`Un filo di fumo`. Malattia, sigarette e letteratura in Italo

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`Un filo di fumo`. Malattia, sigarette e letteratura in Italo
Silvia Annavini
‘Un filo di fumo’. Malattia, sigarette e letteratura in Italo Svevo e Fernando
Pessoa.
“Preciso de verdade e de aspirina”
Àlvaro de Campos
Qualche mese fa Mario Lavagetto in un articolo su “La Repubblica” sosteneva che il più
grande lascito di Svevo consistesse nella clandestinità intesa come valore intellettuale. In fondo
Svevo fa di una marginalità geografica, una sorta di auto esilio dello sguardo che si rende liminalità
fra due culture, fra due letterature. Lo stesso nome, Italo Svevo, rimanda volontariamente a questa
duplicità che è forse il tratto che più di tutti lo avvicina al contemporaneo Pessoa. Entrambi divisi
fra due lingue: il tedesco e l’italiano il primo, l’inglese e il portoghese il secondo e profondamente
radicati in uno sguardo semiperiferico come il confine orientale dell’Italia e quel bordo atlantico
dell’Europa che è il Portogallo. È, tuttavia, attraverso il tema del tabagismo – come suggerisce
Antonio Tabucchi nel suo breve saggio contenuto in Un baule pieno di gente– che è possibile
iniziare un percorso comparativo fra i due autori, scavare quel percorso sotterraneo che è la loro
realizzazione di una “letteratura minore”. Forse ciò che accomunò due scrittori così lontani fu
proprio la gran pletora di sigarette cosparse lungo la loro vita e la loro opera. Attraverso la
tematizzazione di un elemento – il fumo – certamente autobiografico per entrambi, è possibile
approfondire tematiche costanti nelle rispettive poetiche ad esso strettamente collegate
inquadrandole anche nello scenario delle principali tendenze novecentesche come, ad esempio, i
binomi salute/malattia, ontologia/metafisica e letteratura/dimensione ontologica. Àlvaro de Campos
appare certamente come l’eteronimo che si presta maggiormente a questa comparazione non solo
perché oltre a Fernando Pessoa “ele mesmo” pur condividendo il vizio del fumo con il
semieteronimo Bernardo Soares fa di questo vizio un elemento caratterizzante attribuendo – come
sostiene Tabucchi a ragione in un altro saggio contenuto in L’automobile, la nostalgie et l’infinit –
all’oggetto “sigaretta” lo stesso ruolo che l’oppio e l’assenzio hanno avuto nella letteratura del
diciannovesimo secolo facendone, contemporaneamente, un uso inedito rendendolo, infatti, epitome
dell’ opposizione della pragmatica fattuale all’ontologia metafisica 1. All’interno della cosiddetta
galassia eteronimica pessoana Àlvaro de Campos rappresenta l’eteronimia stessa ed è, infatti,
l’unico che presenti un’evoluzione poetica organica. Ingegnere navale laureato a Glasgow,
avanguardista malinconico e futurista sui generis, dà vita ad una parabola estetica in grado di
abbracciare il tardo romanticismo e il futurismo, di rendersi portavoce delle istanze
avanguardistiche primonovecentesche per poi passare ad un ripiegamento esistenziale venato di
sarcasmo e disincantata disperazione. Tabacaría, datata 1928 ma pubblicata soltanto alcuni anni
1
“[…] Campos attribue à l’objet ‘cigarette’ le rôle que l’opium et l’absinthe ont eu dans la literature du dixneuvième siècle – meme s’il en fait un usage sur un plan absolutement inédit, opposant le pragmatique-factuel à
l’ontologique-métaphysique”. (Tabucchi 1998, 46)
1
dopo, è probabilmente rappresentativa di quest’ultima fase poetica dell’ ingegnere ed era intitolata
inizialmente, non a caso, Marcha da derrota, ovvero, “Marcia della sconfitta”. Come è stato
osservato a questo proposito, infatti, Tabacaría rappresenta come ha evidenziato il critico
portoghese Carlos Filipe Moisés “una sintesi della problematica pessona in generale” essendo allo
stesso tempo “un centro ricettore e irradiatore delle linee di forza che percorrono l’opera pessoana”
(Moisés 1981).
