08-Cucina giapponese

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08-Cucina giapponese
INGREDIENTI E PIATTI DELLA CUCINA GIAPPONESE
Il riso
Il cereale più prezioso per la cultura giapponese è il riso, attorno
alla cui coltura si risono sviluppate l’identità e lo spirito di
collaborazione del popolo del Sol Levante. Lo sviluppo della sua
supremazia è legata alla sua relazione simbolica con le divinità
(nel Nihon shoki, esso emerse dall’addome defunto della divinità
del cibo Ukemochi-no-kami, mentre nel Kojiki sarebbe stato
creato da Susanō-no-Mikoto) e l’antico sistema imperiale
(sempre il Kojiki racconta come la dea del sole Amaterasu
avrebbe affidato al nipote Ninigi, da cui sarebbero discesi gli
imperatori del Giappone, il chicco di riso raccolto nel
Takamagahara -la Pianura d’Alto Cielo-, affinché trasformasse la terra selvaggia in un luogo
vivibile). Ritenuto dono delle divinità, il riso era percepito come fonte di benessere, tanto
che, per un lungo periodo della storia dell’arcipelago nipponico, esso venne utilizzato anche
come moneta di scambio (esclusivamente tra giapponesi) e remunerazione. Dal punto di
vista religioso, la risaia e il riso ricevono protezione e tutela rispettivamente da Ta-no-kami
(dio shintoista dell’agricoltura, spesso rappresentato come un uomo grassottello e sorridente,
spesso confuso con l’immagine che i cinesi hanno del Buddha) e dal suo messaggero Inari
(rappresentato spesso sotto le sembianze di un uomo anziano che porta del riso, o di una
giovane dea del cibo, o di un bodhisattva androgino o, ancora, di una volpe). Usato
quotidianamente ad ogni pasto dalla colazione alla cena, esso viene consumato anche nel
corso delle occasioni rituali, shintoiste o buddhiste che siano.
Gli onigiri
Negli anime (cartoni animati giapponesi), soprattutto quelli
risalenti agli anni ’80, i protagonisti consumano spesso delle
polpette di riso bianco a forma triangolare avvolte da una
striscia di alga nori. Si tratta dei cosiddetti onigiri, uno
spuntino destinato al consumo per strada, spesso arricchito con
un ripieno di salmone, tonno, o altro. Il Murasaki Shikibu
Nikki testimonia che queste palle di riso erano presenti già
nell'XI secolo e che venivano spesso consumate in occasione
dei picnic all'aperto. Le origini degli onigiri comunque risalgono a molto prima di Musaraki
Shikibu. Prima che l'uso delle bacchette si diffondesse in tutto il territorio, infatti, il riso
veniva spesso ridotto a palla per essere consumato più rapidamente e facilmente.
I mochi
Sono dolci costituiti da riso glutinoso, tritato e pestato sino ad
ottenere una pasta bianca, morbida ed appiccicosa che viene poi
foggiata in una tipica forma tondeggiante. Molto comune in
Giappone, viene solitamente consumato in occasione del
capodanno (shōgatsu), dello hinamatsuri
(festa delle bambine) a marzo, della festa
dei ciliegi in fiore in primavera, della
festa dei bambini nel mese di maggio.
Sebbene possa essere consumato da solo,
il principale utilizzo del mochi è quello di pasta ed ingrediente
base per la realizzazione di una gran quantità di dolciumi (tra cui i
dango, una sorta di gnocchi fatti di farina di riso e riso glutinoso, spesso serviti a mo di
spiedino in gruppi di tre o quattro). Ha una consistenza gommosa che rende piuttosto
impegnativo masticarlo. Nei supermercati si trova sia molle e dolce che molto compatto, il
primo si può consumare subito mentre il secondo si può lasciarlo in forno qualche minuto,
condirlo con salsa di soia e mangiarlo caldo.
Il sake
Il sake, risultato della fermentazione del riso nell’acqua, è
una bevanda alcolica di cui i giapponesi fanno uso da tempo
immemorabile. Spesso collegato
allo shintoismo, tanto che si
possono vedere file ordinate di
barili di sake in ogni santuario,
questa
bevanda
alcolica
si
accompagna bene ad ogni piatto
della cucina tradizionale. Si può bere caldo, con un effetto rapido e
rinvigorente, ma è apprezzato anche freddo. Generalmente viene
servito in bottigliette di terracotta e poi versato in coppette dalla
capienza di 180 ml. Quando si è assieme ad un’altra persona, è
usanza riempire la sua coppetta ed aspettare che l’altro faccia altrettanto, per poi bere
insieme. Ci sono "distillerie" di sake in tutte le regioni del Giappone, e ciascuna di esse ne
produce una tipologia differente, a seconda della qualità del riso e dell’acqua utilizzati,
nonché dei processi di fermentazione.
Il tè
Il tè verde fu portato in Giappone dal monaco buddhista Eisai, fondatore della scuola rinzai
dello zen, dopo un suo soggiorno in Cina. Inizialmente, però, non ebbe molti estimatori. I
monaci buddhisti lo bevevano per le sue qualità medicinali (contiene molta vitamina C) e
stimolanti (è ricco di caffeina), ma poi, con l’avvento dell’età medievale (periodo Kamakura,
1185-1333), questa abitudine si diffuse anche tra la classe dei guerrieri e la gente comune. I
tipi di tè sono classificati in base alla qualità e alle parti delle piante utilizzate, e in base al
tipo di lavorazione. Tra le più note ricordiamo il bancha (tè verde di qualità ordinaria, che in
infusione assume un colore bruno), sencha (tè verde di qualità media, realizzato essiccando
le foglie esponendole direttamente alla luce del sole, è il più diffuso in Giappone) e
genmaicha (derivato dal bancha o dal sencha, misto a riso o
grano soffiato, ha un lieve aroma di orzo tostato; ottimo
abbinato al cioccolato). Il tè più pregiato di tutti, però, è il
matcha (è il tè verde usato nella famosa chanoyu, ossia la
“cerimonia del tè”), ottenuto cuocendo le foglie a vapore,
asciugandole e riducendole in polvere finissima. La chanoyu
fu introdotta in Giappone da Sen no Rikyū (1522-91), non
tanto come atto rituale, ma come momento di convivialità e
di piacere estetico. L’incontro per il tè può essere breve e spontaneo, un’occasione per
rivedere dei vecchi amici, ma anche molto formale, soprattutto se organizzato per celebrare
qualche anniversario. Furono i monaci zen a formalizzare l’etichetta per lo stile monastico
dell’arte di bere il tè. Esistono diversi stili e scuole di chanoyu, ma tutte condividono la
prassi di mescolare il matcha all'acqua calda con l’ apposito frullino di bambù (chasen). La
bevanda che ne risulta non è il prodotto di un’infusione, ma di una sospensione: la polvere
di tè viene, cioè, consumata insieme all'acqua. Per questo motivo, la bevanda ha un effetto
notevolmente eccitante.