IL BENESSERE NEL QUOTIDIANO. RICERCHE E PRATICHE A

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IL BENESSERE NEL QUOTIDIANO. RICERCHE E PRATICHE A
Giornate Nazionali di Psicologia Positiva
V Edizione
"IL BENESSERE NEL QUOTIDIANO.
RICERCHE E PRATICHE A CONFRONTO"
Milano 11/12 novembre 2011
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Milano, Piazza dell’Ateneo Nuovo, 1
Book of Abstract
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Comitato Scientifico: Ottavia Albanese, Luigi Anolli, Giuliano Balgera, Marta
Bassi, Federico Colombo, Antonella Delle Fave, Stefano Gheno, Maria Elena
Magrin, Spiridione Masaraki, Marta Scrignaro, Patrizia Steca.
Segretaria Organizzativa: Nicoletta Businaro, Francesca Dell’Amore, Piera Gabola,
Andrea Norcini Pala.
Email: [email protected]
Sito: www.psicologiapositiva.it
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Abstract Comunicazioni Orali
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Main Lecture
Work Engagement: A Key Concept of a Positive Occupational Health
Psychology?
Wilmar Schaufeli (Università di Utrecht, Paesi Bassi)
Despite its name, Occupational Health Psychology is traditionally concerned with ill-health and
unwell-being. Until recently, work stress and job burnout have dominated its agenda. Although the
body of knowledge about such negative states is impressive, it is also one-sided because of its
negative focus. About one decade ago, the concept of work engagement emerged as the positive
antithesis of burnout. In this presentation, a state-of-the-art overview is given of research about
work engagement, including its measurement, possible causes, correlates, and consequences. These
research findings can be integrated into a model – the so-called Job Demands-Resources (JD-R)
Model – which specifies the relationships between work characteristics (i.e., job demands, job
resources), personal resources, employee well-being (i.e., engagement, burnout), and work and
health outcomes. Finally, attention is paid to strategies that can be used to improve employee
engagement, both at the individual level as well as at the organizational level. It is concluded that
the concept of employee engagement plays an important role in bridging the gap between Human
Resources Management and Occupational Health Psychology and thus in developing a truly
positive Occupational Health Psychology.
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Simposio. Il coraggio di essere imperfetti
Oltre il test: valutare le competenze dell’adolescente disabile per favorire
esperienze di successo
Mario Giuseppe Cocchi e Margherita Fossati (Università degli Studi di Milano, IRCCS E. MedeaLa Nostra Famiglia, Bosisio Parini)
Da più parti si avverte la necessità di metodologie innovative per valutare il funzionamento degli
adolescenti con disabilità intellettiva, al fine di una migliore definizione, nel corso della presa in
carico educativa, dei loro bisogni e degli obiettivi da perseguire per promuovere lo sviluppo delle
loro potenzialità. In questa prospettiva è stato sviluppato uno strumento per la valutazione dinamica
degli adolescenti con disabilità intellettiva, utilizzato in via sperimentale nel periodo 2009-2011 su
137 ragazzi all’interno del centro di riabilitazione “La Nostra Famiglia” di Bosisio Parini e di 18
enti convenzionati. Lo strumento, attualmente in corso di revisione e validazione, si compone di
prove basate su compiti di vita quotidiana, facilmente riproducibili dalle diverse figure professionali
che partecipano al percorso di presa in carico del ragazzo. Offre quindi opportunità di
compartecipazione al percorso valutativo e di confronto fra diversi punti di vista. Le dimensioni
valutate riguardano da una parte le competenze possedute dall’individuo, dall’altra il livello di
facilitazione necessario perché possa affrontare, al meglio delle proprie possibilità, specifici compiti
inseriti in programmi di formazione, trovando in essi opportunità di gratificazione e soddisfazione.
La metodologia presentata trova nella psicologia positiva una cornice di riferimento teorica
particolarmente adeguata ed utili indicazioni sulla possibilità di valutazione delle dimensioni
emotive e motivazionali. L’integrazione di tali aspetti all’interno dello strumento costituirà un
valore aggiunto alla modalità di lavoro che si intende implementare.
Elogio all’imperfezione
Maria Rita Parsi (Fondazione Movimento Bambino Onlus)
Per scrivere di imperfezione occorre innanzitutto fare riferimento al concetto di perfezione, che
indica classicamente la compiutezza: mentre il perfetto si presenta completo, finito, definito e, di
conseguenza, statico, non bisognoso di alcuna evoluzione e di alcuno sforzo, se non meramente
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conservativo, l'imperfetto, al contrario, è contrassegnato da divenire e movimento; in tal senso,
l’esistenza è strettamente collegata all'imperfezione che segna ogni condizione umana e che,
pertanto, non va rinnegata ma accolta nella propria identità di specie e, più ancora, di creatura
vivente. In questa prospettiva anche l’Amore, sia come Eros sia come Agàpe, può rappresentare, di
per sé, una forma di splendida e feconda imperfezione. Se la perfezione tende, narcisisticamente, al
modello e allo stereotipo, nei margini di discostamento sta la realtà e l'identità di ciascuno di noi. La
realizzazione di sé, l'armonia psicofisica consiste nell'accogliere le proprie imperfezioni,
trasformandole in risorse, tratti personali, anziché identificare modelli statici e macerarsi nello
sforzo spesso patetico di riprodurli. Si ricordi come l'anoressia nasca spesso da una tendenza
patologica e autodistruttiva al perfezionismo (l’imperfezione che esiste negli occhi di chi guarda).
Conciliarsi con il proprio limite significa conciliarsi con il declino, la malattia, la vecchiaia, la
morte, accogliendone con eleganza l'imprescindibilità, cercando di darvi significato, non
camuffamento o rimozione. Su queste tematiche, nell’ottica della responsabilità sociale connessa
alle potenzialità compensatorie, verranno riportati i risultati di un protocollo applicato,
mediaticamente, attraverso la trasmissione RAI “Key-words” che interroga (tramite internet, radio e
televisione) il mondo giovanile attraverso specifiche chiavi di lettura.
Qualità della vita e benessere nella malattia neurodegenerativa: la prospettiva
del caregiver
Raffaella Sartori*, Elena Guarraci*, Valentina Lotito**, Anna Maria Cadeddu** e Antonella Delle
Fave* (*Università degli Studi di Milano **Associazione Italiana Vivere la Paraparesi Spastica
Onlus-A.I.Vi.P.S.)
Gli studi sulla gestione della malattia degenerativa si sono spesso concentrati sulle difficoltà
affrontate dalle famiglie, sottolineando l’esposizione dei caregiver al rischio di burn-out e
depressione. Teorie e modelli della Psicologia Positiva hanno evidenziato il ruolo dell’esperienza
ottimale, della soddisfazione e dell’integrazione sociale nella promozione del benessere psicologico.
Obiettivi e metodo. Questo studio ha analizzato alcuni indicatori di benessere in caregiver di
persone affette da Paraparesi Spastica Ereditaria. Ventuno partecipanti (17 donne e 4 uomini) hanno
compilato: a) Flow Questionnaire e Life Theme Questionnaire fornendo informazioni su attività
associate all’esperienza ottimale e sfide quotidiane; b) Eudaimonic and Hedonic Happiness
Investigation che indaga la percezione di felicità e gli obiettivi futuri; c) Multidimensional Scale of
Perceived Social Support; d) Coping orientation to Problems Experienced. Inoltre, per una
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settimana 16 di essi hanno fornito autovalutazioni ripetute in tempo reale dell’esperienza associata
alle attività quotidiane attraverso Experience Sampling Method (ESM). Risultati. ESM ha
evidenziano che i caregiver dedicavano più del 20% del tempo all’assistenza del parente malato,
associandola prevalentemente alla percezione di elevate sfide. Dagli strumenti a singola
somministrazione è emerso che l’assistenza al parente malato predominava tra le opportunità di
esperienza ottimale, le sfide quotidiane e gli obiettivi futuri. Le definizioni di felicità erano
prevalentemente riferite alle relazioni sociali. I caregiver riportavano soprattutto strategie di coping
centrate sul problema e sul supporto sociale da altri significativi. I risultati suggeriscono
l’importanza di valutare le risorse e gli aspetti costruttivi dell’esperienza di assistenza nella
prospettiva di interventi diretti ai caregiver.
Coraggio, Compensazioni, Carenze e Perdite
Maria Cristina Verrocchio, Chiara Conti, Mario Fulcheri (Università “G. d’Annunzio”, ChietiPescara Dipartimento di Scienze Biomediche)
Il presente contributo intende focalizzare l’attenzione sull’utilizzo dei principali apporti teoricometodologici della psicologia clinica e della salute nell’ambito delle più significative condizioni di
inferiorità organica comportanti una limitazione delle funzioni motorie-cognitive-emozionali.
Le minorazioni e le forme morbose capaci di configurarsi come base per un’inferiorità d’organo
sono numerose. Verranno presentate alcune esemplificazioni: malformazioni fisiche, congenite o
acquisite, che modificano negativamente l’apparenza e le funzioni dell’organismo e che
propongono un quadro soggettivo deficitario; malattie o affezioni organiche che comportano un
impedimento funzionale o un difetto degli organi di senso, tali da disturbare o impedire, più o meno
gravemente, la fluidità dei rapporti interpersonali; difetti fisico-estetici suscettibili di generare
confronti inferiorizzanti. In questo contesto, utilizzando l’approccio psicodinamico adleriano nel
modello olistico bio-psico-sociale, si intende evidenziare l’intreccio tra i seguenti fattori: biologicocostituzionali, psicologici riguardanti la personalità e lo stile di vita, socio-culturali, ecologici
(spazio fisico e relazionale), familiari. Una specifica attenzione verrà, inoltre, diretta verso i fattori
protettivi (capacità individuali, figure di riferimento, rete sociale e servizi sanitari), in relazione al
concetto di soglia, inteso come livello di recettività individuale agli stimoli potenzialmente
psicopatogeni. Di fronte ad una minorazione, così come ad una perdita, assume particolare rilievo
l’incoraggiamento, aspetto determinante di ogni sforzo rivolto a svolte adattive, definibili come
“compensazioni positive”; a tal proposito verrà presentato un caso inerente l’utilizzo
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dell’espressione artistica. Si presenterà, infine, uno specifico intervento applicativo condotto in
collaborazione con il Polo Regionale (Abruzzo) IAPB per la Prevenzione della Cecità e per
l’Educazione e la Riabilitazione Visiva dell’Ospedale di Chieti.
Simposio. Benessere nell’infanzia: strumenti di valutazione e interventi
Benessere e competenze socio emotive in età prescolare
Valeria Cavioni, Roberta Renati, Maria Assunta Zanetti (Università degli Studi di Pavia,
Dipartimento di Psicologia)
Lo sviluppo delle competenze sociali ed emotive, ossia la capacità di riconoscere e gestire le
emozioni, mostrare attenzione e interesse per gli altri, prendere decisioni responsabili, stabilire
relazioni positive e gestire le situazioni difficili in modo efficace, hanno una positivo impatto su
molteplici aspetti connessi al benessere dei bambini. I bambini che sviluppano buone competenze
sociali ed emotive, fin dai primi anni di vita, sanno gestire ed esprimere una vasta gamma di
emozioni positive e negative, sviluppare positivi rapporti sociali i pari e adulti, sanno risolvere i
conflitti, e sviluppano un positivo senso di Sé e del mondo che li circonda. (Denham, 2005, Blair,
2002; Carlton e Winsler, 1999; Greenberg e Snell, 1997). Il presente studio esplora le competenze
socio emotive in un campione di bambini in età prescolare (N=78; età media = 65,28 mesi; DS =4,2;
range 57-82), suddivisi in 36 maschi (46, 2%) and 42 femmine (53, 8%). Nella rilevazione delle
competenze socio emotive dei bambini è stato sono utilizzato il TEC [Pons e Harris, 2000; versione
italiana di Albanese, Molina, 2008] come strumento di misurazioni diretta. Sono state ottenute,
inoltre, misure indirette mediante la somministrazione sia genitori ed insegnanti di questionari
checklist per la misurazione delle competenze socio-emotive dei bambini. I questionari utilizzati
sono stati: CBCL/ C-TFR 1 ½ - 5 (Achenbach e Rescorla, 2000 versione italiana di Frigerio, 2000);
SDQ (Goodman, 2005; 4-16 anni); QUIT 3 - 6 anni (Axia, 2002). Lo studio esamina le interazioni
tra i molteplici fattori delle competenze emotive indagandone, inoltre, le differenze di genere.
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Il benessere del bambino al nido: il ruolo dell’ambiente fisico e organizzativo
Paola Molina, Monica Marotta, Daniela Bulgarelli (Università di Torino, Dipartimento di
Psicologia)
Il contributo proposto si inserisce nel filone di ricerca dell’ecologia dello sviluppo (Bronfenbrenner,
1979) e in particolare fa riferimento alle ricerche che riguardano l’influenza dell'ambiente fisico sul
comportamento e sul benessere dei bambini all’interno dei servizi per la prima infanzia. Tali
ricerche hanno preso in considerazione diversi fattori ambientali quali la densità socio-spaziale, la
strutturazione delle zone di gioco, la quantità e il tipo di giochi proposti, la visibilità degli adulti di
riferimento, ecc. dimostrando come questi fattori abbiano una forte influenza sulle condotte sociali
dei bambini (Smith e Conolly, 1980), sulle condizioni di stress all’interno dell’ambiente (Legendre,
2001), sull’uso che i bambini fanno degli spazi di gioco (Legendre e Fontaine, 1991; Legendre,
1995). Presentiamo i risultati di una ricerca-intervento (cofinanziata dalla Fondazione CRT)
finalizzata a migliorare l’organizzazione ambientale di un nido della provincia torinese, gestito dalla
cooperativa Educazione-Progetto. L’intervento è stato svolto utilizzando lo strumento osservativo
de l’observation projet (Fontaine, 2008) e ha coinvolto 5 educatrici e 23 bambini; sono state
effettuate 8 osservazioni (Marotta, Bertotto, e Molina, 2011). Sono stati attuati due diversi tipi di
intervento: una variazione dell’organizzazione spaziale e una della collocazione degli adulti nella
stanza; le osservazioni effettuate prima e dopo gli interventi hanno mostrato significativi
cambiamenti nell’utilizzo dello spazio da parte dei bambini e delle interazioni tra loro e con
l’adulto.
Competenza emotiva e benessere a scuola: come incrementarli sviluppando la
comprensione delle emozioni
Veronica Ornaghi, Ilaria Grazzani Gavazzi (Università degli Studi di Milano-Bicocca)
La ricerca che presentiamo, condotta con la metodologia del training-study, si colloca all’interno
degli studi sullo sviluppo della competenza emotiva, con particolare attenzione alla comprensione
delle emozioni come correlato del benessere psicologico (Saarni, 2008). Hanno preso parte allo
studio 40 bambini di seconda elementare (età media: 7 anni e due mesi), distribuiti nei gruppi
sperimentale e controllo, di cui sono state valutate - mediante strumenti standardizzati - varie abilità
di competenza socio-emotiva e cognitiva. I gruppi di partenza erano piuttosto simili rispetto a tali
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abilità. I bambini del gruppo sperimentale hanno partecipato ad un training della durata di due mesi
in cui, a scuola, svolgevano attività finalizzate a sviluppare la conoscenza dei diversi modi di
esprimere le emozioni, delle cause che le provocano e delle strategie per regolarle. L’analisi dei dati
mostra un’interazione statisticamente significativa fra le variabili Tempo (pre-post training) e
Gruppo (sperimentale-controllo). I bambini del gruppo sperimentale, infatti, hanno evidenziato
migliori competenze emotive rispetto a quelli che non hanno partecipato al training, soprattutto per
quanto riguarda la comprensione delle emozioni e la produzione di comportamenti prosociali. I
risultati verranno discussi alla luce dell’opportunità di sviluppare, all’interno della scuola,
specifiche attività di educazione emotiva come fattori di promozione del benessere quotidiano.
Promozione del benessere ed asilo nido: riflessioni su un percorso espressivocreativo con le educatrici
Francesca Rubano, Manuela Peserico (La Tela Onlus, Milano)
La creatività è una risorsa dell’essere umano utile alla sua formazione come individuo, per questo
motivo è importante favorire lo sviluppo di questa facoltà fin dai primi anni di vita.
