. I Lacto, a seconda della specie, possono metabolizzare diverse tipologie di zuccheri semplici attraverso due vie, la via eterolattica (o eterofermentativa) e la via omolattica (o omofermentativa), anche se in realtà esistono specie che seguono entrambe le vie. Il metabolismo omofermentativo procede attraverso una via metabolica utilizzata anche dai lieviti, ovvero la glicolisi, con formazione finale, grazie all'enzima lattico deidrogenasi (LDH), di acido lattico. Il metabolismo eterofermentativo invece non segue la glicolisi per la degradazione degli zuccheri esosi ma bensì la via dei pentosi fosfati, con formazione finale di Pagina 12 Lactobacillus ... Fai da te! Di Vincenzo Follino - Thiell Per quanto riguarda le fonti di carbonio, i lactobacillus fermentano differenti tipologie di zuccheri, indi ceppi come il Plantarum che ne utilizza differenti tipologie (con inacidimento rapido del mezzo) e altri ceppi che convertono il fruttosio in mannitolo conferendo uno spunto dolciastro, noto difetto in alcuni vini. Altra problematica, i lactobacillus sono microrganismi notevolmente inibiti dagli a-acidi e dai B-acidi dei luppoli, ma anche da alcuni olii; in taluni casi alcune specie presentano una lieve tolleranza (parliamo di pochissime IBU) in altri casi la tolleranza è prossima allo zero. Qualora vi sia un lieve adattamento al luppolo, alcuni eterofermentanti riducono comunque la produzione di lattato a favore dell'acido acetico. Inoculare quindi una specie lattica in un mosto luppolato nonsortirà alcun effetto di inacidimento. I Lactobacillus rappresentano una specie che agisce solo simbioticamente in un mosto di birra; non è possibile difatti ottenere una birra con soli Lacto, in quanto inibiti da diverse sostanze, in primis dallo stesso acido lattico che producono, per cui geneticamente troveremo specie che tollerano maggiormente un basso pH e specie che non tollerano alte concentrazioni di lattato. Proprio perchè non è possibile fermentare un mosto di birra, se non pochissimi gradi Plato,nel caso in cui trovassimo una fg bassa, sicuramente altre specie microbiche (lieviti) avranno colonizzato il mosto e portato avanti la fermentazione. E qui Pagina 13 aggiungiamo un altro punto debole dei Lactobacillus, ovvero la difficoltà nelpropagarli in purezza: essendo microrganismi molto esigenti da un punto di vista nutrizionale, ma non solo, anche dal pH, dalla temperatura del mezzo e dall'ossigeno disciolto, facilmente perdono la competizione con lieviti. Per quanto riguarda la temperatura di crescita e fermentazione, i lattacidi possono essere mesofili e/o termofili; in generale, ogni specie lacto ha il proprio optimum di temperatura; ovviamente non è vero che tutti i ceppi lattacidi fermentano a temperature africane, ma è possibile rinvenire diversi ceppi che sono attivi metabolicamente a temperature intorno ai 20-30 gradi. Nel nostro caso, per aiutarci nella selezione degli stessi, è preferibile agire a temperature prossime ai 40-45 gradi. Caratteristiche fenotipiche ed organolettiche Come è possibile riconoscere visivamente e organoletticamente una coltura di lactobacillus? In realtà, proprio perchè esistono differenti specie di batteri lattici, ognuna con la propria peculiarità per quanto riguarda la produzione di lattato ma soprattutto di sottoprodotti secondari, possiamo identificare differenti sfumature più o meno piacevoli al naso. Sicuramente sostanze come butirrato e acido isovalerico non producono aromi piacevoli, dato che si esprimono soprattutto come vomito di lattante e come odore da caseificazione; potremo riconoscere anche il tipico burroso conferito dal diacetile, ma anche e soprattutto note agrumate, lemony, ma anche di mele verdi acerbe. In