1942 Viene alla luce è questo probabilmente l

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1942 Viene alla luce è questo probabilmente l
1942
Viene alla luce
è questo probabilmente l’anno di nascita di Muammar
al-Gheddafi.
Dico “probabilmente” perché certezze al riguardo non
ve ne sono. Lo stesso Gheddafi scriverà nel suo libro di
racconti Fuga all’inferno: “Io sono un povero beduino che
non ha neppure un certificato di nascita (…) che mangia
senza lavarsi le mani (…) e non sa nemmeno come siano
fatti i soldi”.
Gheddafi è un figlio del deserto. Uno che ama stare a
piedi nudi. Un giorno uno scorpione si aggirava per la sua
tenda (era presente un giornalista che lo intervistava). Lui lo
afferrò in una morsa tra le dita dei piedi e lo stritolò.
Se non siamo certi dell’anno, ancora meno lo siamo del
giorno e l’ora (solo nel 1950 diventerà obbligatorio denunciare le nascite all’anagrafe). Pare però che fosse primavera,
anche se qualche fonte cita il 7 giugno.
Nasce in una tenda di beduini, una ventina di chilometri
a sud di Sirte (che all’epoca fa parte della provincia italiana
di Misurata), probabilmente nei pressi del villaggio di Gars
Bu Hadi. I suoi genitori, già avanti con l’età, sono pastori.
Tutti nella famiglia Gheddafi hanno combattuto contro gli
italiani. Qualcuno è morto per la causa nazionale o è rimasto ferito. Il padre ha affrontato le truppe del colonnello
Miani, disfatte a Gars Bu Hadi nel 1915, rimanendo ferito;
un suo zio è morto in quello scontro.
Gheddafi appartiene alla qabila dei Gheddadfah, una
delle oltre cento tribù del paese, la più potente delle quali è
quella dei Warfalla. Il suo nome per esteso, correttamente
traslitterato, è Mu’ammar Abū Minyar ‘Abd al-Salām alQadhadhāfī.
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Nel 2009 è uscita su alcuni giornali, italiani e stranieri, la
notizia che Gheddafi avrebbe origini ebraiche. A darla per
primo sarebbe stato un canale della tv commerciale israeliana (Canale 2), raccogliendo la testimonianza di un’anziana
donna di origine libica (una certa Rachel Tammam), che sarebbe imparentata con il colonnello. Ma la storia non pare
credibile.
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1948
Su una mina
A sei anni, mentre gioca con altri ragazzi tra i rottami dei
mezzi militari abbandonati nel deserto dall’esercito coloniale italiano, s’imbatte in una mina e si ferisce all’avambraccio
destro. Ne porta ancora una vistosa cicatrice. Nell’occasione
muoiono due suoi cugini. Un motivo in più per odiare l’Italia. Più tardi farà redigere un libro bianco per presentare il
conto alle ex potenze coloniali colpevoli di aver disseminato
il deserto libico di mine. Conto ovviamente mai saldato.
A Gars Bu Hadi non ci sono scuole, ma ogni tanto passa
un fghih, un insegnante di Corano, che gira tra gli accampamenti di beduini e insegna l’Islam e qualche nozione di
base. È così che Gheddafi compie i primi studi.
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1952
A scuola
A dieci anni viene condotto dal padre a Sirte per frequentare la scuola elementare. Dal momento che sa leggere il
Corano, viene ammesso subito in seconda. I compagni lo
chiamano “beduino” e lo canzonano.
È troppo povero per alloggiare presso una famiglia. La
notte trova riparo nelle moschee e si ciba di quel poco che
riceve settimanalmente dai genitori quando va a trovarli.
Ma per lui la miseria non è motivo di vergogna, semmai un
vanto. Questa fierezza lo contraddistinguerà sempre.
Studia il Corano, ma non solo. È in questo periodo che
diventa molto religioso, che sviluppa il suo odio per le città
e prende forza in lui la nostalgia per il deserto e le piccole
realtà di villaggio.