Sarà forse lecito partire dalla sigaretta come dato biografico costante e attendibile. Sarebbe
forse ridondante annoverare le famigerate ed ampiamente testimoniate ultime sigarette di Svevo
mentre probabilmente sarà doveroso soffermarsi sulla presenza immancabile della sigaretta nella
maggior parte delle fotografie che ci sono giunte di Pessoa nonché nei ritratti più significativi come
quello probabilmente più famoso ad opera di Almada Negreiros apparso sul primo numero della
rivista “Orpheu”. Passando dal piano biografico a quello metanarrativo, però, la sigaretta acquisisce
un valore destabilizzante che agisce in entrambi come disturbatore di questa linearità biografica e
che trova nella dilatazione della coscienza dal quale sia Svevo che Pessoa fingono di voler fuggire
un punto di partenza cruciale dal quale partire per delineare alcuni tratti delle rispettiche poetiche. Il
complicato rapporto fra autobiografismo e finzione si delinea per entrambi come una problematica
legata sia alla percezione e alla ricostruzione del tempo letterario oltre che ad una disarticolazione
dell’io in quanto unità narrativa o lirica. Probabilmente, Il libro dell’inquietudine avrebbe potuto
costituire nell’ambito di un’ipotetica comparazione con l’opera sveviana un testimone funzionale di
questi due topoi nella sua scomposizione del tempo diaristico – e quindi cronologico – nonché nella
modulazione stessa dell’autobiografismo. Pessoa definisce Bernardo Soares un “semieteronimo”,
ovvero “me stesso senza il raziocinio e l’affettività”. Strategicamente, il primo nucleo de Il libro
dell’Inquietudine che recava il titolo Na floresta do alheamento (Nella foresta dello straniamento)
era pensato come parte di un progetto romanzesco che doveva essere una “biografia priva di
avvenimenti”. L’opera attribuita a Soares porta avanti, infatti, una totale negazione dell’io come
soggetto stabile, coeso, intregrale cosicchè la strutturazione stessa de Il libro dell’inquietudine
rivela l’impossibilità di classificarlo come genere. Non è un caso che sia definito un “non libro”, un
romanzo impossibile trasfigurando assieme ad una decostruzione profonda e pressochè chirurgica
dei generi letterari, l’impossibilità stessa di un’autobiografia articolata sotto forma di resoconto
diaristico di un’indentità intesa tradizionalmente come unità.
Come sappiamo anche il rapporto fra Alfonso Nitti, Emilio Brentani e Zeno Cosini si profila
come una relazione di contiguità fra elementi reali e drammatizzazione di dettagi biografici. In
fondo, lo stesso Svevo definisce La Coscienza “una biografia che non è la mia”. Anche per Campos
si tratta di una biografia frammista di verità e finzione e che, allo stesso tempo, sembra in grado di
superare quella di Fernando Pessoa stesso. L’estrema densità della poetica di De Campos, infatti,
non ha solo permesso di suddividere come ha fatto Teresa Rira Lopes, l’opera dell’ingegnere in
quattro momenti ma ha anche ventilato la possibilità di rintracciare una volontà sotterranea di
cistruire una sorta di biografia della propria inesistenza nell’ambito della propria poetica 2: D’altra
parte, sia in Zeno che in Pessoa la nascita del personaggio sembra scaturire da un’ipertroficità della
2
“Alvaro de Campo’s consciously false autobiography is the only possible true one for him, since consciousness,
literary form, and identity are inconsistent, indefinable, and changeable identities. What is elemental is not self, but
outward expression; not content, but form. For this reason, Campos’ s literary existence seems much more dramatic and
convincing than Pessoa’s. With the aid of a transcendent imagination, Campos’s poetic autobiography replace the one
that Pessoa never wrote, in which the poet records his memories of what never existed, thereby writing what his author
thought to be the only true autobiography possible”. (Jackson 2011, 15)
2
coscienza, da una potenzialità derivante dalla stessa malattia. Da quanto possiamo evincere da una
famosa lettera che lo stesso Svevo scrive a Montale:
Quando ero lasciato solo cercavo di convincermi d’essere io stesso Zeno. Camminavo
come lui, come lui fumavo, e cacciavo nel mio passato tutte le sue avventure che possono
somigliare alle mie solo perché la rievocazione di una propria avventura è una
ricostruzione che facilmente diventa una costruzione nuova del tutto quando si riesce a
porla in un’atmosfera nuova” (Svevo 1965, 144)
Allo stesso modo la genesi eteronimica pessoana si classifica come una “drama em gente”
come è possibile evincere nella celeberrima lettera a Casais Monteiro:
Creai allora una cotêrie inesistente. Fissai tutto questo in forme di realtà. Guardai le
influenze, conobbi le amicizie, udii dentro di me le discussioni e le divergenze di
opinioni, e in tutto ciò mi sembra che io, creatore di tutto, fossi quello che era meno
presente. (Tabucchi 1990, 132)
Contemporaneamente, l’eteronimia pessoana coinvolge alcune questioni di natura
puramente modernista come, ad esempio, l’abolizione del dogma romantico della personalità unica
in favore di quello tardo romantico della personalità polivalente, drammatica. L’influenza esercitata
ad esempio da Browning sulla geminazione delle personalità poetiche pessoane risulta determinante
dai suoi scritti terorici così come la presenza di Tennyson e Whitman. D’altro canto, vi è in Pessoa
anche una tensione più propriamente modernista che si avvicina sempre più verso una poesia di tipo
cerebrale nel tentativo di soppiantare una poesia per così dire “affettiva”. Entrambi questi elementi