bocca, oltre al lattico, potremo riconoscere note di panificazione, soprattutto di prodotti ottenuti da pasta acida. Visivamente, i lactobacillus eterofermentanti (gli omo sono esenti), anche se producono anidride carbonica, in realtà la quantità è decisamente inferiore a quella prodotta da lieviti, e potremo anche non accorgercene della produzione di gas, oltre alla mancanza di formazione di krausen. Altra caratteristica dei lactobacillus è la scarsa attitudine alla flocculazione; mancando quindi di flocculenza mostrano un tipico atteggiamento polveroso al ruotare del contenitore. Inoltre, tendono generalmente a sintetizzare un biofilm in superficie, con consistenza “farinosa” quando si sgretola. Coltura Lacto dal malto d'orzo Da quanto detto precedentemente, possiamo già isolare le caratteristiche principali che dovrà avere il nostro mezzo affinché ci sia propagazione e fermentazione lattacida. 1- Assenza di ossigeno. 2-Nutrienti glicidici (zuccheri semplici), fonte di azoto (aminoacidi e peptidi), micronutrienti (vitamine e minerali). 3- Assenza di luppolo. 4- Temperature elevati e costanti. 5- pH del mosto <4,5. Per quanto riguarda il primo punto, è importante limitare al minimo il discioglimento di ossigeno nel mosto, cercando di non far splashare il mosto dalla pentola al contenitore, e soprattutto limitando al minimo lo spazio morto. Se si usa una beuta, coprire bene con carta alluminio; personalmente preferisco utilizzare una bottiglia di plastica, in modo da poterla chiudere ermeticamente e soprattutto schiacciarla per far uscire il maggior quantitativo di ossigeno all'esterno. Inoltre, la retrazione della bottiglia ci permetterà di identificare l'eventuale produzione di gas, che sarà comunque bassa nel caso di eterofermentanti, oppure elevata se il mosto è contaminato da lieviti. Per aumentare ulteriormente l'espulsione dell'ossigeno, utilizzo acqua carbonata, in modo che a temperature prossime ai 40 gradi lentamente ci sarà l'abbandono dalla soluzione della co2, che colmerà lo spazio morto. Pagina 14 Lactobacillus ... Fai da te! Di Vincenzo Follino - Thiell E' bene ridurre al minimo la presenza di ossigeno per facilitare l'azione dei lacto e ridurre la sintesi di sostanze e sottoprodotti sgradevoli. Nel secondo punto sono menzionate le caratteristiche nutritive della miscela necessarie alla corretta crescita dei lactobacillus. La base zuccherina dovrà essere costituita per buona parte da zuccheri semplici, quindi glucosio, fruttosio e maltosio. Oltre all'estratto di malto, fonte di maltosio e di peptidi, utilizzo del succo di mela 100% e del miele come fonte di glucosio/fruttosio e di vitamine e sali minerali, oltre a conferire una certa acidità naturale grazie alla presenza di acido malico, citrico e ascorbato nel succo di mela. Al fine di incrementare i nutrienti nel mezzo, possono essere utilizzate specifiche miscele nutritive oppure addizionare in boil del lievito in slurry o liofilizzato. Al terzo e quarto punto si sottolinea l'importanza dell'assenza di luppolo e del mantenimento di temperature calde e costanti; io generalmente mantengo lo starter microbico ad una temperatura compresa tra i 40 ed i 45 gradi. Grossa attenzione dovrà essere riposta alla sanificazione, ancor più scrupolosa se non vogliamo rischi di contaminazione, soprattutto per lo stoccaggio della coltura. La mia personale ricetta per lo starter lattacido è la seguente: ! 1 litro di acqua carbonata ! 