A questo proposito proporremo alla discussione le riflessioni, emerse in un corso di formazione
sullo sviluppo della creatività rivolto alle educatrici dell’asilo nido, partendo dal presupposto che si
debba innanzitutto stimolare la creatività nelle educatrici perché possano, a loro volta, favorirla
nella bambina e nel bambino.
Prendendo in considerazione discipline quali l’arte, la pedagogia e la psicoterapia, delineeremo
alcuni elementi fondamentali per lo sviluppo della creatività nell’individuo quali:
●
l’opera finita, come testimonianza della sua presenza e specificità
●
il processo creativo, come spazio potenziale dove viene simbolizzata la relazione tra il
mondo interno del soggetto e la realtà esterna.
Il percorso formativo, fonte ed oggetto delle nostre riflessioni, è stato centrato sul “lavorare” sulle
risorse personali dei partecipanti e sulla riduzione, al minimo indispensabile, degli apporti
conoscitivi tecnico - pratici forniti, questo è stato giustificato dal tentativo di promuovere il pensiero
divergente e stimolare l’iniziativa e la fantasia individuali.
L’intervento si conclude con le testimonianze, riportate dalle educatrici, sull’osservazione degli
effetti positivi rilevati, ne lavoro educativo con i bambini, dopo l’esperienza formativa e le
riflessioni ad essa correlate.
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Validazione italiana di tre scale americane utilizzate per misurare il benessere
dei bambini
Beatrice Tommasi (Università degli Studi di Firenze)
Il presente lavoro si focalizza sulla validazione italiana di tre strumenti internazionali, che hanno
l’obiettivo di studiare il benessere dei bambini tramite la valutazione della percezione che hanno
della propria vita. La rassegna della letteratura presente in materia ha evidenziato scarsi studi
sull’argomento, in particolar modo per quanto riguarda il contesto italiano. La scelta degli strumenti
è stata guidata da alcuni criteri:
- il coinvolgimento diretto dei bambini per ottenere il loro punto di vista;
- la fascia d’età (dalla terza alla quinta della scuola Primaria);
- letteratura gratuita, poiché molti studi si trovano su specifici archivi a pagamento;
- la diffusione dello strumento, prediligendo quelli provati con numerosi campioni.
Gli strumenti selezionati (SLSS, MSLSS e BMSLSS, elaborati da S. Huebner) sono stati inclusi in
un questionario più ampio che è composto da:
- scheda demografica;
- tre scale tradotte e adattate al contesto italiano che investigano la soddisfazione di vita in generale
e gli specifici aspetti fondamentali nella vita dei bambini (famiglia, amici, scuola, ambiente di vita,
se stesso);
- altre domande sui 5 domini sottoposte utilizzando “faces scale” and “weather scales”.
Il questionario è stato sottoposto a 489 bambini appartenenti alle classi terze, quarte e quinte della
scuola Primaria in differenti aree toscane tramite due studi: nel primo sono state validate le tre
scale, il secondo, conoscitivo, aveva l’obiettivo di comprendere il punto di vista dei bambini.
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Comunicazioni Orali delle Sessioni Tematiche
Il benessere psicologico nei caregiver di pazienti con grave cerebrolesione
acquisita: uno studio pilota
Silvia Albanese*e***, Konstantinos Priftis*e** (*IRCCS-Fondazione Ospedale San CamilloVenezia **Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale ***Scuola di
Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva-Verona)
La letteratura sui caregiver riporta dati che documentano le difficoltà emotive, fisiche ed
economiche sperimentate dai familiari di pazienti affetti da patologie croniche, a cui si aggiungono
isolamento e scarso supporto sociale; solo in qualche caso le ricerche hanno messo in luce aspetti
positivi legati all’esperienza di caregiving. Scopo dello studio è indagare in che modo l’esperienza
del caregiving influenzi una o più dimensioni del benessere psicologico del caregiver, al fine di
verificare l’applicabilità di strategie mirate come la Well-being Therapy (Fava, 1998). A quindici
familiari (parentela di primo grado) di pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) in fase
post-acuta, in concomitanza alle dimissioni, sono stati somministrati:
- Family Strainn Questionnaire (Rossi Ferrario e coll, 2004);
- Psychological Well-being Scales (Ryff, 1989; Ruini e coll, 2003).
I dati ottenuti sono stati correlati ai dati della Functional Indipendence Measure (FIM), rilevata
all’ingresso e alle dimissioni, e ai dati demografici ed economici relativi al nucleo familiare. I
risultati della ricerca mostrano come il benessere psicologico, così come inteso nella concezione
multidimensionale di C. Ryff, rimanga inalterato nei caregiver di pazienti con GCA in fase postacuta in tutte le dimensioni tranne che per la dimensione accettazione di sé, per la quale i bassi
punteggi possono essere ricondotti a pensieri e stati emotivi depressivi coerenti con la situazione
contingente e verosimilmente circoscritti a essa. A fronte della necessità di indagare come il
benessere psicologico dei caregiver si modifichi nel tempo, dallo studio emergono dati suggestivi
dell’applicabilità della Well-Being Therapy in questo ambito.
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Lavoro e benessere: studio comparativo tra aziende in condizione di prosperità e
di crisi
Gertraud Bacher, Marta Bassi, Antonella Delle Fave (Università degli Studi di Milano)
La ricerca ha mostrato che il benessere lavorativo apporta effetti benefici a livello individuale,
aziendale e sociale. A fronte della crisi economica internazionale, appare necessario individuare i
fattori che contribuiscono al benessere lavorativo e comprendere se e come essi influiscano sugli
altri settori della vita individuale. Il presente studio si focalizza, pertanto, sull’indagine delle
ripercussioni di una crisi aziendale sulla felicità e soddisfazione lavorative e dei possibili effetti di
spillover tra sfera lavorativa e vita generale. Sono stati coinvolti gli impiegati di due aziende
assicurative, la prima con andamento finanziario positivo e la seconda in crisi economica
(rispettivamente N = 42 e N = 43). Il benessere lavorativo è stato indagato attraverso Job Content
Questionnaire, Questionario di soddisfazione lavorativa e Basic Psychological Needs Scale at
Work. Il benessere generale è stato rilevato tramite Eudaimonic and Hedonic Happiness
Investigation, Satisfaction with Life Scale, Flow Questionnaire e Psychological Well-being Scales.
Gli impiegati dell’azienda in crisi hanno riportato punteggi significativamente inferiori di
soddisfazione e felicità lavorative, soddisfazione per le condizioni lavorative e per i risultati,
bisogno di competenza e skill individuali. Sul piano di vita generale, invece, sono state riscontrate
soltanto due differenze significative, relative a relazioni positive e padronanza dell’ambiente, con
valori superiori per gli impiegati dell’azienda in crisi. I dati mostrano infine deboli effetti di
spillover tra ambito lavorativo e soddisfazione generale di vita. I risultati verranno discussi
nell’ottica di promuovere una “balanced life” tramite l’investimento di risorse personali in ambiti di
vita multipli per promuovere benessere.
Il modello terapeutico orientato alla resilienza (MOR): valutazione dell’efficacia
in contesti comunitari per poliabusatori
Natale Salvatore Bonfiglio, Roberta Renati (Università di Pavia, Dipartimento di Psicologia)
In campo psicosociale e di comunità è fondamentale strutturare modelli d’intervento terapeutico che
diano rilievo alle potenzialità individuali sviluppandosi perciò, prima di tutto, a partire dalle risorse
del paziente. La cornice teorica che offrono gli studi sulla resilienza permette di pensare e orientare
un programma terapeutico in senso positivo, stimolando i pazienti e le organizzazioni in cui essi
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sono inseriti ad utilizzare le risorse come fattori protettivi, al fine di attivare un processo terapeutico
resiliente in cui le potenzialità del paziente sono al centro del programma di trattamento. Il presente
lavoro si pone l’obiettivo di valutare l’efficacia di un modello di intervento orientato alla resilienza
(MOR) adottato da due strutture comunitarie per persone con diagnosi di dipendenza da sostanze.
Le analisi verranno effettuate su un campione di 36 soggetti (M=24; F=12) con età media di 38,5
(DS=9,6). A tutti i soggetti, all’inizio e al termine del programma, è stata somministrata una batteria
di strumenti per valutare dimensioni psicologiche correlate al processo di resilienza: ansia,
depressione, percezione di cambiamento positivo, benessere psicologico, livello di stress e, infine la
capacità di utilizzare risorse resilienti nelle aree: sociale, familiare e individuale. Le elaborazioni
statistiche effettuate mostrano miglioramenti significativi nelle aree indagate, dimostrando la buona
efficacia del programma terapeutico orientato alla resilienza in contesti comunitari per
poliabusatori.
Attività strumentali della vita quotidiana degli anziani istituzionalizzati
Adalberto Bordin, Valentina Busato, Giorgia Codato, Susanna Falchero (Consorzio Sociale CPS)
In questo articolo viene presentata una scala di valutazione delle attività strumentali di base della
vita quotidiana degli anziani non autosufficienti istituzionalizzati. Lo scopo è di fornire uno
strumento valutativo utile per definire in modo ancora più preciso e puntuale i profili di non
autosufficienza degli anziani, in particolare di quelli che vivono in un contesto ambientale
residenziale per non autosufficienti, profondamente diverso da quello domiciliare. Le caratteristiche
psicometriche dello strumento e la sua correlazione positiva con altre prove standardizzate
(B.A.D.L., M.M.S.E., T.S.I.) permettono di porre inoltre implicazioni di ordine diagnostico e
riabilitativo e di suggerire indicazioni circa l’adeguatezza delle strutture residenziali ospitanti.
Applicazione della Realtà Virtuale in pazienti con Malattia di Alzheimer
Adalberto Bordin*, Valentina Busato*, Valentina Salerno*, Gabriele Optale*, Susanna Falchero**
(*CPS “Anni Sereni” Ormelle, **Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale)
La presente ricerca si inserisce all’interno di un più ampio progetto che il Centro “Anni Sereni”,
Città di ORMELLE persegue per migliorare la qualità di vita degli anziani. Già in una fase
precedente erano emersi gli aspetti positivi correlati all’applicazione della Realtà Virtuale,
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soprattutto a livello di benessere generale percepito e di prestazioni mnesiche in anziani
istituzionalizzati (cfr. per esempio, Optale et al., 2010). Con la ricerca che qui si presenta si è inteso
verificare se l’utilizzo di uno specifico training, denominato “Virtual Reality Memory Training”,
contribuisca a stimolare un processo di riattivazione cognitiva e mnesica in pazienti nella fase
iniziale della Malattia di Alzheimer, e se sia efficace nel rallentare il declino cognitivo. Il “Virtual
Reality Memory Training” consiste in tre esperienze sensoriali (acustiche), alternate a tre esperienze
interattive di Realtà Virtuale (di 15’ ciascuna, seguite da 15’ per il recupero mnemonico),
somministrate tre volte alla settimana per tre mesi. Hanno preso parte alla ricerca due gruppi di
soggetti anziani negli stadi iniziali della Malattia di Alzheimer: a un gruppo è stato somministrato
VRMT (gruppo sperimentale), l’altro gruppo ha preso parte all’attività di musicoterapia (gruppo di
controllo). Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a valutazione neuropsicologica pre e post
trattamento e l’assegnazione dei soggetti ai due gruppi è stata casuale. Dai risultati emerge un
miglioramento statisticamente significativo in alcune prove di memoria verbale (breve e lungo
termine) e nello stato cognitivo generale per il solo gruppo sperimentale.
L’utilizzo delle nuove tecnologie interattive per il benessere dell’anziano
Eleonora Brivio, Francesca Cilento, Carlo Galimberti, Mauro Marzorati, Francesca Oprandi
(Università Cattolica del Sacro Cuore, Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare - CNR)
L’abitudine alla pratica regolare di attività fisica è ancora poco diffusa tra gli anziani: nella fascia di
età > 65 anni, solo il 10-20% degli italiani dichiara di svolgere una qualche forma di attività fisica
(dati Istat). L’allenamento fisico presenta in realtà molteplici vantaggi: la relazione tra attività fisica
e benessere psicologico è stata provata in numerosi studi, come riportato da McAuley e Rudolph
(1995). Il benessere psicologico non è assenza di malessere, ma la capacità di sfruttare
autonomamente le capacità cognitive o emozionali per rispondere alle esigenze quotidiane della vita
(Ryff, 1995). L’obiettivo di questo progetto pilota è di verificare l’efficacia di un protocollo attuato
per mezzo della Nintendo Wii Balance Board nel migliorare l’equilibrio e il benessere psicologico
di un gruppo di anziani. I partecipanti (20 ‘over 65’) si sono incontrati 3 volte a settimana per due
mesi; gli esercizi e i giochi sono stati variati per mantenere il divertimento e incrementare lo sforzo,
assecondando i miglioramenti. Le variabili psicologiche considerate sono: divertimento, autostima,
autoefficacia e benessere psicologico. La capacità di coordinazione e l’equilibrio sono stati valutati
mediante test comunemente utilizzati in ambito fisiatrico. A livello psicologico all’avvio
dell’allenamento i valori sono molto alti, subiscono una diminuzione dopo un mese, per poi
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crescere. Le videoregistrazioni mostrano effetti positivi a livello di interazione sociale. A livello
clinico si vede una tendenza al miglioramento, anche se la durata dell’intervento appare troppo
limitato. In entrambi i casi le rilevazioni indicano la necessità di approfondire l’esperienza con un
maggior numero di partecipanti e lungo un periodo di tempo più ampio.
L'impatto della comunicazione di sicurezza sulla performance di sicurezza dei
lavoratori: uno studio sul ruolo della comunicazione tra colleghi di lavoro
Margherita Brondino, Margherita Pasini (Università di Verona)
È ormai riconosciuto in letteratura che una buona comunicazione riguardo la sicurezza e una buona
interazione tra i lavoratori e i loro preposti sono elementi organizzativi importanti che fanno la
differenza tra aziende con bassi e alti tassi di infortuni. Molte ricerche infatti confermano la
relazione tra comunicazione sulla sicurezza e vari indicatori di performance di sicurezza (e.g.
compliance e participation) o outcome di sicurezza. Alcuni studi approfondiscono la relazione tra
l'interazione tra lavoratori e preposto evidenziando come al crescere dell’interazione migliorano i
comportamenti di sicurezza dei lavoratori. Tuttavia risulta ancora poco esplorata l'influenza della
comunicazione sulla sicurezza tra colleghi dello stesso gruppo di lavoro sui comportamenti di
sicurezza del singolo lavoratore facente parte del gruppo. Il presente lavoro offre un contributo in
questa direzione studiando la relazione tra comunicazione di sicurezza tra colleghi e comportamenti
di sicurezza del singolo lavoratore, ma anche esplorando attraverso un’analisi multilivello il ruolo di
mediazione della comunicazione tra colleghi nella relazione tra comunicazione di sicurezza a livello
aziendale e performance di sicurezza accanto al ruolo della comunicazione di sicurezza tra preposto
e lavoratori dello stesso gruppo. Hanno partecipato alla ricerca 1617 lavoratori provenienti da 8
aziende del settore metalmeccanico veneto. Dall’analisi dei dati (SEM multilivello) emerge come la
comunicazione tra colleghi sia un buon predittore della performance di sicurezza. Inoltre viene
confermato il ruolo di mediatore, seppure parziale, della comunicazione tra colleghi nella relazione
tra comunicazione a livello aziendale e performance di sicurezza, più forte di quello della
comunicazione tra preposto e lavoratori.
