Sto andando a uccidere la mia ragazza

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Sto andando a uccidere la mia ragazza
Sto andando a uccidere la mia ragazza
Sto andando a uccidere la mia ragazza. Avete capito bene...sto per mandare al creatore quella troia.
Dopo quattro anni insieme, mi ha tradito, capite? Quella puttana mi ha fottuto! S'é messa con uno stronzo,
un sergente americano dell'U.S. Air Force, un maledetto Top Gun.
Non ce la faccio ad accettare questo schifo, l'ho trattata da regina per quatto lunghi anni; le ho dato amore,
davvero, amore allo stato puro. Andavamo sulla collina di Posillipo e a guardare il bellissimo panorama da
cartolina che si gustava da lassù. La baciavo teneramente sulle labbra, a occhi chiusi come al cinema,
immaginando di sposarla. M'immaginavo ben vestito, ad aspettarla emozionato fuori il Duomo.
Immaginavo lei in abito bianco, di seta, bellissima e innamorata, emozionata quanto me. Immaginavo
l'amore eterno con lei. Invece è andata via.
Devo farla fuori, devo farlo assolutamente oppure impazzisco e non lo merito. Merita di morire vero?
Merita un colpo in bocca! L'ultimo pompino lo farà alla pistola, sarà un ultimo, intenso, metallico pompino.
Due settimane fa dovevamo vederci, la troia mi telefona e mi fa: “Senti...non so come dirtelo, ma le cose
tra noi non vanno più come una volta...perdonami, ma non ce la faccio a continuare…È meglio farla finita”.
Capite? Cazzo, mi ha lasciato così la troia! Per telefono! Nemmeno il coraggio di dirmelo in faccia! “Le cose
non vanno più bene come una volta”: che scusa del cazzo. Ultimamente l'ho portata fuori a cena nel miglior
ristorante ed era tutta smancerie: “amore, ciccino…”. Ora invece non le vado più bene. Sto per uscire,
chiudo la porta di casa e scendo in strada.
So dove sono i due stronzi: sono a Sorrento a farsi un bel week-end. La stazione è vicino casa mia, ci vuole
poco per raggiungerla. È il posto più schifoso della città: gli accattoni, i tossici, i barboni che la popolano
alimentano la mia rabbia; non posso vederli, mi viene il voltastomaco. Vorrei che uno di loro mi chiedesse
qualcosa: gli spaccherei la faccia e, forse, starei un po’ meglio.
Sono fortunato oggi: uno stronzo di tossico mi si avvicina- non mi guarda negli occhi e questo è il suo
errore, se mi guardasse capirebbe che aria tira, capirebbe che è meglio filare. Ho gli occhi indemoniati, di
fuoco, disperati, di innamorato tradito. Timidamente mi dice: “Scusa devo andare a Cosenza, avrei bisogno
dei soldi per il biglietto...costa cinque euro, io ne ho due, se anche hai un pezzo da venti euro non
preoccuparti, ti do il resto”. Voleva fregarmi lo stronzo: “cosa sono, una cazzo di banca?”.
Lui s'offende, mi manda affanculo; allora lo inseguo, lo prendo per il collo e lo sbatto contro un bidone
dell'immondizia. Lo guardo fisso: ha gli occhi semichiusi e la bava agli angoli della bocca. Provo solo
disgusto per lui, provo disgusto per tutti. Lo riempio di botte, è a terra, ma io continuo a calciarlo sulla sua
bavosa bocca, dopodiché lo getto ancora sanguinante nel bidone, come fosse un lurido sacchetto. Non mi
toccano i suoi gemiti di dolore; come non dovranno toccarmi quelli che emetterà la mia dolce ex.
Scendo in stazione, prendo il mio treno al volo e mi siedo.
Sono solo nel mio scompartimento, sembra la mia vita, vuota, e sempre più sporca. Passiamo veloci
attraverso i quartieri periferici: Gianturco, pieno di puttane nere a buon mercato; San Giovanni, con i bei
palazzoni azzurri di via Taverna del Ferro; Barra, con l'accampamento di zingari. Ne sale uno sul treno con
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un violino sporco e malmesso. Inizia a suonare “Malafemmena” e io quasi scoppio a ridere. Capite? Era
ironico: stavo per ammazzarla la malafemmina! “Sì ddoce comme ‘o zucchero, però sta faccia d'angelo te
serve pe’ ingannà”: parole sante Totò! Credo che se ci fosse lui mi darebbe una mano: ha sofferto come sto
soffrendo io, mi capirebbe e io capirei lui. Forse l'aiuterei a far fuori la tipa che l'ha tradito, la sua
malafemmina. Mi alzo e do cinquanta centesimi allo zingaro.