100g di malto in grani pils non macinato !100 grammi di estratto di malto dry !200-300 ml di succo di mela 100% !1 cucchiaio di miele !lievito liofilizzato !acido citrico A queste temperature infatti, la maggior parte dei lieviti non si ritrova nel proprio optimum di temperatura, limitandone così la propagazione, e favorendo invece la crescita dei batteri lattici, in primis lactobacillus; Pediococcus invece è metabolicamente attivo a temperature inferiori (25-30 gradi). Per quanto riguarda il quinto punto, è bene acidificare la miscela mediante addizionamento di acidi, quindi lattato, citrato o anche del succo di limone. Partire da un pH già basso ci permetterà di inibire una serie di microrganismi come lieviti ossidativi ed enterobatteri che sono normalmente presenti sulle glumelle del malto, consentendoci di avere uno starter Pagina 15 con aroma pulito esclusivamente da lactobacillus. propagazione possiamo decidere di propagarlo ulteriormente, oppure filtrarlo dai grani ed inoculare la parte liquida in un contenitore sterile ed ermetico. Per un idoneo stoccaggio, è possibile conservarlo a temperature di refrigerazione mediante addizione di una sostanza buffer che ne innalzi il pH, al fine di aumentarne la vitalità. Nel caso di conservazioni più lunghe eseguite in freezer, è possibile reperire delle provette dove aggiungere la coltura ed una quantità di glicerina al 10-15%. Una volta fatta bollire l'acqua con l'aggiunta dell'estratto, del miele, del succo di mela e dei nutrienti (o lievito), facciamo raffreddare e misuriamo il pH; in base all'acidità aggiungiamo acido citrico/lattico per portare il mezzo sotto 4.5. L'OG finale dovrebbe assestarsi sui 7-8 gradi Plato (1,030-35). Una volta trasferito il mosto nel contenitore, facendo attenzione a non far schiumare, aggiungiamo il malto d'orzo e chiudiamo ermeticamente lo stesso. Maggiore è la velocità di acidificazione del nostro starter, maggiori sono le probabilità di selezionarci lattacidi ed impedire la crescita degli altri microrganismi saprofiti del malto d'orzo. Una volta che siamo sicuri dell'avvenuta Pagina 16 DMS - Dimetilsolfuro Di Antonio Nicoletti IL DMS (dimetilsolfuro) Descrizione Origine ed ambio problematico Inizia con la prima sezione sugli off flavours riscontrabili nelle birre il mio contributo sull’informatore brassicolo. Nei vari articoli analizzerò un off flavour differente, dandone significato, cercando di spiegarne il contributo riscontrabile a livello di aroma ed infine fornendo le possibili soluzioni. In questa parte analizzerò il tanto temuto ed odiato DMS, ossia il dimetilsolfuro. Piccola premessa. Saper riconoscere ed individuare un particolare off flavour o “difetto” nelle birre non è cosa semplice, ma neppure impossibile. L’importante è maturare le d o v u t e c o m p e t e n z e, a c q u i s e n d o esperienza e non da ultimo degustare e soffermarsi sui vari profumi o percezioni olfattive che una birra può offrire. La birra è una bevanda che, come tutti gli altri prodotti alimentari, può presentare difetti o r g a n o l e t t i c i. Ta l i a l t e r a z i o n i n o n compromettono la salubrità, ma sono causa di una notevole penalizzazione della qualità. Tra i più importanti e diffusi vi sono quelli che coinvolgono il livello olfattivo. Analizzando la ruota di Meilgaard che ci aiuta nell’individuazione dei composti aromatici delle birre, il DMS fa parte del gruppo 6 della ruota, dove sono riportati i composti dello zolfo. La concentrazione tipica è tra 0,05 e 0,3 µg/l e la soglia di percezione 0,1 µg/l. I sentori riconducibili al DMS si individuano come mais bollito (aprite una scatoletta di mais e sentitene l’odore), ma anche di cavolo bollito, sedano pastinaca e salsa di pomodoro quando è ad alte concentrazioni. Le Sostanze responsabili sono il dimetilsolfuro = DMS; (dimetildisolfuro = DMDS) L’origine di questo composto aromatico può dipendere da vari fattori: ! Germinazione del malto: precursore inodore DMS-P (S-metilmetionina) ! Insufficiente