L`IDEALIZZAZIONE DEL PADRE

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L`IDEALIZZAZIONE DEL PADRE
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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA nov-dic-2010, pag. 7
<<L’IDEALIZZAZIONE DEL PADRE>> di Hans Geert Metzger, psicologo e
psicoanalista, libero professionista a Francoforte sul Meno.
Traduzione di Gabriele Noperi.
Per la lettura completa del pezzo si rimanda al bimensile citato.
Da quando non aveva nemmeno due anni il ragazzino non ha più
visto suo padre, che vive in un altro continente, lontanissimo dal
figlio.
Ora, otto anni dopo, il padre viene a trovarlo per la prima
volta.
Il figlio ha dentro di sé l'immagine di un uomo grande e
grosso, importante, e la comunica ai compagni di scuola: <<Mio
nonno è un capo, per così dire il re della tribù, come fra gli
indiani. Sicché mio padre è un principe.
Quando morirà il
nonno, sarà il suo successore>>.
Purtroppo l'incontro fra padre e figlio è una delusione.
Il
padre non è fisicamente imponente, né riesce a stabilire un
contatto emotivo significativo.
Da adulto il figlio osserverà: <<Dopo la settimana trascorsa
con mio padre avevo deciso che preferivo la sua immagine,
un'immagine che potevo cambiare a mio piacimento, o in caso di
bisogno ignorare del tutto>>.
Una quindicina di anni dopo, quando il padre era già morto, il
figlio incontra una sorellastra cresciuta con il padre e che gli
racconta molti dettagli sulla sua vita che fanno vacillare
l'immagine costruita nel corso degli anni.
<<Per me fu come se qualcuno avesse mandato il mio mondo a
gambe all'aria.
Per tutta la vita mi ero portato dentro
un'unica immagine di mio padre, contro cui a volte mi ero
ribellato, ma che non avevo mai messo in dubbio e che alla fine
avevo fatta mia.
Il brillante laureato di Harvard, l'amico
generoso, il politico onesto: tutto questo era stato mio padre.
Tanto più che, non essendo mai stato presente, a parte
quell'unica visita alle Hawaii, l'immagine non aveva subito
nemmeno un graffio.
Non avevo sperimentato ciò che la maggior
parte dei figli prima o poi sperimenta: il padre che perde
statura, le sue speranze deluse, un viso segnato dal dolore e dal
rammarico>>.
La storia di questo figlio è la storia di Barack Obama
l'attuale Presidente degli Stati Uniti.
Benché rappresenti per molti versi un'eccezione, è tuttavia la
storia tipica di un bambino cresciuto con un padre assentepresente.
All'inizio, Obama ha conosciuto il padre essenzialmente
attraverso l'immagine della madre.
Essendo per lo più assente,
il figlio non ha avuto alcun accesso alla persona del padre,
rincontrato per la prima volta a dieci anni.
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Essendo rimasta l'esperienza concreta, così rudimentale, le
informazioni ricevute dalla sorella lo sorprendono e sconvolgono
retrospettivamente l'immagine paterna coltivata, fino ad allora.
Il padre ha fin dall'inizio una grande importanza per ogni
bambino.
Ciò si manifesta spesso in una spiccata tendenza a
idealizzarlo. Tutti i bambini vivono con un padre.
Anche se
questi nella realtà è assente e il bambino cresce solo con la
madre, egli se ne fa tuttavia un'idea immaginaria.
I bambini sviluppano un autonomo interesse per l'uomo che è
legato alla madre in una maniera per loro ancora misteriosa e
sviluppano un'immagine del padre, che non necessariamente
corrisponde del tutto alla realtà.
Hanno una fantasia spiccata, che si ripercuote anche nella
concezione del padre.
Si costruiscono di lui un'immagine in cui
entrano sia esperienze concrete che desideri e paure, creando una
miscela del tutto singolare.
In ogni caso, il padre —più in generale, il principio paterno—
è sempre presente nella vita interna del bambino, anche se è
assente.
Ecco un altro caso.
La signora B. fino ai dodici anni non aveva conosciuto il
padre.
A suo dire, durante l'infanzia non aveva avuto alcun
ruolo: <<Come potevo sentire la mancanza di qualcosa che non
conoscevo affatto?>>, chiedeva.