Penso a quando ho saputo dell'americano. La chiamavo in continuazione; voi che avreste fatto? Ero stato
lasciato senza un motivo valido! Dovevo sapere! Alla dodicesima telefonata lei confessa: “Ho un altro!!! È
un pilota americano!". Posai la cornetta. Ero raggelato, sconfitto. Non mi vergogno a dirlo: piansi come una
bambinetta, ero uno stronzo cornuto. Ho cercato di immaginarlo mille volte lui: occhiali da sole, capello
cortissimo, ma la mente andava, inesorabile, a creare solo immagini di loro che scopavano allegramente, di
penetrazioni, di pompini, di lingue roteanti.
Voglio eliminare questi pensieri, devo ucciderli, per salvare me stesso dalla pazzia.
Siamo a San Giorgio, poi Portici, poi il treno si dirige verso la stazione di Ercolano: devo scendere per
procurarmi la pistola. Ercolano non è solo scavi archeologici, secondari rispetto a Pompei, a dir la verità, ma
è soprattutto Resina. È un quartiere dove c'è un mercato di roba usata dove puoi trovare di tutto, dal
pantalone stile Punk, all'ultima droga. Puoi trovare anche armi...se conosci. Arrivo, così, al quartiere pieno
di gente di tutti i tipi: c'è il poveraccio marocchino, che compra pezze fuori moda per poi rivenderle casa
per casa; c'è il figlio di papà pseudo-ribelle, che compra al mercato capi usati perché è contro l'economia di
mercato; c’è poi il tipo che, finita l'università, rileva l'impresa del “paparino” e si specializza nello
sfruttamento dei poveri operai. Percorro le stradine fino al negozietto di Salvatore. Lui sa perché sono
venuto, mi porta nel retro e mi dà una pistola automatica senza fare domande. “Trecento”- mi dice. Prendo
i soldi, pago e la pistola è mia. Quella pistola era la mia salvezza, mi avrebbe liberato dai demoni della
rabbia e della delusione.
Riprendo il treno e riparto a tutta velocità. Mi sento un demonio, un essere dispensatore di morte. Sento
che il mio e il loro destino è in mano mia e che ai due figli di puttana il destino non riserva nulla di buono.
Pregusto la vendetta, la rabbia si impossessa di nuovo di me, lo sento. Li farò inginocchiare e li farò fuori.
Sarò libero, placherò me stesso, potrò dimenticare.
Passiamo Miglio d'oro, Scafati, Pompei, Castellammare e arriviamo a Sorrento. Bella città, hanno fatto
un’ottima scelta. So dove sono, sto per arrivare, sono l'inaspettata morte che ti fredda con dieci palle di
piombo. La troia e il Top Gun sono in un alberghetto carino, insegna curata e gerani sui davanzali dei
balconi. Farò un'entrata alla Terminator: entro, punto la Beretta alla testa del Receptionist e mi faccio dire
rapidamente il numero di stanza così salgo velocemente in camera. Immagino di trovarli ansimanti nelle
posizioni più estreme. Sfondata la porta, invece, trovo lei seduta sul letto che urla e lui chiuso nel cesso. La
rabbia mi sconvolge, la troia urla con tutto il fiato in corpo, ma non muove il culo.
Entro nel cesso e trovo lui seduto che cerca di farsi scudo con il Times. Cazzo! È un soldato! Dovrebbe
saperlo! Un giornale non può fermare le pallottole. Miro a quella testa di cazzo e faccio fuoco. Il sangue
schizza sul muro. Il Top Gun non ha quasi più la testa, cade a terra stecchito, con le braghe calate.
È il suo turno e lei lo sa. Piange, io no. La faccio inginocchiare, appoggio la canna alla nuca e sparo. Cade a
terra.
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Il silenzio. È finita. Vendetta. La guardo in viso: è bellissima. La amo ancora, ho ucciso l'unico essere che
abbia mai amato, l'unico essere per cui vivessi. La vendetta mi ha lasciato vuoto, lo sento: non c'è più
rabbia, ma solo disperazione. Ho ucciso, ma non i demoni che mi perseguitano, quelli li ho solo sostituiti.
Ora sono tristezza e rimorso.
Accade tutto velocemente. È tutto chiaro. So cosa fare, non ho indecisione alcuna.
Avvicino la canna della Beretta alla bocca, un ultimo bacio e premo il grilletto.
Gaetano Acampa
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