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Life Skills in carcere. Percorsi di cambiamento per autori di reato
Rosa Francesca Capozza (Ministero Della Giustizia - Dipartimento dell’amministrazione
Penitenziaria - Casa Circondariale Di Isernia)
Il Progetto “Life Skills in carcere” nasce dalla rilevazione di un duplice bisogno che occorre mettere
in relazione: da una parte le carenze psicologiche, emotive, relazionali di cui sono portatori i
detenuti (difficoltà di riconoscimento/gestione delle emozioni, in primis della rabbia, locus of
control esterno, carente empatia, rigidità di pensiero, comunicazione inefficace, scarsa capacità
introspettiva…) concorrenti nella determinazione di percorsi devianti penalmente riconosciuti,
dall’altro l’esigenza di realizzare interventi realmente “rieducativi”, ovvero atti al fronteggiamento
di tali difficoltà, come garanzia di evoluzione/recupero personale e sicurezza sociale. Il Progetto si
configura come intervento sperimentale. L’obiettivo generale consiste nel creare un percorso
educativo che favorisca il recupero/sviluppo/potenziamento delle “Life Skills” (seguendo la
proposta internazionale di Life Skills Education, promossa dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità), gravemente compromesse nella popolazione ristretta e necessarie per promuovere un
decisivo ed autentico cambiamento personale. L’intervento prende la forma di un Laboratorio di
Favole: “Favole in Libertà”. Si basa su una metodologia attiva (circle time, brainstorming, role
playing, simulazioni,..) e prevede la partecipazione volontaria di 10 detenuti (di età compresa tra 21
anni e 46 anni). Primi risultati osservazionali ed autoriferiti positivi su clima di gruppo, qualità delle
relazioni interpersonali, aumento della consapevolezza di se, sensibilizzazione all’assunzione di
responsabilità, motivazione personale al cambiamento, utilizzo nel quotidiano delle life skills
apprese. Per un’efficacia dell’intervento è fondamentale garantirne la continuità temporale. È stato
possibile sperimentare la funzionalità, in termini di percorsi di rieducazione, e la fattibilità (spazi,
risorse, tempo) di un intervento di Life Skills Education in un nuovo importante contesto, quale
quello dell’Istituto di pena, in cui risulta cruciale scegliere e costruire percorsi di cambiamento
efficaci.
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Relazione tra Memoria e Benessere nell’Invecchiamento
Roberta Cavaglià, Valentina Prontera (Università degli Studi di Torino, Dipartimento di
Psicologia)
Il presente lavoro si inserisce nel progetto regionale “Act on Ageing”, finalizzato alla valutazione
dell’efficacia di un programma di attività cognitiva e motoria nella promozione del benessere degli
anziani. Lo studio che presenteremo riguarderà gli effetti di un training di potenziamento delle
abilità mnemoniche sulle componenti fluide e cristallizzate della memoria. Questa ricerca scaturisce
dal presupposto che mantenere una buona memoria possa influire sulla percezione positiva di
benessere, poiché la fiducia nelle proprie abilità mnestiche contribuirebbe al senso di autoefficacia e
padronanza del proprio ambiente, e inciderebbe sulla soddisfazione personale (Sommaggio et al.,
2008). L’obiettivo di questo lavoro consiste nell’indagare se le prestazioni a tre compiti di memoria
e ad una prova d’intelligenza possano incrementare dopo il training mnemonico. Ipotizziamo che le
performances alle prove, soprattutto quelle legate alle componenti cristallizzate, migliorino.
Il training cognitivo consiste in 16 incontri settimanali di gruppo (da 10 a 15 partecipanti per
gruppo) ed è stato svolto seguendo le linee guida del programma di potenziamento cognitivo
sviluppato da De Beni e collaboratori (2008). Vi hanno partecipato 92 anziani, 60 donne e 32
uomini (64-90 anni; M = 74, DS = 5.75) ai quali sono stati somministrati lo Span con
Categorizzazione (test di memoria verbale, De Beni et al., 2008), il Puzzle Immaginativo (test di
memoria visuo-spaziale, ibid.), il Completamento di Frasi (test di capacità di inibizione, ibid.) ed il
Test di Intelligenza di Cattell (1958). Saranno presentati i risultati relativi a questi test, rilevati sia
prima del training sia dopo.
Peer education attraverso Facebook. un progetto di promozione del benessere in
un campione di studenti universitari
Valeria Cavioni, Carmel Cefai*, Sandy Beiruty*, Carla Borg*, Pamela Borg*, Sarah Buhagiar*,
Charlene Busuttil*, Julian Ann Camilleri*, Francesca Giordano*, Chris Giorgio*, Rebecca
Mifsud*, Petra Sant*, Sefora Scicluna*, Tivona Vella* (Università degli Studi di Pavia,
Dipartimento di Psicologia *Università di Malta, Dipartimento di Psicologia)
I pari assumono un ruolo centrale nel veicolare e promuovere comportamenti positivi per sostenere
il benessere psico-fisico durante il passaggio dall’adolescenza all’età adulta costituendo l’elemento
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principale di influenza nel processo di crescita cognitiva ed emotiva (Pascarella e Terenzini, 2005).
Lo studio presenta l’analisi di un progetto online di peer-education riguardante tematiche relative al
benessere e alla salute degli studenti dell’Università di Malta. I temi hanno indagato 3 specifici
aspetti connessi al benessere e alla salute: cibo & benessere; sesso & benessere e fumo. Il progetto
ha coinvolto tre gruppi di studenti in formazione in psicologia dell’Università di Malta nel ruolo di
peer-educator. Ogni gruppo di lavoro ha creato una pagina di facebook all’interno della quale i
peer-educator hanno veicolato informazioni (link esterni verso servizi di assistenza professionale,
documenti, video, volantini ecc.) allo scopo di creare uno spazio di condivisione, formativo ed
informativo, per gli tutti gli studenti afferenti all’Università di Malta. Nello studio vengono
presentati i risultati emersi dall’analisi testuale delle produzione scritte sulle 3 pagine face book
degli studenti, attraverso l’analisi quantitativa delle occorrenze e l’analisi qualitativa dei temi
emersi.
La psicologia positiva nella formazione dello psicoterapeuta
Federico Colombo, Spiridione Masaraki, Gian Franco Goldwurm (Scuola Asipse)
Esistono delle chiare affinità tra psicologia positiva e psicoterapia cognitivo-comportamentale sia a
livello concettuale che applicativo. Questo sta permettendo uno scambio e un arricchimento
reciproco che finora è stato analizzato soprattutto per quel che riguarda gli interventi a favore
dell’utente: interventi con obiettivi maggiormente estesi di crescita della persona che vadano oltre il
superamento della sofferenza e la prevenzione delle ricadute, ovvero nella direzione del pieno
benessere. Per realizzare simili interventi è necessario inserire nel percorso formativo dello
psicoterapeuta un approfondimento sui modelli concettuali e di intervento della psicologia positiva.
Questo potrà essere di beneficio per il lavoro del terapeuta, ma in questo lavoro vogliamo portare
l’attenzione anche su come la psicologia positiva possa contribuire alla crescita della persona che si
dedica professionalmente alla psicoterapia. Infatti, lo psicoterapeuta non diventa automaticamente
una persona più serena o equilibrata in virtù della professione che svolge. La maggior parte delle
scuole di formazione in psicoterapia prevede del “lavoro personale” sugli specializzandi, e la Scuola
Asipse ha da tempo inserito dei percorsi mutuati dalla psicologia positiva per favorire il benessere
dei futuri terapeuti, oltre che per migliorare la loro competenza specifica. Analizzeremo le
motivazioni e i percorsi implementati per la formazione e la crescita di un terapeuta positivo.
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Family’s Angels: portare l’aiuto scolastico in casa per supportare genitori in
crisi a diventare educatori più sereni e competenti
Vittoria Cristoferi, Emanuela Corneli, Marta De Rinaldis (Associazione OIKIA)
Il “Family’s Angels” è un servizio che si occupa della prevenzione del disagio e della promozione
del benessere familiare, grazie all’intervento domiciliare di un team di giovani psicologi ed
educatori, supportati da un’équipe specializzata di professionisti (neuropsichiatria infantile,
psicologi e psicoterapeuti, logopedista, educatori professionali). Il servizio è nato per offrire
sostegno in famiglia a bambini ed adolescenti con difficoltà di apprendimento e problemi emotivorelazionali. Il campanello d’allarme che fa mobilitare la richiesta da parte di genitori, scuole e
servizi sociali è il rendimento scolastico negativo accentuato da momenti e contesti familiari
particolarmente difficili. Il servizio prevede un primo colloquio con i genitori, per comprendere e
approfondire le problematiche segnalate; segue una visita a domicilio, in presenza del ragazzo, per
conoscere ed insieme cogliere tutte le risorse utili o i fattori di rischio che possono influire sul suo
benessere. A questo punto si definisce il piano psico-educativo specifico per un sostegno scolastico
e psicologico competente: l’“Angel”, psicologo o educatore tirocinante laureato, attiva il supporto
domiciliare (in genere due giorni a settimana per due ore) sotto la diretta supervisione del tutor
professionista, per la durata di un trimestre, rinnovabile. La famiglia si incontra mensilmente col
tutor per riflettere insieme sui cambiamenti in atto, sugli obiettivi raggiunti e su quelli in fase di
sviluppo. La peculiarità dell’intervento è quella di avvenire a domicilio e approcciare la difficoltà
scolastica, spesso transitoria, come epifenomeno di problematiche più complesse, legate talvolta ad
un contesto che non promuove o sostiene l’equilibrio psico-emotivo del ragazzo.
Correlati del benessere soggettivo, psicologico e sociale nell’emerging adulthood:
Risultati di uno studio cross-culturale
Elisabetta Crocetti*, Oana Negru** (*Università di Milano-Bicocca, Milano, Italia; **Babes-Bolyai
University, Cluj-Napoca, Romania)
Lo scopo di questo contributo era esaminare i correlati individuali e relazionali del benessere
soggettivo (Diener, 1984), psicologico (Ryff, 1989) e sociale (Keyes, 1998) nell’emerging
adulthood (Arnett, 2004). In particolare sono state esaminate le influenze del macrosistema
culturale di appartenenza, conducendo la ricerca in due contesti, rappresentati dall’Italia e dalla
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Romania. Inoltre, all’interno di ogni contesto, sono state valutate le differenze tra giovani che
frequentano l’università e giovani che dopo il diploma si sono inseriti nel mercato del lavoro. In
totale hanno partecipato allo studio 682 giovani (365 italiani e 317 rumeni) di età compresa tra i 19
e i 25 anni (M = 21.56, DS = 1.80; 50% uomini): 322 erano studenti universitari e 360 erano giovani
lavoratori. I partecipanti hanno compilato un questionario self-report che includeva domande socioanagrafiche, misure del benessere e scale finalizzate a misurare i correlati presi in esame. I risultati
dell’analisi della varianza multivariata mostrano che gli emerging adults rumeni riportano livelli di
benessere soggettivo, psicologico e sociale più alti di quelli espressi dai loro coetanei italiani.
Inoltre gli studenti universitari riportano livelli più alti di benessere, ma sono nel contesto rumeno. I
processi dell’identità (impegno, esplorazione in profondità e riconsiderazione dell’impegno;
Crocetti, Rubini e Meeus, 2008) sono risultati essere correlati significativi del benessere: l’impegno
e l’esplorazione in profondità sono positivamente associati alle varie dimensioni del benessere,
mentre la riconsiderazione dell’impegno è negativamente associata alla percezione di benessere.
Anche in questo caso sono emerse specificità legate al contesto culturale. Questi risultati mostrano
l’importanza di analizzare i correlati del benessere tenendo conto delle peculiarità del macrosistema
di appartenenza.
Qualità della Vita e Benessere Quotidiano dell’anziano non autosufficiente: una
difficile scelta tra residenzialità e domicilio
Rita D’Alfonso, Luciana Fanton, Roberto Zini (Residenza Sanitaria Assistenziale “Fondazione
Casa Famiglia San Giuseppe Onlus” di Vimercate)
Il benessere e il mantenimento di una buona Qualità di Vita sono obiettivi irrinunciabili in ogni età,
in particolare per anziani in condizioni di fragilità e di compromissione dell’autonomia. In queste
situazioni può presentarsi l’obbligo di una difficile scelta tra permanenza nel domicilio o
trasferimento in residenze protette. Quali indicatori e parametri di giudizio possono contribuire a
determinare la valutazione delle diverse opportunità? Il lavoro che presentiamo analizza, sulla base
dei risultati di un progetto annuale, le principali motivazioni che influenzano questa impegnativa
decisione. L’equipe del progetto “Di casa in Casa, di Casa in casa...”, promosso dalla RSA Casa
Famiglia San Giuseppe in collaborazione con la ASL e la rete dei servizi territoriali, ha seguito un
gruppo di anziani ospitati durante l’anno 2010/2011 in temporaneità presso la RSA e aiutati,
qualora ve ne fosse la possibilità, a rientrare in modo sicuro al domicilio. Si è così potuto verificare
quali considerazioni relative alla Qualità di Vita possibile, a parametri oggettivi e soggettivi,
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quotidiani e di prospettiva, influenzano le decisioni, constatando come il rientro a domicilio non
richieda solo garanzia di sicurezza nella cura e nella assistenza, ma anche fiducia nelle proprie
risorse, nel supporto familiare e nella rete sociale. La conclusione del progetto ribadisce
l’opportunità di un accompagnamento personalizzato, che consenta di scoprire quale sia la scelta
più adeguata, che valorizzi l’ anziano e la sua personale storia di vita.
Benessere psicologico (PWB) e flessibilità psicologica (ACT) in un gruppo di
pazienti obese affette da neoplasia mammaria
Giuseppe Deledda*, Claudia Goss*, Molino Annamaria**, Elena Fiorio**, Maria Angela Mazzi*,
Lidia Del Piccolo*, Luisa Bissoli***, Roberta Mandragona***, Annamaria Nalini****, Christa
Zimmermann* (*Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, Unità Operativa di
Psicosomatica e Psicologia clinica, Università di Verona **U.O. di Oncologia d.O., Ospedale
Civile Maggiore, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona ***Struttura Semplice
Funzionale di Dietetica e Nutrizione Clinica U.O. di Clinica Geriatrica d.U., Azienda Ospedaliera
Universitaria Integrata di Verona ****Associazione Nazionale Donne Operate al Seno, A.N.D.O.S.
Onlus, Comitato di Verona)
La patologia oncologica pone i pazienti in un contesto a forte impatto emotivo che richiede una
protratta capacità di adattamento, nel quale, il benessere psicologico e la flessibilità psicologica
possono essere considerati dei fattori protettivi e terapeutici. Questo lavoro esplorativo, su un
gruppo di pazienti affette da neoplasia mammaria, ha l’obiettivo di approfondire la relazione tra gli
aspetti legati alle aree del Benessere Psicologico misurato con il Psychological Well Being
Questionnaire (Ryff, 1989) ed il concetto di flessibilità psicologica sviluppato nel modello
processuale dell’ACT da Hayes (1999), misurato con l’Acceptance and Action Questionnaire II e
con lo strumento “Centro del Bersaglio”. Sono state reclutate 12 pazienti affette da neoplasia
mammaria con Body Mass Index ≥ 28, alle quali è stato proposto un intervento di gruppo
psicoeducazionale sugli stili di vita salutari, basato su tecniche ACT. Le analisi utilizzate sono
descrittive per esplorare l’associazione tra il Psychological Well Being Questionnaire, l’Acceptance
and Action Questionnaire II e lo strumento “Centro del Bersaglio” e alcune variabili socio
demografiche e cliniche rilevate con il Three-Factor Eating Questionnaire 51, il Termometro dello
Stress ed il Rotterdam Symptom Checklist. Verranno forniti i dati preliminari relativi alle analisi
esplorative tra le aree del PWB e dell’ACT con le variabili socio demografiche e cliniche. Il
benessere psicologico è un aspetto che andrebbe studiato sia nelle sue componenti strutturali sia
22
processuali, in quanto, sembrerebbe consistere non tanto nella ricerca della felicità, ma nella
capacità di muoversi tra gli aspetti di sofferenza ed i valori.
Sviluppare una relazione positiva con un fratello autistico: quanto conta la
conoscenza del disturbo?
