l`informatore brassicolo

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l`informatore brassicolo
30 OTTOBRE 2015
“
NEWSLETTER N°02
L’INFORMATORE BRASSICOLO
Newsletter a cura de “Il Forum Della Birra”
Italian Grape Ale
Cosa sono le Italian Grape
Ale ma soprattutto come si
possono fare in ambito
casalingo brassiccolo
”
DMS - Dimetilsolfuro
Primo appuntamento sui difetti delle
birre o meglio sugli “off flavour” che si
possono riscontrare
LACTOBACILLUS... FAI DA TE
Un metodo semplice per selezionare e propagare una coltura di batteri lattici
Ad Maiora!!!
L’”hobby” della sanitizzazione
Un’idea originale per un evento speciale
Spendiamo più tempo a produrre o a ... Sanificare?
Lieviti per Idromele
Analizziamo quali lieviti possono essere utilizzati al fine di
ottenere un prodotto consono alle nostre aspettative.
COME SI FA’ UNA ITALIAN GRAPE ALE???
Di Antonio De Feo - Jigen_Daisuke
Italian Grape Ale Categoria N°29 Fruit
Beer, questa è la classificazione secondo il
BJCP del 2015 riferito alla birra o meglio ad
uno stile di birra che possa essere definito
100% made in Italy.
Tempo ci è voluto ma alla fine un
riconoscimento ci è stato dato pur
avendo altre birre fatte con aggiunta di
prodotti autoctoni e classificati anche
come IGP, basta pensare alle castagne,
alle mele, ai mirtilli o alla liquirizia. Basta
pensare che anche l’industria della birra
ha puntato su prodotti definiti “Regionali”
per attirare la curiosità dei consumatori e
farli sentire più patriottici...
Ritorrnando alle Italian Grape Ale ci sono
stati molti birrai professionisti che con la
loro intraprendenza e voglia di fare
prodotti “diversi” hanno utilizzato l’uva
come componente principale cercando
di valorizzarla al meglio nelle loro birre
(Montegioco Tibir, Toccalmatto Jadis,
LoveBeer BeerBera ecc.) oggi il BJCP
(unico ente internazione bla bla bla) ,
questo loro duro lavoro di studio, analisi e
ricerca ha portato ad ottimi risultati tali che
queste birre possano essere riconosciute
come birre Italiane.
Vediamo ora come il BJCP ha descritto è
definito questo stile:
ESTRATTO DAL BJCP 2015
I mpressioni generali: Semplice e
rinfrescante ma alcune volte più
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complessa
caratterizzata da diverse
varietà di uva.
contribuire ad aumentare la percezione
di secchezza.
Profumo: si devono sentire le
caratteristiche aromatiche delle diverse
uve utilizzate ma non deve coprire gli altri
aromi. L’uva o il mosto devono essere
piacevoli e ben bilanciati dal malto e dal
luppolo che possono essere più o meno
m a r c a t i. S i p o t r e b b e p e r c e p i r e
quell’acidità o quei sentori tipici di un
lambic come il wild, terroso ma non
troppo intenso e nessun diacetile. Aspetto:
il colore può variare da oro al marrone
scuro. Il Rosso è di solito dato dall'uso di
uve rosse. La chiarezza è generalmente
buona, mapuò essere influenzata dall'uso
di uva.
Ingredienti: Pils o malto di base chiaro
con alcune aggiunte (se presenti) di malti
speciali. Si arriva ad utilizzare anche il 40%
di uva o suoi derivati da usare in diverse
fasi della birrificazione. Anche la
fermentazione può essere data da lieviti
neutri o che rilasciano diversi aromi anche
speziati.
Sapore: molto variabile a seconda
dell’uva utilizzata. Si potrebbe avere
sapori di frutta tropicale (pesca,
albicocca, ananas) può provenire da uve
bianche e sapori di frutta rossa (ad
esempio, ciliegia, fragola) da vitigni a
bacca rossa. Diversi tipi di malti speciali
possono essere utilizzati, ma devono
essere di supporto e devono amplificare
gli aromi delle uve e non coprirli.
Aromi legnosi tipo rovere ed una lieve
acidità possono favorire la bevuta e
possono essere dati dall’invecchiamento
anche in botte.
Sensazione al palato: medio-alta
carbonatazione migliora la percezione
dell'aroma. Il corpo è generalmente da
basso a medio e alcuni acidità possono
Come fare una IGA?
Abbiamo appena visto quali sono le
caratteristiche principali di questo stile ma
in realtà non sappiamo come mettere in
pratica questi consigli.
Ci dice che può essere usato qualsiasi tipo
di uva o suo derivato fino ad una
concentrazione massima del 40%.
Ovviamente questa “UVA” deve essere
abbinata a dei malti sia base che speciali
e che questi ultimi non devono andare in
contrasto con l’uva utilizzata ma devono
essere capaci di esaltarne al meglio le
caratteristiche organolettiche. La stessa
cosa va fatta per i luppoli e per il lievito.
Nel BJCP ci sono tutte le indicazioni ma di
certo non vi è una ricetta specifica.
L’eccessiva varietà di uve presenti ed
anche il tipo di forma o derivato che si va
ad utilizzare può mandare in crisi
l’homebrewer di turno che si vuole
cimentare in questo stile.
CURIOSITA:
La cosa assurda è questa:
La legge 82/2006 impedisce l'uso
nella presentazione, etichetta,
pubblicità i riferimenti a vino, uva,
mosto di vino, etc... per prodotti non
legati al vino; uno fra tutti: la birra.
È incredibile che, anche dopo un
riconoscimento internazionale così
importante, come quello del BJCP,
esistano nell'ordinamento italiano
delle contraddizioni simili.
Quindi abbiamo uno stile
riconosciuto dal BJCP ma in casa
nostra non la possiamo produrre
(inteso come birrifico/beer firn)
perché potremmo incorrere in
sanzioni
Se continuiamo a leggere nel BJCP ci
sono dei paramentri che possono esserci
di aiuto e questi sono i dati di OG e di IBU:
Vital Statistics: OG: 1.043 – 1.090
IBUs: 10 – 30 FG: 1.007 – 1.015
SRM: 5 – 30 ABV: 4.8 – 10%
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COME SI FA’ UNA ITALIAN GRAPE ALE???
Di Antonio De Feo - Jigen_Daisuke
Anche questi sono molto variabili e
possiamo avere birre con una OG ed una
IBU molto bassa quasi come una Blanche
oppure arrivare ad avere una OG di 1.090
con un grado alcolico del 10% ed una IBU
relativamente bassa.
LA IBU deve essere comunque bassa
perché le IGA sono birre che devono
avere poco corpo e l’acidità rilasciata
dal mosto ne potrebbe aumentare la
percezione.
Ed ora? Siamo di nuovo al punto di
partenza e non sappiamo ancora dove
andare a parare per poter metter su una
IGA ...
Qualcosa di sicuro l’abbiamo capita, la
birra deve avere poco corpo e con un
amaro basso il tutto proporzionale al
grado alcolico e all’acidità finale. Avendo
definito questi parametri possiamo
incominciare a decidere quale “Grape” o
uva utilizzare e soprattutto in che forma ed
in quale fase della produzione.
UVA NERA:
=>Malto base Pale o anche Monaco,
Cara o Crystall 120, Bisquit-MelanoidinChoccolate-Carafa-Roasted-Peated in %
basse a seconda del tipo di uva anche se
molti sconsigliano l ’uso di malti
eccessivamente invasivi o troppo torrefatti
ma ad ogni buon conto è la % che si va
ad utilizzare..
=>Luppolatura varia a seconda del tipo
di uva, si predilige luppoli con aromi
floreali o terrosi e poco citrici, possono
essere utilizzati varietà intercontinentali
che richiamano sentori di frutta rossa
come fragola, ciliegio, ribes.
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=>Lievito: può essere utilizzato un lievito
neutro o uno che produce aromi
lievemente speziati che ben si accostano
alla tipologia di uva utilizzata o utilizzare un
enolievito nel caso si utilizza un 40% di
mosto di uve. La fermentazione potrebbe
essere fatta in due fasi, la prima
controllata con lievito neutro e la seconda
con lievito wild aggiungendo al travaso
mosto di uva in fermentazione naturale.