Aveva fatto la sua conoscenza per la prima volta al funerale
della madre, morta dopo una lunga malattia. Era arrivata
all'incontro animata da ardenti desideri e aspettative.
Gli
aveva mostrato i suoi tesori, i giocattoli e altri oggetti che
aveva raccolto in una cassettina. Purtroppo il padre non le aveva
prestato alcuna attenzione, non aveva visto cosa gli voleva
mostrare e l'aveva lasciata sola con il suo dolore e la sua
delusione.
L'importanza di questa figura paterna emerse chiaramente per
la prima volta nel corso della psicoterapia.
Quando cominciò a vedere sotto una luce più critica, la
propria idealizzazione della madre abbandonata, che l'aveva,
tirata su da sola, la signora B. poté raccontare che non aveva mai
sentito di appartenere davvero alla sua famiglia. —dapprima solo
la madre, poi il patrigno.
Si vedeva come un'intrusa, come il
cuculo che occupa abusivamente un nido altrui.
Era più attiva,
più vivace, più dotata nella parola e anche più ambiziosa degli
altri.
Già nella scuola materna si era fatta notare come una bambina
particolarmente brillante.
Solo a posteriori, dopo aver
incontrato il padre, si spiegò questo suo atteggiamento con il
fatto di aver ereditato da lui doti e capacità.
Negli anni dell'infanzia il padre, nonostante l'assenza reale,
era stato sempre presente nella mente di B.
La madre, amareggiata per la separazione, si era continuamente
lamentata con lei, fin da piccola, dell'uomo che l'aveva
abbandonata in gravidanza.
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Malgrado l'immagine trasmessa dalla madre fosse del tutto
negativa, nella bambina si era formata un'idea, positiva
dell'uomo, che sembrava prometterle una vita diversa.
Se lo era dipinto nella fantasia, facendone una persona che, a
livello immaginario, l'accompagnava nella vita: immagine che però
era costretta a tenere nascosta alla famiglia e per questo si
sentiva come un'intrusa in quella casa.
La tendenza a idealizzare il padre è un fenomeno che si
incontra regolarmente nello sviluppo infantile.
Anche il bambino che cresce senza padre, e magari non l'ha
nemmeno mai visto, se ne costruisce un'immagine.
La madre, infatti, consciamente o inconsciamente, comunica ben
presto al figlio l'immagine che ne ha lei, immagine in cui entrano
sia l'esperienza con il proprio genitore, sia quelle vissute con i
successivi partner.
Trasmette questa immagine direttamente o indirettamente al
bambino, che raccoglie le osservazioni materne sul padre, sui
padri in generale, sugli uomini o sul maschile come categoria.
Essendo la madre tuttora nella maggior parte dei casi la
figura primaria di riferimento, l'immagine paterna da lei
trasmessa ha naturalmente una grande importanza.
Alcuni psicoanalisti arrivano a dire che il bambino fa la
prima conoscenza del padre tramite la madre, anche quando il padre
è in realtà presente e può comunicare la propria idea della
paternità.
L'idealizzazione, che nasce nei primi anni di vita,
rappresenta un processo necessario e opportuno dal punto di vista
della psicologia evolutiva, consentendo un primo orientamento
nell'ambiente.
Essa è diversa per l'immagine materna e per quella paterna.
Nella prima infanzia alla madre è legata l'idea di un'intimità
simbiotica, di un accudimento completo e di una protezione sicura:
stati psichici verso cui ognuno di noi anche nel corso della vita
adulta, specie nei periodi di crisi, torna a guardare con sempre
rinnovata nostalgia.
Anche se i padri possono prender parte a questo aspetto della
funzione materna, nel corso dello sviluppo il padre viene a essere
visto di regola come il terzo che si aggiunge alla coppia madrebambino.
Contrariamente all'assenza di demarcazioni che è propria del
simbiotico, il padre prende una certa distanza: nasce così la
triade.
Le relazioni triadiche, a differenza della diade, sono
caratterizzate sempre dal fatto di dar luogo a una disparità.
La triade, quindi, da un lato comporta un disagio, ma
dall'altro stimola lo sviluppo.
Il padre, possedendo anch'egli componenti femminili, può
naturalmente fare a turno con la madre nei compiti di cura e di
accadimento ed entrambi i genitori possono sostenere il bambino e
metterlo davanti a richieste adeguate all’età.