Eleonora Farina, Marco Bernardi, Ottavia Albanese (Università degli Studi di Milano-Bicocca)
Gli studi sui fratelli di bambini con disturbo dello spettro autistico hanno rilevato l’importanza di
possedere adeguate informazioni riguardo le caratteristiche dell’autismo e le difficoltà che esso
implica nel promuovere la qualità del legame fraterno. La disabilità in sé non è necessariamente una
fonte di stress, è la qualità dell’informazione che contribuisce allo sviluppo di una relazione fraterna
positiva (Glasberg, 2000; McHale et al., 1986). Lo scopo di questo studio è quello di indagare la
relazione fra la conoscenza dell’autismo e la qualità della relazione fraterna. 9 soggetti, fra i 10 e i
18 anni (M = 13.5), 3 maschi e 6 femmine, fratelli e sorelle di ragazzi e ragazze con autismo hanno
risposto all’intervista semi strutturata sulla conoscenza dell’autismo (Glasberg, 2000) e al
Questionario sulla Relazione Fraterna (SRQ; brief version, Buhrmester e Furman, 1990). Dai
risultati emerge che la maggior parte dei fratelli ha una comprensione del concetto di autismo
limitata alla sola esperienza personale o a informazioni riportate superficialmente, e ha poca
consapevolezza delle implicazioni del disturbo. Per quanto riguarda la relazione fraterna, emergono
in generale relazioni caratterizzate da scarsa intimità, squilibrio di potere (a favore del fratello
intervistato) e bassa conflittualità. Le correlazioni non parametriche evidenziano un legame positivo
significativo (p<.05) tra la conoscenza delle implicazioni dell’autismo e il livello di intimità della
relazione: una maggiore consapevolezza degli effetti dell’autismo sulla vita quotidiana coincide con
relazioni più intime. Tale dato, anche se parziale, sottolinea l’importanza di promuovere e sostenere
un’informazione adeguata verso i fratelli di bambini autistici, per favorire relazioni fraterne
positive.
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Laboratori di Servizio Sociale
Rosaria Ferone, Gerarda Molinaro (Università Federico II di Napoli, Unità Organizzativa
all’interno della Unità Complessa Integrazione Socio-Sanitaria della ASL Napoli 2 Nord)
I “Laboratori di Servizio Sociale” rappresentano una dimensione culturale del Servizio Sociale che
traducono in prassi ed azioni i principi, i fondamenti e le teorie del Servizio Sociale. Si tratta di un
progetto sperimentale, per la prima volta implementato all’interno della didattica delle Università
campane, rivolto a studenti dei corsi di Laura Triennale e Magistrale in Servizio Sociale con la
finalità di approfondire l’utilizzo consapevole degli strumenti di Servizio Sociale. Strumenti che
devono possedere qualità e caratteristiche di validità, attendibilità, completezza (contenere le
informazioni necessarie), leggibilità (chiarezza espositiva e di scrittura); caratteristiche che
diventano criteri che accompagnano naturalmente la riflessione sul bisogno sociale e bio-psicosociale, contenuti e significati di storie di vita, valori sociali e personali, rappresentazioni sociali e
culturali di riferimento. Il target è composto di due gruppi da 25 studenti per ciascun modulo sia
laureati per il corso triennale sia frequentanti/laureati per il corso magistrale anche prossimi a
sostenere l’esame di stato nelle due sessioni del 2011. Il ciclo sperimentale dei Laboratori è stato
organizzato in quattro moduli monotematici non propedeutici e proposto in due edizioni parallele
per un coinvolgimento complessivo di circa 200 studenti. La metodologia d’approccio ha previsto
l’organizzazione dei moduli con il medesimo format: 1.presentazione dei concetti (circa 10-12
slides), 2.azione (esercitazione con varie tecniche: filmati, role plaiyng, protocolli, test), 3.confronto
(supervisione), gioco di gruppo/compilazione del diario di bordo, conclusioni. Gli strumenti
analizzati sono stati: il Colloquio, la Relazione Sociale, la Concertazione, la Progettazione,
strumenti operativi e gestionali del Servizio Sociale tradizionale e moderno.
L’ICF e la psicologia positiva nella promozione dell’integrazione scolastica:
connessioni e potenzialità di applicazione.
Andrea Fianco*, Elena Arrivabene**, Antonella Delle Fave* (*Università degli Studi di Milano
**CTRH di Chiari)
L’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) dedica ampio spazio ai
fattori contestuali (personali e ambientali) che, nell’ostacolare o favorire l’esecuzione di attività e/o
la partecipazione sociale, condizionano la qualità di vita delle persone con disabilità. Con tale
24
prospettiva bene si integrano i paradigmi e strumenti propri della psicologia positiva che si
focalizzano sugli aspetti costruttivi e positivi che favoriscono il processo di integrazione.
In ambito scolastico l’ICF consente di individuare non solo le limitazioni e le barriere, ma anche le
risorse personali e ambientali che promuovono il funzionamento ottimale dell’alunno con disabilità
nel contesto della classe. Muovendo da questi presupposti, è stata avviata una ricerca-azione con 30
insegnanti di sostegno afferenti a diversi ordini di scuola (infanzia, primaria e secondaria) della
Provincia di Brescia, per rilevare gli aspetti che possono migliorare la qualità dell’integrazione degli
alunni. La somministrazione del Flow Questionnaire e del Life Theme Questionnaire ha fornito
informazioni sulla qualità dell’esperienza quotidiana degli insegnanti, le attività associate
all’esperienza ottimale, le loro sfide attuali e obiettivi futuri. Con l’osservazione strutturata degli
alunni con disabilità attraverso apposite griglie costruite in riferimento ai fattori contestuali
dell’ICF, è stato invece possibile rilevare ostacoli e barriere coinvolti nel processo di integrazione
scolastica. I risultati emersi hanno consentito di creare una connessione tra l’ICF e la psicologia
positiva su cui basare possibili strategie di intervento volte a promuovere l’inclusione scolastica
delle persone con disabilità.
Epigenetica, Trauma e Resilienza: la resilienza nella relazione interpersonale e
nella vita quotidiana
Marialfonsa Fontana Sartorio (Associazione qualità e formazione-Milano, SIPST-Società Italiana
Psicoterapia del Trauma-Milano, ID Institut für Innovative Gesundheitskonzepte-Kassel-Germany)
I più recenti studi dell’epigenetica hanno fatto emergere riflessioni sulle interrelazioni tra mondo
esterno e individuo, le conseguenze che si possono avere in ambito psichico e che si tramandano
nelle generazioni successive, influenzando sia il comportamento che la vita fisica. Vengono perciò
prese in considerazione le ricerche internazionali più avanzate riguardo all’ipotesi che ci devono
essere dei meccanismi che guidano l’espressione dei geni delle generazioni future attraverso gli
influssi dell’ambiente, che comprende anche il comportamento umano. Nell’elaborazione
dell’evento traumatico viene messa in evidenza come fonte di resilienza sia l’importanza delle
risorse interne dell’individuo, e come esse possono essere individuate, sia le caratteristiche degli
apporti sociali nella loro dimensione di aumento o diminuzione della resilienza. Viene presa in
considerazione la correlazione tra felicità, momenti di felicità e accrescimento del benessere
quotidiano, in relazione al ‘senso’ della vita e alla vita quotidiana attuale, dominata dalla tecnologia:
lavoro, famiglia, e la società soffrono infatti della ‘mancanza di senso’, quando invece l’essere
25
umano ha bisogno di ‘dare un senso’ al proprio esistere e al mondo che lo circonda. Viene inoltre
fatta una analisi della qualità delle relazioni interpersonali, quali sono gli aspetti che possono
aumentare o diminuire i fattori resilienti nella relazione umana.
Fattori sociali e fattori emotivi come protezione nel burnout di insegnanti Italiani
e Svizzeri
Piera Gabola *, Caterina Fiorilli **, Alessandro Pepe ***, Ottavia Albanese * (*Università degli
Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane **Università di Roma LUMSA
***Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Psicologia)
Attualmente c’è un generale accordo tra gli studiosi nel considerare l’insegnamento una helping
profession a rischio burnout (Di Nuovo e Monforte, 2004; Skaalvik e Skaalvik, 2009). Tale
sindrome, caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta soddisfazione
professionale (Maslach e Jackson, 1981) accomuna insegnanti di nazionalità diverse (Yong e Yue,
2007; Aydogan, Dogan e Bayram, 2009). Fattori determinanti per l’insorgenza della sindrome sono
quelli sociali (rete di supporto dell’insegnante) ed emotivi (competenza emotiva e relazionale degli
insegnanti). Rimangono ancora poco indagate le interazioni simultanee tra questi due fattori sullo
stato di burnout degli insegnanti controllando la differente cultura pedagogica che caratterizza i
diversi paesi. Scopo: Analizzare la relazione tra le variabili sociali ed emotive degli insegnanti sul
loro stato di burnout. Si ipotizza che una buona regolazione delle emozioni e una rete di supporto
sociale soddisfacente costituisca un fattore di protezione dal rischio burnout, indipendentemente
dalla cultura pedagogica di appartenenza. Si intende studiare, inoltre, l’effetto della diversa
nazionalità sul pattern di interazione delle variabili analizzate. Partecipanti: 286 insegnanti di
Scuola Primaria: 149 Italiani e 137 Svizzeri.
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Percezione della malattia e convinzioni di autoefficacia nella gestione della
malattia: ruolo di mediazione nella relazione tra gravità della malattia,
depressione, soddisfazione dello stato di salute e soddisfazione di vita in pazienti
con malattie cardiovascolari
Andrea Greco*, Roberta Pozzi**, Dario Monzani***, Patrizia Steca* (*Università degli Studi di
Milano-Bicocca, Dipartimento di Psicologia
Medicina
***
**
Università degli Studi di Milano, Facoltà di
Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la
Formazione “Riccardo Massa”)
Le linee guida per la riabilitazione cardiologica, sia europee che nazionali, sottolineano
l’importanza dei fattori psicologici nel miglioramento delle condizioni cliniche di pazienti con
malattie cardiovascolari. Nonostante questo, poche ricerche si sono occupate del ruolo di protezione
che alcuni fattori psicologici possono giocare sull’impatto esercitato dalla gravità della malattia
cardiovascolare. Obiettivo del presente studio è quello di indagare il ruolo di mediazione esperito
dalla rappresentazione della propria malattia (RM) e dalle convinzioni di autoefficacia nella
gestione dei fattori di rischio cardiovascolare (AUT) nella relazione fra la gravità della patologia e
la depressione (DEP), la soddisfazione per il proprio stato di salute (SODSAL) e la soddisfazione di
vita (SODVI) in pazienti con malattie cardiovascolari. Lo studio, dal disegno cross-sezionale, ha
coinvolto 120 pazienti (95 uomini e 25 donne; età media = 65.67, DS = 9.84). La gravità della
malattia è stata misurata tramite la frazione di eiezione ventricolare sinistra (FE) alla dimissione dal
reparto di urgenza cardiologica, mentre i restanti fattori sono stati valutati una settimana più tardi,
all’inizio della riabilitazione cardiovascolare. I risultati rivelano che le relazioni tra la FE e gli
outcomes DEP, SODSAL e SODVI sono mediati da RM e AUT (χ²(1)=0.92, p=n.s.; CFI=1.00;
SRMR=.02; R2 DEP = 29%; R2 SODSAL = 27%; R2 SODVI = 27%). Il presente lavoro sottolinea
l’importanza di lavorare su RM e AUT per migliorare i livelli di depressione, la soddisfazione per il
proprio stato di salute e la soddisfazione di vita in pazienti affetti da patologie cardiovascolari.
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Proposta di progetto per la formazione dell’Esperto della felicità
Angela Groppelli, Svenja Carlone, Rossella Gattuso (Casa Universitaria Internazionale Andrea
Carlo Ferrari -CUI)
La nostra è una proposta per un programma finalizzato alla formazione dell’Esperto della felicità,
cioè di un professionista con una preparazione specifica da poter offrire qualche cosa in più di
quanto già sono ed operano gli psicologi con il contributo della Psicologia positiva e della
Psicologia della salute. La vecchiaia, di cui sono una sicura testimonianza, comporta interventi
specifici per la peculiarità delle proprie condizioni, ed offre l’opportunità di conoscere i fenomeni
del percorso lungo le età di ciascuna vecchiaia. L’iter da noi previsto è il seguente: 1. la
consultazione di Colleghi (Proff. Ottavia Albanese, Mario Bettini, Gioia Longo, Giancarlo
Tanucci), per una prima valutazione dell’idea e per la formazione del Comitato Direttivo. Nel
Comitato ciascuno è responsabile e titolare del programma secondo le competenze e il settore
scelto. 2. L’Associazione CUI si impegna con la collaborazione delle 45 socie, 30 italiane e 15
europee. Queste ultime favoriscono rapporti diretti per l’internazionalità, già con Portogallo,
Spagna, Francia, Lituania, Albania, Libano, e tutte garantiscono l’impegno per la compilazione del
questionario che si dovrà predisporre e per le interviste. 3. Postulati: la felicità è aspirazione e diritto
di tutti, a tutte le età. La felicità è totalizzante nei confronti di quanto è considerato positivo dalla
persona (ad esempio, gioia come aspirazione e salute come status). 4. La configurazione giuridicoaccademica della professionalità potrebbe realizzarsi gradualmente: master, specializzazione, ... Ciò
permetterebbe la parziale differenziazione in ordine alla specificità delle cattedre di riferimento. 5.
La bibliografia è già più che adeguata per un inizio ottimale del progetto.
La classe: uno spazio per il benessere e la prevenzione del disagio scolastico
Lilian Marta Landriel (Università degli Studi di Torino)
Questo articolo considera la classe come uno spazio possibile per prevenire o diminuire il disagio
psicologico causato da situazioni frustranti in età evolutiva. Numerose ricerche rilevano che
situazioni quotidiane di sofferenza possono determinare disturbi psicologici se persistono nel
periodo di strutturazione del Sé. Eventi scoraggianti, quali insuccessi scolastici e bocciature, spesso
producono interruzioni nello studio e si collegano con scarsa autostima. Partendo dal presupposto
che l’uomo occidentale trascorre il periodo più importante dello sviluppo psichico nelle istituzioni
28
scolastiche, si ipotizza che creare nelle aule un clima di benessere soggettivo possa potenziare la
motivazione all’apprendimento favorendo la riuscita nello studio. I successi negli apprendimenti,
conseguentemente, aumenterebbero sentimenti di autostima e di autoefficacia diminuendo lo stress .
In questa sede si valuta la “difficoltà di apprendimento” come fattore stressante che un “clima”
sereno e facilitante potrebbe prevenire o ridurre. La teoria verrà supportata mediante lo studio di
alcuni casi relativi ad un programma di orientamento psicopedagogico a insegnanti di scuole
primarie. Gli esempi riportati mostrerebbero quanto le convinzioni degli insegnanti e dei genitori
sulle capacità dei loro alunni/figli possano ripercuotersi in maniera positiva o negativa sugli
atteggiamenti di questi verso lo studio. Il successo scolastico dell’alunno inoltre, ricadrebbe
positivamente sia sugli educatori (insegnanti e genitori), aumentando in essi il senso dell’autostima
e dell’autoefficacia al rivalutare il loro ruolo, sia sul clima della classe/famiglia.
Montagna e psichiatria : studio multicentrico con Flow-Questionnaire
Fiorella Lanfranchi*, Antonella Frecchiami**, Antonella Delle Fave*** (*Dipartimento di Salute
Mentale-Azienda Ospedaliera Bolognini-Seriate (Bg) **Cooperativa Il Pugno Aperto-Bergamo
***Università degli Studi di Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia)
La promozione del benessere in ambito riabilitativo è oggetto di crescente attenzione.
Particolarmente interessante a questo proposito risulta valutare la possibilità che i pazienti
reperiscano durante le attività riabilitative stati positivi, in particolare l’esperienza ottimale o flow,
stato complesso di impegno e coinvolgimento. A questo proposito, nel 2010 è stato realizzato uno
studio multicentrico, con l’obiettivo di valutare la qualità dell’esperienza associata da pazienti
psichiatrici ad escursioni in montagna, utilizzate a fini riabilitativi. Gli interventi afferiscono
all’area della cosiddetta “montagna terapia”, che raramente sono stati oggetto di indagine. A 54
pazienti schizofrenici afferenti a 7 centri italiani che praticano la montagnaterapia è stato
somministrato il Flow Questionnaire, strumento che permette di analizzare attività e situazioni
associate all’esperienza ottimale, e che raramente è stato finora usato con soggetti psichiatrici. Dallo
studio è emerso che tutti i pazienti tranne due hanno riconosciuto l’esperienza ottimale nella propria
vita quotidiana, associandola in prevalenza alle attività di montagnaterapia, e individuando in questa
attività elementi di impegno e potenzialità per la crescita personale e lo sviluppo di competenze
trasferibili agli altri ambiti della vita. L’insieme dei risultati indica che, anche in condizioni
subottimali di salute mentale, gli individui riportano esperienze complesse e gratificanti di impegno
e sviluppo di competenze. L’analisi dell’esperienza associata alle attività quotidiane e riabilitative
29
può consentire agli operatori di mettere a punto e implementare i trattamenti insieme al paziente
attraverso una co-costruzione degli interventi, valorizzando l’apporto che l’individuo può fornire
alla costruzione del proprio benessere.