UVA BIANCA:
=>Malto Base Pils con eventuali aggiunte
di Vienna, Carapils 60- Caravienna,
Frumento non maltato o Wheat.
=>Luppolatura con luppoli nobili per lo
più floreali e leggermente citrici o come il
Nelson che richiama l’aroma del
Sauvignone.
=>Lievito: Per le IGA con uve bianche
sarebbe opportuno utilizzare lieviti neutri
come US05 o a bassa fermentazione ed in
alcuni casi utilizzare un lievito saison che
non tiri fuori elevati esteri come il Belle
Saison a 18°C.
Definita la tipologia di uva e di malti
speciali da abbinare si deve decidere in
che forma e dove usarla. Esistono diverse
“forme”:
•
Naturale o pigna intera, si utilizza la
pigna intera pigiata con tutto il raspo e va
messa a fine boil per eliminare eventuali
lieviti selvaggi
•
Mosto “muto”, si tratta del mosto
ottenuto dalla pigiatura o premitura delle
uve (con o senza raspo) prelevato prima
della partenza della fermentazione. Deve
essere usato nel giro di poche ore o va
immediatamente congelato. Può essere
utilizzato a fine boil o aggiunto al travaso
per la componente wild
•
Mosto fermentato, si tratta appunto
di mosto che ha subito una totale o
parziale fermentazione data dai lieviti
presenti sulla buccia degli acini e va
aggiunto al travaso in modo da
completare la fermentazione con la
componente wild
•
Mosto “Cotto”, questo è un mosto
tipico di determinate zone o regioni
dell’italia, si prepara facendo bollire il
mosto “muto” fino a ridurlo ad 1/3 in modo
da concentrarlo. La bollitura prolungata
caramellizza una buona parte degli
zuccheri dando una nota meno vinosa,
può essere usato direttamente in boil o
aggiunto a fine boil.
•
Bucce di uva pigiate, in questo
caso viene utilizzata solo la buccia delle
uve che conferiscono più la parte
tanninica che quella aromatica e si
utilizzano per lo più in boil. Di solito sono le
bucce che derivano dalla preparazione
del mosto che viene usato da aggiungere
al travaso.
•
Uva appasita, l’uva appassita non è
altro che uva messa ad “asciugare”
lasciandola appesa su specifici telai o
bastoni o lasciata addirittura sulla vite
dopo aver schiacciato il tralcio che la
tiene alla pianta. Tale appassimento che
avviene in luoghi ben ventilati e freschi
consente l’evaporazione o meglio la
disidratazione del chicco con una
conseguente innalzamento del grado
zuccherino che conferisce un sapore più
dolce tipico dei vini passiti. Questa uva
può essere usata in tutte le modalità sopra
indicate (sconsiglio la preparazione del
mosto cotto con il mosto di uva appassita
per ovvi motivi). Sarebbe opportuno
usare una parte di uva direttamente a fine
boil ed una parte di mosto fermentato da
aggiungere al travaso in modo da
conferire la sua parte di lievito selvaggio.
A questo punto o abbiamo le idee un
poco più chiare o si hanno tante nozioni
da andare ulteriormente in confusione.
Passiamo ora ai fatti e cerchiamo di
impostare due ricette che utilizzano due
tipi di uve differenti.
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COME SI FA’ UNA ITALIAN GRAPE ALE???
Di Antonio De Feo - Jigen_Daisuke
Ricetta AG MoscatAle (con uva moscato
nera o in alternativa con Malvasia nera)
Uva moscata nera, si presenta con un
Acino medio-grande, rotondo o
debolmente ellittico, con buccia
mediamente pruinosa nel corso della
maturazione, che diviene invece quasi
priva di pruina a maturità mostrando un
colore nero o nero-violetto lucido; aroma
debolmente moscato, sapore gradevole.
Per questa tipologia di uva viste la sue
caratteristiche si devono utilizzare
ingredienti che non coprano i suoi profumi
e sapori ma che li vadano ad ampliare
pertanto si utilizzerà una base di malto
pale con una piccola quantità di malto
vienna e melanoidin con aggiunta di
fiocchi.
Ricetta: litri finali 28,0 (in bollitura 33,0)
efficienza 75%, bollitura 60 min.
OG 1,052; IBU: 23,1; EBC: 19;
Malti:
4000 gr Pale, 61%
500 gr Vienna, 8%
300 gr Melanoiden Malt, 5%
300 gr Crystal 90L, 5%
1,5litri Mosto Moscato a fine boil, 23%
Luppoli:
20 gr Cascade, 60 min,
12 gr Pacific Gem, 20 min,
12 gr Cascade, 20 min,
20 gr Pacific Gem, 0 min,
20 gr Cascade, 0 min,
Mash:
30 minuti a 65°C-30 minuti a 68°C
Lievito:
US05 a 18°C
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Ricetta ChardonnAle (con una bianca
chardonnay)
l’acino è di media grandezza, con buccia
mediamente consistente, tenera e di
colore giallo dorato.
il profumo, caratteristico, è delicato e
fruttato (frutta tropicale, ananas in
particolare)
Ricetta Sour Italian Grape Ale “SfIGA”
(con MOSTO DI UVA MONTEPULCIANO)
redatta dai Southern Homebrewers per
la gionata nazionale dell’Homebrewing.
Il grappolo si presenta mediamente
grande, alato e di forma conica. La
buccia è spessa e rilascia molti pigmenti
durante la vinificazione.
Conclusioni
Avere un riconoscimento per uno stile
completamente italiano è una grande
conquista è potrebbe essere un ottimo
trampolino di lancio per i diversi produttori
Italiani anche per creare un pò di
concorrenza tra i vini e cercare di farsi
strada nel settore della ristorazione.
Ricetta: litri finali 25,0 (in bollitura 15,0)
efficienza 100%, bollitura 60 min.
OG 1,075; IBU: 30,2; EBC: 19;
Malti:
5000 gr Estratto Liquido Light ,70%
200 gr Fiocchi di frumento,3%
150 gr Munich Malt,2%
150 gr CaraPilsner,2%
150 gr Pilsener,2%
1,5 litri Mosto a fine boil, 21%
Luppoli:
20 gr Perle, 60 min,
10 gr Nelson, 20 min,
10 gr Perle, 20 min,
10 gr Saaz, 20 min,
10 gr Nelson,10 min,
20 gr Perle, 10 min,
10 gr Saaz,10 min,
10 gr Nelson, 5 min,
35 gr Saaz, 0 min,
Ricetta: litri finali 27,0 (in bollitura 35,0)
efficienza 75%, bollitura 60 min.
OG 1,063; IBU: 30; EBC: 30;
Malti:
3000 gr Pils, 32%
2000 gr Munich Malt, 21%
1000 gr Vienna, 11%
600 gr Weizen,6%
300 gr Caramunich II, 3%
300 gr Special B, 3%
300 gr Melanoidin, 3%
2 litri Mosto Montepulciano fine boil, 21%
Luppoli:
40 gr Saaz, 60 min,
20 gr Saaz,3 0 min,
Lievito:
Irish Ale (Primario)
Brettanomyces Bruxellensis (starterizzato in
mosto d’ uva)
Extra:
4 litri di mosto in secondaria
Chips di rovere americano 1gr/litro
La cosa che più mi affascina delle IGA è la
grande varietà o meglio versatilità dello
stile dove a seconda della materia prima
usata e delle varie combinazioni si
possono ottenere diverse birre che
possono sovrapporsi anche altri stili, come
le saison (infatti quando ancora non si
parlava di IGA tali birre potevano essere
viste come saison autunnali o birre
stagionali) o delle belgian ale o anche a
delle IPA.
Ora tocca a noi dilettarci ed affinare le
ricette per utilizzare al meglio la
stragrande varietà di uve che abbiamo a
disposizione in modo da sorprendere
amici, parenti ed anche gli altri
homebrewers...
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L’”hobby”della sanitizzazione...