D’estate, invece di fare vacanza, segue la famiglia nel
Fezzàn, alla ricerca di nuovi pascoli per pecore, capre e cammelli. Un viaggio di cinquecento chilometri nel deserto che
occupa un paio di settimane. Ci si muove di notte, a dorso
d’asino e in parte a piedi, riposando di giorno in qualche
oasi. Un viaggio che si conclude nell’oasi di Sheba, da dove
si scorge in lontananza Forte Elena, l’antico bastione degli
italiani.
Essendo un ragazzo particolarmente sveglio, finisce le elementari in quattro anni anziché in sei.
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1956
La passione politica
Terminate le elementari, suo padre decide che resterà a
Sheba per continuare gli studi. Finisce in un anno le medie
e frequenta il liceo per i quattro seguenti. Fortunatamente
il liceo di Sheba è fornito di dormitorio. Sono anni importanti per la sua formazione. Conosce a fondo il mondo
arabo e islamico, la lotta dei popoli africani per liberarsi
dal colonialismo e dall’imperialismo occidentale, la lotta dei
poveri e degli oppressi contro il potere. Ascolta la radio del
Cairo e in particolare la “Voce degli Arabi”, ama seguire
gli avvenimenti politici e le trasformazioni sociali di quegli
anni: è allora che nasce la sua ammirazione per il presidente
egiziano Gamal Abder Nasser.
Il 29 ottobre, giorno dell’aggressione anglo-franco-israeliana all’Egitto, “colpevole” di avere nazionalizzato la compagnia del Canale di Suez, organizza un corteo di studenti
davanti al consolato francese e pronuncia il suo primo discorso pubblico.
Segue con apprensione la lotta d’indipendenza algerina. Scrive una lunga lettera al Journal de Fezzàn nella quale denuncia lo sfruttamento del petrolio algerino da parte
dell’imperialismo occidentale.
In quegli anni, fino al 1961, milita in gruppi di protesta a
favore del panarabismo e del nazionalismo arabo.
La polizia di re Mohammed Idris es-Senussi lo sorveglia.
La Libia è indipendente dal 24 dicembre 1951. Da allora
ha preso il nome di Regno unito di Libia. È entrata a far
parte della Lega araba il 28 marzo 1953 e dell’Onu il 14 dicembre 1955. È una vasta terra (sei volte l’Italia) abitata in
prevalenza da berberi, arabi e tuareg, che parlano per lo più
l’arabo, ma conta meno di due milioni di abitanti. È retta
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da una monarchia ereditaria e costituzionale. L’attuale re,
Idris es-Senussi, è un uomo profondamente religioso. Ma
secondo Gheddafi e tanti suoi coetanei è asservito alle potenze occidentali. Negli anni Cinquanta sono stati scoperti
i ricchissimi giacimenti petroliferi che hanno trasformato
questo enorme “scatolone di sabbia” (secondo una definizione di Gaetano Salvemini) in una tra le terre più ricche
del continente africano. Tuttavia lo sfruttamento dei pozzi è
in mani straniere. Al popolo libico tocca ben poca di quella
ricchezza.
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1959
Un leader naturale
Costituisce la prima cellula politica con alcuni compagni
di scuola tra i più fidati e brillanti. Non fa distinzioni sociali
ma predilige la vicinanza di coloro che provengono da famiglie umili; sente di avere con loro più affinità. Si impone
come il leader indiscusso del movimento. è lui che recluta,
lui l’ideologo, lui la guida. Il libro che più lo ispira è La
filosofia della rivoluzione, del suo idolo Nasser.
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1961
Anni d’intense letture
Il 5 ottobre ascolta alla radio il discorso con cui Nasser
annuncia la fine della Repubblica araba unita. Dopo solo
tre anni di sodalizio, la Siria ha deciso di interrompere il
processo di unificazione con l’Egitto.
Gheddafi, deluso, organizza contro il “traditore siriano”
una manifestazione di protesta, ma interviene la polizia.
Riesce a sfuggire alla cattura per un soffio, ma è stato identificato e viene espulso da scuola e interdetto da tutte le
istituzioni scolastiche del Fezzàn.
Lascia Sheba, ma ormai il seme della rivoluzione è piantato nel suo cuore.