agiscono a livello muscolare non solo sull’elaborazione estetica della creazione eteronimica ma
anche sulla natura dell’abscissione della personalità che è parte integrante della poetica complessiva
dell’opera pessona. Come ha recentemente messo in luce Judith Balso, quella di Pessoa non è una
eteronimia “di” ma “tra”, ovvero, è l’opera che crea il soggetto e non l’inverso3. Potremmo quasi
affermare che in entrambi avvenga una drammatizzazione della vita (intesa come insufficiente 4)
cosicchè questa possa trasformarsi in letteratura poiché come afferma apertamente Pessoa ortonimo
in uno dei suoi componimenti più celebri e intitolato non a caso “Autopsicografia” 5, “il poeta è un
3
“L’heteronymye poétique n’est pas “hétéronymie de” mais “hétéronymie entre”. Elle n’agence pas un sujet du
poème, elle dispose un figure de pensée. Figure non unifiée, discontinue, intotalisable, affirmative cependent. C’est
l’oevre en tant qu’acte qui institue un sujet, non l’invers. Je suis d’accord avec Yang Lian: “C’est la poésie qui écrit le
poète, non l’inverse”. Mais ce sujet ne coincide pas avec l’acte qui lui donne son envol.” (Balso 2008, 1)
4
“ Não sei se a vida é pouco ou de mais para mim./Não sei se sinto de mais ou de menos, não sei/Se me falta
escrupulo espiritual, ponto-de-apoio na inteligência,/Consanguinidade com o misterio das cousas, choque/Aos
contactos, sangue sob golpes, estremeção aos ruidos,/Pu se ha outra significação para isto mais comoda e feliz.” (“Non
so se la vita è poco o è troppo per me./Non so se sento troppo o troppo poco, non so/se mi manca scrupolo spirituale,
punto d’appoggio dell’intelligenza,/consanguineità col mistero delle cose, scossa/ai contatti, sangue sotto i colpi,
sussulto ai rumori,/o se per questo c’è un altro significato più comodo e felice”. Pessoa 2007, 136-137)
5
“O poeta é um fingidor./Finge tão completamente/Que chega a fingir que é dor/A dor que deveras sente.//E os que
lêem o que escreve,/Na dor lida sentem bem,/Não as duas que ele teve,/Mas só a que eles não têm.//E assim nas calhas
de roda/Gira, a entreter a razão,/Esse comboio de corda/que se chama o coração”. (“Il poeta è un fingitore./Finge così
3
fingitore che riesce a fingere che sia dolore il dolore che sente realmente”. Si pone pertanto per
entrambi un problema di natura puramente poetica e che riguarda principalmente la questione del
soggetto narrativo coinvolto, in entrambi i casi, in una dialettica che potremmo definire
sommariamente antinaturalistica. In Manuale di inestetica, Alain Badiou ha messo in luce come la
profonda simmetricità della poesia pessoana racchiusa in un pressochè perfetto corollario sintattico
e matematico in grado di prevenire il lettore da qualunque mimesi allontandolo immediatamente da
un’interpretazione di tipo contingente6. Alla medesima funzione antinaturalistica – come ha
osservato Saccone – risponde la cornice de La Coscienza di Zeno decretando così, apertamente, la
finzionalità del romanzesco: “Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento di
tante verità e bugie ch’egli ha qui accumulate!..” In fondo, anche la cornice del Libro
dell’Inquietudine sembra rispondere alla stessa necessità che si rivela in Tabacaría come la
percezione di un continuo sentire pensato per cui è sempre evidente soprattutto in De Campos una
protratta drammatizzazione della scissione pessoana di essere io e altro, ovvero, ciò che sente e ciò
che pensa. La sigaretta tende a neutralizzare esattamente questa continua abscissione della
coscienza epistemica. Quest’ultima, da una prospettiva schopenaueriana (assai affine a Pessoa che
sappiamo bene quanto conoscesse a fondo l’opera del filosofo tedesco durante gli studi di filosopia
poi abbandonati) si profila come rappresentazione e, quindi, come il risultato di un rapporto
necessario fra soggetto e oggetto o, usando le parole stesse dell’ingegnere navale, fra “la lealtà che
deve alla Tabaccheria dirimpetto come cosa reale dal di fuori,/e alla sensazione che tutto è sogno,
come cosa reale dal di dentro”. Questo “allontanamento mimetico” non è soltanto generato da una
dichiarazione esplicita, da parte di entrambi, di essere dei narratori inattendibili ma è esercitata sul
lettore anche attraverso uno spaesamento generato da una inaspettata commistione di generi: così
come l’uso del tempo della coscienza perturba la forma del journal intime ne La coscienza, in
Tabacaría ci troviamo di fronte alla penetrazione del romanzesco all’interno di uno schema lirico
che, a sua volta, ha i tratti dello stream of consciousness e del monologo dramamatico7. I
centosettanta versi di Tabacaría si articolano, infatti, all’interno di una architettura lirico-biografica
interrotta soltanto due volte dall’interferenza del mondo fenomenico: la prima volta da una
parentesi – al verso 72 – in cui la visione di una bambina che mangia cioccolata colloca il soggetto
in una posizione compresa fra la realtà e l’idea, in un terreno ibrido che potremmo definire
“nomade” secondo l’accezione Deleuziana del termine. Come ha sottolineato a tal proposito Badiou
il soggetto speculante si trova, pertanto, al di là di qualsiasi classificazione epistemica ed è
attraverso la sigaretta che l’ingegnere navale si prende gioco di quel dualismo fra aristotelismo e
platonismo in cui Alain Badiou vede ancora intrappolata la filosofia contemporanea il cui compito
completamente/che arriva a fingere che è dolore/il dolore che davvero sente.//E quanti leggono ciò che scrive,/nel
dolore letto sentono proprio/non i due eche egli ha provato,/ma solo quello che essi non hanno.//E così sui binari in