Di Giacomo Anania - Tecnico Birraio
L'analisi riguarderà tutto quello che
accade dal momento in cui si smette di
fornire energia termica al mosto al
momento in cui vengono stappate le
bottiglie, alcuni passaggi saranno
semplificati per facilitare la lettura, l'autore
resta a disposizione per approfondimenti,
chiarimenti e parolacce all'indirizzo:
[email protected]
Differenze tra lieviti e batteri
Le due grandi famiglie che ci troviamo ad
analizzare svolgono un ruolo centrale
nella produzione di birre. In relazione agli
stili produttivi tradizionali dei diversi paesi
del mondo, l'utilizzo di un ceppo piuttosto
che di un altro determina profili
organolettici tipici di tali zone produttive.
Il prodotto finale di questo processo
produttivo noto come “Birra” sintetizza
quindi la storia e la cultura di un popolo,
portandosi dietro guerre, rivoluzioni,
carestie, politica, leggi sbagliate, sangue,
sudore e tanto amore per la vita.
Lieviti
Nei secoli con l'evoluzione degli strumenti
dal laboratorio è stato possibile
classificare migliaia di specie di lieviti,
fanno parte del regno dei funghi, e la
presenza di un nucleo cellulare ben
distinto e separato all'interno del
citoplasma li posiziona quindi nel dominio
Eucaryota. Nella produzione della birra i
lieviti più utilizzati sono quelli del genere
Saccharomyces.
Il Saccharomyces è fungo (mycos) dello
zucchero (saccharo) che si riproduce per
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gemmazione e che presenta un
metabolismo “anaerobico facoltativo”, lo
scopo di questo tipo di organismo è
quello un po di tutti gli organismi,
accrescere la propria colonia e
salvaguardare la specie.
Il Saccharomyces è un organismo che
preferisce un substrato a base di glucosio
con la presenza di ossigeno, il suo scopo è
sostanzialmente riprodursi e queste
condizioni per il suo metabolismo sono le
migliori per poterlo fare. Non conosce la
birra e birrai, attiva un processo
fermentativo anche con solo 0,2 g/l di
glucosio e con ossigeno scarsissimo, ogni
singola cellula si può riprodurre decine di
volte e vive in colonie di miliardi di
individui, non è molto diverso da noi in
fondo, no?
Pur essendo un organismo
preferenzialmente aerobico, svolge il suo
compito egregiamente anche in
condizioni anaerobiche o
tendenzialmente anerobiche
percorrendo quell'autostrada enzimatica
che è la glicolisi.
Batteri
A differenza dei lieviti, i batteri sono degli
organismi procarioti, non presentano
quindi una compartimentazione delle
varie componenti all'interno della
membrana cellulare, a volte
assolutamente assenti di alcune
componenti e con l'acido
desossiribonucleico libero nel citoplasma.
Il nostro interesse si muove sulle sottocategorie dei batteri non fotosintetici, in
particolare acetobatteri e batteri lattici.
La p r i m a c o s a c h e r i c h i e d e i l
metabolismo di tali organismi è la
produzione di energia, tale energia servirà
nelle fasi successive del ciclo metabolico
e viene prodotta sotto forma di ATP sia in
presenza che in assenza di ossigeno. Nel
primo caso avremo respirazione cellulare
e l'ossidazione completa dei substrati
ospitanti i batteri, nel nostro caso il
substrato sarà sempre glucosio e
l'ossidazione produrrà CO2 e H2O. Nel
caso di mancanza di ossigeno si genererà
un processo fermentativo che avrà nome
e prodotto diverso a secondo dei batteri
interessati (f. lattica, f. acetica, etc..)
Ridurre i rischi
Nella produzione dei mosti e in quella
successiva della birra, diversi momenti
assumono carattere di criticità igienica,
sopratutto al livello casalingo. Non
lavorando con attrezzature da laboratorio
e non potendo quindi sterilizzare nel vero
senso della parola le attrezzature, tutto
quello che possiamo fare è ridurre la
probabilità di una infezione.
Nonostante il grande impegno e gli studi
fatti neanche nel birrificio più
all'avanguardia e pulito si riesce ad evitare
infezioni che oltre a causare un'ovvia
“delusione” nel produttore, nel caso di
produzioni commerciali causano anche
un danno di natura economica.
Per ovviare a questo sistema, i produttori
commerciali più strutturati utilizzano diversi
gradi di filtrazione e pastorizzazione per
fare in modo che il prodotto abbia una
shelf life più lunga e stabile.
Al livello casalingo e nei microbirrifici più
piccoli (in genere sotto gli 8000-10000
hl/anno) la riduzione delle probabilità di
possibili infezioni e ibridazioni è un pallino
fisso.
Mi piace spesso ricordare ironicamente
che produrre birra è in realtà un
“sottoprodotto” di una serie di lavaggi
infiniti e accurati. Si lava, si sanitizza, si
rilava e si risanitizza e lo si fa in
continuazione tutti i giorni, e poi, alla fine
dopo un paio di mesi di lavaggi abbiamo
“birra”, incredibile ma vero!
Regole per mantenere pulita l'attrezzatura
casalinga.
•
Lavarsi le mani prima di cominciare,
la prima attrezzatura a nostra disposizione
sono loro. Comprate al supermercato un
sapone liquido con antibatterico e
lavatevi le mani BENE, non asciugatele
con asciugamano ma usate dello
scottex.
Questa è una procedura molto utilizzata in
ambito alimentare professionale:
Bagnare ed insaponare le mani con
sapone liquido; Strofinare accuratamente
facendo particolare attenzione agli spazi
ungueali e interdigitali, per 15-30 sec.;
Risciacquare abbondantemente con
acqua corrente; Asciugare bene con
salviette monouso;
Utilizzare l’ultima salvietta per chiudere il
rubinetto.
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L’”hobby”della sanitizzazione...
Di Giacomo Anania - Tecnico Birraio
Ricordatevi che sulle mani abbiamo una
miriade infinita di batteri che sguazzano in
un substrato fatto di sudore e grasso, e
che ogni piega della nostra pelle è per un
batterio un grand canyon dove vivere con
miliari di suoi simili affamati e golosi di
zuccheri, avete voglia di bere questa
roba?
•
Lavate l'attrezzatura appena l'avete
usata.
Non siate pigri, la pigrizia è la peggior
nemica del birraio. Lavate tutto e subito
c o n a b b o n d a n t e a c q u a c a l d a,
ricordatevi che dovete prima di tutto
sgrassare le superfici bene, eliminando i
residui zuccherini e che poi, e solo poi
potete partire con le operazioni di
sanificazione.
Smontate ogni rubinetto, aprite ogni
valvola, sempre ogni volta che la
utilizzate, smontatela e lavatela, se non
avete modo di smontare alcuni
componenti utilizzate del vapore o fate
bollire il pezzo intero (es. Scambiatore di
calore).
Come attrezzature di lavaggio sono utili
spazzolini per denti di diverse misure (da
adulto, bambino e per dentiere) e
scovolini da 8 e 20 mm.
•
Mantenete le attrezzature in un
luogo pulito e copriteli dalla polvere. Le
minuterie (piccoli raccordi ect..) e gli
spazzolini potete metterli in una soluzione
sanitizzante o in alchol, ricordatevi che
l'azione battericida dell'acido peracetico
(comunemente usato nell'industria
alimentare) si ottiene con un contatto di
Pagina 09
20 minuti a 20 gradi centigradi, ogni
cambiamento di questi parametri riduce il
potere sanitizzante della soluzione.
vettori di lieviti e batteri.
E' imprescindibile un buon lavaggio con
acqua calda non appena bevute per
evitare che i sedimenti solidifichino, nel
caso ciò avvenisse devono essere
lasciate a mollo per diverse ore con
acqua calda e un prodotto detrattante, io
consiglio la Vebisoda che viene venduta
“pura” da diluire al 10% con acqua calda
(60°).
Per la sanitizzazione delle bottiglie, la cosa
migliore a mio avviso è il forno, una volta
pulite e asciutte si possono mettere per
quaranta minuti a 180° per levarsi ogni
pensiero.
•
Utilizzate prodotti specifici per la
pulizia, l'acido peracetico è difficilmente
reperibile per i privati, è un prodotto
professionale con una particolare scheda
di sicurezza che viene venduto solo
all'ingrosso, il mio consiglio è uno
sgrassatore con antibatterico per
sgrassare e l'ipoclorido di sodio per
sanitizzare, comunemente in commercio
come varecchina. Una soluzione al 5%
dovrebbe garantirvi dei livelli adeguati di
igiene lasciatela a contatto con le
superfici per 20 minuti e risciacquatela
con abbondante acqua calda. L'acciao
inox nel lungo periodo è intaccato
dall'ipoclorido, ma se mantenete i tempi
e le percentuali che vi ho consigliato, non
ci saranno problemi.