temperatura massima di essiccazione del malto (alto contenuto di DM -P nel malto essiccato) ! Bollitura del mosto: DMS-P scisso ed espulso ! Insufficiente bollitura del mosto di birra (alto contenuto di DM -P nel mosto all'accertamento) ! Sottoprodotto del metabolismo delle Enterobatteriaceae (batteri del mosto) ! pH del mosto troppo basso, ! lunghi tempi di pausa nel whirIpool (rinnovata scissione di DMSP nel DMS libero), -insufficiente pulizia ed igiene ambientale Riconoscere correttamente i sentori negativi è un aspetto fondamentale dal punto di vista tecnico al fine di realizzare il miglioramento di processo, della gestione o della conservazione del prodotto. È importante, però, che anche i consumatori attenti e gli appassionati abbiano un corretto approccio critico verso le birre che degustano, in modo da qualificare e valorizzare adeguatamente i prodotti in cui note organolettiche “particolari” rappresentano elemento di tipicità, rispetto ai veri e propri difetti. Pagina 17 Cause e Formazione. Per quanto riguarda le cause il DMS è prodotto dai precursori del malto presenti nel germe del chicco, ma può anche provenire da infezioni batteriche derivanti da cattiva sanificazione. Una bollitura non adeguatamente lunga e/o non scoperta può limitarne l’espulsione. Una cattiva sanificazione, infine, può favorire l’infezione batterica. Rimedi possibili durante il processo produttivo Analizzando i rimedi possibili a questo tipo di problema, le varie soluzioni fanno riferimento a vari processi della produzione: !Essiccazione a del malto a temperatura più idonea; ! processo a decozione; !bollitura del mosto > 100° C; !prolungamento della durata della bollitura; !alto pH del mosto; !elevato fattore di evaporazione; Di solito un tempo di bollitura di 80-90 minuti è sufficiente a scongiurare ogni tipo di problema. Altro fattore importante è la velocità di raffreddamento del mosto post bollitura. Un periodo prolungato per il raffreddamento può portare, infatti, a livelli anomali di dimetilsofuro. E’ molto importante ,infine, attuare un semplice accorgimento, ovvero quello di effettuare il boil senza coperchio della pentola o comunque facendo in modo che il vapore fuoriesca. Il primo off flavour che ho imparato ad individuare è stato proprio il dimetilsolfuro. Ricordo ancora nelle prime cotte casalinghe quella fastidiosa puzzetta che percepivo nelle mie birre. Col tempo e con lo studio ho imparato a saperlo riconoscere ed eliminare. E’ proprio usando questi piccoli accorgimenti, infine, che è possibile fare il salto di qualità per le proprie produzioni aumentando il livello di competenza e conoscenza che dovrebbe contraddistinguere ogni singolo homebrewer. La concentrazione di questo composto aromatico è maggiore nei malti con essicazione più bassa. Le maggiori concentrazioni di DMS, infatti, si trovano specialmente nei malti base come il malto pils. Per le mie basse fermentazioni con malto pils come base preferisco sempre fare una bollitura prolungata oltre i 60 minuti. Pagina 18 Ad Maiora Di Simona Ferrante Circa due anni fa ho scritto una tesi di laurea in botanica dal titolo: “Il ruolo di Humulus Lupulus nella produzione birraia”. Inutile dire che questa fase ha rappresentato uno dei momenti più entusiasmanti della mia carriera, e non solo perché ero giunta a conclusione di un percorso, ma perché ho potuto approfondire un tema a me molto caro. fresca (provenienti dagli alberi dei miei nonni) e, naturalmente, Cascade e Nelson Sauvin in aroma. Così, nel mentre io ero persa nella stesura della tesi, preparazione della presentazione in power point ed annesso discorso, mia madre, come solo ogni buon genitore sa fare, mi pone il problema “bomboniera”. Ok, lo