tondo/gira, illudendo la ragione,/questo trenino a molla che si chiama cuore”.) (Pessoa 2007)
6
“Direi allora che la sintassi di Pessoa si fa strumento di un progetto simile perchè si constata in lui, immediatamente
al di sotto delle immagini delle metafore una costante macchinazione sintattica la cui complessità impedisce all’impatto
sensibile e all’emozione naturale di restare sovrane. In questo comunque Pessoa assomiglia a Mallarmé: sovente la frase
necessita di essere ricostruita, di essere lettaq una seconda volta, affinchè l’idea attraversi e trascenda l’immagine
apparente”. (Badiou 2007, 64)
7
A questo proposito anche K. D. Jackson ha recentemente affermato: “The rewriting and rethinking of Western
literary traditions in the work of Fernando Pessoa involves the question of genre as much as it does that of personality
and authorship. The “drama of persons”, the theme that has dominated critical readings, extends as well to a “drama of
genres” (Jackson 2011, 15)
4
risiederebbe, per l’appunto, nell’essere contemporanea di Pessoa. In riferimento ai versi che sta per
scrivere, De Campos afferma:
Acendo um cigarro ao pensar em escrevê-los
E saboreio no cigarro a libertação de todos os pensamentos.
Sigo o fumo como uma rota própria,
E gozo, num momento sensitivo e competente,
A libertação de todas as especulações
E a consciência de que a metafisica é uma consequência de um estar mal disposto8. (Pessoa 2002,
208)
L’atto di fumare rimanda, pertanto, la scrittura dei versi 9 e, in un certo senso, ci impone di
sospettare un’equivalenza fra metafisica e letteratura10. Lo stesso vale per Svevo/Zeno per cui il
proposito di smettere di fumare coincide spesso con quello di smettere di scrivere. Come suggerisce
a tal proposito Lavagetto, la sigaretta è una sorta di “degenerazione della penna”, “una metonimia
dell’affermazione che Svevo desidera procurarsi attraverso la scrittura”. Come scrive nel Diario per
la fidanzata nel dicembre del 1902:
Noto questo diario della mia vita di ultimi anni senza propormi assolutamente di
pubblicarlo. Io, a quest’ora e definitivamente ho eliminato dalla mia vita quella cosa
ridicola e dannosa che si chiama letteratura. [..] Ancora una volta, grezzo e rigido
strumento, la penna m’aiuterà ad arrivare al fondo tanto complesso del mio essere. Poi la
getterò per sempre e voglio saper abituarmi a pensare all’attitudine stessa dell’azione
(Svevo 1954, 310)
Non c’è bisogno di sottolineare come il gesto di gettare la penna somigli a quello di gettare
la sigaretta per raggiungere uno stato di salute che lo avvicini alla vita pratica. Così come Campos
cerca di liberarsi dalla metafisica che gli vieta di “essere pratico, nitido, di avere un posto nella vita,
un destino fra gli uomini, un’opera, una forza, una volontà, un orto” (Pessoa 2002, 141).
8
“Accendo una sigaretta meditando di scriverli/ e assaporo in essa la liberazione di tutti i pensieri./Seguo il fumo
come una rotta autonoma/ e godo, in un momento sensitivo e competente,/la liberazione da tutte le speculazioni/ e la
consapevolezza che la metafisica è l’effetto di uhn’indisposizione” (Pessoa 2002, 209)
9
“Campos pensa, ben prima di Deleuze, che vi sia nel desidderio una sorta di univocità macchinale, di cui la poesia
deve saper captare l’energia senza sublimarla nè idealizzarla, senza nemmeno disperderla nell’ambiguità dell’equivoco,
ma cogliendone i flussi e le interruzioni proprio grazie ad un certo furore ell’essere”. (Badiou 2007, 62)
10
“Attraverso l’osservazione Pessoa costruisce una realtà interiore che ha le sue origini proprio nella minuziosa
decostruzione di quella realtà che gli è invece esterna legata all’esperienza. Per mettere in atto questo processo, Pessoa
deve vivere una sorta di spazio intermedio, che è il vero “spazio felice”, per dirla con Bachelard, della sua costruzione
poetica, collocato in quella piega dominata dalla sensazione, fra la sua finestra dell’anima aperta sull’infinito e la città
reale. [...] È così che il minuscolo e l’insignificante, il mediocre si moltiplicano nel loro divenire continuo, attuando la
metamorfosi indotta dal momento creativo, il momento sublime della poesia e della scrittura, transitando nella sfera
della sensazione pura, sinestetica, all’astrazione, esplorando una nuova dimensione della coscienza. Ciononostante,
l’idea di sensazione pura si autoesclude attraverso la prassi intellettuale, che è la creazione stessa”. (Francavilla 2002,
681)
5
Il fumo, gesto gratuito in sé triviale, improduttivo ma liberatorio, si impone per la passività
che lo caratterizza alla stessa opposizione poetica della contingenza ma rimanda a quello stesso
stadio precosciente che manca di ogni proposito. Sappiamo bene che per Zeno la malattia è
identificabile con lo stesso proposito e come spiega Teresa De Lauretis in La sintassi del desiderio,
quello di smettere di fumare (e quindi quello di smettere di scrivere) è un proposito “che viene
formulato per poter lasciar spazio alla sua non realizzazione, per poter liberare, attraverso
l’infrazione del divieto che lo ispira una piccola quantità di energia vitale.” In Tre saggi sulla teoria
della sessualità, Freud spiega la propensione del vizio del fumo nell’ambito della sua formulazione
della teoria delle zone erogene. La formazione della prima di queste, quella orale, si verificherebbe
nei primi anni di vita essendo relativa all’attività principale del neonato, ovvero, quella della
suzione. In questa fase il bambino è propenso a succhiare qualunque oggetto gli venga porto.