Si rifugia per alcuni giorni nella tenda dei genitori, a Gars
Bu Hadi, poi si trasferisce a Misurata, in Tripolitania, per
completare il liceo. Ha deciso che proseguirà la sua attività
di militante rivoluzionario in clandestinità. Per due anni
approfondisce gli studi, legge i classici del pensiero politico europeo (Voltaire, Montesquieu, Rousseau) ma anche
Dickens, Mao Zedong, gli scritti di Nasser. Ammira Fidel
Castro anche se non approva la sua vicinanza all’Unione sovietica, che considera imperialista non meno degli
Stati Uniti. E naturalmente legge Avicenna, Averroè, Ibn
Khaldun. Nasce in quegli anni il suo odio per Israele, che
gli proviene da Nasser, e la sua predilezione per le forme di
democrazia diretta, per idee come l’abolizione delle differenze di classe, l’antimperialismo, il panarabismo. Sempre
di più si sente l’erede spirituale di Nasser. Un altro modello è per lui Allal al-Fassi, leader del movimento d’indipendenza marocchina, che si adopera per la costituzione del
Maghreb arabo unito.
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1963
L’accademia militare e l’università
Il panarabismo è l’elemento principale nello sviluppo
della coscienza politica di Gheddafi e dei suoi compagni di
lotta. Bisogna rovesciare la monarchia che governa la Libia,
succube dell’Occidente. È il momento di passare dalla cospirazione all’organizzazione di una vera e propria rivoluzione:
così viene deciso nel corso di una riunione del movimento
clandestino fondato da Gheddafi. Egli ha da poco conclusi
gli studi e ha ventuno anni. Viene anche deciso che alcuni
membri del gruppo s’iscriveranno all’Accademia militare di
Bengasi, per dare inizio a un lavoro di cospirazione e reclutamento tra i giovani ufficiali dell’esercito: un nucleo che
poi prenderà il nome di ufficiali unionisti liberi. Gheddafi
entra all’Accademia militare e contemporaneamente frequenta la facoltà di Lettere dell’università, anche qui per
fare proselitismo. Egli è convinto di agire nell’ombra, ma
da tempo è spiato dai militari britannici di stanza nelle due
basi presenti in Libia, i quali riferiscono poi alla polizia segreta del regime. Nel frattempo (il 25 aprile) la Libia ha
abbandonato il sistema di governo federale per diventare
Regno di Libia.
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1964
Un paese in fibrillazione
Gheddafi decide che è il momento di riorganizzare il movimento rivoluzionario dividendolo in due ali: una militare
(ufficiali unionisti liberi) reclutata nell’ambiente dell’accademia e diretta da un Comitato centrale, con il compito di
preparare il colpo di stato; e una civile, reclutata nell’ambito
universitario e guidata da un Comitato popolare, che agirà
all’interno dell’università e dell’amministrazione pubblica
per preparare il trapasso dei poteri.
Tra le due organizzazioni, nessun contatto. È Gheddafi a
tenere le fila e il coordinamento tra i due organismi, l’unico
a conoscere i nomi dei membri di entrambe. Il predominio
spetta all’ala militare (i cui membri sono tenuti al rispetto di
una rigida disciplina improntata a un grande rigore morale), poiché Gheddafi non crede a una rivoluzione popolare,
semmai alla possibilità di mettere in atto un colpo di stato
militare. Egli è un modello per i suoi compagni di lotta,
che sono conquistati dal suo carisma. I dodici membri del
Comitato centrale rappresentano l’ossatura del futuro centro direttivo del paese.
Da anni la Libia è in fermento, le proteste popolari e
soprattutto studentesche aumentano, qua e là serpeggia lo
scontento nei confronti del regime autoritario e filo-occidentale di re Idris. Si registrano ovunque arresti, sanguinose repressioni, attentati dinamitardi, scioperi generali,
segnali di ribellione: l’unica nota positiva è la scoperta del
petrolio.
Il 14 gennaio la polizia contrasta rudemente una manifestazione studentesca a Bengasi e uccide due studenti, causando anche numerosi feriti. A Zavia gli studenti assaltano
due caserme della polizia e otto di loro restano uccisi.
