«Non basta commuoversi la speranza siamo solo noi»

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«Non basta commuoversi la speranza siamo solo noi»
TARANTO PRIMO PIANO I III
Martedì 25 marzo 2014
DOPO LA STRAGE
LA MANIFESTAZIONE DI LIBERA
IL PARTICOLARE
Aveva appena finito di parlare
don Luigi Ciotti quando il cielo è diventato
buio. In un secondo lampi e pioggia
«Non basta commuoversi
la speranza siamo solo noi»
Don Luigi Ciotti: dobbiamo decidere da che parte stare
Quattromila in corteo: Palagiano non è un paese mafioso
ALESSANDRA CAVALLARO
l Il cielo ha retto fino all’ultima parola
coraggiosa pronunciata da don Luigi Ciotti,
fondatore di «Libera»: «La speranza ha bisogno di ciascuno di noi». Poi le nuvole
hanno cominciato ad aggrinzirsi, addensarsi, scurirsi. Dall’azzurro al grigio in una
frazione di secondo. Con rapidità apocalittica. Lampi e pioggia. Ma tutto era già
compiuto. L’acqua poteva venire giù senza
paura. Frasi, mani, striscioni, discorsi, bandiere, bambini, in una marcia che ha gridato - senza tacere sdegno, ipocrisie, fratture - «Palagiano non è un paese mafioso».
«Ho parlato con Carmela la mamma di
Carla, mi ha detto che non vuole vendetta
ma rispetto e dignità» dice don Luigi Ciotti
che con l’umiltà e la grandezza di un prete
rimasto uomo di strada offre una carezza
anche a Mimmo, «alle sue fragilità e responsabilità». Mimmo sepolto ieri mattina
nel cimitero in un silenzio freddissimo. E
con gli occhi semichiusi e la voce ferma
ricorda le parole del parroco, don Favale,
che sabato ha celebrato i funerali del piccolo
Domenico: «Il seme caduto nella terra che
dia frutti».
Carla Fornari, il piccolo Domenico, che
ad agosto avrebbe compiuto 3 anni, Mimmo
Orlando, sono morti in una strage «mafiosa». Dal palco allestito in piazza Falcone-Borsellino, mai luogo fu più simbolico,
don Luigi Ciotti costruisce un discorso che
vola. Mette le ali, come i palloncini bianchi,
che raggiungono il sole prima che si ritiri,
mollati dai bambini quando una ragazzina
chiude l’elenco delle vittime di mafia pugliesi con il nome di Domenico Petruzzelli.
Volano dove le pistole sono giocattoli. Il
corteo, il cammino, sono un segno. «E i segni
sono importanti - dice don Ciotti, ricordando don Tonino Bello -. Lui parlava del potere
dei segni contro i segni del potere. Non basta
commuoversi, bisogna muoversi». E’
nell’andare che procede il cambiamento.
L’andare di associazioni, movimenti, scuole, gruppi di accompagnamento; l’andare
delle mani che reggono striscioni, che si
reggono tra di loro per non cedere alla lontananza. «E’ il “noi” che vince, abitiamo il
tempo insieme». Ogni frase di don Ciotti ha
un impatto emotivo e folgorante su una
piazza che alla fine è riuscita a contenere
4mila persone. Dal palco il prete di «Libera»
chiede un atto di umiltà. «Il problema vero
non sono le mafie, il problema vero siamo
noi - urla mollando gli ormeggi di un ragionamento ispirato -. Dobbiamo decidere
da che parte stare. Quando qualcuno vi dirà
che ha capito tutto, salutatelo e cambiate
strada. Noi dobbiamo trovare il coraggio di
imparare dalle piccole cose».
Alle spalle di don Ciotti, i sindaci del
versante occidentale della provincia di Taranto, ma anche i rappresentanti dei comuni di Bari, Polignano, Gioia del Colle.
Con loro consiglieri regionali e l’assessore
alla Legalità della giunta Vendola, Guglielmo Minervini. Si volta don Ciotti, li guarda e
accenna alle parole di Paolo VI: «La politica
è la più alta forma di carità». E ritorna tra la
gente, allunga lo sguardo nel transetto della
piazza, dove trova posto la giustizia. Uomo
di fede e di terra, don Luigi Ciotti ammette
la fragilità della Chiesa «in passato troppo
timida». Una Chiesa però che ha prodotto
anche figure come don Puglisi. «Facciamo
come diceva lui, risaliamo sui tetti e pronunciamo parole di unità». L’apice del suo
discorso nella metamorfosi ragionata dei
verbi. «Siamo stati abituati a salire, avere,
possedere, pensiamo in maniera opposta».
Scendere, essere, donare.