Questa tendenza generica si fissa precocemente su una parte del corpo 11 sostituendo, di
conseguenza, si fissa precocemente su una parte del corpo sostituendo, quindi, “nella zona erogena
la sensazione di stimolo proiettata, facendo ricorso ad uno stimolo esterno che elimini la sensazione
di stimolo provocando la sensazione di soddisfacimento. Questo stimolo consisterà il più delle volte
in una manipolazione analoga al succhiamento” (Freud 1992, 64). Nello stesso saggio, Freud
collega questa propensione infantile al vizio del fumo, rintracciandola in quei bambini “nei quali
l’importanza della zona labiale è costituzionalmente rafforzata. Se tale importanza persiste tali
bambini diverranno da adulti raffinati in fatto di baci […] o, da uomini, avranno un forte motivo per
bere e fumare. (ibidem) Svevo sembra faziosamente ricollegare il vizio del fumo a questa
caratterizzazione della teoria freudiana, incorporandolo proprio all’interno del primo capitolo in cui
il medico viene sarcasticamente smentito:
Esculapio mormorò:
‒ Dietro al civettare c’è sempre qualcosa di buono. Alla mia età non civetterete
più.
Oggi so con certezza ch’egli non sapeva proprio niente del civettare. Ne ho
cinquantasette degli anni e sono sicuro che se non cesso di fumare o che la psico-analisi
non mi guarisca, la mia ultima occhiata dal mio letto di morte sarà l’espressione del mio
desiderio per la mia infermiera, se questa non sarà mia moglie o se mia moglie avrà
permesso che sia bella. (Svevo 2004, 637)
11
Svevo sembra riferirsi a questa teoria nel seguente passo de La Coscienza: “Fui sincero come in confessione! La
donna a me non piaceva intera, ma... a pezzi! Di tutte amavo i piedini se ben calzati, di molte il collo esile oppure anche
poderoso e il seno se lieve, lieve. E continuavo nell’enumerazione di parti anatomiche femminili, ma il dottore mi
interruppe:
‒ Queste parti fanno una donna intera.
Dissi allora una parola importante:
‒ L’amore sano è quello che abbraccia una donna sola e intera, compreso il suo carattere e la sua intelligenza.
Fino ad allora non avevo certo conosciuto un tale amore e quando mi capitò non mi diede neppure esso la salute, ma
è importante per me ricordare di aver rintracciata la malattia dove un dotto vedeva la salute e che la mia diagnosi si sia
ppoi avverata. (Svevo 2004, 638)
6
D’altra parte, Melanie Klein sostiene che il senso di necessità legato alla suzione abbia
origine nel bambino nella paura di non essere soddisfatto definendo questa fase “posizione
persecutoria” che in Zeno sembra concretizzarsi nel timore di perdere quella sorta di “libertà
vigilata”, in quel perenne bisogno di un persecutore che gli impedisca di soddisfare il proprio vizio
per poterlo, poi, valorizzare in quanto proibito dall’altro. A tal proposito, la psicologa dell’infanzia
Melanie Klein sostiene che il senso di necessità legato alla suzione abbia origine nel bambino nella
paura di non essere soddisfatto definendo questa fase “posizione persecutoria.” Nel corso della
narrazione sveviana, è possibile annoverare innumerevoli situazioni in cui Zeno cede alla tentazione
della sigaretta per paura di perdere la propria “libertà vigilata”. Questi ha perennemente bisogno di
un persecutore, di qualcuno che gli impedisca di soddisfare il proprio vizio per poterlo, poi,
valorizzare in quanto proibito dall’altro. Eduardo Saccone ha chiamato in causa in tale contesto il
concetto di afanisi con cui si definirebbe la paura da parte del soggetto di essere privato del proprio
desiderio. La dipendenza da questa libertà vigilata è rappresentata emblematicamente dalla favola
che nel romanzo viene attribuita alla fantasia del cognato Guido. Quest’ultimo narra l’apologo “di
un uccelletto al quale avvenne d’accorgersi che lo sportellino della sua gabbia era rimasto aperto.