ammetto, odio queste cose con tutta me stessa ma riconosco che, in quel frangente, la cosa mi è sfuggita un po’ di mano ed il risultato è stato che qualche giorno dopo ho acceso i fornelloni ed è nata l’Ad Maiora. Tenendo presente la mia riluttanza ai soliti “prendi polvere” da mensola, ho pensato che sarebbe stato originale regalare qualcosa di personale e particolare in ricordo di quel giorno. L’idea era quella di fare bottiglie di birra da 0.75 cl per i parenti, da 0.33 cl per gli amici e dei fustini da poter bere la sera stessa. Mi sono consultata con il mio “socio birraio” e abbiamo posto delle condizioni alla stesura della ricetta, ovvero: semplicità ma non banalità. Perciò, abbiamo deciso di fare una birra ispirata alle Belgian Pale Ale, di semplice approccio, aromatizzata con semi di coriandolo e buccia d’arancia Pagina 19 concludeva con una lieve nota amara non aggressiva ma ripulente, con note speziate e agrumate e con sentori di crosta di pane. Ottima come aperitivo ma anche in abbinamento a carni bianche, fritture pastellate di verdure e di pesce, e primi piatti speziati ma poco elaborati. Dal momento che non sono riuscita a reperire un numero sufficiente di bottiglie da 0.75 cl uguali, ahimè, ho comprato un pacco da venti di champagnotte (alla (s)modica cifra di 17€), mentre le bottiglie piccole sono riuscite a recuperarle dagli amici publican (Grazie Claudio!). Come se tutto ciò non bastasse, per complicarmi ulteriormente la vita, ho iniziato a fantasticare sul confezionamento e la personalizzazione delle bottiglie. Di seguito riporto cosa ho fatto, ovviamente ognuno può prendere liberamente spunto per poi far scatenare la propria fantasia. Le bottiglie sono state personalizzate con i seguenti elementi: etichetta, veletto rosso copri-tappo e cartoncino con le caratteristiche della birra. I veletti li ho ricavati da un pezzo di stoffa grande 1x5 m, ritagliando dei quadratini della misura appropriata. La birra finita si presentava velata e di colore oro intenso con riflessi aranciati; la forte caratterizzazione data dall'utilizzo a fine boil di spezie quali il coriandolo, la buccia d'arancia fresca e del luppolo Nelson Sauvin, le hanno conferito profumi eccezionalmente agrumati, speziati e dolci (dalla marmellata di arance, alla frutta candita, al coriandolo, ed un leggero pizzicore nasale dovuto ad una nota di pepe verde molto presente). In bocca l'iniziale dolcezza e fragranza Pagina 20 Ad Maiora Di Simona Ferrante RICETTA Ad Maiora (per 23 litri) Malto Pale 5 kg Caramunich II 0,3 kg Fiocchi frumento 0,25 kg Perle 20g x 60 min Cascade 20g x 15 min Nelson Sauvin 30g flame out Cascade 50g – flame out Coriandolo 20g – flame out Bucce d'arancia fresca 46g – flame out Lievito S33 a 18-20° Lievito Us05 starterizzato al travaso Mash 64° x 45 min e 72° x 20 min OG 1,054 Ebc 17 IBU 32 Questi li ho legati alla bottiglia con della raffia per coprire il tappo, la stessa raffia che ho utilizzato per legare il cartoncino con le indicazioni sulla birra. Il cartoncino indicava sulla parte anteriore: il mio nome, il giorno della laurea e la facoltà che ho frequentato (così da far felice la mamma), invece, all’interno su di Pagina 21 un lato ho messo la parte descrittiva della birra, mentre sull’altro le indicazioni su come berla e con quali piatti abbinarla. L’etichetta l’ho stampata su fogli adesivi trasparenti, così da ottenere l’effetto del papiro ritagliato (un ottimo consiglio ricevuto da mio cognato!) ed il nome è venuto in modo naturale. Con la stoffa rossa avanzata ho abbellito un cesto abbastanza grande, uno di quelli classici, di vimini, che si ricevono a Natale. Il risultato è stato sorprendente! cui ho visto tanto sincero entusiasmo nel portare la