«RISPETTO E
DIGNITÀ»
Quattromila
persone ieri a
Palagiano per
la
manifestazione indetta da
Libera. Qui a
destra don
Luigi Ciotti
[foto Todaro]
LE VOCI DELLA MANIFESTAZIONE PRENESTE ANZOLIN, PRESIDE DELLA «RODARI», RICORDA CHE LA MAMMA UN MESE FA ERA ANDATA ALL’ISTITUTO
l Sarà in classe il piccolo Domenico il prossimo anno. «A settembre noi lo iscriveremo perché
la sua mamma, un mese prima di
morire, era venuta a scuola. Lo
faremo perché resti sempre con
noi». Fragile la voce del preside
dell’istituto comprensivo «Gianni Rodari» di Palagiano, Preneste
Anzolin. Fragile perché stretta
alla gola, ma gonfia di passione
nel tono alto sorretto dal diaframma. Sul palco Anzolin apostrofa il triplice omicidio come
«atto di barbarie». Quella piazza
e quel corteo pieno di bambini,
dolore e vita, sono la verità di un
paese che applaude e
riempie le strade. Una
verità che ha il suo contraltare nelle parole di
chi, ieri mattina, è rimasto ai margini.
«Fanno bene a marciare» dice Mario, cappellino e mani callose.
Loro «fanno bene» perché la partecipazione è
pur sempre un atto di
coraggio, non obbligatorio. Una parte del paese delega. Guarda, sorride sornione e incrocia
le braccia. Un centinaio
di persone, invece, chiudono il corteo composto
principalmente da bambini,
mamme, insegnanti, studenti.
I due volti di un paese pieno di
controsensi: da un lato l’istituto
comprensivo «Giovanni XXIII»,
frequentato dai fratellini di Domenico, che non aderisce ufficialmente alla marcia, dall’altro
il progetto di costituire il comitato «Palagiano non è mafiosa».
Ma
dell’istituto
«Giovanni
XXIII» ci sono Cosimo e Silvia e
non sono soli. «Siamo qui per Domenico e per i fratellini sopravvissuti» dicono. Bambini che imparano a non ascoltare gli adulti.
E crescono. Ma ci sono anche stu-
«Ma Domenico vivrà, lo iscriveremo
a questa scuola l’anno prossimo»
Il paese resta diviso. «Siamo qui per lui». «Fanno bene a marciare»
denti delle scuole superiori di Palagiano e Palagianello. Don Franco Alfarano ha accompagnato alla marcia i suoi ragazzi del Tecnico di Castellaneta. Ha voluto
partecipare per sconfiggere «la
crisi di valori». Testimonianze di
un corteo che «pesca» nelle case e
IN PRIMA
FILA
Giovani,
ragazzi,
bambini,
donne. Tutti
insieme in
corteo per
dire no alla
violenza, alla
mafia, alle
intidimidazioni,
alle sopraffazioni. Al male
che ostacola
il bene
[foto Todaro]
nelle aule, nelle famiglie e tra i
banchi, dove educare e insegnare
sono le trame spesso sbiadite che
sfilacciano una società già grattata dall’indifferenza. «La mafia
può essere sconfitta solo con presidi di legalità» dice Angela Surico dell’Arci Palagiano. Altra
LE PAROLE
DEL
SINDACO
«E’ una
vicenda che
non ci
aspettavamo.
Palagiano
non meritava
questo» dice
il sindaco
Tarasco
[foto Todaro]
.
voce, fortunatamente non isolata, che mostra quel bisogno di
spazi dove tornare a costruire
cultura, bontà, aggregazione.
«Non siamo un paese mafioso,
ma la criminalità c’è e si vede. La
sentiamo». Anna Maria è una
mamma, suo figlio frequenta la
«Rodari». Ha paura, la sua reticenza nel parlare ne è la prova.
Marcia però, cammina, regge il
peso di appartenere ad una comunità additata e compromessa
che farà fatica a rialzarsi. «Noi
non siamo quello che state vedendo». Lia prova a ricucire una
tela consumata dalla tragedia,
mentre spinge in avanti
un carrozzino. Sono
stretti nei cappotti gli
abitanti di Palagiano,
abbottonati in un ritorno di inverno che non
vuole lasciare i palazzi
alla primavera. «E’ una
vicenda che non ci
aspettavamo - dice il
sindaco di Palagiano,
Tarasco, che ai funerali
di Carla e Domenico
non ha partecipato per
impegni personali -. Il
paese non lo meritava».
Un paese che ha una forte dispersione scolastica, pochi luoghi di ritrovo, e le chiese, gli oratori, affannati ad acchiappare i giovani
per strada. «Dobbiamo chiedere
ai grandi di diventare riferimento per i più piccoli» chiosa il sindaco. Ma forse è il contrario. Dalla scuola «Rodari» è partito il corteo ieri mattina. E questa scuola
doveva essere il rifugio del piccolo Domenico. Poeta geniale e
intuitivo, Gianni Rodari, compositore di favole. «Se ci diamo una
mano i miracoli si faranno», scriveva. Nella marcia, centinaia di
manine di carta sollevano un
paese e ne lavano la colpa.
[Alessandra Cavallaro]