Lavoro intermittente e indennità di disoccupazione
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Lavoro intermittente e indennità di disoccupazione
03-11-2008 Lavoro intermittente e indennità di disoccupazione Interpello del Ministero del Lavoro n. 45/2008 a cura di TOMMASO PIZZO E SIMONE LAURIA Con risposta a un interpello il Ministero del Lavoro ha stabilito che se i lavoratori intermittenti, o a chiamata, nei periodi non lavorati percepiscono l'indennità di disponibilità, non avranno conseguentemente diritto alla indennità di disoccupazione. Cogliamo l'occasione di questo importante chiarimento per ripercorrere la genesi del contratto di lavoro intermittente e tracciarne in breve gli elementi essenziali. Il lavoro intermittente (o a chiamata) è una forma di lavoro mediante la quale un lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro per svolgere determinate prestazioni di carattere discontinuo o saltuario, o per svolgere un'attività in determinati periodi, nell'arco della settimana, del mese o dell'anno. Con questo contratto, dunque, il lavoratore rimane in attesa di un'eventuale chiamata del datore di lavoro che, solamente in caso di bisogno e per il periodo strettamente necessario, decide se ricorrere alle prestazioni del lavoratore. Il lavoro intermittente: come funziona e a chi è rivolto Il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato, a tempo determinato o indeterminato, da qualsiasi impresa privata: a) con qualunque lavoratore per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente espressamente indicate dai contratti collettivi; b) con lavoratori con meno di 25 anni o con più di 45, anche pensionati, indipendentemente dal tipo di attività. E' possibile stipulare il contratto di lavoro intermittente in due diverse forme: con o senza obbligo per il datore di lavoro di corrispondere una indennità di disponibilità, a seconda che il lavoratore scelga di essere vincolato o meno alla chiamata. Al lavoratore intermittente deve essere garantito un trattamento economico pari a quello spettante ai lavoratori di pari livello e mansione, seppur riproporzionato all'attività realmente svolta. Nel caso di lavoro intermittente con obbligo di risposta alla chiamata, per i periodi di inattività al lavoratore spetta un'indennità mensile, anche divisibile per quote orarie. La misura dell'indennità deve essere stabilita dai contratti collettivi e non spetta se il lavoratore è assente per malattia oppure per altre cause che gli impediscano di rispondere alla chiamata. Il rifiuto alla chiamata senza giustificato motivo può comportare la risoluzione del rapporto, la restituzione della indennità di disponibilità eventualmente percepita e il risarcimento del danno, la cui misura è predeterminata nei contratti collettivi o, in mancanza, nel contratto individuale di lavoro. Le alterne vicende di un contratto più simbolico che utile L'introduzione del lavoro intermittente nel nostro ordinamento è storia recente. Questa tipologia contrattuale, diffusa da tempo nei paesi anglosassoni e trapiantata in Italia senza che vi fosse alcuna ragione www.servizi.cgil.milano.it di corrispondere a particolari esigenze e sviluppi del nostro mercato del lavoro, ha costituito infatti una delle novità della c.d. legge Biagi (D. Lgs. n. 276/2003), su cui la mistica de-regolatrice dei governi di centrodestra ha più puntato per promuovere una flessibilizzazione dell'utilizzo del lavoro che avrebbe garantito maggiori opportunità di occupazione e un aumento della qualità e competitività del nostro sistema. Facendo un bilancio sull'esperienza dal 2003 a oggi, si può dire invece che il lavoro intermittente si sia rivelato un po' la cenerentola del mercato del lavoro italiano. Non solo per la sua irrilevanza statistica (alzi la mano chi è a conoscenza di aziende che ne abbiano fatto costante ricorso, o che attualmente utilizzino lavoratori “a chiamata”), ma soprattutto perché, tra tutte le tipologie contrattuali disponibili nel nostro ordinamento, il lavoro intermittente è forse quello che offre minori garanzie di tutela e stabilità, e dietro il quale si nasconde l'insidia di una precarietà senza sfumature né adeguati contrappesi. Tanto è stata forte la valenza simbolica che ha avvolto questo contratto – emblema del rischio che si moltiplichino sacche di lavoratori di serie B – tanto è risultata evidente la sua concreta inutilità, essendo stato snobbato