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Resta però necessaria, in particolare per lo sviluppo
dell'identità di genere, la comunicazione di chiari modelli
maschili e femminili.
Il padre è tendenzialmente chiamato in causa più della madre
nello sviluppo dei processi di tipo secondario: ciò significa il
primo "No", il primo distacco dalla sensazione di totale intimità,
lo sviluppo del linguaggio, che, a differenza della comunicazione
pre-verbale, implica chiarezza e permette l'orientamento nel mondo
esterno.
Alla figura paterna sono legate quindi sia restrizioni, sia
l'apertura di possibilità nuove.
Ma per questo processo non basta una figura paterna
immaginaria: ci vuole un padre presente nella realtà, interna ed
esterna, che intervenga con la sua persona ad imporre i limiti
necessari e farli accettare.
Il padre (non necessariamente il padre biologico, ma anche un
suo sostituto accettabile) può comunicare al bambino il messaggio
che le delusioni sono sopportabili e che una vita al di là
dell'idealizzazione merita sempre di essere vissuta.
Per trasmettergli questo atteggiamento, il padre deve dal
canto suo essersi sottomesso ad alcune leggi generali della vita.
Deve in particolare aver accettato il tabù dell'incesto, e con
esso la barriera fra le generazioni, ma anche il susseguirsi delle
generazioni, che significa che i suoi figli sono destinati a
superarlo un giorno e, infine, con ogni probabilità, a
sopravvivergli.
Se i padri dicono di non avere tempo e si sottraggono
all'interazione con i figli, significa che mancano della
disponibilità interiore a lasciarsi coinvolgere nel processo.
Vivendo con il bambino succede che si riattivino alcune
esperienze infantili.
È un processo che può condurre a una più profonda percezione
di sé, che arricchisce l'adulto. Ma può anche scatenare ansia di
fronte al bambino piccolo, dipendente e impaurito che egli stesso
è stato un tempo, e mettere in moto meccanismi difensivi.
Si può sospettare una difesa contro il vissuto infantile in
quei padri che sono ancora troppo indaffarati a mettere al sicuro
la propria identità.
Al bambino allora viene a mancare
l'esperienza di un padre che intervenga attivamente nella sua
crescita.
È proprio il processo di fissazione dei limiti, il necessario
contraltare dell'idealizzazione, che oggi sembra diventato un
problema.
Se un tempo, forse fino al '68, c'era un eccesso repressivo di
limiti e divieti, che producevano spesso personalità ansiose e
inibite, nella nostra epoca narcisistica c'è difficoltà a
stabilire e accettare le inevitabili limitazioni.
Spesso, nei soggetti in psicoterapia, al di sotto
dell'apparente onnipotenza delle turbe narcisistiche, si scopre
una depressione profonda, da cui il paziente cerca disperatamente
di difendersi.
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Se nei primi anni di vita i bambini restano emotivamente
abbandonati a se stessi, sia per non disturbare gli adulti, sia
per una malintesa stimolazione unilaterale dell'autonomia, in
seguito mancheranno del fondamento necessario a introdurre confini
strutturanti.
Si incontrano quindi di continuo pazienti che hanno difficoltà
a dare un senso alla propria vita, essendo troppo presi
dall'affermazione di sé e al tempo stesso impauriti dalla
solitudine, perché la vivono come una situazione dolorosa di
abbandono.
Comunicare una sicurezza stabilizzante e un realistico senso
della misura è un compito che naturalmente chiama in causa
entrambi i genitori, ma tendenzialmente i padri vi portano uno
stile relazionale diverso dalle madri.
È per questo che i figli li cercano per un tipo diverso di
giochi.
Spesso i padri sono più impulsivi nel comportamento ludico e
preferiscono giochi eccitanti di movimento, nei quali aiutano il
bambino a fare i conti con l'aggressività. L'aggressività
maschile infatti non si riduce solo alle sue espressioni
distruttive: proprio per limitare le fantasie di grandezza è
necessaria una costruttiva aggressività paterna.
I figli maschi hanno bisogno dell'esperienza di lottare,
competere e misurare le proprie forze. Hanno bisogno di una via
per canalizzare in forme ludiche e commisurate alla realtà la
vitalità traboccante che hanno dentro di sé.