Formazione e benessere dei lavoratori anziani: analisi multilivello delle
attitudini dei professionisti HR
Alessandra Lazazzara (Università degli Studi di Milano Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane
per la Formazione “R. Massa”)
Gli investimenti in formazione sono giustificati dall’aspettativa di benefici futuri come l’aumento di
produttività, motivazione e soddisfazione (Becker, 1964). Supportare i dipendenti in percorsi
formativi infatti, diminuisce la loro ansia e senso di inadeguatezza ed aumenta la capacità di
realizzarsi nonché il benessere sul luogo di lavoro (Maurer, 2001). Tuttavia, a causa di radicati
stereotipi negativi sugli anziani, a partire dai 45 anni le aziende non investono più sui propri
dipendenti (Schein, 1978; Maurer, 2001). Si instaura quindi un circolo vizioso per cui negando
l’accesso alla formazione, viene minata l’autostima e la percezione di sé dei lavoratori anziani,
influenzando negativamente la propensione ad apprendere ed il benessere lavorativo (Maurer, 2001;
Van Vianen et al., 2011). La principale domanda di ricerca é: con quali modalità e per quali tipi di
formazione i professionisti HR sono maggiormente a favore della formazione dei lavoratori
anziani? Questo studio propone tre factorial surveys somministrate a 66 professionisti HR. Ogni
rispondente ha valutato 24 profili di lavoratori anziani e, per ognuno di essi, ha indicato quanto
fosse d’accordo che il lavoratore descritto partecipasse alle attività formative proposte. Con l’ausilio
del software STATA sono stati stimati modelli multilivello che evidenziano come, negando
l’accesso alla formazione sulla base dell’età, della performance, della specializzazione e
dell’assenteismo, i professionisti HR non supportano la motivazione ad apprendere dei lavoratori
anziani. Questo studio ha importanti implicazioni perché enfatizza come in un contesto di
invecchiamento generale della popolazione e della forza lavoro sia importante sostenere la
formazione continua ed il benessere dei lavoratori anziani.
30
Un’applicazione del modello Job-Demands Resources su un campione di
lavoratori italiani
Alessandro Lo Presti*, Marcello Nonnis**, Monica Federico* (*Seconda Università di Napoli,
Dipartimento di Psicologia, **Università di Cagliari, Dipartimento di Psicologia)
Tradizionalmente, gli studiosi hanno considerato l’attività lavorativa come potenziale fonte rischio
per il benessere psicofisico (Sarchielli, 2009), occupandosi soprattutto di stilare liste dettagliate dei
possibili fattori stressogeni (Cooper, 1986; Karasek, 1979); Più recentemente, la Psicologia Positiva
(Seligman e Csikszentmihalyi, 2000), si è concentrata, invece, sul comprendere le cause, le
modalità e le condizioni che determinano il benessere soggettivo. In particolare, l’approccio del
cosiddetto Positive Organizational Behavior (Luthans, Avolio, Avey e Norman, 2007) è interessato
alla promozione del benessere e allo sviluppo delle potenzialità individuali all’interno dei luoghi di
lavoro. Sulla scorta di tale cambiamento paradigmatico, il modello Job Demands-Resources
(Xanthopoulou, Bakker, Demerouti e Schaufeli, 2007), che ha ispirato la presente indagine, ha
incluso nel campo delle condizioni lavorative accanto alle job demands, principali predittori dello
strain lavorativo, le job resources e le personal resources, come più importanti predittori del
coinvolgimento lavorativo, uno stato mentale positivo lavoro-correlato che può essere sperimentato
in un ambiente lavorativo che disponga di sufficienti risorse per fronteggiare le sue richieste
(Schaufeli, Bakker e Salanova, 2006). L’indagine, condotta su 751 lavoratori di diversa tipologia
contrattuale, ha investigato le reciproche associazioni tra categorie di variabili riferibili al modello
JD-R: risorse lavorative quali l’autonomia o il supporto sociale da parte dei colleghi, richieste
lavorative quali il carico di lavoro e risorse personali quali l’autoefficacia occupazionale e
l’ottimismo nei riguardi di due differenti outcome quali lo strain e il coinvolgimento lavorativo. I
risultati ottenuti supportano in larga parte quanto già presente in letteratura in merito
all’applicazione del modello JD-R per spiegare gli esiti, sia positivi che negativi, dell’esperienza
lavorativa individuale. Saranno inoltre discusse le implicazioni di carattere pratico.
31
Equipe ed assistenza in istituzione: essere bene per fare bene
Cinzia Marigo*e**, Silvia Faggian*, Erika Borella**e*** e Giorgio Pavan* (*I.S.R.A.A.-Treviso
**Lab-I Servizio di Ricerca e Formazione in Psicologia dell’Invecchiamento-L.I.Ri.P.A.C,
Università degli Studi di Padova; ***Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Psicologia
Generale)
Gli strumenti-risorsa più importanti dell’équipe di assistenza in un struttura per anziani sono i suoi
componenti: operatori socio sanitari, fisioterapisti, educatori, logopedisti, infermieri e psicologi.
Ciascuno è portatore, nella propria professione di valori, conoscenze e competenze che influenzano
e determinano il benessere della persona anziana istituzionalizzata e della buona riuscita del lavoro
di condivisione d’équipe. Obiettivo di questa proposta è presentare un percorso di
potenziamento/riattivazione emotivo motivazionale e di benessere psicologico percepito, rivolto ad
operatori e professionisti di un nucleo sanitario in una residenza per anziani. Il training, adattato dal
percorso Lab-I Empowerment Emotivo – Motivazionale (De Beni, Marigo, Sommaggio, Chiarini e
Borella, 2009), e sviluppato dall’equipe Lab-I dell’Università di Padova come intervento di gruppo
volto all’incremento del benessere in adulti e anziani, si struttura in quattro incontri a cadenza
quindicinale, proponente attività sia di gruppo sia individuali. Nello specifico si propone di
incrementare nell’équipe competenze relate al benessere psicologico quali soddisfazione personale,
strategie di coping e competenze emotive. Hanno partecipato operatori e professionisti di uno stesso
nucleo (N=25). L’efficacia del training è stata valutata utilizzando strumenti standardizzati –
Questionario Ben-SSC (De Beni et al., 2008) e Beck Depression Inventory (Beck et al., 1987),
somministrati prima e dopo l’intervento.
“Benessere a scuola” e valutazione stress lavoro-correlato
Anna Milone (Centro Studi Medicina Psicosomatica - Napoli)
L’8 ottobre 2004 è stato siglato l’Accordo quadro europeo sullo stress lavoro-correlato, che
stabilisce che tra gli obblighi giuridici del datore di lavoro rientra la “prevenzione, l’eliminazione o
la riduzione dei problemi di stress lavoro-correlato”. Esso trova espresso riferimento nel DLgs
81/2008 che prevede che per ogni azienda diventa rilevante che l’oggetto di valutazione dei rischi
debba riguardare tutti i “rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli
riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra qui anche quelli collegati allo stress
32
lavoro-correlato”. Sulla base di tale premessa è stato realizzato in diversi istituti scolastici di vario
ordine e grado il progetto “Benessere a scuola” che si articola in diverse fasi:
-
costituzione del Gruppo di Studio e di monitoraggio dello stress lavoro-correlato;
-
individuazione degli obiettivi da raggiungere;
-
scelta degli strumenti operativi, delle risorse e delle metodologie da adottare;
-
individuazione dei percorsi metodologici, di verifica e di monitoraggio;
-
stesura di un piano programmatico.
La metodologia utilizzata per tale valutazione è la seguente: somministrazione di un questionario,
colloqui individuali per l’analisi dei rischi psicosociali nell’ambiente scolastico attraverso l’apertura
di uno sportello a cui accedono i docenti, i collaboratori scolastici ed il personale di segreteria;
restituzione dei dati raccolti, organizzazione di un evento formativo, definizione dei gruppi
omogenei di lavoratori aventi caratteristiche comuni; definizione delle misure di prevenzione e
protezione da adottare e relativo piano di monitoraggio. L’Autrice nel ritenere che esperienza fin
qui condotta dimostra come la valutazione del rischio psicosociale da mera incombenza burocratica
si trasforma in una opportunità per le scuole riporta i dati e le riflessioni sull’esperienza sin qui
condotta.
L’analisi dei bisogni in ex pazienti oncologici
Lorenzo Montali, Alessandra Frigerio, Marta Scrignaro, Maria Elena Magrin (Università degli
Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Psicologia)
Molte delle persone sopravvissute ad un cancro continuano ad esperire rilevanti difficoltà sul piano
fisico e psicosociale, legate agli effetti collaterali del trattamento, al rischio di possibile recidive e
allo stress connesso alla vita lavorativa, sociale e sessuale. Il riconoscimento dell’impatto a lungo
termine del cancro in persone che ne sono sopravvissute giustifica l’avvio di programmi di ricerca
finalizzati alla valutazione dei loro specifici bisogni, di carattere fisico, psicologico, informativo e
materiale. Lo studio ha avuto i seguenti obiettivi:
1. Valutare le qualità psicometriche di un questionario per rilevare i bisogni delle persone
sopravvissute ad un cancro;
2. Identificare i bisogni non corrisposti dei survivors;
3. Proporre possibili miglioramenti nei servizi di supporto per ex-pazienti oncologici.
Partecipanti:
186
pazienti
residenti
in
Lombardia
(57
uomini
e
128
donne;
età
media=58,51±12,08), che avevano ricevuto una diagnosi di cancro da almeno un anno e che erano
33
liberi dalla malattia, o da altre patologie significative, al momento della rilevazione. Strumenti:
durante la visita periodica di controllo, è stato somministrato un questionario specificamente
costruito per rilevare i bisogni delle persone sopravvissute ad un cancro. Questo strumento può
essere utilizzato per tutti i tipi di popolazioni di sopravvissuti e include items sui possibili
cambiamenti positivi avvenuti a seguito del tumore. La batteria di strumenti includeva anche
strumenti per misurare ansia e depressione (HADS) e qualità di vita (SF-12), nonché per la
valutazione della resilienza (CQH, BNG, GSE). Verranno illustrati i risultati della ricerca e le loro
ricadute per lo sviluppo di servizi di supporto.
HAART self-efficacy: favorire la compliance nei pazienti sieropositivi
Andrea Norcini Pala, Patrizia Steca (Università degli Studi di Milano-Bicocca)
L’infezione da HIV richiede una regolare assunzione di farmaci antiretrovirali perché è ciò che
determina l’outcome clinico: maggiore è la compliance minori sono i rischi di complicazioni quali
ad esempio resistenze ai farmaci e progressione della malattia. L’HAART self-efficacy, cioè la
percezione di essere in grado di assumere correttamente i farmaci antiretrovirali, è di notevole
importanza poiché influenza la compliance. In questa presentazione, verranno discussi i risultati di
tre indagini condotte a partire da settembre 2010 su tre differenti campioni di persone sieropositive
(N1 = 158, N2 = 110, N3 = 110). I risultati delle analisi hanno evidenziato che l’HAART selfefficacy riduce significativamente la depressione (β 1= -.320, p < .001; β 2= -.444, p < .001), la
percezione dello stress (β2 = -.363, p < .001; β3 = -.223, p < .001) e favorisce la compliance (β2 =
.344, p < .001; β3 = .340, p < .001). La conta dei Natural Killer, cellule leucocitarie del sistema
immunitario, è risultata anch’essa significativamente influenzata dall’HAART self-efficacy (β3 =
.365, p < .05). Inoltre, l’effetto dello stress sulla risposta infiammatoria, cioè sulla produzione di Il6 una citochina pro-infiammatoria, è mediata dall’HAART self-efficacy (β3 = -.431, p < .01). In
conclusione, data la sua rilevanza, è possibile ipotizzare interventi per aumentare l’HAART selfefficacy nei pazienti sieropositivi.
34
Il benessere nei luoghi di lavoro: il ruolo dei fattori “di contenuto” e “di
contesto”
Francesco Pace, Valentina Lo Cascio, Giacomo Aliberto, Alba Civilleri, Elena Foddai (Università
degli Studi di Palermo)
Dal momento della fondazione dell’approccio della Psicologia Positiva e dei suoi obiettivi e metodi
di ricerca si è sempre più rafforzato l’interesse, nel campo della Psicologia del Lavoro e delle
organizzazioni, per la ricerca e lo studio di quei fattori psicologici in grado di rappresentare
adeguatamente la condizione di benessere nei luoghi di lavoro (Shaufeli e Bakker, 2006). Ad
esempio Luthans (2002) ha cercato di richiamare l’attenzione verso lo studio “delle risorse umane
orientate positivamente, i punti di forza e le capacità psicologiche che possono essere misurate,
sviluppate e gestite in modo efficace per migliorare le prestazioni nei luoghi di lavoro” (p. 698). Il
presente studio vuole presentare i risultati della applicazione del Questionnaire on the Experience
and Evaluation of Work (QEEW; Van Veldhoven e Meijman, 1994), uno strumento utile alla
valutazione del benessere in ambito lavorativo che è ampiamente usato nel nord europa in
riferimento al modello Job Demands-Resources (Bakker et al. 2010). Il QEEW consente di
esplorare sia le richieste nel luogo di lavoro che le risorse cui gli individui possono ricorrere,
esplorando sia aspetti di contenuto che di contesto, e proponendo una valutazione delle condizioni
di benessere percepito dal lavoratore, attraverso scale quali coinvolgimento e piacere nel lavoro
(Van Veldhoven e Broersen, 2003). Il questionario, nella sua forma italiana (Pace et al., 2010,
2011), è stato somministrato a più di 1300 lavoratori, i quali sono stati suddivisi in funzione
dell’ambito professionale, del tipo di contratto e della natura della organizzazione cui
appartenevano. I risultati mostrano come gli aspetti psicologici e sociali siano spesso più importanti,
nella percezione del benessere, di quelli più tangibili quali le condizioni fisiche e/o la
remunerazione.
L’assessment Centre empowerment oriented: il caso del Delphi Programme in
Randstad
Alessandra Pasinato, Elena Zucchi, Benedetta Bazzoni (Alessandra Pasinato e Team / Randstad)
Presenteremo una metodologia innovativa di valutazione e sviluppo del potenziale nata
dall’incontro tra gli strumenti dell’Assessment Centre e l’approccio del self-empowerment. Si
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configura non come integrazione, ma come costruzione di un terzo approccio, caratterizzato da
elementi peculiari, come i feedback empowerment-oriented, relativi non ai singoli comportamenti
ma alla “interità” della persona (base indispensabile per innescare “salti di qualità”). Questa
metodologia promuove benessere, in ambito personal-professionale, inteso come processo
evolutivo, magari a tratti anche fonte di fatica, orientato al potenziamento individuale, al sentirsi
bravi e capaci, realizzati ed autentici, impattanti nel contesto (e quindi generativi). L’intervento si
concentrerà su quanto svolto in Randstad, multinazionale leader nei servizi HR che in 48 paesi offre
alle imprese somministrazione, ricerca, selezione, formazione. Randstad opera in un settore in cui
non ci sono prodotti che possano “fare la differenza” tra competitor: il fattore differenziale è dato
dalle persone e dalla loro competenza. Capacità e potenzialità individuali, incisività nel tradurle in
comportamenti efficaci e coerenti con il business, sono uno degli asset fondamentali di Randstad.