bomboniera a casa. Oltre a fare breccia nel cuore della mia relatrice e del presidente del corso di laurea, amici e parenti sono rimasti soddisfatti e, forse, è stata la prima volta in Pagina 22 Lieviti per Idromele Di Marco Parrini – Batino Ecco una picocla sintesi di cosa sono gli idromeli o come vengono classificati. M1. IDROMELE: E' un fermentato di miele. Può essere secco, semidolce o dolce. E’ quello in cui più si può ricercare l’aromaticità della materia prima: il miele. Da Bjcp 2015 va indicato obbligatoriamente la frizzantezza cercata e la forza aromatica, può essere indicata la tipologia di miele utilizzata e la dolcezza deve essere corrispondente alla tipologia indicata (M1A. Secco, M1B. Semidolce o M1. Dolce). M2. IDROMELE DI FRUTTA: E' un fermentato di miele con aggiunta di frutta. Questo si suddivide in: M2A. Cyser - M2B.Pyment - M2C. Berry Mead o Melomele di Bacche - M2D. Stone Fruit Mead o Melomele con Frutta a Nocciolo - M2E. Melomele. M3. IDROMELE SPEZIATO: E’ la definizione del’idromele ottenuto dalla fermentazione oltre che di miele o miele e frutta anche di spezie o erbe. Questo si suddivide in: M3A. Idromele alla frutta e spezie -M3B. Idromele alle spezie, erbe o verdure. M4.IDROMELI SPECIALI: Si tratta di Ricette speciali perlopiù di origine storica o riconducibili a fonti antiche documentate. Questo si suddivide in: M4A. Braggot - M4B. Idromele storico o tradizionale M4C. Idromele sperimentale. Per le definizioni precise fare riferimento al BJCP. Pagina 23 I LIEVITI PER GLI IDROMELI (Un breve estratto da “Guida Breve ai Melomeli e Idromeli” a cura di Marco Parrini e Valentina Palagi e Riccardo Boccardi) Andiamo ad analizzare quali lieviti possono essere utilizzati al fine di ottenere un prodotto consono alle nostre aspettative. Partiamo dal presupposto che in generale di solito in fermentazioni di questo tipo va inserito nella misura di 1 grammo per litro di bevanda. Anche se alcune scuole di pensiero (soprattutto chi viene dal mondo della birra) preferiscono stimolare una fermentazione più vigorosa iniziale imponendo ben 3 g/l di lievito, adducendo che ciò comporta una maggiore limpidezza finale, meno produzione di sentori non consoni e una più difficile predisposizione alle infezioni. (Saccaromyces bayanus) ! Medio: lievito da vino generico, ne esistono di molteplici attenuazioni; meglio in genere da vino bianco (Saccaromyces cerevisiae, ceppi isolati da bucce d'uva) ! Dolce: lievito poco attenuante, tipo birra (Saccaromyces cerevisiae specifici per birra, ricordandosi però anche che hanno in genere una bassa tolleranza all’alcool) Tuttavia giocare sulle caratteristiche del lievito non è facile (spesso i valori di attenuazione indicati non vengono rispettati, o il lievito è stato mal conservato ed è meno vitale), inoltre il lievito da birra fornisce in genere risultati peggiori che il lievito da vino (a detta di quasi tutti i produttori). N.d.a. Non sempre questo è dimostrato o dimostrabile… perché spesso come dirò in seguito queste scuole di pensiero sono le stesse che preferiscono pastorizzare il miele ammostato... Inoltre al fine dei nostri calcolo va considerato che gli zuccheri contenuti nel miele (al contrario di quelli del mosto di birra) sono fermentabili al 100%. Una tecnica più semplice si basa sulla tolleranza all’alcol del lievito usato. Per esempio se sappiamo che il lievito raggiunge 10° alcolici e noi mettiamo fermentabili per raggiungere 8-9° il risultato sarà sicuramente più secco, in quanto il lievito processerà certamente tutti gli zuccheri presenti. Se invece inseriamo miele per raggiungere i 12° teorici, sapendo che a 10° la fermentazione si interromperà, gli zuccheri residui conferiranno dolcezza alla bevanda. Per