Dapprima pensò di approfittarne per volar via, ma poi si ricredette temendo che se, durante la sua
assenza, lo sportellino fosse stato richiuso avrebbe perduta la sua libertà.” (Svevo 2004, 948) Mario
Fusco, invece, nel suo Svevo: coscienza e realtà, riconduce il carattere nevrotico del vizio ad un
bisogno compulsionale che rimanderebbe alla “fissazione del protagonista ad uno stato di
evoluzione ancora infantile” (Fusco 1984, 187) che ne decreterebbe l’incapacità di prendere
decisioni definitive che lo proietterebbero una volta per tutte nel mondo degli adulti. Per questo
motivo, lo stato di malattia porterebbe il protagonista de La coscienza a rimandare continuamente il
momento della guarigione. L’ultima sigaretta proverebbe, pertanto, “la difficoltà che questi prova a
compiere un atto di volontà, una scelta che lo impegni in modo definitivo e irreversibile.” (ibidem)
In Svevo vi è, ovviamente, un gioco piuttosto consapevole e ambiguo dell’uso della psicanalisi e
che si esplica soprattutto nell’insinuazione – come suggerì proveribialemente Debenedetti – di una
analicità che è soprattutto problematicità, dialetticamente animata da quel gioco di rimandi fra
verità e menzogne, in quella coscienza della nevrosi, della malattia e della nevrastenia e, più in
generale, della malattia. Anche per Pessoa è possibile parlare di una connotazione psicanalitica
della malattia, intimamente collegata alla fonte più paradigmatica della propria creatività letteraria,
ovvero, l’eteronimia stessa. Non a caso, afferma più volte che l’origine dei propri eteronimi è il
tratto profondo d’isteria che esiste in lui e non sarà ancora una volta casuale che definirà l’autore di
Tabacaría “il più istericamente isterico di me”. Così come del pari, Svevo constata che “ negli
uomini l’isteria assume principalmente aspetti mentali; così tutto finisce in silenzio e poesia”. Ad un
livello meno epidermico, però, il vizio del fumo sembra configurarsi per De Campos soprattutto
come un problema estetico – e quindi filosofico – da legarsi più che altro alla questione del libero
arbitrio che, sin dall’anafora di negazioni iniziali, sembra decretare l’unica possibilità di
autodeterminazione nel sogno e, per traslato, nella letteratura:“Non sono niente/Non sarò mai
niente./Non posso voler essere niente./A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo” (Pessoa 2002,
199). Come poi nello Svevo di Una vita: “Centro dei suoi sogni era lui stesso, padrone di sé, ricco,
felice. Aveva delle ambizioni di cui consapevole a pieno non era che quando sognava” (Svevo
2004, 17). Allo stesso modo – sempre in Tabacaría – De Campos afferma:
Tenho sonhado mais o que o Napoleao fez.
Tenho apertado ao peito ipotetico mais humanidades do que o Cristo,
7
Tenho feito filosofias em segredo que nenhum Kant escreveu 12. (Pessoa 2002, 202)
In fondo in un articolo apparso nel 1890 su “L’Indipendente” Svevo scriveva: “Il fumatore
è prima di tutto un sognatore, è il più immediato effetto del suo vizio che lo rende tale, un sognatore
terribile che si logorerà l’intelligenza in dieci sogni e si ritroverà con l’aver notata una sola parola”
(Svevo 2004, 1565). In quest’ultima citazione si fa più chiaro il rapporto fra sogno, fumo e
letteratura, elementi che sottintendono un quarto termine che ne costituisco il minimo comun
divisore, ovvero, la malattia che, come scrive Nicola Gardini nell’appendice alla breve esplorazione
sulla malattia pubblicato da Virginia Woolf negli anni ’30:
[…] dopo il 1789 o, se vogliamo, dopo la rivoluzione industriale, il malato é un
individuo eccellente, è un soggetto, una specie di eroe. […]Non stupisce che l’artista sia
un malato (“senza malattia nervosa non c’è grande artista” conclude du Bourbon) e
un’intera cultura – quella del Decadentismo o del tardo Romanticismo – tragga le sue
metafore dell’infermità. Senza malattia non si crea niente, nel bene e nel male.(Woolf
2006, 62)