Qui è stato implementato l’Assessment Centre empowerment-oriented, il “Dephi Programme”. Allo
scopo di valutarne l’efficacia, rispetto agli obiettivi formativi ed organizzativi, abbiamo realizzato
una ricerca quali-quantitativa, su campione di 250 partecipanti nell’arco di 5 anni. Tale ricerca ha
valutato il processo di auto-sviluppo e, tramite l’utilizzo di metodologie innovative, ha determinato
l’incidenza dell’intervento comparando il percepito dei partecipanti con quello di capi, colleghi e
collaboratori che ne osservano comportamenti, difficoltà e miglioramenti, in termini di espressione
del potenziale. Verranno illustrati tali risultati.
Vivere con un fratello speciale
Federica Polo, Mariacristina Prandolini, Giovanni Allibrio, Silvia Biondi, Maria Francesca
Mancuso, Filippo Gitti (UONPIA Spedali Civili di Brescia, Direttore Alessandra Tiberti)
Convivere quotidianamente con un fratello speciale, con Disturbo Generalizzato dello Sviluppo,
può costituire un’esperienza complessa e difficile dal punto di vista emotivo: si può essere
sollecitati ad assumere compiti di accudimento e di cura, si sperimentano vissuti emotivi
contraddittori e, soprattutto in adolescenza, è possibile essere maggiormente esposti a episodi di
derisione o isolamento (Valtolina, 2000). Le difficoltà sperimentate possono avere un impatto
differente a seconda dell’età, dell’ordine di genitura, della gravità dei sintomi e dei problemi
comportamentali del fratello speciale, dello stile educativo e delle risorse emotive e materiali rese
disponibili dalla coppia genitoriale. Per questo motivo, all’interno della UONPIA dell’Ospedale
Civile di Brescia, è stato realizzato un percorso rivolto a un gruppo di 6 bambini, compresi tra gli 8
e i 12 anni, i cui fratelli sono in carico presso il servizio stesso perché affetti da Autismo. Il percorso
36
si è snodato attraverso cinque incontri, durante i quali si è cercato di valorizzare molteplici canali
per la rappresentazione della propria relazione fraterna, di promuovere occasioni di condivisione di
vissuti emotivi talvolta negati (gelosia, risentimento, rabbia, vergogna, rifiuto), di individuare
strategie di coping utili per fronteggiare concrete situazioni di difficoltà. Un questionario pre e posttest ha permesso di evidenziare modificazioni a carico della percezione delle proprie difficoltà e del
proprio vissuto. I genitori dei ragazzi sono stati coinvolti all’inizio e al termine del progetto, così da
individuare uno spazio di confronto rispetto alle tematiche emerse dalle attività effettuate con i loro
figli.
Stress, risorse umane e promozione del ben-essere nelle Aziende
Ferdinando Pellegrino (ASL Salerno (ex SA1)-Dipartimento Salute Mentale)
Numerose ricerche evidenziano una stretta correlazione tra stress lavorativo e compromissione
dell’efficacia professionale; diventa pertanto fondamentale promuovere progetti tesi ad
implementare la capacità dell’individuo di rispondere in modo positivo ed adeguato alle
problematiche lavorative (response ability). In tal senso sono stati realizzati percorsi formativi
centrati su piccoli gruppi che hanno coinvolto dal 2004 ad oggi oltre 4000 operatori (medici,
infermieri, forze di polizia, insegnanti, dirigenti...). Il modello di riferimento è il fitness cognitivoemotivo, una metodica di apprendimento che si ispira ai concetti della moderna psicologia e il cui
obiettivo fondamentale è quello di rendere l’individuo più consapevole delle risorse di cui dispone
al fine di migliorare la sua capacità di gestire e sviluppare le potenzialità della mente, nei suoi
aspetti cognitivi ed emotivi. In tale contesto sono state realizzate delle indagini i cui risultati hanno
consentito di modulare gli interventi effettuati. Si è partiti così dall’osservazione che esiste una
diretta correlazione tra il grado di soddisfazione professionale e lo sviluppo individuale di abilità
emotive e cognitive che appaiono come un fattore protettivo rispetto alle condizioni di stress
lavorativo. Per tali motivi l’obiettivo dei lavori di gruppo è stato quello di focalizzare gli sforzi
formativi sull’addestramento all’autonomia che comporta l’abilità a esprimere più liberamente le
emozioni, ad affrontare lo stress con maggiore efficacia e a contare di più sulla propria competenza
umana e professionale. L’Autore propone la programmazione – all’interno delle aziende – di
percorsi formativi centrati su gruppi esperienziali finalizzati alla valorizzazione delle competenze
cognitive ed emotive degli operatori; ciò al fine di prevenire condizioni di disagio lavorativo e
sindromi caratterizzate dal progressivo logorio professionale e di favorire l’implementazione
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dell’autoefficacia personale, fattore motivante e determinante per la soddisfazione lavorativa. Nella
relazione vengono presentati i risultati dell’esperienza formativa.
Rapporto scuola genitori…tra gioie e dolori
Michelle Pieri (Università degli Studi di Milano-Bicocca)
Un rapporto scuola genitori (RSG) negativo può essere uno job stressor per i docenti (Prakke et al.,
2007; Pepe e Addimando, 2010). In Italia, da una parte, ci sono pochi studi sul rapporto che i
genitori istaurano con la scuola e sul modo in cui la scuola e i genitori condividono i loro compiti
educativi (Nigris, 2002), dall’altra, nei corsi di formazione per i futuri insegnati non è previsto un
training specifico relativo alla gestione dei rapporti scuola genitori. Nel 2010 abbiamo realizzato
due focus group, uno con i genitori e uno con i docenti, in una scuola primaria per capire come
questi due gruppi articolano il discorso relativo al RSG (Che cosa è il RSG? Quale è il suo fine?
Come è ora in questa scuola? Come vorresti che fosse?). Docenti e genitori concordano nel ritenere
che questo rapporto è essenziale “per formare i futuri cittadini”, “far crescere i figli, anche per dare
un’educazione”, “creare il benessere a 360 gradi e raggiungere il successo formativo per tutti”.
Genitori e docenti sono d’accordo sul fatto che il RSG deve basarsi sul dialogo e sul rispetto
reciproco. I docenti sottolineano il fatto che nel RSG è fondamentale che i genitori abbiano la
volontà di collaborare, se questa viene a mancare, il lavoro quotidiano diventa più difficile non solo
per i docenti ma anche per i discenti. I docenti, dato che non hanno ricevuto nessuna formazione
alla gestione del RSG, hanno dovuto apprendere a gestirlo tramite l’esperienza e il lavoro con i
colleghi.
Benessere e psicologia organizzativa in contesti interculturali - Il caso
dell’ospedale “Lacor”, Gulu-Uganda
Marco Prati*, Alessio Nencini** (*Università di Milano Bicocca, **Università degli Studi di
Padova)
Partendo da un background socio-costruzionista (Gergen, 1999; Gergen e Thatchenkery, 2004)
viene proposto un modello di intervento per le organizzazioni a forte componente interculturale.
Sistemi di conoscenza ideologici e culturali, processi interpersonali e pratiche pragmatiche
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costituiscono forme di conoscenza che costruiscono in modo armonico la rappresentazione
dell’organizzazione e il suo significato pragmatico per gli individui che la compongono. Le tre
principali dimensioni di questo modello costituiscono aspetti interconnessi che vanno tenuti in
considerazione nel pianificare e implementare interventi in contesti organizzativi interculturali
efficaci. Il modello verrà illustrato a partire da un case study specifico: l’intervento che il CFI
(centro di formazione interazionista) ha realizzato presso il St. Mary’s Hospital Lacor (GuluUganda) nel contesto del progetto “formazione per lo sviluppo” finanziato da “Compagnia di
Sanpaolo” e “Fondazione Corti”. Dopo decenni di guerra civile in nord-Uganda l’ospedale Lacor è
passato dall’essere un piccolo ospedale missionario a gestione “familiare” al diventare una grande
organizzazione multiculturale con oltre 600 dipendenti e punto di riferimento sanitario per un
bacino di persone che copre tutto il nord del paese. Dal 2009 il CFI è chiamato a dare supporto nelle
operazioni di governo di questi rapidi processi di cambiamento che hanno coinvolto il personale
locale, la comunità, la fondazione italo-canadese che lo sostiene e i molti donors privati e
istituzionali. Obiettivo particolare dell’intervento è il rafforzamento e la configurazione di un nuovo
management ugandese e la sua futura sostenibilità “organizzativa”. L’analisi di sistema condotta
attraverso interviste e focus group ha permesso di mostrare che diverse prospettive culturali
all’interno dell’ospedale veicolano rappresentazioni conflittuali e contraddittorie dell’emergente
ruolo di middle-manager minandone l’efficacia. Un insieme di interventi coordinati sulle tre
dimensioni del modello presentato è stato disegnato e realizzato con l’obiettivo di promuovere una
nuova cultura organizzativa per il ruolo di middle-manager. I principali risultati, così come alcune
considerazioni generali alla guida di interventi organizzativi in contesti interculturali, saranno
discussi nelle conclusioni.
Il disegno per scoprire i segreti della cura
Vanna Puviani (Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Scienze della Formazione)
Con il movimento frenetico l’urlo e l’agitazione, con il mutismo e l’ostinazione, con una scrittura
illeggibile, confusa e disordinata, con l’isolamento e il rifiuto, con la provocazione … con ognuno
diquesti comportamenti c’è un bambino che domanda attenzione e cura. Come trasformare il
sintomo in simbolo? Le brutture dei drammi subìti nella bellezza della propria iniziativa? Questa
presentazione ha l’obiettivo di illustrare alcune storie d’amore, di bambini che cercano i loro
genitori e di genitori distratti, che si sono persi prima di farsi ritrovare. È l’illustrazione di nuovi
metodi di cura con il disegno, sia con il bambino che con l’adulto. Al bambino proponiamo dieci
39
incontri dove ogni volta c’è la nostra proposta di un tema-simbolo mirato e la sua risposta con gesti
che raccontano, linee che si muovono e colori che danno forma e vita agli oggetti e ai personaggi
che egli ospita nel suo foglio. All’adulto offriamo la possibilità di raccontarsi tramite le immagini,
per guardare in maniera anche nuova, cioè creativa, le relazioni che i famigliari hanno tra di loro e
con la propria casa, per rendere visibili le vicinanze le distanze, le presenze e le assenze e così
poterle trasformare. Bambini e adulti con un ruolo attivo, tutti alla ricerca della propria storia, per
sapere ‘di chi si è’, per ritrovare l’intimità della propria casa e dei propri affetti e l’immensità delle
proprie passioni. Ogni persona diventa l’artefice della propria guarigione, per dirla con Bateson.
Un viaggio immaginativo con un potenziale trasformativo così alto sia per l’azione dinamica del
simbolo (Jung) sia per l’immagine che si crea, che essendo esterna diventa un terzo oggetto e
stimola quindi una alleanza prodigiosa terapeuta-paziente, che insieme guardano l’immagine che a
sua volta suscita racconti ed altre immagini ancora. Come se questa relazione ‘buona’ potesse
essere generativa di altre relazioni di complicità e intimità tutte da rivisitare e riconoscere, per
creare nuovi ruoli di genitori e di figli. Il disegno non da interpretare ma usato per raccontare e
comunicare che diventa autorivelazione. I due testi qui indicati attraverso testimonianze e proposte
mostrano questo itinerario immaginativo sia con il bambino che con l’adulto per illustrare i fattori
terapeutici propri della Psicoterapia nonverbale che si integrano con i fattori terapeutici delle
Psicoterapie verbali.
Percezioni del cyberbullismo in adolescenza: uno studio cross-culturale
Roberta Renati, Carlo Berrone, Maria Assunta Zanetti (Università di Pavia, Dipartimento di
Psicologia)
Dimensione quotidiana imprescindibile delle relazioni amicali in adolescenza, la comunicazione
tramite telefono cellulare ed Internet può rappresentare il medium di quelle azioni aggressive
intenzionali e reiterate, esercitate individualmente o in gruppo contro una o più vittime, che
rientrano nell’ambito del fenomeno noto come cyberbullismo. Scopo del presente studio è
l’indagine sulle percezioni di detto fenomeno in adolescenza presso due campioni – il primo italiano
(N = 120), il secondo internazionale (N = 66) –, con particolare riferimento agli esiti emotivi e
comportamentali che i partecipanti associano alle aggressioni sub specie elettronica. Tramite un
questionario creato ad hoc e diffuso online sia tramite la pagina Facebook di uno degli autori (per il
reclutamento di soggetti italiani), sia utilizzando il sito web di due scuole superiori in Finlandia e
Brasile, frequentate da studenti di varie nazionalità, sono state indagate - in relazione a quattro
40
scenari di cyberbullismo (diversi per modalità di aggressione: e-mail, telefono cellulare, social
network, diffusione di immagini umilianti nella rete) e con riferimento tanto alle vittime, quanto ai
loro aggressori - le percezioni riguardanti: la gravità, le emozioni (sia di base, sia di natura sociale,
quali colpa, disprezzo e vergogna), le conseguenze psicosociali (fra cui problemi scolastici e nelle
relazioni familiari) e comportamentali (inclusi l’ideazione suicidaria e l’abuso di alcol e sostanze),
le strategie di coping ritenute adeguate. I risultati vengono discussi anche in quanto fonte di utili
indicazioni per l’implementazione di strategie preventive nei confronti di una dilagante minaccia al
positivo funzionamento psicosociale degli adolescenti digital natives.
Benessere psico-fisico al lavoro e il ruolo di alcune risorse personali e
organizzative: una ricerca nei call center
Simona Ricotta (Università degli studi di Torino, Dipartimento di Psicologia)
In relazione all’attuale interesse per i temi della qualità della vita, anche in ambito organizzativo è
cresciuta l’attenzione per il benessere dei lavoratori. Adottando la prospettiva del modello “Job
demands-resources” (Demerouti, Bakker, Nachreiner e Schaufeli, 2001), questo contributo si
concentra in particolare sull’effetto di alcune risorse personali e organizzative sul benessere psicofisico al lavoro. La ricerca è stata realizzata nel contesto dei call center, di rilievo per l’ampio
numero di persone impiegate, e perché critico in termini di stress (Lewig e Dollard, 2003).Il
questionario è stato somministrato a un campione di 1465 operatori dislocati sul territorio nazionale.
Il benessere percepito è stato indagato in riferimento alla dimensione psicologica (emozioni
positive, Warr, 1990; α .88) e fisica (salute generale; scala costruita ad hoc; α .89). Le risorse
indagate sono: coping di evasione (α .74), coping di evitamento (α .64), coping razionale (α .74),
soddisfazione per l’ambiente (α .90), supporto dei capi (tot item α .89), supporto dei colleghi (α
.85), autonomia (α .88), disponibilit
à di risorse/possibilità di apprendimentoα (.85). I risultati
evidenziano, come determinanti comuni di emozioni positive al lavoro (R2 .296) e salute generale
(R2 .333), il ruolo di: strategie di coping, soddisfazione per l’ambiente, supporto dei capi e
autonomia. Determinante, seppur debole, delle emozioni positive ma non della salute è la
disponibilità di risorse/possibilità di apprendimento. I risultati evidenziano, dal punto di vista delle
ricadute applicative, punti di attenzione per la tutela e la promozione del benessere psico-fisico al
lavoro.
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La resistenza culturale: tra resilienza, inerzia e mantenimento dell’identità
Eleonora Riva (Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Geografia e Scienze Umane
dell’Ambiente)
Oggetto del presente lavoro è quello di ri-definire, esemplificandolo anche attraverso la
presentazione di casi clinici, il concetto di Resistenza Culturale (Reidd, 1999) a partire dal quadro
teorico-metodologico della Psicologia Positiva. In tale ottica si differenzierà, in primo luogo, il
concetto di resistenza culturale dai più noti concetti di resilienza e inerzia culturale. Si proseguirà
descrivendo le caratteristiche positive della resistenza culturale per il mantenimento dell’identità
soggettiva, in un’ottica psicodinamica, e si concluderà argomentando 1) come differenziare la
resistenza culturale da altri tipi di resistenza patologici, e 2) come integrare e sfruttare le resistenze
culturali in un percorso clinico di crescita e armonioso sviluppo del sé, e di integrazione con il
sistema psicosociale in cui l’individuo vive.