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1966
Lo stage in Inghilterra
In mezzo a questi fermenti di rivolta, Gheddafi conclude
il corso per allievi ufficiali ed entra nel reparto comunicazioni dell’esercito. Viene inviato in Gran Bretagna per seguire un corso di addestramento nella base di Beaconsfield.
La ricorderà come una pessima esperienza: odia gli inglesi, i
quali guardano con sospetto lui e i suoi compagni, e detesta
il clima inglese. Ma si rivelerà molto utile, perché apprende
cognizioni tecniche fondamentali nel settore delle comunicazioni. Tornato in patria creerà un collegamento radio tra
le varie cellule del movimento sparse per il paese che risulterà determinante nel successo del colpo di stato e in seguito
nel controllo del paese.
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1967
Proteste e rivolte popolari
La situazione è sempre più incandescente. Il 2 giugno,
all’apertura del nuovo conflitto arabo-israeliano (la Guerra
dei sei giorni), nelle moschee libiche gli ulama proclamano
il Jihad, la guerra santa.
Nei giorni seguenti la popolazione di Tripoli scende in
piazza e protesta a gran voce. Si registrano episodi di violenza ai danni di italiani ed ebrei (diciassette morti). Un centinaio di negozi stranieri distrutti. Intervengono massicciamente la polizia e l’esercito. Molti occidentali fuggono dal
paese (seimila americani e settemila europei). È necessaria
una settimana per riportare ordine.
Il 5 giugno gli israeliani iniziano l’occupazione delle alture del Golan (siriane) e del Sinai (egiziano). In Libia si
manifesta a favore di Nasser. Persuasi che le basi militari
americane di Wheelus Field e quelle inglesi di Tobruk e El
Adem siano servite da punto di partenza per gli aerei israeliani decollati per colpire l’Egitto, Gheddafi e il suo movimento decidono di sabotarle. Ma il piano sfuma per un
contrattempo: il trasferimento di alcuni ufficiali che avrebbero dovuto partecipare all’azione.
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1969
Il colpo di stato
Alle 6:30 del mattino dell’1 settembre, la radio pubblica
di Bengasi inizia a trasmettere. Una voce giovane, emozionata, comincia a parlare. “Nel nome di Dio, il compassionevole, il misericordioso, o grande popolo della Libia!
Interpretando la tua libera volontà, esaudendo i tuoi voti
più cari, rispondendo ai tuoi reiterati appelli per una trasformazione e un risanamento del paese (…) ascoltando
infine i tuoi incitamenti alla rivolta, le tue forze armate
si sono assunte il compito di rovesciare un regime reazionario e corrotto, il cui fetore ci soffocava e la cui vista ci
inorridiva (…) Da questo momento la Libia è una repubblica libera e sovrana che prende il nome di Repubblica
araba libica (…) Essa avanzerà sul cammino della libertà,
dell’unione e della giustizia sociale, garantendo a tutti i
suoi figli il diritto all’eguaglianza, aprendo loro le porte a
un lavoro onesto, un lavoro libero da sfruttamenti e ingiustizie, in cui nessuno sarà padrone né servo, in cui tutti si
sentiranno liberi e fratelli, facenti parte di una società che
vedrà regnare, per grazia di Dio, la prosperità e l’uguaglianza (…) I nostri amici stranieri non devono nutrire
alcuna inquietudine per i loro beni o per la loro vita (…)
L’azione da noi intrapresa non è diretta contro nessuno
stato né contro i trattati internazionali o il diritto internazionale in vigore. Si tratta di una questione di politica
interna, che riguarda soltanto la Libia e i suoi problemi
cronici; avanti, dunque, e che la pace sia con voi”1.
Gli unici a riconoscere quella voce, a centinaia di chilometri di distanza, sono due anziani coniugi, Mohamed
Abdel Salam e Aisha. I due sono stupefatti, quello che parla è il loro ragazzo, Muammar Gheddafi. Parecchi mem33
bri della qabila sfilano in processione per congratularsi con
loro. È un grande giorno per la tribù dei Gheddadfah.