Gli alleati dell'igene alimentare
(temperatura, pressione, chimica)
La combinazione dei tre elementi
TEMPERATURA – PRESSIONE (forza abrasiva)
– CHIMICA è la via da seguire per qualsiasi
lavaggio che si rispetti.
•
Discorso a parte merita la pulizia dei
vasi (bottiglie). Sono spesso il peggior
nemico dell'igiene brassicola, nei
microbirrifici spesso non vengono lavate
p e r c h é n u o v e, a l c u n e l i n e e d i
imbottigliamento le “soffiano” per
eliminare qualche residuo di polvere
interna.
Ricordate che vengono da un processo di
lavorazione ad altissime temperature e se
nuove ed imballate non ci sono i
presupposti per una proliferazione
batterica mancando di fatto un substrato
dove vivere.
Al livello casalingo si utilizzano spesso e
volentieri bottiglie riciclate, pericolosissimi
Inutile è passare una spugnetta asciutta
sullo sporco incrostato, inutile (o quasi) uno
sgrassatore spruzzato e basta, idem per
acqua calda sulle superfici senza ulteriori
lavorazioni, per un corretto potere
sgrassante bisogna combinare le tre
cose.
Per la produzione di ACQUA CALDA, e per i
lavaggi dell'ultimo momento, un must
utilizzato comunemente anche nei birrifici
è un normale bollitore per acqua.
Si possono ottenere piccole quantità di
acqua a 100° in brevissimo tempo,
utilissima per dare un ulteriore colpo di
grazia, a qualsiasi cosa che nel frattempo
potrebbe essersi annidata in una piega o
in un tubo o per essere utilizzata insieme
ad altri prodotti per ottenere la
c o m b i n a z i o n e
acqua+pressione+chimica
Per quanto riguarda la PRESSIONE, nelle
aziende alimentari, per diverse difficoltà
oggettive nel raggiungere tutti i punti “a
mano”, vengono utilizzare sfere di
lavaggio ad alta pressione che
garantiscono una adeguata forza
abrasiva sulle pareti dei tank di
fermentazione e all'interno dei tini di
produzione. Al livello casalingo, una
comune spugnetta (non paglietta
metallica) e dell'olio di gomito svolgono
e g r e g i a m e n t e q u e s t o c o m p i t o,
ricordatevi di cambiare di tanto in tanto la
spugnetta, di lavarla bene con acqua
calda ogni volta che la usate e di riporla, il
più asciutta possibile, in un luogo pulito.
Per la CHIMICA i nostri alleati invece sono
(al livello casalingo):
Un comune sgrassatore con antibatterico
per i lavaggi preliminari, la vebisoda per
scrostare le bottiglie.
E per la successiva sanitizzazione la
soluzione con ipoclorido di sodio per un
massimo di 20 minuti a 20 °C
Conclusioni:
Ricordatevi sempre che l'igene è la base
imprescindibile per la produzione di mosti
e di birre, dedicate a lui la stessa passione
e lo stesso impegno che mettete nel
realizzare ricette, non siate pigri e studiate
sempre sistemi che semplifichino i
passaggi di lavorazione del prodotto,
sopratutto a freddo.
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Lactobacillus ... Fai da te!
Di Vincenzo Follino - Thiell
Che i Lactobacillus fossero un elemento
fondamentale nella nutrizione umana e
nella tecnologia alimentare non è
questione nuova, basti pensare al loro
ruolo nelle tecnologie lattiero-casearie,
nella vinificazione, o come componente
o probiotico per il corretto sviluppo del
microbioma intestinale.
Da qualche anno, con la renaissance di
determinati stili birrari per molto tempo
rimasti desueti, tra gli homebrewers e tra i
birrai è accresciuta la curiosità di utilizzarli
nel processo produttivo di birrificazione,
fino a poco tempo fa esclusivamente
riservato alla classe dei lieviti. Di pari
passo sono aumentate le richieste di info
su forum e social network e le offerte di
ceppi cosiddetti “wild” da parte dei
rivenditori di materie prime.
Sebbene ultimamente siano aumentate
le proposte da parte di questi ultimi sui
diversi ceppi di lacto, in realtà non
sempre sono disponibili, alcuni sono
dichiarati come “stagionali” e la varietà
offerta è ancora piuttosto scarsa, tanto
da rivolgersi (come il
sottoscritto) ai
rivenditori esteri.
Da ex studente che ha incontrato diverse
volte nel suo percorso microrganismi
come i lacto, uno dei concetti che più mi
è rimasto impresso è quello
dell'ubiquitarietà dello stesso; li ritroviamo
difatti nell'ambiente, sulla cute, nella
cavità boccale, oltre che negli alimenti
prodotti per fermentazione lattacida
come yogurt, etc... Il malto d'orzo, quello
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chiaro, non sottoposto ad intensivi colpi di
fuoco, è un eccellente serbatoio di
lattacidi e di tanti altri microrganismi;
anche se personalmente, processi come
quello che intendo approfondire non mi
sono mai garbati a livello hobbistico, data
la bassa possibilità di standardizzazione e
replicabilità, in realtà, con la messa in
campo di poche nozioni teoriche, si ha la
possibilità di alzare notevolmente le
possibilità di selezione e di replicabilità,
anche senza l'ausilio di mezzi
laboratoristici.
Prima di approfondire il processo di
coltura dei lactobacillus dai grani
secondo la teoria e le mie esperienze
personali, affrontiamo prima qualche
nozione base sui batteri lattici.
Caratteristiche generali
I Lactobacillus, a differenza dei
Saccharomyces e Brettanomyces, sono
batteri ed organismi procarioti, di
dimensioni decisamente inferiori a quelle
dei lieviti, e per questo facilmente
identificabili ad un'analisi microscopica. I
Lactobacillus fanno parte di un ordine di
batteri, i lattacidi, che include migliaia di
specie batteriche, tra cui Leuconostoc,
Lactococcus, Pediococcus,
Enterococcus e tanti altri. A differenza
degli eucarioti, i batteri non presentano
nucleo e differenti organelli cellulari,
motivo per cui la crescita è molto più
rapida, con una capacità replicativa
stimata in 20 minuti.
Gram-positivi, i lactobacillus sono batteri a
forma bastoncellare, asporigeni,
anaerobi microfili, che producono acidità
volatile mediante produzione di L-acido
lattico, a partire da zuccheri di varia
natura.
Da un punto di vista metabolico, i batteri
lattici possiedono un metabolismo
esclusivamente di tipo fermentativo;
come detto poc'anzi, essi sono organismi
anaerobi, ovvero accrescono
efermentano in assenza di ossigeno, ma
possono tollerare (in misura minore o
maggiore dipendentemente dalla
specie) piccole quantità di ossigeno
molecolare; essendo microrganismi
catalasi negativi, vi è l'impossibilità da
parte di questi ultimi di degradare le forme
tossiche dell'ossigeno che vi si formano
durante la respirazione.
acido lattico, anidride carbonica, etanolo
e acido acetico in piccole quantità (in
base alla specie); le specie
eterofermentative producono una
maggiore quantità di lattato rispetto alle
specie omo.
I actobacillus sono batteri molto esigenti
da un punto di vista nutrizionale; oltre a
necessitare di una fonte di carbonio (gli
zuccheri), abbisognano di una fonte di
azoto, di purine e pirimidine, di composti
fosforati e solforati, di vitamine (tiamina,
biotina) e di sali minerali quali magnesio e
manganese per le reazioni intracellulari.
Ciò pone diversi problemi, analizzati in
seguito, circa il conferimento di un idoneo
substrato per la crescita e per la
fermentazione lattica.
I Lacto, a seconda della specie, possono
metabolizzare diverse tipologie di
zuccheri semplici attraverso due vie, la via
eterolattica (o eterofermentativa) e la via
omolattica (o omofermentativa), anche
se in realtà esistono specie che seguono
entrambe le vie.