Svevo sembra ben cosciente di questo rapporto fra malattia e scrittura (e fra fumo, malattia e
scrittura) tanto che parla di una supposta grandezza latente. A questo proposito, le rispettive lettere
alle fidanzate che, proprio come hanno sottolineato Deleuze e Guattari in riferimento a quelle di
Kafka, costituiscono “un rizoma, una rete, una tela di ragno” nonchè centri catalizzatori di tutti gli
elementi della macchina letteraria. Si tratta, infatti, in entrambi i casi di camuffamenti poetici,
perversi pretesti di autodefinizione estetica e autobiografismo dissimulato. Allo stesso tempo, la
lettera rappresenta il feticcio della stretissima interdipendenza fra malattia e letteratura essendo
implicitamente implicata in un patto, in un legame a doppio filo con il ricettore che viene
alternativamente distanziato e ravvicinato. La sigaretta si pone come enfasi di questo continuo
sfasamento e come sigillo di una negoziazione che sarà quasi certamente defezionata. In modo
piuttosto paradigmatico, Svevo asserisce in un passo del Diario per la fidanzata:
Alla stazione feci un bon mot che ti ferì: Significai con esso la mia indifferenza per
tutto fuorchè per la sigaretta. […] L’indifferenza per la vita è l’essenza della mia vita
intellettuale. In quanto è spirito o forza, la mia parola non è altro che ironia ed io ho paura
che il giorno in cui a te riuscisse di farmi credere nella vita (è cosa impossibile) io mi
troverei grandemente sminuito. Quasi quasi ti pregherei di lasciarmi stare così. Ho un
grande timore che essendo felice diverrei stupido e, viceversa, poi son felice solo quando
sento muovermi nella grossa testa idee che credo non si trovano in molte altre teste. Che
però sia il mio desiderio sincero di non ferirti, lo prova già il fatto che per te voglio o
vorrei rinunziare alla sigaretta che osai porre in rivalità con te”. (Svevo 1990, 20)
Contemporaneamente in una lettera di commiato dalla fidanzata, Fernando Pessoa scrive:
12
Ho sognato più di quanto Napoleone non abbia realizzato./Ho stretto al petto ipotetico più
umanità di Cristo,/in segreto ho fatto più filosofie che nessun Kant ha mai scritto. (Pessoa 2002,
201-203)
8
Sono molto malato […]. Se non vuole credere che sono malato faccia pure. Ma le
chiedo per favore di non dirmi che non ci crede. Mi è più che sufficiente essere malato.
[..] Sono arrivato a quell’età in cui si ha il pieno dominio delle proprie qualità e
l’intelligenza raggiunge la sua massima forza e capacità. E’ dunque il momento di
realizzare la mia opera letteraria, completando alcune cose, raccogliendone altre che non
sono ancora state scritte. […]Del resto la mia vita gira intorno alla mia opera letteraria –
buona o scadente che sia o che possa essere. Tutto il resto della vita ha per me un
interesse secondario […]. (Pessoa 2002, 100-101)
La lettera d’amore, come la sigaretta, rimanda, quindi, il patto borghese con la
quotidianità13, il compromesso con la salute. Nel caso di Pessoa ci troviamo davanti a un rifiuto
netto, una sottrazione totalizzante alla “normalità” intesa come coniugalità e percepita come parte
integrante della condizione di salute. Come ricordano Deleuze e Guattari, Proust contrappone lo
scrivere al matrimonio e ricordano come in Kafka:
[...] ogni lettera è una lettera d’amore apparente o reale; le lettere d’amore possono
essere attrattive, repulsive, di rimprovero, di compromesso, di proposta, senza che la loro
natura muti in alcun modo; esse fanno parte di un patto col diavolo che scongiura il
contratto col dio, con la famiglia o con l’essere amato. (Deleuze e Guattari 2010, 60)
Come è noto, per Pessoa – anzi, per Campos – le lettere d’amore sono e devono essere
ridicole, l’amore si trasforma un topos, in occasione di scrittura e, allo stesso tempo, ancora una
volta, in rimpianto per un passato di salute in cui riusciva a scrivere senza accorgersene, senza
l’interferenza del pensiero, lettere d’amore ridicole intendendo con “ridicole” ingenue, spontanee 14.