Il giovane Gheddafi, un attimo prima di parlare, ha
chiesto ai tecnici della radio di mandare in onda alcuni
versetti del Corano seguiti da una marcetta militare; e per
poco quelli non stavano per combinare un disastro mettendo su Giovinezza. Ma Gheddafi se n’è accorto e li ha
fermati in tempo.
In ogni caso il colpo di stato è riuscito alla perfezione.
Benché il regime sorvegliasse le loro mosse, aveva deciso
di non intervenire, non ritenendoli pericolosi. Si riteneva
sufficiente mandarli per qualche tempo all’estero. L’idea era
di spedire lui e una trentina di ufficiali in Gran Bretagna e
negli Stati Uniti per imparare le nuove tecnologie antiaeree
acquistate dalla Gran Bretagna. Gheddafi avrebbe dovuto
partire il 2 settembre.
Per questo bisogna affrettare i tempi. Inoltre c’è il rischio che qualcuno li preceda: altri gruppi tramano in seno
all’esercito, tra i gradi più elevati. I fratelli Omar e Abdulaziz
Shalhi, rispettivamente primo consigliere del re e comandante delle forze armate, meditano da tempo un colpo di
mano per impadronirsi del potere.
Perciò il golpe, nome in codice “operazione Gerusalemme”,
viene fissato per il 12 marzo. Ma un contrattempo obbliga
i congiurati a spostarlo al 24. Anche questa data però slitta
perché il re ha improvvisamente lasciato Tripoli per Tobruk.
Ad agosto il re annuncia che abdicherà a favore del principe
ereditario Hassan er-Ridà, ma ormai è tardi. Il regime monarchico è in agonia.
Si decide per il 13 agosto, giorno della conferenza annuale degli ufficiali dell’esercito all’Accademia militare di
Bengasi: sarà l’occasione per arrestarli tutti in un colpo. Il
momento è propizio, anche perché agosto e settembre sono
mesi d’inattività generale e la polizia è parzialmente smobilitata dopo l’allerta generale di tre giorni dovuta al timore
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di manifestazioni di protesta per l’incendio alla moschea di
Al Aqsa a Gerusalemme. Ma anche questa volta qualcosa va
storto: un ritardo nell’approntamento degli ultimi dettagli
del piano fa saltare l’operazione.
Tutti questi rinvii demoralizzano i golpisti. È chiaro che
bisogna portare a compimento il colpo di stato entro l’1 settembre, dato che il 2 Gheddafi deve partire per l’Inghilterra;
e anche perché si mormora che i fratelli Shalhi prenderanno
il potere il 4 settembre.
Bisogna agire in fretta. Il re, tra l’altro, si trova all’estero,
ai bagni termali di Bursa, sul mar di Marmara.
Tutto è pronto. I tre centri nevralgici di cui prendere possesso sono Tripoli, Bengasi e Sheba, capoluoghi di
Tripolitania, Cirenaica e Fezzàn. I golpisti sono meno di
un migliaio.
Alle 2 del mattino del 1 settembre Gheddafi e due suoi
compagni, dopo aver pregato Allah, irrompono rivoltelle
in pugno nel dormitorio della caserma Gars Yunis, a pochi chilometri da Bengasi, e arrestano tutti gli ufficiali.
Contemporaneamente, il maggiore Jallud, braccio destro di
Gheddafi, occupa la stazione radio di Tripoli, mentre alHamidi neutralizza le caserme di Tarhuna e arresta il principe ereditario. Nel frattempo altri congiurati arrestano il
capo dell’esercito, Abdulaziz Shalhi.
Anche a Sheba tutto scorre liscio: la guarnigione della città si arrende senza sparare e passa dalla parte dei rivoltosi.
Alle 6:30 tutto è finito, il paese è nelle mani dei rivoluzionari. Alla loro testa, un giovane ufficiale sconosciuto di
appena ventisette anni, Muammar al-Gheddafi. Ma questo non lo si apprende subito. C’è parecchia confusione,
al principio.
A Roma, il giornalista libico Salah Buessir, in esilio da
anni, prende possesso dell’ambasciata libica per dare l’annuncio al mondo dell’avvenuto colpo di stato.
In Libia, non si registra alcuna sacca di resistenza. Il bilan35