Il metabolismo omofermentativo
procede attraverso una via metabolica
utilizzata anche dai lieviti, ovvero la
glicolisi, con formazione finale, grazie
all'enzima lattico deidrogenasi (LDH), di
acido lattico.
Il metabolismo eterofermentativo invece
non segue la glicolisi per la degradazione
degli zuccheri esosi ma bensì la via dei
pentosi fosfati, con formazione finale di
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Lactobacillus ... Fai da te!
Di Vincenzo Follino - Thiell
Per quanto riguarda le fonti di carbonio, i
lactobacillus fermentano differenti
tipologie di zuccheri, indi ceppi come il
Plantarum che ne utilizza differenti
tipologie (con inacidimento rapido del
mezzo) e altri ceppi che convertono il
fruttosio in mannitolo conferendo uno
spunto dolciastro, noto difetto in alcuni
vini. Altra problematica, i lactobacillus
sono microrganismi notevolmente inibiti
dagli a-acidi e dai B-acidi dei luppoli, ma
anche da alcuni olii; in taluni casi alcune
specie presentano una lieve tolleranza
(parliamo di pochissime IBU) in altri casi la
tolleranza è prossima allo zero. Qualora vi
sia un lieve adattamento al luppolo,
alcuni eterofermentanti riducono
comunque la produzione di lattato a
favore dell'acido acetico. Inoculare
quindi una specie lattica in un mosto
luppolato nonsortirà alcun effetto di
inacidimento.
I Lactobacillus rappresentano una specie
che agisce solo simbioticamente in un
mosto di birra; non è possibile difatti
ottenere una birra con soli Lacto, in
quanto inibiti da diverse sostanze, in primis
dallo stesso acido lattico che producono,
per cui geneticamente troveremo specie
che tollerano maggiormente un basso pH
e specie che non tollerano alte
concentrazioni di lattato. Proprio perchè
non è possibile fermentare un mosto di
birra, se non pochissimi gradi Plato,nel
caso in cui trovassimo una fg bassa,
sicuramente altre specie microbiche
(lieviti) avranno colonizzato il mosto e
portato avanti la fermentazione. E qui
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aggiungiamo un altro punto debole dei
Lactobacillus, ovvero la difficoltà
nelpropagarli in purezza: essendo
microrganismi molto esigenti da un punto
di vista nutrizionale, ma non solo, anche
dal pH, dalla temperatura del mezzo e
dall'ossigeno disciolto, facilmente
perdono la competizione con lieviti. Per
quanto riguarda la temperatura di
crescita e fermentazione, i lattacidi
possono essere mesofili e/o termofili; in
generale, ogni specie lacto ha il proprio
optimum di temperatura; ovviamente
non è vero che tutti i ceppi lattacidi
fermentano a temperature africane, ma
è possibile rinvenire diversi ceppi che sono
attivi metabolicamente a temperature
intorno ai 20-30 gradi. Nel nostro caso, per
aiutarci nella selezione degli stessi, è
preferibile agire a temperature prossime
ai 40-45 gradi.
Caratteristiche fenotipiche ed
organolettiche
Come è possibile riconoscere
visivamente e organoletticamente una
coltura di lactobacillus?
In realtà, proprio perchè esistono differenti
specie di batteri lattici, ognuna con la
propria peculiarità per quanto riguarda la
produzione di lattato ma soprattutto di
sottoprodotti secondari, possiamo
identificare differenti sfumature più o
meno piacevoli al naso. Sicuramente
sostanze come butirrato e acido
isovalerico non producono aromi
piacevoli, dato che si esprimono
soprattutto come vomito di lattante e
come odore da caseificazione; potremo
riconoscere anche il tipico burroso
conferito dal diacetile, ma anche e
soprattutto note agrumate, lemony, ma
anche di mele verdi acerbe. In bocca,
oltre al lattico, potremo riconoscere note
di panificazione, soprattutto di prodotti
ottenuti da pasta acida.
Visivamente, i lactobacillus
eterofermentanti (gli omo sono esenti),
anche se producono anidride carbonica,
in realtà la quantità è decisamente
inferiore a quella prodotta da lieviti, e
potremo anche non accorgercene della
produzione di gas, oltre alla mancanza di
formazione di krausen.
Altra caratteristica dei lactobacillus è la
scarsa attitudine alla flocculazione;
mancando quindi di flocculenza
mostrano un tipico atteggiamento
polveroso al ruotare del contenitore.
Inoltre, tendono generalmente a
sintetizzare un biofilm in superficie, con
consistenza “farinosa” quando si sgretola.
Coltura Lacto dal malto d'orzo
Da quanto detto precedentemente,
possiamo già isolare le caratteristiche
principali che dovrà avere il nostro mezzo
affinché ci sia propagazione e
fermentazione lattacida.
1- Assenza di ossigeno.
2-Nutrienti glicidici (zuccheri semplici),
fonte di azoto (aminoacidi e peptidi),
micronutrienti (vitamine e minerali).
3- Assenza di luppolo.
4- Temperature elevati e costanti.
5- pH del mosto <4,5.
Per quanto riguarda il primo punto, è
importante limitare al minimo il
discioglimento di ossigeno nel mosto,
cercando di non far splashare il mosto
dalla pentola al contenitore, e soprattutto
limitando al minimo lo spazio morto. Se si
usa una beuta, coprire bene con carta
alluminio; personalmente preferisco
utilizzare una bottiglia di plastica, in modo
da poterla chiudere ermeticamente e
soprattutto schiacciarla per far uscire il
maggior quantitativo di ossigeno
all'esterno. Inoltre, la retrazione della
bottiglia ci permetterà di identificare
l'eventuale produzione di gas, che sarà
comunque bassa nel caso di
eterofermentanti, oppure elevata se il
mosto è contaminato da lieviti. Per
aumentare ulteriormente l'espulsione
dell'ossigeno, utilizzo acqua carbonata, in
modo che a temperature prossime ai 40
gradi lentamente ci sarà l'abbandono
dalla soluzione della co2, che colmerà lo
spazio morto.
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Lactobacillus ... Fai da te!
Di Vincenzo Follino - Thiell
E' bene ridurre al minimo la presenza di
ossigeno per facilitare l'azione dei lacto e
ridurre la sintesi di sostanze
e
sottoprodotti sgradevoli.
Nel secondo punto sono menzionate le
caratteristiche nutritive della miscela
necessarie alla corretta crescita dei
lactobacillus. La base zuccherina dovrà
essere costituita per buona parte da
zuccheri semplici, quindi glucosio,
fruttosio e maltosio.
Oltre all'estratto di malto, fonte di maltosio
e di peptidi, utilizzo del succo di mela
100% e del miele come fonte di
glucosio/fruttosio e di vitamine e sali
minerali, oltre a conferire una certa
acidità naturale grazie alla presenza di
acido malico, citrico e ascorbato nel
succo di mela. Al fine di incrementare i
nutrienti nel mezzo, possono essere
utilizzate specifiche miscele nutritive
oppure addizionare in boil del lievito in
slurry o liofilizzato.
Al terzo e quarto punto si sottolinea
l'importanza dell'assenza di luppolo e del
mantenimento di temperature calde e
costanti; io generalmente mantengo lo
starter microbico ad una temperatura
compresa tra i 40 ed i 45 gradi.
Grossa attenzione dovrà essere riposta
alla sanificazione, ancor più scrupolosa se
non vogliamo rischi di contaminazione,
soprattutto per lo stoccaggio della
coltura.
La mia personale ricetta per lo starter
lattacido è la seguente:
! 1 litro di acqua carbonata
! 100g di malto in grani pils non macinato
!100 grammi di estratto di malto dry
!200-300 ml di succo di mela 100%
!1 cucchiaio di miele
!lievito liofilizzato
!acido citrico
A queste temperature infatti, la maggior
parte dei lieviti non si ritrova nel proprio
optimum di temperatura, limitandone
così la propagazione, e favorendo invece
la crescita dei batteri lattici, in primis
lactobacillus; Pediococcus invece è
metabolicamente attivo a temperature
inferiori (25-30 gradi). Per quanto riguarda
il quinto punto, è bene acidificare la
miscela mediante addizionamento di
acidi, quindi lattato, citrato o anche del
succo di limone.
