il nemico pubblico n.1

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il nemico pubblico n.1
BIMILLENARI
o tempora o mores!
BIMILLENARI
o tempora o mores!
augus
to
il nemico pubblico n.1
Un tribunale dei nostri giorni condannerebbe Ottaviano Augusto
come imperialista, razzista, nazionalista, omofobo, sciovinista,
antidemocratico… Con in più un’aggravante: tutta la sua biasimevole
opera rese grande Roma mentre oggi la politica crea più problemi di
quanti ne risolva. Un parallelo impietoso e un modello inarrivabile per
un mondo che i modelli li fugge come la peste. Questo spiega – anche –
perché si celebrerà in sordina un bimillenario tanto importante quanto
imbarazzante. Per tanti motivi…
CC 4.0 by SA: Marie-Lan Nguyen (User:Jastrow)
H
L’Augusto di Prima Porta,
conservato al Louvre
a scritto Luciano Canfora su «Il club
della Lettura»
del «Corriere della Sera»
online che di Augusto «tutto ciò
che leggono nella sua opera i moderni è spesso la proiezione dei
loro convincimenti e delle loro
categorie». È probabilmente per
questo motivo che oggi il fondatore dell’Impero Romano, a duemila
anni dalla sua morte, viene ricordato in maniera stentata, zoppicante, lacunosa. In una parola, con
imbarazzo. Un imbarazzo dettato
dal fatto che mai come nella nostra
epoca si è de-storicizzata ogni cosa
rovesciando la funzione della Storia: anziché impiegare la sua conoscenza per approfondire meglio il
presente, si utilizzano le categorie
del presente per giudicare il passato in una sorta di Norimberga
Settembre 2014
di Emanuele Mastrangelo
permanente. Agli storici (e agli
psicanalisti) del futuro il compito
di capire il perché di tanto autolesionismo. A noi il più modesto
compito di capire chi era Gaio
Giulio Cesare Ottaviano Augusto,
primo Principe di una Repubblica
avviata a destini imperiali. E cosa
fece di così grave da rendere la sua
memoria ingombrante due millenni dopo la sua morte.
Quando Augusto muore a 77
anni, il 19 agosto dell’anno 767 dalla Fondazione di Roma (14 d.C.) ha
lasciato alla Repubblica romana
un dominio imperiale organizzato, prospero, pacificato all’interno
dei suoi confini e sicuro all’esterno
di essi. Portando le aquile di Roma
sui fiumi Reno e Istro (Danubio)
diede alla Repubblica confini stabili e difficilmente penetrabili in
Europa, che assicurarono la stabilità almeno fino a quando – due
secoli dopo – masse di disperati
in fuga dalle guerre tribali e dalle
orde unne non iniziarono prima a
premere lungo il limes, poi a varcarlo, chiedendo a Roma asilo e
minandone la stabilità dall’interno (vi ricorda qualcosa?). Augusto,
per il quale «Mare nostrum» aveva
un significato diverso da quello
che gli danno oggi, è stato dunque
un fautore dei confini solidi e ben
presidiati. Anche là dove era impossibile stabilire delle frontiere
definite, come nel deserto nordafricano, l’opera di Augusto è stata
volta a tenere ben lontane le tribù
ostili dei Musulani, dei Fasani e
dei Getuli (antenati degli attuali
berberi e tuareg), mentre a Oriente, dove Roma doveva fronteggiare
non barbari incolti ma regni raffinati e il potente impero rivale dei
Parti, cercò un modus vivendi che
non sacrificasse l’onore di Roma:
nel 20 a.C. riuscì infatti a ottenere
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