determinare quindi la dolcezza finale della bevanda si dovrà giocare sì sulla quantità di miele, ma anche sul tipo di lievito: ! Molto secco: lievito molto attenuante, tipo champagne Sempre riguardo ai lieviti ci sono altre cose da non dimenticare. Innanzitutto esistono 3 prodotti, 2 della Wyeast e 1 della White Labs, ottenuti negli anni da selezioni di ceppi di lieviti da vino: il n. 4632 (Wyeast) che da’ come risultati degli Idromeli secchi essendo molto attenuante e resistente alle alte gradazioni alcoliche (certificato fino 18°); invece il n. 4184 (Wyeast) e il WLP720 (W.L.) che li producono dolci avendo come massima tolleranza all’alcool rispettivamente 11° e 15°. Sono tre lieviti liquidi venduti a prezzi che vanno dagli 8 ai 10 euro per 125 ml di prodotto e che possono essere utilizzati secondo il produttore per 19 l - 24 l di mosto a seconda della Og prevista. I pareri a riguardo sono alquanto discordi. C’è chi non ne può fare a meno e chi invece li evita sia per il costo eccessivo che per i risultati che non sempre attendono le aspettative. Dalle mie ricerche non ho trovato pareri comuni né tantomeno pareri intermedi. O viene amato o odiato. Tra i lieviti secchi invece sono molto utilizzati e diffusi quelli della Lalvin (forse anche perché facilmente reperibili online in bustine da 5 g a basso prezzo). Li cito perché alcuni sono effettivamente molto indicati, ma non essendo specifici, probabilmente chi si approccia per le prime volte a questo mondo non li prende in considerazione anche perché spesso sono raccomandati espressamente solo per Vini Rossi o altro. Pagina 24 Lieviti per Idromele Di Marco Parrini – Batino Voglio prenderne in esame in particolare 4: Lalvin D-47 - Normalmente indicato 1. per vini bianchi, tende ad evidenziare le caratteristiche del miele; Indicato soprattutto per questo per gli Idromeli puri. Ha una fermentazione abbastanza rapida e con poca schiuma. Spesso si preferisce abbinargli dei nutrienti, ma non sono strettamente necessari. Adatto sia per prodotti secchi che per dolci in quanto ha tolleranza all’alcol del 14%. Temperatura di fermentazione consigliata 15-20°. Lalvin EC-1118 - Lievito da 2. Champagne. Ha il fattore K (vedi di seguito). Alta tolleranza, fermentazione vigorosa, ma poca schiuma. Influisce poco coi propri sentori sul prodotto finale, ma necessita in un lungo invecchiamento. Ampio margine di temperature per la fermentazione. Tolleranza certificata del 18% e Temperatura di fermentazione 735°. Lalvin K1-V1116 - Vigoroso e con il 3. fattore K. Molto adatto ai Melomeli perchè riesce a mantenere gli aromi primari della frutta e ad accentuarli sia al sapore che al naso. Necessita di un apporto importante di idrogeno che si può ottenere con l’aumento dell’aggiunta di frutta e/o con i nutrienti. Tolleranza al 18% e temperatura di fermentazione 15-30°. Lalvin 71B-1122 - Lievito per vini Rossi, 4. che però è adatto ai Cyser e ai Melomeli delle categorie M2C e M2D in quanto riesce a metabolizzare l’acido malico presente nella frutta, favorendo trall’altro una maturazione più veloce ed un gusto Pagina 25 finale più rotondo e aromatico. Tolleranza all’alcool 14% e temperatura consigliata 15-30°. Io infine personalmente ho anche usato lieviti secchi specifici per il Sidro dolce con buon risultati soprattutto dal punto di vista dell’apporto aromatico. Dato che siamo nell’ambito dei lieviti enologici vi è poi la possibilità di utilizzarne qualcuno con il cosiddetto fattore K (fattore Killer), una tossina che viene p r o d o t t a d a a l c u n i c e p p i, c h e ovviamente ne sono immuni, ma che è intollerabile per la stragrande maggioranza di quelli selvaggi. Tale tossina si conserva con la temperatura di fermentazione