Partire da un pH già basso ci permetterà di
inibire una serie di microrganismi come
lieviti ossidativi ed enterobatteri che sono
normalmente presenti sulle glumelle del
malto, consentendoci di avere uno starter
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con aroma pulito esclusivamente da
lactobacillus.
propagazione possiamo decidere di
propagarlo ulteriormente, oppure filtrarlo
dai grani ed inoculare la parte liquida in
un contenitore sterile ed ermetico.
Per un idoneo stoccaggio, è possibile
conservarlo a temperature di
refrigerazione mediante addizione di una
sostanza buffer che ne innalzi il pH, al fine
di aumentarne la vitalità.
Nel caso di conservazioni più lunghe
eseguite in freezer, è possibile reperire
delle provette dove aggiungere la coltura
ed una quantità di glicerina al 10-15%.
Una volta fatta bollire l'acqua con
l'aggiunta dell'estratto, del miele, del
succo di mela e dei nutrienti (o lievito),
facciamo raffreddare e misuriamo il pH; in
base all'acidità aggiungiamo acido
citrico/lattico per portare il mezzo sotto
4.5. L'OG finale dovrebbe assestarsi sui 7-8
gradi Plato (1,030-35). Una volta trasferito
il mosto nel contenitore, facendo
attenzione a non far schiumare,
aggiungiamo il malto d'orzo e chiudiamo
ermeticamente lo stesso.
Maggiore è la velocità di acidificazione
del nostro starter, maggiori sono le
probabilità di selezionarci lattacidi ed
impedire la crescita degli altri
microrganismi saprofiti del malto d'orzo.
Una volta che siamo sicuri dell'avvenuta
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DMS - Dimetilsolfuro
Di Antonio Nicoletti
IL DMS (dimetilsolfuro)
Descrizione
Origine ed ambio problematico
Inizia con la prima sezione sugli off flavours
riscontrabili nelle birre il mio contributo
sull’informatore brassicolo. Nei vari articoli
analizzerò un off flavour differente, dandone
significato, cercando di spiegarne il
contributo riscontrabile a livello di aroma ed
infine fornendo le possibili soluzioni. In
questa parte analizzerò il tanto temuto ed
odiato DMS, ossia il dimetilsolfuro. Piccola
premessa. Saper riconoscere ed individuare
un particolare off flavour o “difetto” nelle
birre non è cosa semplice, ma neppure
impossibile. L’importante è maturare le
d o v u t e c o m p e t e n z e, a c q u i s e n d o
esperienza e non da ultimo degustare e
soffermarsi sui vari profumi o percezioni
olfattive che una birra può offrire. La birra è
una bevanda che, come tutti gli altri
prodotti alimentari, può presentare difetti
o r g a n o l e t t i c i. Ta l i a l t e r a z i o n i n o n
compromettono la salubrità, ma sono
causa di una notevole penalizzazione della
qualità. Tra i più importanti e diffusi vi sono
quelli che coinvolgono il livello olfattivo.
Analizzando la ruota di Meilgaard che ci
aiuta nell’individuazione dei composti
aromatici delle birre, il DMS fa parte del
gruppo 6 della ruota, dove sono riportati i
composti dello zolfo. La concentrazione
tipica è tra 0,05 e 0,3 µg/l e la soglia di
percezione 0,1 µg/l. I sentori riconducibili al
DMS si individuano come mais bollito (aprite
una scatoletta di mais e sentitene l’odore),
ma anche di cavolo bollito, sedano
pastinaca e salsa di pomodoro quando è
ad alte concentrazioni. Le Sostanze
responsabili sono il dimetilsolfuro = DMS;
(dimetildisolfuro = DMDS)
L’origine di questo composto aromatico
può dipendere da vari fattori:
! Germinazione del malto: precursore
inodore DMS-P (S-metilmetionina)
! Insufficiente temperatura massima di
essiccazione del malto (alto contenuto di
DM -P nel malto essiccato)
! Bollitura del mosto: DMS-P scisso ed espulso
! Insufficiente bollitura del mosto di birra (alto
contenuto di DM -P nel mosto
all'accertamento)
! Sottoprodotto del metabolismo delle
Enterobatteriaceae (batteri del mosto)
! pH del mosto troppo basso,
! lunghi tempi di pausa nel whirIpool
(rinnovata scissione di DMSP nel DMS libero),
-insufficiente pulizia ed igiene ambientale
Riconoscere correttamente i sentori negativi
è un aspetto fondamentale dal punto di
vista tecnico al fine di realizzare il
miglioramento di processo, della gestione o
della conservazione del prodotto.
È importante, però, che anche i
consumatori attenti e gli appassionati
abbiano un corretto approccio critico verso
le birre che degustano, in modo da
qualificare e valorizzare adeguatamente i
prodotti in cui note organolettiche
“particolari” rappresentano elemento di
tipicità, rispetto ai veri e propri difetti.
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Cause e Formazione.
Per quanto riguarda le cause il DMS è
prodotto dai precursori del malto presenti
nel germe del chicco, ma può anche
provenire da infezioni batteriche derivanti
da cattiva sanificazione. Una bollitura non
adeguatamente lunga e/o non scoperta
può limitarne l’espulsione. Una cattiva
sanificazione, infine, può favorire l’infezione
batterica.
Rimedi possibili durante il processo
produttivo
Analizzando i rimedi possibili a questo tipo di
problema, le varie soluzioni fanno
riferimento a vari processi della produzione:
!Essiccazione a del malto a temperatura più
idonea;
! processo a decozione;
!bollitura del mosto > 100° C;
!prolungamento della durata della bollitura;
!alto pH del mosto;
!elevato fattore di evaporazione;
Di solito un tempo di bollitura di 80-90 minuti
è sufficiente a scongiurare ogni tipo di
problema. Altro fattore importante è la
velocità di raffreddamento del mosto post
bollitura. Un periodo prolungato per il
raffreddamento può portare, infatti, a livelli
anomali di dimetilsofuro.
E’ molto
importante ,infine, attuare un semplice
accorgimento, ovvero quello di effettuare il
boil senza coperchio della pentola o
comunque facendo in modo che il vapore
fuoriesca. Il primo off flavour che ho
imparato ad individuare è stato proprio il
dimetilsolfuro. Ricordo ancora nelle prime
cotte casalinghe quella fastidiosa puzzetta
che percepivo nelle mie birre. Col tempo e
con lo studio ho imparato a saperlo
riconoscere ed eliminare. E’ proprio usando
questi piccoli accorgimenti, infine, che è
possibile fare il salto di qualità per le proprie
produzioni aumentando il livello di
competenza e conoscenza che dovrebbe
contraddistinguere ogni singolo
homebrewer.
La concentrazione di questo composto
aromatico è maggiore nei malti con
essicazione più bassa. Le maggiori
concentrazioni di DMS, infatti, si trovano
specialmente nei malti base come il malto
pils. Per le mie basse fermentazioni con
malto pils come base preferisco sempre
fare una bollitura prolungata oltre i 60 minuti.
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Ad Maiora
Di Simona Ferrante
Circa due anni fa ho scritto una tesi di
laurea in botanica dal titolo: “Il ruolo di
Humulus Lupulus nella produzione birraia”.
Inutile dire che questa fase ha
rappresentato uno dei momenti più
entusiasmanti della mia carriera, e non
solo perché ero giunta a conclusione di un
percorso, ma perché ho potuto
approfondire un tema a me molto caro.
fresca (provenienti dagli alberi dei miei
nonni) e, naturalmente, Cascade e Nelson
Sauvin in aroma.
Così, nel mentre io ero persa nella stesura
della tesi, preparazione della
presentazione in power point ed annesso
discorso, mia madre, come solo ogni
buon genitore sa fare, mi pone il
problema “bomboniera”.
Ok, lo ammetto, odio queste cose con
tutta me stessa ma riconosco che, in quel
frangente, la cosa mi è sfuggita un po’ di
mano ed il risultato è stato che qualche
giorno dopo ho acceso i fornelloni ed è
nata l’Ad Maiora.
Tenendo presente la mia riluttanza ai soliti
“prendi polvere” da mensola, ho pensato
che sarebbe stato originale regalare
qualcosa di personale e particolare in
ricordo di quel giorno.
