il padre? in via di definizione - Centro psicopedagogico per la pace
Transcript
il padre? in via di definizione - Centro psicopedagogico per la pace
INTERVISTA A IL PADRE? IN VIA DI DEFINIZIONE Dalla debolezza alla ricerca di un nuovo ruolo Marta Versiglia intervista Marzio Barbagli 1) Ai nostri giorni la crisi della figura paterna sembra legarsi a una crisi più ampia dell’autorità e del senso di autorità con una maggiore difficoltà a rispettare le norme. Cosa ne pensa? Se ci basiamo sui reati commessi, indicatori importanti di violazione delle norme, le società attuali, quella italiana ma in genere quelle occidentali, non possono essere descritte come società in cui le regole sono sempre meno seguite. È vero l’opposto. I dati in nostro possesso (per tutti i paesi occidentali e rispetto reati importanti come violenze sessuali o omicidi) mostrano piuttosto inequivocabilmente una diminuzione della violazione delle norme negli ultimi vent’anni. L’unico dato discorde riguarda le violazioni delle leggi sugli stupefacenti ma, in questo caso, gli indicatori dipendono molto dall’attività delle forze dell’ordine e dalla legislazione, non riflettono necessariamente una trasformazione sociale o un incremento dell’ utilizzo di tali sostanze. Non direi quindi che la violazione delle norme sia collegabile esclusivamente a una crisi dell’autorità, e non dipende solo dal rapporto col padre e dalla crisi della figura paterna. Molte teorie sostengono che entrino in gioco anche altre figure, e tutti concordano nell’assegnare un ruolo determinante al controllo sociale: anche la madre, il fidanzato o la fidanzata, gli amici, sono figure di riferimento importanti nella decisione di violare o meno una 1 M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Il Mulino, Bologna 1984. norma. Prima di trasgredire uno si chiede: “Se mi scoprono cosa penseranno…”. Io non credo che vi sia una crisi della figura paterna. Sono piuttosto decenni che assistiamo a una ridefinizione di ruolo. Sicuramente la figura del padre è diversa da un tempo, ma definire questa trasformazione come crisi dà l’idea di una detronizzazione, di una espulsione del padre, dell’uomo, dai ruoli chiave. Invece sono convinto che sia un processo consensuale: sono i padri che in parte si stanno definendo diversamente. 2) Il padre di un tempo! Nel libro Sotto lo stesso tetto1 lei analizza le forme idiomatiche con cui i figli si rivolgevano ai genitori. Il rispetto era elevatissimo. Oggi non è più così. Ma i nuovi figli lo vogliono un padre? Viviamo un cambiamento, una lenta trasformazione iniziata secoli fa. I nuovi figli si trovano un padre, preferiscono avere un padre che non averlo. Non solo il padre di un tempo è morto, ma il padre è assente e oggi i figli hanno nei suoi confronti aspettative del tutto diverse. Sono sparite le forme di deferenza e il padre è sempre più considerato come qualcuno che può aiutare, al quale rivolgersi per avere affetto, consigli, sostegno. E naturalmente con il quale entrare anche in conflitto. Vogliono un padre, ma lo definiscono in maniera diversa. 3) Spesso, noi pedagogisti, assistiamo al prevalere della monogenitorialità. Lei pensa si tratti di una mutazione antropologica? Purtroppo la monogenitorialità esiste ma non credo perché sta scomparendo la figura del padre. Tutte le ricerche che abbiamo fatto confermano questo dato: che quando le famiglie si rompono, alla rottura del matrimonio o comunque del legame di coppia, i padri tendono a sottrarsi al loro ruolo. Le stesse ricerche ci mostrano che ci sarebbe bisogno del padre, di una figura di riferimento e del suo contributo economico all’andamento familiare ma questo spesso non accade. Però si tratta di una situazione specifica. Sicuramente è in corso una grande trasformazione di lungo periodo che riguarda il paterno: dura da secoli e può darsi che, non possiamo ancora dirlo con chiarezza, abbia avuto delle piccole inversioni di tendenza. Penso al ventennio fascista durante il quale l’autorità, la figura paterna, era così importante, così sottolineata. Potremmo definirla una mutazione antropologica se con questo temine intendiamo un grande cambiamento in atto. La figura del padre non è una figura ben conosciuta, il cui significato sia invariabile. È piuttosto una funzione problematica, incompiuta e inquieta, poiché si tratta di una designazione suscettibile di attraversare una varietà di livelli P. Ricoeur 2 2-3 - intervista Barbagli.indd 2 01/06/11 11.54 4) Lei pensa che sia possibile educare senza il concetto di autorità? Sì, certamente è possibile. Nel concetto di autorità risiede la distinzione tra autoritario e autorevole. Possiamo educare, anzi dovremmo educare, sulla base del modello che si sta sempre più affermando: quello basato sull’autorevolezza e non sull’autoritarismo. Il padre deve essere riconosciuto come autorevole