La rivalità fallica può essere corroborante, purché non sia
fine a se stessa.
Se il padre non è accessibile, perché troppo superficiale o
privo di reale disponibilità, diventa difficile elaborare a
sufficienza le idealizzazioni infantili.
Ciò compromette il processo di sviluppo e maturazione del
bambino e può dar luogo a una discrepanza drammatica tra
irrealistiche idee di grandezza e un crescente problema di
autostima: pur coltivando fantasie di onnipotenza, si sentirà
piccolo, incapace e sopraffatto di fronte ai compiti reali.
L'idealizzazione di sé serve come difesa dal senso
d'inferiorità.
Anche l'idealizzazione dell'oggetto deve necessariamente fare
i conti con i suoi aspetti deludenti.
Ma se l'oggetto non è a disposizione per questo confronto o
dev'essere preservato a tutti i costi, l'idealizzazione si ribalta
ben presto in svalutazione.
L'aggressività contro l'oggetto resta non elaborata e porta
alla negazione, al rifiuto totale, rendendo più difficile
l'orientamento nella vita e rischiando di causare una chiusura ai
rapporti interpersonali.
Nei trattamenti psicoanalitici si vede chiaramente quali
tracce lascia l'assenza del padre, soprattutto la mancanza di un
incontro vitale con la sua figura.
Un mancato rapporto padre-figlio trova forme d'espressione
diverse dai disturbi della relazione madre-figlio.
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Non viene a mancare tanto il sostegno di base, quanto una
relazione idealizzata, contrassegnata da aspettative elevate e
dalla ricerca di un orientamento.
La lacuna dev'essere colmata in qualche modo: l'amore si
trasforma in odio, le delusioni possono generare un'inguaribile
nostalgia.
I pazienti maschi oltre al desiderio di un padre manifestano
paura della dipendenza, causata per lo più dall'eccessiva
vicinanza alla madre.
Fra le situazioni che inducono questi pazienti a cercare una
terapia psicoanalitica prevalgono disturbi globali della
personalità, come depressione, disorientamento, perdita di
vitalità.
<<Mi sento come una batteria esaurita>>, dice una paziente.
Un altro sente il rapporto con il padre come <<una prigione>>.
Sono spesso pazienti che soffrono di angosce catastrofiche,
che si ritraggono da ogni rapporto con gli altri e avvertono
dentro di sé un'aggressività difficile da imbrigliare.
A peggiorare le cose in molti casi c'è il fatto che nelle fasi
cruciali dello sviluppo è venuta a mancare anche la presenza
materna, spesso per le conseguenze della separazione dal padre del
bambino.
La depressione, il rancore, l'ostilità rendono la madre meno
disponibile, cosicché il bambino non perde solo la figura paterna,
ma anche la presenza emotiva della madre.
La massiccia patologia causata dal mancato rapporto con il
padre, quale emerge dai casi clinici, non è affatto di secondo
ordine rispetto alle conseguenze del disturbo nelle relazioni
madre-bambino.
La convinzione a lungo dominante, e ancora oggi tramandata,
che una cattiva esperienza con il padre comporti effetti
patologici più limitati non regge più.
Tuttavia l'esempio di Barack Obama dimostra che anche uno
sviluppo difficile non necessariamente ha un esito patologico.
Evidentemente a lui è riuscito, grazie al suo ambiente
familiare e alle sue risorse interiori, elaborare realisticamente
la figura paterna immaginaria e in tal modo stabilire un sano
contatto fra ideale e realtà.
Note:
(1) PSYCHOLOGIE HEUTE, MARZO, 2010, pp. 40-45; traduzione italiana di GABRIELE NOFERI.
(2) Hans-Geert Metzger, psicologo e psicoanalista, svolge la libera professione a Francoforte sul
Meno. I suoi interessi scientifici e la pratica clinica lo hanno portato a occuparsi in particolare del significato
della paternità e dello sviluppo psicologico maschile, temi cui sono dedicate anche le sue pubblicazioni, fra
cui due libri usciti di recente presso la casa editrice francofortese Brandes & Apsel: Psychoanalyse des
Vaters. Khnische Erfahrungen mit realen, symbolischen and phantasierten Vatern (2008) e Mannliche
Identitat. Psychoanalytische Erkundangen (2009).