L’idea era quella di fare bottiglie di birra da
0.75 cl per i parenti, da 0.33 cl per gli amici
e dei fustini da poter bere la sera stessa. Mi
sono consultata con il mio “socio birraio” e
abbiamo posto delle condizioni alla
stesura della ricetta, ovvero: semplicità ma
non banalità. Perciò, abbiamo deciso di
fare una birra ispirata alle Belgian Pale Ale,
di semplice approccio, aromatizzata con
semi di coriandolo e buccia d’arancia
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concludeva con una lieve nota amara
non aggressiva ma ripulente, con note
speziate e agrumate e con sentori di
crosta di pane. Ottima come aperitivo ma
anche in abbinamento a carni bianche,
fritture pastellate di verdure e di pesce, e
primi piatti speziati ma poco elaborati.
Dal momento che non sono riuscita a
reperire un numero sufficiente di bottiglie
da 0.75 cl uguali, ahimè, ho comprato un
pacco da venti di champagnotte (alla
(s)modica cifra di 17€), mentre le bottiglie
piccole sono riuscite a recuperarle dagli
amici publican (Grazie Claudio!).
Come se tutto ciò non bastasse, per
complicarmi ulteriormente la vita, ho
iniziato a fantasticare sul
confezionamento e la personalizzazione
delle bottiglie. Di seguito riporto cosa ho
fatto, ovviamente ognuno può prendere
liberamente spunto per poi far scatenare
la propria fantasia.
Le bottiglie sono state personalizzate con i
seguenti elementi: etichetta, veletto rosso
copri-tappo e cartoncino con le
caratteristiche della birra. I veletti li ho
ricavati da un pezzo di stoffa grande 1x5
m, ritagliando dei quadratini della misura
appropriata.
La birra finita si presentava velata e di
colore oro intenso con riflessi aranciati; la
forte caratterizzazione data dall'utilizzo a
fine boil di spezie quali il coriandolo, la
buccia d'arancia fresca e del luppolo
Nelson Sauvin, le hanno conferito profumi
eccezionalmente agrumati, speziati e
dolci (dalla marmellata di arance, alla
frutta candita, al coriandolo, ed un
leggero pizzicore nasale dovuto ad una
nota di pepe verde molto presente). In
bocca l'iniziale dolcezza e fragranza
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Ad Maiora
Di Simona Ferrante
RICETTA Ad Maiora (per 23 litri)
Malto Pale 5 kg
Caramunich II 0,3 kg
Fiocchi frumento 0,25 kg
Perle 20g x 60 min
Cascade 20g x 15 min Nelson Sauvin 30g flame out
Cascade 50g – flame out
Coriandolo 20g – flame out
Bucce d'arancia fresca 46g – flame out
Lievito S33 a 18-20°
Lievito Us05 starterizzato al travaso
Mash 64° x 45 min e 72° x 20 min OG 1,054
Ebc 17 IBU 32
Questi li ho legati alla bottiglia con della
raffia per coprire il tappo, la stessa raffia
che ho utilizzato per legare il cartoncino
con le indicazioni sulla birra.
Il cartoncino indicava sulla parte anteriore:
il mio nome, il giorno della laurea e la
facoltà che ho frequentato (così da far
felice la mamma), invece, all’interno su di
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un lato ho messo la parte descrittiva della
birra, mentre sull’altro le indicazioni su
come berla e con quali piatti abbinarla.
L’etichetta l’ho stampata su fogli adesivi
trasparenti, così da ottenere l’effetto del
papiro ritagliato (un ottimo consiglio
ricevuto da mio cognato!) ed il nome è
venuto in modo naturale.
Con la stoffa rossa avanzata ho abbellito
un cesto abbastanza grande, uno di quelli
classici, di vimini, che si ricevono a Natale.
Il risultato è stato sorprendente!
cui ho visto tanto sincero entusiasmo nel
portare la bomboniera a casa.
Oltre a fare breccia nel cuore della mia
relatrice e del presidente del corso di
laurea, amici e parenti sono rimasti
soddisfatti e, forse, è stata la prima volta in
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Lieviti per Idromele
Di Marco Parrini – Batino
Ecco una picocla sintesi di cosa sono gli
idromeli o come vengono classificati.
M1. IDROMELE:
E' un fermentato di miele. Può essere
secco, semidolce o dolce. E’ quello in cui
più si può ricercare l’aromaticità della
materia prima: il miele. Da Bjcp 2015 va
indicato obbligatoriamente la frizzantezza
cercata e la forza aromatica, può essere
indicata la tipologia di miele utilizzata e la
dolcezza deve essere corrispondente alla
tipologia indicata (M1A. Secco, M1B.
Semidolce o M1. Dolce).
M2. IDROMELE DI FRUTTA:
E' un fermentato di miele con aggiunta di
frutta. Questo si suddivide in:
M2A. Cyser - M2B.Pyment - M2C. Berry
Mead o Melomele di Bacche - M2D. Stone
Fruit Mead o Melomele con Frutta a
Nocciolo - M2E. Melomele.
M3. IDROMELE SPEZIATO:
E’ la definizione del’idromele ottenuto
dalla fermentazione oltre che di miele o
miele e frutta anche di spezie o erbe.
Questo si suddivide in:
M3A. Idromele alla frutta e spezie -M3B.
Idromele alle spezie, erbe o verdure.
M4.IDROMELI SPECIALI:
Si tratta di Ricette speciali perlopiù di
origine storica o riconducibili a fonti
antiche documentate.
Questo si suddivide in:
M4A. Braggot - M4B. Idromele storico o
tradizionale M4C. Idromele
sperimentale.
Per le definizioni precise fare riferimento al
BJCP.
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I LIEVITI PER GLI IDROMELI (Un breve
estratto da “Guida Breve ai Melomeli e
Idromeli” a cura di Marco Parrini e
Valentina Palagi e Riccardo Boccardi)
Andiamo ad analizzare quali lieviti
possono essere utilizzati al fine di ottenere
un prodotto consono alle nostre
aspettative. Partiamo dal presupposto che
in generale di solito in fermentazioni di
questo tipo va inserito nella misura di 1
grammo per litro di bevanda.
Anche se alcune scuole di pensiero
(soprattutto chi viene dal mondo della
birra) preferiscono stimolare una
fermentazione più vigorosa iniziale
imponendo ben 3 g/l di lievito,
adducendo che ciò comporta una
maggiore limpidezza finale, meno
produzione di sentori non consoni e una
più difficile predisposizione alle infezioni.
(Saccaromyces bayanus)
!
Medio: lievito da vino generico, ne
esistono di molteplici attenuazioni; meglio
in genere da vino bianco (Saccaromyces
cerevisiae, ceppi isolati da bucce d'uva)
!
Dolce: lievito poco attenuante, tipo
birra (Saccaromyces cerevisiae specifici
per birra, ricordandosi però anche che
hanno in genere una bassa tolleranza
all’alcool)
Tuttavia giocare sulle caratteristiche del
lievito non è facile (spesso i valori di
attenuazione indicati non vengono
rispettati, o il lievito è stato mal conservato
ed è meno vitale), inoltre il lievito da birra
fornisce in genere risultati peggiori che il
lievito da vino (a detta di quasi tutti i
produttori).
N.d.a. Non sempre questo è dimostrato o
dimostrabile… perché spesso come dirò
in seguito queste scuole di pensiero sono
le stesse che preferiscono pastorizzare il
miele ammostato...
Inoltre al fine dei nostri calcolo va
considerato che gli zuccheri contenuti nel
miele (al contrario di quelli del mosto di
birra) sono fermentabili al 100%.
Una tecnica più semplice si basa sulla
tolleranza all’alcol del lievito usato. Per
esempio se sappiamo che il lievito
raggiunge 10° alcolici e noi mettiamo
fermentabili per raggiungere 8-9° il risultato
sarà sicuramente più secco, in quanto il
lievito processerà certamente tutti gli
zuccheri presenti. Se invece inseriamo
miele per raggiungere i 12° teorici,
sapendo che a 10° la fermentazione si
interromperà, gli zuccheri residui
conferiranno dolcezza alla bevanda.