perché ha più esperienza, perché ti insegna a guardare a destra e a sinistra prima di attraversare la strada, o che drogarsi fa male alla salute. Oggi i genitori, agli occhi dei figli, talvolta sono autorevoli e talvolta, a torto o ragione, quando non hanno più credibilità perché falliscono, o commettono reati, o perché sono in difficoltà nel mantenere la famiglia, perdono il loro ruolo di riferimento e generano paure, insicurezze, drammi. Anche le madri sono figure importanti ai nostri giorni. La loro formazione è fondamentale perché sostengono affettivamente e sono un importante riferimento esperienziale. I figli in genere le ascoltano e, anche se recalcitranti, sanno che di loro possono fidarsi e da loro possono ricevere indicazioni utili. Il padre, la madre devono essere autorevoli e lavorare per non perdere autorevolezza. I figli si aspettano solo di avere genitori autorevoli, non che siano autoritari. 5) Come è cambiata la coppia da quando il padre ha iniziato a prendersi cura dei figli? I padri che si prendono cura dei figli sono ancora un numero ridotto. Il processo è in corso, è partito con le nuove generazioni, dagli strati più istruiti della popolazione. E dipende naturalmente Abbiamo incontrato il prof. Barbagli, sociologo di fama internazionale, autore di numerosi libri, docente universitario e molto altro ancora, sabato 7 maggio 2011 al Convegno Autorità e leggi nelle culture post paternaliste organizzato dal Centro Milanese di Psicoanalisi “Cesare Musatti”. Si discuteva della crisi della figura paterna non solo all’interno del nucleo familiare, ma in generale come difficoltà a riconoscere i ruoli guida nella vita sociale. anche dall’aumento delle richieste che fanno le madri. Ci sono anche aspetti simbiotici importanti: sempre più i padri assistono in sala parto alla nascita dei figli, e sono le madri che lo vogliono. Le richieste delle madri, delle mogli, sono fondamentali: queste donne hanno aspettative, hanno aspirazioni diverse, e soprattutto hanno un’attività di lavoro extradomestica. Rispetto agli altri paesi occidentali le richieste femminili hanno incontrato una maggiore resistenza nella popolazione maschile italiana. Questo processo è in corso in tutti i paesi occidentali ma da noi è iniziato dopo, avviene più lentamente. I dati sul tempo dedicato al lavoro maschile e femminile sono molto interessanti: indagini precise mostrano che in Italia e in Spagna le donne, sommando la parte extradomestica e quella dedicata alla cura della famiglia, lavorano molto di più che gli uomini. Negli altri paesi occidentali lavorano meno. Questo accade per due motivi: da un lato c’è una maggiore resistenza degli uomini, dei padri, dei mariti; ma anche, ed è abbastanza provato, il tempo che le donne italiane dedicano alla casa è maggiore perché sono più legate ai modelli tradizionali che il resto delle donne occidentali. I padri sapranno senz’altro uscire da questa situazione di empasse, riusciranno a creare una nuova fisionomia, in un’ottica che possa tener conto dell’autorevolezza e che rifiuti l’autorità. Padri in mutamento, ma consapevoli e, ce lo auguriamo, forti. Il padre è un male necessario Maurizio Quilici STORIA DELLA PATERNITÀ Dal pater familias al mammo Fazi, Roma, 2010 Circa quarant’anni fa comincia la “rivoluzione dei padri”. Grazie a una serie di fattori, il “maschile” inizia a cambiare e quindi cambia la paternità, il modo stesso di essere padre. I padri di oggi vanno in sala-parto (e questa cosa simbolicamente è davvero una storica rivoluzione), i padri di oggi giocano con i figli. I padri di quelli della mia generazione non giocavano con i figli anche se erano ottimi padri e non andavano a parlare con i professori. Il ruolo del padre, comunque, qual è? Quello della madre è chiaro da sempre mentre anche oggi, nonostante i cambiamenti, il padre diventa visibile quando non c’è più. Dunque, questa “Storia della paternità” è un libro che arriva a proposito. Un bel libro, denso, corposo (e l’autore dichiara di aver tolto diverso materiale dall’indice). Un libro ricco di citazioni e di spunti storici e critici e certamente, per chi non conosce bene l’argomento, anche molto, molto interessanti. Sapevate che il grande Rosseau, il “mitico” autore dell’Emilio, il padre della pedagogia moderna, non ha voluto allevare nessuno dei cinque figli avuti dalla sua compagna e li ha tutti spediti in orfanotrofio? Un libro indispensabile per affrontare questa tematica così complessa. L’autore sostiene che i padri sono oggi “in mezzo al guado”: indietro al padre-padrone non si può tornare, in avanti si guarda a un modello che si differenzi ovviamente dalla madre, ma che sia in grado di “dialogare“, in modo consapevole, con i figli e con la donna-moglie, madre, compagna che sia. Pierangelo Pedani J. Joyce 3 2-3 - intervista Barbagli.indd 3 01/06/11 11.54