l`ordine simbolico della madre e` anche mio
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l`ordine simbolico della madre e` anche mio
L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE E’ ANCHE MIO Ho letto L'ordine simbolico della madre di Luisa Muraro e La politica del desiderio di Lia Cigarini dopo una serata a casa di Pinuccia, la quale, dopo aver cercato di farmi capire, mi ha affidato il compito di "continuare a pensarci su". L'ho fatto, anche dopo che Gabriella mi ha un po' sconcertato affermato che l'ordine simbolico della madre non vale per gli uomini, perché per gli uomini la figura di riferimento è il padre. Poi ho letto Il cerchio sacro della Lambert e, infine, Al di là di Dio padre di Mary Daly, continuando a pensarci su; ora sento forte il bisogno e il desiderio di un confronto: per approfondire, per verificare se il sentiero dei miei pensieri va da qualche parte o è un vicolo cieco. Provo ad esporre le mie riflessioni, cominciando dall'affermazione di Gabriella. Io penso che si tratti di due cose distinte, diverse: la figura di riferimento, di identificazione, per il piccolo uomo che cresce, è certamente il padre o, in alternativa e/o accanto, altri maschi, non necessariamente adulti; come per la bambina è la madre (o altre donne). Ma l'ordine simbolico mi sembra essere qualcosa di diverso, di più… di più costitutivo. Prendiamo, per capirci, l'ordine simbolico del padre o patriarcale: quello nel quale e secondo il quale siamo nati, cresciuti e siamo stati formati… Non solo noi uomini, ma anche le donne. E' un ordine simbolico che non richiede consapevolezza, perché è l'unico (fino a qualche anno fa) possibile e pensabile. Pur essendo le figure di riferimento sempre ben distinte e corrispondenti per genere, l'ordine simbolico era lo stesso e valeva anche per le donne. Solo la consapevolezza (nata, cresciuta e nutrita dal femminismo) di dovere riconoscimento alla madre simbolica ha aiutato alcune donne a "sganciarsi" dall'ordine simbolico del padre. Ogni donna che ne prende coscienza si stacca dal patriarcato ed entra, quasi ri-nasce, nell'ordine simbolico della madre. Questa, della consapevolezza, mi sembra la prima grande differenza tra i due ordini simbolici. E vale anche per me. La seconda ne è conseguenza diretta: anche io, come ogni altro uomo, nasco da una donna e questa donna non è solo la mia madre naturale, materiale, ma è anche l'incarnazione parziale della cultura femminile che si è sviluppata nel Veneto contadino del primo dopoguerra e nel Piemonte contadino e operaio del secondo, pur saldamente radicata in un ordine simbolico rigidamente maschile. E mia madre, rimasta vedova di un marito-tutore, ne sta pagando drammaticamente le conseguenze. E' a mia madre che io devo riconoscimento e riconoscenza, innanzitutto per la vita che mi ha dato, anche se non ho difficoltà a riconoscere che le figure di identificazione importanti sono stati mio padre e il mio parroco, i miei compagni di gioco e, più avanti, Gandhi. Devo anche riconoscimento e riconoscenza a quelle donne femministe – prima fra tutte mia moglie - che in questi anni mi hanno aperto gli occhi su un mucchio di cose, prima fra tutte la necessità di cercarmi una nuova identità di uomo, meno ricopiata da quelle mitiche figure di riferimento che ho nominato prima. Abbandonare i codici della superiorità e della violenza, della centralità e del dominio, propri dell'ordine simbolico patriarcale, non significa diventare meno uomo o, addirittura, una donna; significa piuttosto sostituirli con i codici dell'accoglienza, della tenerezza, dell'amore, del rispetto per ogni diversità in cui si materializza la vita, ecc… che sono propri, mi sembra, dell'ordine simbolico della madre. In questo senso credo che esso valga anche per noi uomini. Con una differenza radicale: noi uomini possiamo "prendere" dall'ordine simbolico della madre, ma non dare. La reciprocità, che vale per le donne, non è nelle nostre possibilità. O forse sì… se il compito che ci assegniamo è quello di assumere a poco a poco questa nuova identità maschile e diventare figure di riferimento "nuove" per i nostri figli e per i giovani maschi, favorendo così una graduale affermazione dell'ordine simbolico materno a mano a mano che sottraiamo consenso al patriarcato. Qui c'è un'altra differenza, decisiva: l'ordine simbolico della madre non può essere sinonimo di "matriarcato". Mi ha convinto la riflessione di Lidia Menapace: la ricerca antropologica ha portato alla luce periodi secolari nella storia dell'umanità in cui evidentemente non dominavano i maschi (niente crani fracassati = niente violenze nelle relazioni…); gli antropologi hanno concluso che in quei periodi dominavano, evidentemente, le donne. Ecco come spunta la leggenda del matriarcato: per gli uomini non è possibile che non ci sia dominio! Come allarga il cuore, invece, pensare che l'umanità abbia conosciuto epoche di convivenza pacifica ed accogliente, in cui anche il conflitto tra i sessi sia stato vissuto in modo positivo e collaborativo. Devo riconoscere che, da quando ho cominciato a pensare con maggior continuità a Dea, invece che a Dio, mi accorgo che non si tratta semplicemente di uno spostamento grammaticale. L'immaginario al femminile della divinità porta spontaneamente con sé il sogno di una vita di relazione nel cosmo dove ci sia solo tempo per vivere e per curare, non per uccidere e per violare. Questa "discendenza" simbolica da Dea appartiene anche a noi uomini e così pure l'ordine simbolico che ne deriva e nel quale possiamo riconoscerci immersi. In questo "possiamo" sta il nostro cammino di uscita dal patriarcato. Se davvero ha un senso anche per noi uomini l'ordine simbolico della madre, io vi vedo il paradigma del mondo nuovo che andiamo sognando, l'orizzonte verso il quale siamo in cammino. Beppe Pavan Pinerolo, 17 settembre 2000 Questo scrivevo e pensavo qualche anno fa. Poi ho continuato a leggere, ascoltare e riflettere... e oggi penso che “matriarcato” possa e debba essere letto con un altro significato del termine greco “arché = in principio: in principio era la madre”. Le religioni della Dea, della Madre, della Terra... le religioni “femminili” sono state soppiantate con la violenza dal patriarcato e “arché” è diventato solo più “dominio”, perché quello è stato imposto come pensiero unico. Mentre la vita nasce sempre da un principio femminile. Propongo di leggere “Quando Dio era una Donna” di Merlin Stone (ed Venexia, 2011) e “Il linguaggio della Dea” di Marija Gimbutas (ed Venexia, 2008). Beppe Pavan – 5.1.2014