Per determinare quindi la dolcezza finale
della bevanda si dovrà giocare sì sulla
quantità di miele, ma anche sul tipo di
lievito:
!
Molto secco: lievito molto
attenuante, tipo champagne
Sempre riguardo ai lieviti ci sono altre cose
da non dimenticare.
Innanzitutto esistono 3 prodotti, 2 della
Wyeast e 1 della White Labs, ottenuti negli
anni da selezioni di ceppi di lieviti da vino:
il n. 4632 (Wyeast) che da’ come risultati
degli Idromeli secchi essendo molto
attenuante e resistente alle alte gradazioni
alcoliche (certificato fino 18°);
invece il n. 4184 (Wyeast) e il WLP720 (W.L.)
che li producono dolci avendo come
massima tolleranza all’alcool
rispettivamente 11° e 15°.
Sono tre lieviti liquidi venduti a prezzi che
vanno dagli 8 ai 10 euro per 125 ml di
prodotto e che possono essere utilizzati
secondo il produttore per 19 l - 24 l di
mosto a seconda della Og prevista.
I pareri a riguardo sono alquanto discordi.
C’è chi non ne può fare a meno e chi
invece li evita sia per il costo eccessivo che
per i risultati che non sempre attendono le
aspettative. Dalle mie ricerche non ho
trovato pareri comuni né tantomeno pareri
intermedi.
O viene amato o odiato.
Tra i lieviti secchi invece sono molto utilizzati
e diffusi quelli della Lalvin (forse anche
perché facilmente reperibili online in
bustine da 5 g a basso prezzo).
Li cito perché alcuni sono effettivamente
molto indicati, ma non essendo specifici,
probabilmente chi si approccia per le
prime volte a questo mondo non li prende
in considerazione anche perché spesso
sono raccomandati espressamente solo
per Vini Rossi o altro.
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Lieviti per Idromele
Di Marco Parrini – Batino
Voglio prenderne in esame in particolare
4:
Lalvin D-47 - Normalmente indicato
1.
per vini bianchi, tende ad evidenziare le
caratteristiche del miele; Indicato
soprattutto per questo per gli Idromeli puri.
Ha una fermentazione abbastanza rapida
e con poca schiuma. Spesso si preferisce
abbinargli dei nutrienti, ma non sono
strettamente necessari. Adatto sia per
prodotti secchi che per dolci in quanto ha
tolleranza all’alcol del 14%. Temperatura
di fermentazione consigliata 15-20°.
Lalvin
EC-1118 - Lievito da
2.
Champagne. Ha il fattore K (vedi di
seguito). Alta tolleranza, fermentazione
vigorosa, ma poca schiuma. Influisce
poco coi propri sentori sul prodotto finale,
ma necessita in un lungo invecchiamento.
Ampio margine di temperature per la
fermentazione. Tolleranza certificata del
18% e Temperatura di fermentazione 735°.
Lalvin K1-V1116 - Vigoroso e con il
3.
fattore K. Molto adatto ai Melomeli perchè
riesce a mantenere gli aromi primari della
frutta e ad accentuarli sia al sapore che al
naso.
Necessita di un apporto importante di
idrogeno che si può ottenere con
l’aumento dell’aggiunta di frutta e/o con i
nutrienti. Tolleranza al 18% e temperatura
di fermentazione 15-30°.
Lalvin 71B-1122 - Lievito per vini Rossi,
4.
che però è adatto ai Cyser e ai Melomeli
delle categorie M2C e M2D in quanto
riesce a metabolizzare l’acido malico
presente nella frutta, favorendo trall’altro
una maturazione più veloce ed un gusto
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finale più rotondo e aromatico. Tolleranza
all’alcool 14% e temperatura consigliata
15-30°.
Io infine personalmente ho anche usato
lieviti secchi specifici per il Sidro dolce con
buon risultati soprattutto dal punto di vista
dell’apporto aromatico.
Dato che siamo nell’ambito dei lieviti
enologici vi è poi la possibilità di utilizzarne
qualcuno con il cosiddetto fattore K
(fattore Killer), una tossina che viene
p r o d o t t a d a a l c u n i c e p p i, c h e
ovviamente ne sono immuni, ma che è
intollerabile per la stragrande
maggioranza di quelli selvaggi.
Tale tossina si conserva con la temperatura
di fermentazione sotto i 32 gradi ed evita la
proliferazione della stragrande
maggioranza dei lieviti selvaggi che
spesso si annidano sulla buccia della frutta
(si parla quindi principalmente di
Melomeli), ma che naturalmente non
evita la comparsa di Brettanomyces e
quindi il volgere verso fermentazioni di tipo
acido. I ceppi killer vengono indicati in
enologia con la lettera (K), quelli sensibili
con la lettera (S).
Ci sono anche i
cosiddetti ceppi neutri (N) che non
producono la tossina, ma non ne sono
sensibili.
N.b.
La stessa scuola di pensiero (che qualcuno
definisce anche Scuola Francese) che
abbiamo citato già qui sopra spesso
aggiunge una punta di acido lattico o
citrico e/o un po’ di nutrienti per favorire il
lavoro dei lieviti e per raggiungere un
profilo olfattivo finale più equilibrato.
Soprattutto l’acido è sconsigliabile
comunque nel caso di utilizzo di frutta
perché il ph viene già abbassato dalla
stessa una volta aggiunta al mosto, come
vedremo in seguito.
Elemento infatti da considerare è che il
miele normalmente ha Ph intorno a 4 ed è
quindi perfetto per essere fermentato, ma
se aumentiamo ulteriormente l’acidità si
rischia di fornire un
ambiente poco favorevole allo sviluppo
dei lieviti.
Comunque nel caso si voglia procedere
invece all’aggiunta dei nutrienti si consiglia
un uso dilazionato nel tempo.
Un esempio potrebbe essere questo:
¾ di un cucchiaino appena immesso il
lievito
¾ 24 ore dopo l’inizio della fermentazione
¾ 48 ore dopo l’inizio
¾ quando il 30% dello zucchero è stato
trasformato.
Tutto ciò va fatto molto con cautela però
perché può causare un incremento della
co2 molto impattante sull’immediato,
persino pericoloso; si consiglia quindi di
procedere all’aggiunta
introducendo anche, nel modo che più ci
aggrada, al contempo quanto più
ossigeno possibile… stando attenti però a
non introdurlo troppo o troppo
velocemente per non ossidare il mosto.
Da quanto detto si capisce come non
sempre sia consigliabile questo utilizzo,
spesso infatti i benefici che si potrebbero
avere possono non valere la candela dei
rischi corsi.
Riguardo poi alle temperature di
fermentazione bisogna specificare
qualche dato.
Un idromele che fermenta a 28/30°C avrà
una fermentazione molto breve ed un
aroma labile, inoltre sarà anche più
soggetto a problemi fermentativi con
probabile presenza di aromi secondari
non graditi.
A 12°C invece si otterrebbe un idromele di
grande potenza aromatica ma la
fermentazione sarà molto problematica,
lunga e non è detto che vada a
conclusione, con rischi anche collegati
all’imbottigliamento (possibilità che una
volta in vetro, con temperature più alte,
riparta causando l’esplosione delle
bottiglie), inoltre non tutti i lieviti ad alta
sono adatti a temperature così basse.
Quindi le soluzioni sono due: se avete un
sistema di controllo della temperatura con
una camera di ammostamento l’ideale è
mantenersi almeno per la fermentazione
primaria a 18°C, altrimenti
aspettare
settembre o aprile quando in quasi tutta la
penisola (salvo eccezioni) le temperature
oscillano tra i 18 ed i 24°.
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Abbiamo da sempre evocato lo spirito eclettico della nostra piattaforma, cercando di
allontanarla dalla classica funzione di "forum"; oltre a darle dei connotati reali, uscendo
fuori dalla visione virtuale dello stesso, ed oltre ad appoggiare progetti di realtà amiche,
da oggi il Forum della Birra, grazie ad un'idea dei suoi amministratori, intende anche
formare ed informare: nasce L'Informatore Brassicolo, uno strumento che ci permetterà di
approfondire talune tematiche emerse tra gli homebrewers e non solo, cercando di
stimolare lo spirito critico di tutti noi e concedere nuovi spunti di discussione alla materia
dell'homebrewing e delle craft beer.