E il fumo sembra condurre, per l’appunto, entrambi a desiderare una condizione precosciente,
13
“ Arrumar a vida, pôr prateleiras na vontade e na acção.../Quero fazer isto agora, come sempre quis,com o mesmo
resultado;/Mas que bom ter o propósito claro, firme só na clareza, de fazer qualquer coisa!//Vou fazer as malas para o
Definitivo,/Organizar Álvaro de Campos,/E amanhã ficar na mesma coisa que antes de ontem – um antes de ontem que
é sempre...//Sorrio de conhecimento antecipado da coisa nenhuma que serei...” (“Mettere in ordine la vita, sistemare le
scaffalature nella volontà e nell’azione.../È quello che voglio fare ora, come l’ho voluto sempre, con lo stesso
risultato;/ma che bello avere il proposito chiaro, fermo solo nella chiarezza di fare una cosa qualsiasi!//Ora farò le
valigie per il Definitivo,/organizzerò Àlvaro de Campos,/per essere domani allo stesso punto di ieri l’altro –un ieri
l’altro che dura sempre...//Sorrido per la consapevolezza anticipata dell’alcunchè che sarò...” Tabucchi 2002, 260-261)
14
Non è probabilmente un caso che anche nel caso di questa poesia avvenga un distanziamento dal sentimento, un
immancabile ribilanciamento estetico che riporta l’emozione sui binari della coscienza e della letteratura. In questo
senso, in fondo anche qui la malattia coincide con la letteratura, con l’impossibilità di un sentimento che non sia
puntualmente intellettualizzato: “Todas as cartas de amor são/Ridículas/Não seriam cartas de amor se não
fosse/Ridículas.//Também escrevi em meu tempo cartas de amor,/Como as outras,/Ridículas// As cartas de amor, se há
amor,/Têm de ser/Ridículas.//Mas, afinal/Só as criaturas que nunca escreveram/Cartas de amor/É que
são/Ridículas.//Quem em dera no tempo que escrevia/Sem dar por isso/Cartas de amor/Ridículas.// A verdade é que
hoje/As minhas memorias/Dessas cartas de amor/É que são/Ridículas.//(Todas as palavras esdrúxulas,/Como os
sentimentos esdrúxulos,/São naturalmente/Ridículas).” (Tutte le lettere d’amore sono/ridicole./Non srebbero lettere
d’amore ce non fossere/ridicole.//Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,/come le altr/ridicole.//Le lettere
d’amore, se c’è l’amore,/devono essere/ridicole.//Ma dopotutto/solo coloro che non hanno mai scritto/lettere
d’amore/sono/ridicoli.//Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo/senza accorgermene/lettere d’amore/ridicole.//La
verità è che oggi/sono i miei ricordi/di quelle letetre/a essere/ridicoli.//(Tutte le parole sdrucciole,/come tutti i sentimenti
sdruccioli,/sono naturalmente/ridicole”. Tabucchi 2002, 348-349)
9
prespeculativa. Non a caso, la prima interferenza del delirio solipsistico di De Campos è rivolto ad
una bambina che mangia ingenuamente cioccolata:
(Come chocolates,pequena;
Come chocolates!
Olh que não há mais metafísica no mundo senão chocolates.
Olha que as religiões todas não entina mais que a confeitaria.
Come, pequena suja, come!
Pudesse eu comer chocolates com a mesma verdade com que comes!
Mas eu penso e, ao tirar o papel de prata, que é de folha de estanho,
Deito tudo para o chão, como tenho deitado a vida)15. (Pessoa 2002, 202)
Quasi geometricamente a questa apertura, al verso 130 un “ma” schiude al secondo
interlocutore, ovvero, il padrone della tabaccheria – l’esteves senza metafisica – che proprio come la
bambina fa sì “che la realtà plausibile si abbatta contro di lui” e di nuovo lo liberi dal rovello
ontologico cosicchè “l’universo si ricostruisca senza ideale né speranza”. L’indisposizione
metafisica coincide per Pessoa nella consapevolezza dell’insufficienza della conosocenza
fenomenica rispetto alla trascendeza metafisica e che si concretizza in un’accettazione provvisoria
della transitorietà ontologica. La sigaretta consente per l’appunto in Tabacaría di rimandare la
scrittura dei versi, posticipa l’illusione che attraverso la scrittura si possa fermare il tempo in un
eterno presente. Lo stesso vale per Svevo. Come ha affermato Debenedetti, l’autore de La
Coscienza concepisce personaggi per cui “scrivere è fermare il presente in un hic et nunc, sottrarlo
alla disattenzione che lo fa crollare in un inevitabile passato: tutto questo ha uno scopo di cura,
terapeutico” (Debenedetti 2001, 551).
In questa illusione discorsiva, verbale, linguistica, così tipica della pratica e della terapia
freudiana, Svevo/Zeno sembra rintracciare, in effetti, con notevole precocità il contributo più
efficace e “consistente” del ruolo della psicanalisi nella sfera letteraria moderna e che come
dimostra La Coscienza non influisce soltanto a livello tematico ma anche e soprattutto formale
aderendo e rendendosi esemplare di quella metamorfosi ibridante dei generi di cui il modernismo
registra i primi sintomi. Così come del resto la stessa analisi di Badiou circa l’intempestività della
posizione filosofica pessoana potrebbe essere quasi radicalizzata in un’ insufficienza del sistema
freudiano nell’interpretare la profonda dissociazione fra conscio e coscienza di cui Tabacaría si
rende epitome. Ciò che azzerderei ad aggiungere, per concludere, al seppur impeccabile saggio di
Tabucchi a distanza di anni è l’importanza e la produttività di porre in dialogo questi due autori –
15
“Mangia i cioccolatini, piccola;/mangia i cioccolatini!/Bada che al mondo non c’è altra
metafisica che la cioccolata./Bada che tutte le religioni non insegnano più della
confetteria,/Mangia bambina sporca, mangia!/Potessi io mangiare cioccolata con la stessa verità
con cui la mangi tu!/Ma io penso: e quando tolgo la carta argentata, che poi è di stagnola,/butto
tutto per terra, come ho buttato la vita”. (Pessoa 2002, 203)
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tra l’altro accomunata da una fortuna piuttosto tardiva – e che rende giustizia al valore europeo del
modernismo portoghese ma anche di quello che tardiamo ancora, a definire modernismo italiano.
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