e svalutato in primo luogo dagli stessi datori di lavoro, i quali al contrario avrebbero dovuto trarre notevole convenienza (in termini di riduzione dei costi e di aumento dei margini di flessibilità organizzativa) dal suo utilizzo. È alla luce di queste considerazioni che alla fine dello scorso anno, con l'attuazione del Protocollo sul Welfare, si era deciso di abrogare il lavoro intermittente. Nessuno infatti ne avrebbe patito o anche solo notato la mancanza. Per le stesse ragioni è risultata incomprensibile l'ostinazione con cui il governo Berlusconi, appena tornato in carica, ha deciso questa estate di ripristinarlo, contro il parere espresso da più di cinque milioni di lavoratori e pensionati appena pochi mesi prima in occasione del referendum sul Protocollo. Lavoro intermittente e diritti del lavoratore Sia che la si mantenga, sia che venga cancellata, si tratta comunque di una forma di lavoro particolarmente “debole”. In ogni senso. Non esiste infatti contratto più facilmente estinguibile, al punto che la persona che si mette a disposizione in attesa di essere chiamata può definirsi a tutti gli effetti lavoratore (e perciò titolare dei diritti e delle protezioni riservate ai sui colleghi subordinati) solo nei periodi in cui presta effettivamente la sua opera a beneficio del datore di lavoro. Anche nel caso in cui il lavoratore intermittente goda dell'indennità di disponibilità, questa viene definita dalla legge come di natura non retributiva. E in ogni caso, nel periodo di godimento dell'indennità, il lavoratore «non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati» (art. 38, comma 3, d. lgs. n. 276/2003). Sull'indennità di disponibilità devono però essere versati i contributi per il suo effettivo ammontare, anche in deroga alla normativa in materia di minimale contributivo. Sulla stessa indennità viene inoltre calcolato, in proporzione, ogni altro istituto economico e normativo, vale a dire ferie, TFR, tredicesima, etc. Tuttavia, durante il periodo di disponibilità, non essendo in corso alcun effettivo rapporto di lavoro, al lavoratore non verrebbe riconosciuta e pagata la malattia, così come altri eventi quali la maternità, il puerperio o l'infortunio. Lavoro intermittente e indennità di disoccupazione Può il lavoratore intermittente, nei periodi in cui è disponibile ma non viene effettivamente utilizzato, usufruire dell'indennità di disoccupazione? Sulla questione si è recentemente espresso il Ministero del Lavoro, in risposta all'Interpello n. 45/2008, promosso dall'Ordine nazionale dei Consulenti del Lavoro. 2 www.servizi.cgil.milano.it In base a quanto scrive il Ministero, deve ritenersi esclusa la corresponsione dell’indennità di disoccupazione per il periodo durante il quale il lavoratore rende la disponibilità alla prestazione lavorativa, a fronte della relativa indennità di chiamata. In altre parole, se il lavoratore percepisce l'indennità di disponibilità, allora non può percepire l'indennità di disoccupazione per i periodi di non lavoro. Tuttavia quello stesso periodo (durante il quale, come detto, il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi corrispondenti all'indennità di disponibilità accordata) tornerà utile ai fini della maturazione del requisito contributivo necessario per potere, in seguito, accedere all'indennità di disoccupazione, una volta cessato del tutto il rapporto di lavoro intermittente. Se invece il contratto di lavoro intermittente non prevede l’obbligo di risposta alla chiamata (e dunque neanche l’indennità di chiamata) al lavoratore può essere riconosciuto il diritto all’indennità di disoccupazione già nei periodi di non lavoro, in quanto si tratta di rapporto di lavoro privo di qualsiasi garanzia in ordine sia all’effettiva lavorativa sia alla retribuzione futura. In questo caso, nei periodi di non lavoro si realizzerebbe infatti la condizione di disoccupazione involontaria, e dunque il lavoratore avrebbe diritto a un'integrazione del salario. Proprio la mancata volontarietà da parte del lavoratore di astenersi dall'offrire la prestazione pone un discrimine tra lavoro intermittente e lavoro part time di tipo verticale: in questo secondo caso, infatti, per i periodi di inattività l’indennità di disoccupazione non spetta, in quanto l’assenza di prestazione lavorativa discende dalla volontà comune di disciplinare con tale modalità il rapporto di lavoro. 3 www.servizi.cgil.milano.it