Studio dei fattori individuali e sociali e stima delle funzioni di utility associate
alla qualità della vita nei pazienti con Sclerosi Multipla: un’applicazione del
modello a scelta discreta
Rosalba Rosato***, Silvia Testa*, Giorgia Molinengo*, Alessandra Oggero***, Antonio
Bertolotto*** (*Università di Torino, Dipartimento di Psicologia **Unità di epidemiologia dei
Tumori, Ospedale San Giovanni Battista - Torino, Università di Torino e CPO Piemonte, ***II
Neurological Unit and CRESM - Centro di Riferimento Regionale per la Sclerosi, Università e
Ospedale San Luigi, Orbassano, Torino)
La qualità della vita è un concetto multidimensionale che copre quattro ambiti (fisico, sociale,
psicologico e funzionale). La QOL solitamente viene misurata con questionari costruiti secondo la
teoria classica dei test. Gli Esperimenti di Scelta Discreta (DCE) rappresentano un approccio
relativamente nuovo per misurare la QOL. Obiettivo principale è applicare un DCE a pazienti con
sclerosi multipla (SM) per stimare le preferenze individuali rispetto ai diversi attributi della QOL.
155 pazienti sono stati inclusi nello studio ed hanno compilato un questionario formato da 4 sezioni:
sociodemografica/clinica, autoefficacia (GSEscale), MSQOL54 ed un esperimento di scelta. Sono
stati identificati 5 attributi della QOL: autonomia funzionale (ADL), autonomia nella vita
quotidiana (IADL), dolore, ansia/depressione e concentrazione/attenzione. Sono stati creati degli
42
ipotetici profili di salute combinando i 5 attributi con diversi livelli di compromissione (nessuno,
lieve/moderato e grave). In ogni compito di scelta il paziente sceglieva quale di due ipotetici profili
presentati congiuntamente stava peggio. Le analisi sono state condotte utilizzando un modello
logistico a parametri casuali. Le dimensioni che i pazienti ritengono più importanti nel definire chi
sta peggio sono: avere una grave compromissione sull’ IADL (β=1.46, SE=0,14), ADL (β=1.36,
SE=0,10), gravi disturbi emotivi (β=1,21, SE=0,09) e dolore (β=1.21, SE=0,11), mentre il disturbi
cognitivi sono l'attributo meno importante (β=0.86, SE=0,16). Il presente lavoro, attraverso
l’applicazione di un DCE, produce una stima delle preferenze per gli attributi della QOL in pazienti
con SM. Tali risultati potrebbero essere utilizzati nella pratica clinica nella programmazione e
gestione del piano terapeutico dei pazienti.
Il ruolo della gratitudine nel carcinoma mammario in rapporto a crescita posttraumatica, benessere e disagio psicologico
Chiara Ruini, Francesca Vescovelli, Elisa Albieri, Fedra Ottolini, Dalila Visani (Università di
Bologna, Dipartimento di Psicologia)
Sono ormai numerose le ricerche che documentano gli effetti positivi della gratitudine. Tuttavia, il
ruolo di questa emozione è ancora poco esaminato in ambito medico. L’obiettivo di questa ricerca è
di valutare il ruolo della gratitudine in un campione di pazienti con carcinoma mammario, in
rapporto al distress, al benessere psicologico e alla crescita post-traumatica. 67 donne con diagnosi
di carcinoma mammario hanno compilato i seguenti questionari auto valutativi: 1) Gratitude
Questionnaire-(GQ-6); 2) Post-traumatic Growth Inventory (PTGI); 3) Psychological Well-being
Scales (PWBS); 4) Symptom Questionnaires. In base alla mediana dei punteggi al GQ-6,
il
campione è stato diviso in: pazienti con gratitudine elevata e pazienti con gratitudine bassa. I due
gruppi sono stati confrontati tramite ANOVA e sono state calcolate le correlazioni tra i vari
questionari. La gratitudine è risultata significativamente correlata alla crescita post-traumatica, alla
contentezza e rilassamento (SQ) e alle relazioni positive (PWB) e negativamente correlata al
distress psicologico. Le pazienti con gratitudine elevata presentano punteggi minori di ansia e
depressione (SQ) e maggiori nella PTGI, nel rilassamento e contentezza (SQ). Non emergono
differenze significative nei livelli di benessere psicologico. Questi risultati suggeriscono che anche
in ambito oncologico la gratitudine ha effetti positivi nella riduzione del distress, nell’aumento degli
affetti positivi e nella promozione della crescita post-traumatica. Considerando tuttavia che solo la
minoranza delle pazienti ha riportato livelli elevati di gratitudine, in ambito clinico occorre
43
sviluppare interventi psicologici per facilitare la consapevolezza di questa importante emozione
positiva.
L’autoritarismo come meccanismo di coping
Silvia Russo*, Alberto Mirisola**, Michele Roccato*, Giulia Spagna*, Alessio Vieno****
(*Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia ** Istituto per le Tecnologie
Didattiche, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Palermo ***Università degli Studi di Padova,
Dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione)
Le ricerche classiche considerano l’autoritarismo come un indicatore di disadattamento psicologico.
Contributi più recenti hanno invece mostrato che esso, fungendo da meccanismo di coping per
affrontare lo stress provocato dagli eventi negativi, può svolgere un ruolo protettivo per il benessere
personale (Van Hiel e De Clerq, 2009). Tuttavia, i processi attraverso cui l’autoritarismo esercita
questi effetti benefici sono ancora poco esplorati in letteratura. L’obiettivo del presente lavoro è
stato studiare la funzione di meccanismo di coping dell’autoritarismo, concettualizzandolo alla luce
del modello del controllo compensatorio (Kay et al., 2008). In un disegno sperimentale condotto
manipolando il grado di minaccia cui erano esposti i partecipanti (131 studenti italiani) mentre
assistevano ad una campagna elettorale simulata mediante il Dynamic Process Tracing
Environment (Redlawsk e Lau, 2009), abbiamo rilevato i livelli di autoritarismo e controllo
percepito prima e dopo la manipolazione. Un modello mediato-moderato ha mostrato che essere
esposti ad uno scenario minaccioso provoca una perdita soggettiva di controllo, fronteggiata da
coloro che hanno bassi livelli di autoritarismo con un incremento di autoritarismo. Nel complesso,
questo studio ha confermato che l’autoritarismo può essere considerato un efficace strumento di
coping nei confronti della minaccia, contribuendo a spiegare il meccanismo che regola tale
fronteggiamento. Letti nell’ottica della psicologia positiva, questi risultati aiutano a problematizzare
il concetto di coping, evidenziando le conseguenze sociali negative di un’efficace strategia volta a
fronteggiare il senso di minaccia sperimentato dai singoli.
44
Rappresentazione del sé professionale e rischio di burnout nei docenti
Elisabetta Sagone, Maria Elvira De Caroli (Università degli Studi di Catania, Dipartimento di
Processi Formativi)
La recente letteratura riporta che una buona rappresentazione di Sé in ambito professionale incide
sulla qualità delle relazioni sociali e sulla riduzione del rischio di burnout soprattutto nelle helping
professions
(Licciardello
et
al.,
2007)
ma
ciò
costituisce
un
valido
elemento
di
intervento/prevenzione anche nel contesto scolastico (De Caroli et al., 2007). S’intende esplorare
l’incidenza della rappresentazione del Sé professionale e del contesto relazionale (gli alunni e i
colleghi di lavoro) sulle dimensioni del burnout in 106 docenti di Scuole Statali di I-II Grado di
Catania e provincia. È stato somministrato un questionario composto da: una scheda per le
informazioni socio-demografiche (sesso, età, anni di insegnamento), il Maslach Burnout Inventory
(adattamento di Sirigatti e Stefanile, 1993) e tre Differenziali Semantici riferiti al Sé professionale,
agli alunni e ai colleghi (De Caroli e Sagone, 2008). L’analisi dei dati indica che i docenti che
esprimono una rappresentazione più positiva del Sé professionale presentano livelli bassi di
esaurimento emotivo (F(2,103)=6,03, p=.003) e medio-bassi di ridotta realizzazione personale
(F(2,103)=10,92, p<.001); coloro che esprimono una rappresentazione più positiva degli alunni e
dei colleghi presentano livelli bassi, rispettivamente, di esaurimento emotivo (F(2,103)=3,82,
p=.025) e di depersonalizzazione (F(2,103)=5,08, p=.008). Inoltre, la rappresentazione del Sé
professionale incide sulla realizzazione personale (β=.287, t=3,05, p=.003) e quella degli alunni
sull’esaurimento emotivo (β=.254, t=2,67, p=.009). Da questo studio, pertanto, deriva un’ulteriore
conferma della valenza positiva dell’immagine di sé come strategia di coping difensivo dal rischio
di burnout anche nel contesto scolastico.
Qualità di vita percepita in familiari caregiver di pazienti affetti da demenza
Daria Santacatterina, Elisa Bonello, Susanna Falchero, Emanuela Stecchi (Università degli Studi
di Padova, Istituto “F. Beggiato” Conselve)
Negli ultimi decenni la letteratura ha evidenziato come i familiari primary caregiver di pazienti
affetti da demenza siano soggetti a livelli elevati di burden psicofisico. Pertanto abbiamo inteso
verificare gli eventuali effetti sulla qualità di vita percepita in primary caregiver che hanno fatto
ricorso a istituzioni di ricovero (casa di riposo) o di respite domiciliare (ADI). La prima parte della
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ricerca ha coinvolto due gruppi di primary caregiver che hanno istituzionalizzato il carerecipient (da
6-12 mesi e da +36 mesi). La seconda parte della ricerca ha coinvolto tre gruppi di primary
caregiver: uno che continuava ad assistere il carerecipient a casa, appoggiandosi alla ADI come
forma di respite, e due gruppi di caregiver che avevano optato per l’istituzionalizzazione (6-12 mesi
e +36 mesi). I risultati emersi indicano che il ricorso all’istituto, pur comportando costi in termini di
disagio emotivo e anche di spostamenti per raggiungere la struttura, apporta benefici a livello di
qualità
di
vita
percepita,
soprattutto
nelle
aree
funzionalità
fisica,
psicologica
e
sonno/alimentazione/tempo libero. A nostro avviso, però, poiché la salute e il benessere del
carerecipient sono strettamente dipendenti da quelle del caregiver che si occupa di lui, occorre
sviluppare ulteriormente le opportunità di reali forme di respite a domicilio. Ciò per evitare che i
caregiver che desiderano continuare ad assistere il proprio caro a domicilio si trovino costretti a
dover scegliere fra l’istituzionalizzazione di quest’ultimo (spesso con inevitabili sentimenti di
colpa) e la propria qualità di vita.
Il benessere nel rapporto con l’ambiente: il ruolo della biodiversità e delle
esperienze degli individui
Massimiliano Scopelliti, Giuseppe Carrus (Libera Università Maria Ss. Assunta LUMSA e
Università Roma Tre)
Gli studi sul rapporto persona-ambiente hanno evidenziato che gli ambienti naturali promuovono
efficienza cognitiva e riduzione dello stress. Gli ambienti con tali potenzialità benefiche sono
caratterizzati da quattro proprietà:
- being-away: un cambiamento di scenario e/o esperienza rispetto alla quotidianità;
- extent: l’amalgama tra gli elementi dell’ambiente (coherence), esteso abbastanza da permettere
l’esplorazione (scope);
- fascination: l’attrattività estetica dell’ambiente, che cattura l’attenzione senza sforzo mentale;
- compatibility: la congruenza tra caratteristiche ambientali e scopi dell’individuo.
Le ricerche condotte su questo tema hanno mostrato il potenziale benefico degli ambienti naturali
confrontandoli con ambienti costruiti, e attraverso metodologie di laboratorio. Questo studio si è
dunque posto l’obiettivo di valutare il potenziale benefico di ambienti di crescente livello di
biodiversità, prendendo inoltre in esame il ruolo delle esperienze dirette dei fruitori. È stato
somministrato un questionario per valutare le proprietà dell’ambiente, le modalità di fruizione e il
46
benessere percepito a 696 soggetti in 5 tipologie di ambiente di crescente livello di biodiversità. I
risultati evidenziano che:
- i benefici psicologici avvertiti dai fruitori aumentano all’aumentare del livello di biodiversità del
luogo;
- le modalità di fruizione incidono sul benessere: più le attività praticate contemplano interazione
diretta con l’ambiente, maggiori sono i benefici;
- la durata e la frequenza delle visite aumentano i benefici avvertiti;
- i benefici avvertiti vengono mediati dalla percezione delle proprietà rigenerative.
Lo studio mostra l’importanza congiunta delle caratteristiche fisiche dell’ambiente (il livello di
biodiversità) e dei processi psicologici (cognizioni, attività) nel determinare effetti benefici dal
contatto con la natura.
Costruire benessere nella relazione di formazione - apprendimento
Mario Sigfido Coda, Maria Gallone, Loredana Mercadante (Università degli Studi di MilanoBicocca)
Le ricerche sulla qualità dell'esperienza lavorativa degli insegnanti segnalano che sono uno dei
gruppi maggiormente esposti a rischio burnout, con una percentuale due volte superiore a quella
degli impiegati e due volte e mezza superiore a quelli della sanità. La natura multidimensionale e
multifattoriale del burnout ha portato il guppo Adansieme - insegnanti di sostegno che completato il
corso di laurea di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Milano Bicocca hanno
deciso di voler continuare ad approfondire l’esperienza formativa universitaria,condividendola con
altri per attuare la propria formazione in servizio - ed Evolvere - associazione di promozione
sociale che si occupa di counseling, caoching, crescita personale, sviluppo del potenziale umano e
della dimensione esistenziale dell' individuo - a collaborare e pensare ad una metodologia
interdisciplinare integrata per la prevenzione ed intervento sul burnout, che sia applicata alla
relazione di formazione-apprendimento e che valuti tutte le variabili coinvolte nello sviluppo della
suddetta sindrome: didattiche, relazionali, individuali, sociali ed ambientali. L’intento è di proporre
un modello formativo innovativo che ponga gli spunti per una nuova cultura dell'insegnamento.
Esso si prefigge come obiettivo finale il benessere dell'alunno nei termini di acquisizione del sapere
affiancato al pieno sviluppo delle sue potenzialità, e del docente attraverso l'acquisizione di
47
consapevolezza, gestione delle emozioni, sviluppo del suo pieno potenziale e realizzazione
professionale. In questa sede si propongono quindi strategie per:
-
gestire il gruppo classe: coprogettazione degli apprendimenti;
-
gestire le dinamiche relazionali, individuali e lavorative: analisi transazionale, logoterapia,
competenza emotiva, mindfullness.
Engaged sì, workaholic no: gli effetti di engagement e workaholism sulla salute e
il benessere dei Dirigenti Scolastici
Silvia Simbula*, Dina Guglielmi** e Marco Depolo** (*Università di Milano Bicocca
**Università di Bologna)
Come da più parti avvertito, le organizzazioni moderne ricercano sempre più frequentemente
lavoratori proattivi disposti in qualche caso a lavorare per lunghi periodi senza sosta, sacrificando
aspetti della propria vita personale in virtù del raggiungimento degli obiettivi organizzativi; allo
stesso tempo però tali organizzazioni sentono ora, più che nel passato, l’esigenza di tutelare e
proteggere il proprio patrimonio di risorse umane e quella di avere lavoratori motivati e
psicologicamente “sani”. Tali esigenze appaiono talvolta contrapposte e possono rendere il confine
tra l’essere engaged (Schaufeli, Salanova, González-Romá e Bakker, 2002) e workaholic
(Schaufeli, Taris e Van Rhenen, 2008) molto sottile. Sebbene esistano alcuni studi che hanno
esaminato le differenze tra work engagement e workaholism, tali studi si sono concentrati
prevalentemente su contesti organizzativi nord-europei o giapponesi ed hanno analizzato un numero
limitato di correlati di tali costrutti. Il presente studio, che ha coinvolto 228 Dirigenti Scolastici
italiani (67% femmine), si è proposto di esaminare le differenze tra work engagement e
workaholism nei termini delle loro associazioni con la salute e il benessere dei Dirigenti Scolastici,
nonché con aspetti della sfera relazionale (es. supporto dei colleghi ed equilibrio lavoro-famiglia). I
principali risultati dei modelli di equazioni strutturali mostrano che tali associazioni sono differenti:
il workaholism è positivamente associato al need for recovery e ai problemi di salute, mentre appare
negativamente associato alla soddisfazione lavorativa, alla percezione di supporto dei colleghi e
all’equilibrio lavoro-resto della vita; il work engagement al contrario mostra un pattern di
associazioni opposto. Le implicazioni e i limiti dello studio verranno discussi.