sotto i 32 gradi ed evita la proliferazione della stragrande maggioranza dei lieviti selvaggi che spesso si annidano sulla buccia della frutta (si parla quindi principalmente di Melomeli), ma che naturalmente non evita la comparsa di Brettanomyces e quindi il volgere verso fermentazioni di tipo acido. I ceppi killer vengono indicati in enologia con la lettera (K), quelli sensibili con la lettera (S). Ci sono anche i cosiddetti ceppi neutri (N) che non producono la tossina, ma non ne sono sensibili. N.b. La stessa scuola di pensiero (che qualcuno definisce anche Scuola Francese) che abbiamo citato già qui sopra spesso aggiunge una punta di acido lattico o citrico e/o un po’ di nutrienti per favorire il lavoro dei lieviti e per raggiungere un profilo olfattivo finale più equilibrato. Soprattutto l’acido è sconsigliabile comunque nel caso di utilizzo di frutta perché il ph viene già abbassato dalla stessa una volta aggiunta al mosto, come vedremo in seguito. Elemento infatti da considerare è che il miele normalmente ha Ph intorno a 4 ed è quindi perfetto per essere fermentato, ma se aumentiamo ulteriormente l’acidità si rischia di fornire un ambiente poco favorevole allo sviluppo dei lieviti. Comunque nel caso si voglia procedere invece all’aggiunta dei nutrienti si consiglia un uso dilazionato nel tempo. Un esempio potrebbe essere questo: ¾ di un cucchiaino appena immesso il lievito ¾ 24 ore dopo l’inizio della fermentazione ¾ 48 ore dopo l’inizio ¾ quando il 30% dello zucchero è stato trasformato. Tutto ciò va fatto molto con cautela però perché può causare un incremento della co2 molto impattante sull’immediato, persino pericoloso; si consiglia quindi di procedere all’aggiunta introducendo anche, nel modo che più ci aggrada, al contempo quanto più ossigeno possibile… stando attenti però a non introdurlo troppo o troppo velocemente per non ossidare il mosto. Da quanto detto si capisce come non sempre sia consigliabile questo utilizzo, spesso infatti i benefici che si potrebbero avere possono non valere la candela dei rischi corsi. Riguardo poi alle temperature di fermentazione bisogna specificare qualche dato. Un idromele che fermenta a 28/30°C avrà una fermentazione molto breve ed un aroma labile, inoltre sarà anche più soggetto a problemi fermentativi con probabile presenza di aromi secondari non graditi. A 12°C invece si otterrebbe un idromele di grande potenza aromatica ma la fermentazione sarà molto problematica, lunga e non è detto che vada a conclusione, con rischi anche collegati all’imbottigliamento (possibilità che una volta in vetro, con temperature più alte, riparta causando l’esplosione delle bottiglie), inoltre non tutti i lieviti ad alta sono adatti a temperature così basse. Quindi le soluzioni sono due: se avete un sistema di controllo della temperatura con una camera di ammostamento l’ideale è mantenersi almeno per la fermentazione primaria a 18°C, altrimenti aspettare settembre o aprile quando in quasi tutta la penisola (salvo eccezioni) le temperature oscillano tra i 18 ed i 24°. Pagina 26 Abbiamo da sempre evocato lo spirito eclettico della nostra piattaforma, cercando di allontanarla dalla classica funzione di "forum"; oltre a darle dei connotati reali, uscendo fuori dalla visione virtuale dello stesso, ed oltre ad appoggiare progetti di realtà amiche, da oggi il Forum della Birra, grazie ad un'idea dei suoi amministratori, intende anche formare ed informare: nasce L'Informatore Brassicolo, uno strumento che ci permetterà di approfondire talune tematiche emerse tra gli homebrewers e non solo, cercando di stimolare lo spirito critico di tutti noi e concedere nuovi spunti di discussione alla materia dell'homebrewing e delle craft beer.