48
“Vivere bene per studiare con successo: l’Empowerment emotivo-motivazionale
nel servizio di counselling di Ateneo”
Susanna Sommaggio*, Rossana De Beni** (*Lab-I Servizio di Ricerca e Formazione in Psicologia
dell’Invecchiamento-L.I.Ri.P.A.C, Università degli Studi di Padova **Università degli Studi di
Padova, Dipartimento di Psicologia Generale)
Questo lavoro presenta una delle possibili applicazioni del percorso Lab-I Empowerment Emotivo –
Motivazionale (De Beni, Marigo, Sommaggio, Chiarini e Borella, 2009), sviluppato dall’equipe
Lab-I dell’Università di Padova come intervento di gruppo volto all’incremento del benessere in
adulti e anziani. L’intervento, strutturato in sei incontri a cadenza settimanale, si propone di
incrementare alcune competenze strettamente relate al benessere psicologico quali soddisfazione
personale, strategie di coping e competenze emotive. I risultati ottenuti dall’applicazione del
percorso nel trattamento di uno studente universitario, presso il servizio Spazio Ascolto del
Politecnico di Milano, hanno evidenziato come una crescente autoconsapevolezza dei propri vissuti,
delle proprie emozioni, dei propri pensieri, così come l’attribuzione di un significato agli obiettivi
personali, la consapevolezza delle abilità e delle competenze acquisibili possano risultare validi
strumenti per aumentare la percezione di ben-essere e superare il disagio anche in ambito
universitario.
Oltre il comportamento pro-sociale: uno studio pilota sull’altruismo
Lawrence Soosai Nathan, Luca Negri, Antonella delle Fave (Università degli Studi di Milano)
Numerose ricerche evidenziano il legame tra comportamento altruistico e benessere. La maggior
parte di esse, tuttavia, considera l’altruismo esclusivamente in termini di comportamento prosociale. Poco ancora si conosce del concetto di altruismo e degli aspetti culturali ad esso collegati.
Questo studio approfondisce tali tematiche attraverso l’analisi delle dimensioni psicologiche, sociali
e culturali dell’altruismo. Per raggiungere questi obiettivi è stato sviluppato l’Altruism
Questionnaire che invita i partecipanti a: definire il concetto di altruismo; indicare benefici e
difficoltà connessi all’altruismo; elencare le principali fonti da cui hanno acquisito il concetto di
altruismo. Lo studio ha coinvolto 119 partecipanti: 60 indiani (51.7% donne) e 59 italiani (62.7%
donne). Le definizioni fornite dai partecipanti integrano la componente comportamentale
dell’altruismo con dimensioni psicologiche, sociali e relazionali. Entrambi i gruppi hanno
49
identificato come principale beneficio dell’essere altruisti il miglioramento delle relazioni,
individuando nella critica e nell’incomprensione altrui le principali difficoltà. Famiglia e società
sono risultate le principali fonti da cui deriva il concetto di altruismo. In riferimento alle differenze
tra gruppi, gli indiani hanno definito l’altruismo primariamente in termini di Valore/Virtù, gli
italiani come Preoccupazione/Cura dell’altro. Gli indiani hanno sottolineato i benefici spirituali e le
difficoltà legate agli obblighi connessi all’altruismo. Il campione italiano ha enfatizzato la religione
come fonte del concetto di altruismo. I risultati evidenziano come lo studio dell’altruismo non possa
limitarsi all’analisi del comportamento pro-sociale, ma debba includere anche dimensioni
psicologiche e culturali. Queste ultime appaiono fondamentali per progettare interventi di
promozione della crescita eudaimonica di individui e comunità.
Benessere degli insegnanti: fattori determinanti e influenze sulla mission
percepita
Veronica Velasco, Massimo Miglioretti, Luca Vecchio, Corrado Celata* (Università di MilanoBicocca, Dipartimento di Psicologia, *ORED-Osservatorio Regionale sulle Dipendenze, Regione
Lombardia)
Un numero ancora limitato di ricerche ha posto l’attenzione su quelle che potrebbero essere le
risorse individuali e di contesto che, favorendo il benessere degli insegnanti e la soddisfazione
lavorativa, possono incidere in modo positivo sulla loro prestazione lavorativa. Alla luce di tali
premesse questo studio si propone di analizzare le relazioni tra risorse individuali, risorse
contestuali, burn-out, engagement e soddisfazione lavorativa in un gruppo di insegnanti lombardi.
Inoltre si propone di verificare le relazioni tra queste variabili e la mission percepita dagli
insegnanti. Nella ricerca sono stati coinvolti 209 insegnanti di 201 scuole medie inferiori e
superiori. A tutti è stato chiesto di compilare un questionario che indaga diverse dimensioni del
lavoro dell’insegnante (ad es. l’autonomia nella didattica, il lavoro di gruppo tra colleghi, il
supporto del dirigente, la gestione degli studenti indisciplinati, il rapporto con i genitori),
l’autoefficacia individuale e collettiva, il burn-out, l’engagement e la soddisfazione lavorativa oltre
che la mission percepita dall’insegnate e le variabili socio-anagrafiche di ciascuno. Attraverso un
modello di equazioni strutturali si è potuto evidenziare che l’autoefficacia, individuale e collettiva,
svolge un ruolo di mediazione tra le dimensioni del lavoro dell’insegnante e la percezione di burnout e di engagement, e queste svolgono a loro volta un ruolo di mediazione tra le dimensioni del
lavoro dell’insegnante e la percezione di soddisfazione lavorativa. Sia il burn-out, sia l’engagement
50
sia la soddisfazione lavorativa sono correlati con la percezione di una mission educativa
dell’insegnante, mentre non paiono correlati ad una mission focalizzata semplicemente sul ruolo
didattico.
Emozioni e soddisfazione di vita come fattori di protezione in bambini
palestinesi
Guido Veronese, Nicoletta Businaro, Mahmud Said, Marco Castiglioni (Università degli Studi di
Milano-Bicocca)
Molti studi hanno evidenziato gli effetti psicologici negativi (in particolare disturbi post-traumatici)
del vivere in un contesto caratterizzato da conflitti politici e violenza (Miller, Kulkarni e Kushner,
2006). Invece poche ricerche sono state condotte per rilevare gli aspetti di funzionamento e
benessere che possono costituire rilevanti fattori protettivi (Veronese, Said e Castiglioni, 2010).
Almeno il 55% dei bambini palestinesi ha vissuto esperienze traumatiche e dunque risulta evidente
la condizione di rischio per il benessere. Ciò però non deve escludere la necessità di esplorare le
condizioni che possono promuoverlo e rinforzarlo. In questa direzione, il presente studio indaga il
livello di benessere di 74 bambini Palestinesi (43 maschi e 31 femmine), di età compresa tra i 7 e i
15 anni. I bambini hanno risposto alla domanda aperta “Cosa ti fa sentire bene?” ed hanno
compilato i seguenti questionari autovalutativi: Positive and Negative Affect Schedule-Children
(Laurent et al. 1999) per misurare l’intensità delle emozioni; Multidimensional Students’ Life
Satisfaction scale (Huebner, 1994) per misurare la soddisfazione; Faces Scale (Andrews e Withey,
1976) per la valutazione della felicità. Sono state condotte analisi qualitative (Atlas-Ti) e
quantitative (Spss). I risultati evidenziano che i bambini, nonostante le condizioni ambientali
avverse, riportano buoni livelli di benessere. Inoltre emerge la rilevanza dei fattori non solo
personali ma anche sociali (in particolare le relazioni familiari ed amicali) nel favorire un buon
livello di benessere. Dall’analisi di regressione emerge che le emozioni positive contribuiscono alla
soddisfazione del bambino. I risultati vengono discussi alla luce delle implicazioni cliniche del
benessere in condizioni di vita potenzialmente traumatiche.
51
Le determinanti della soddisfazione lavorativa in università: il caso di un ateneo
italiano
Margherita Zito e Monica Molino (Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia)
Molti studi indagano le determinanti della soddisfazione lavorativa, intesa come indicatore di
benessere psicologico al lavoro, in diversi contesti. Quello accademico, in Italia, non è ancora stato
oggetto di specifiche ricerche, a differenza di altri paesi in cui è stato segnalato un peggioramento
della qualità della vita lavorativa (Kinman e Jones, 2008). Obiettivo dello studio è indagare il ruolo
di alcune risorse nel determinare la soddisfazione al lavoro. In particolare, la ricerca si focalizza
sull’autonomia lavorativa (caratteristica del lavoro accademico; Winefield et al., 2003), con
attenzione alle differenze tra personale docente-ricercatore (PDR) e tecnico-amministrativo (PTA)
di un’Università italiana. Il questionario, compilato da 595 rispondenti (46.6% PDR; 53.4% PTA),
ha indagato: soddisfazione lavorativa (α .76), supporti organizzativi (capi: α .90; colleghi: α .91),
autonomia lavorativa (α .91), commitment affettivo (α .85). L’analisi dei dati (PASW18) ha
previsto: analisi descrittive, α di Cronbach, analisi della varianza, correlazioni, regressioni multiple.
I dati evidenziano il ruolo del supporto dei superiori e, in misura minore, del commitment affettivo
nel favorire la soddisfazione lavorativa nei due campioni. L’autonomia, invece, mostra un’influenza
positiva sulla soddisfazione solo nel PDR, il quale, come mostra l’analisi della varianza, la
percepisce maggiormente rispetto al PTA. Nonostante alcuni studi abbiano segnalato l’autonomia
come causa di destrutturazione della giornata lavorativa da parte del personale accademico (lavoro
alla sera e nei fine settimana; Jacob e Winslow, 2004), con conseguente perdita dei confini tra
lavoro e resto della vita, i risultati di questa ricerca indicano l’autonomia come risorsa utile per
promuovere il benessere psicologico al lavoro.
La mente biculturale: un vincolo per il benessere personale e sociale del futuro?
Valentino Zurloni, Olivia Realdon, Luigi Anolli (CESCOM – Centro Studi per le Scienze della
Comunicazione, Università degli Studi di Milano-Bicocca)
Oggi stare bene con se stessi e con gli altri va incontro a una gamma estesa di difficoltà e minacce
generate da un’ondata massiccia di pressioni ambientali (revival etnico, migrazioni planetarie
imponenti, globalizzazione virtuale e commerciale ecc.). Date tali pressioni, una mente
monoculturale, predominante oggi negli umani, presenta limiti invalicabili in termini di benessere
52
(attrito,
conflitto,
discriminazione,
diffidenza,
insicurezza,
violenza,
etnocentrismo,
fondamentalismo ecc.). Per affrontare questa condizione occorre passare da una mente
monoculturale a una mente biculturale. È il passaggio compiuto recentemente da una minoranza di
individui (soprattutto giovani), documentato da numerose evidenze sperimentali a livello sia
comportamentale sia cerebrale (cervello biculturale dinamico). Nella loro mente gli individui
biculturali si sono appropriati dei modelli e sindromi di due culture diverse, anche antitetiche fra
loro (non sono “sino-americani” con il trattino, ma “cinesi e americani”; doppia identità culturale).
L’alternanza culturale (cultural frame switching) consente loro di passare da una cultura all’altra in
funzione degli indizi tangibili della situazione immediata (accessibilità mentale grazie al priming).
La mente biculturale, possibile “salto in avanti” nell’evoluzione della nostra specie, presenta una
gamma estesa di vantaggi effettivi in termini di benessere personale e sociale. È una mente aperta,
flessibile, versatile, tollerante, creativa. È una mente al plurale, in grado di promuovere nuove
forme di convivenza e di qualità della vita. Il presente contributo intende illustrare la traiettoria
teorica della mente biculturale. Sul piano operativo, intende altresì presentare alcune linee guida per
un percorso educativo (ricerca-azione) idoneo a promuovere la mente biculturale in ragazzi in età
scolastica.
53
Abstract Poster
54
Stare bene a scuola: similarità e differenze tra insegnanti di sostegno e
curricolari nella scuola primaria
Loredana Addimando, Alessandro Pepe (Università degli Studi di Milano-Bicocca)
La soddisfazione occupazionale è da tempo considerata un robusto predittore del benessere
individuale e della performance lavorativa (Diaz-Serrano e Cabral Vieira, 2005). Blum (1956)
definisce ‘job satisfaction’ l’insieme degli atteggiamenti individuali nei confronti del proprio lavoro
e dei fattori ad esso correlati. La professione insegnante risulta a rischio per lo sviluppo di fenomeni
di stress lavoro correlato e (conseguente) riduzione del benessere (Addimando, 2010; Brackett,
Palomera, Amojsa-Kaja, Reyes e Alovey, 2010). Il presente studio esplora la relazione tra la
soddisfazione lavorativa e il grado di ‘sofferenza psicologica’ (Fraccaroli e Schadee, 1993) in un
campione di insegnanti di scuola primaria della Lombardia (N=384). Attraverso l’utilizzo di
tecniche di regressione, si vuole esplorare il contributo di alcune dimensioni collegate alla
soddisfazione lavorativa rilevata attraverso Teachers’ Job Satisfaction Scale (TJSS-11; Pepe, 2011)
nello spiegare la variabilità dei punteggi di sofferenza psicologica, rilevati attraverso General
Health Questionnaire (GHQ-12; Fraccaroli e Schadee 1993) con particolare attenzione alle
differenze esistenti tra insegnanti di sostegno (IS) ed insegnanti curriculari (IC). I risultati della
regressione stepwise sottolineano come nel gruppo IC (F1,333 = 12.20, p < .00l, r2 = .063) la
soddisfazione nei confronti dei colleghi (β = -.182, p < .001) e degli studenti (β = -.166, p < .002)
abbia una funzione moderatrice del grado di sofferenza psicologica. Nel gruppo IS (F1,48= 7.298, p
< .01, r2=.114) tali variabili non risultano significative, al contrario di quanto rilevato nella
soddisfazione nei confronti dei genitori (β = -.363, p < .01). I risultati sono discussi in relazione alla
necessità di pianificare interventi di promozione del benessere differenziati per i due gruppi di
docenti.
La promozione del benessere psicologico nel trattamento dei disturbi somatici in
età evolutiva
Elisa Albieri, Dalila Visani, Francesca Vescovelli, Fedra Ottolini, Chiara Ruini (Università di
Bologna, Dipartimento di Psicologia)
In età pediatrica il disagio psicologico si manifesta frequentemente attraverso sintomi somatici, in
particolare cefalee e dolori addominali, per i quali spesso i trattamenti sanitari tradizionali non
55
sembrano risolutivi, suggerendo così la potenziale utilità di un aiuto piscologico. Lo scopo di questo
studio pilota è l’applicazione della Well-Being Therapy (WBT) su un campione di bambini (N=16;
età media=10,13; DS=1,78) afferenti al Servizio di Salute Mentale e Riabilitazione InfanziaAdolescenza della AUSL di Ferrara, testandone i possibili effetti nella riduzione dei sintomi di
disagio, in particolare quelli somatici, e nello sviluppo di nuove capacità e competenze. La WBT si
è articolata in 8 sedute settimanali individuali e 2 incontri aggiuntivi di Parent Training. È stato
inoltre effettuato un incontro di follow-up a 1 anno. I livelli di benessere e disagio psico-fisico dei
bambini sono stati misurati attraverso 3 questionari: 1) Psychological Well-Being Scale (PWB); 2)
Symptom Questionnaire (SQ); 3) Revised Children’s Manifest Anxiety Scale (R-CMAS). A fine
trattamento tutti i bambini risultavano migliorati, facendo rilevare una riduzione dei sintomi ansiosi
e somatici e l’incremento delle competenze generali e del benessere psicologico, confermati dal
parere dei genitori. I risultati si sono mantenuti anche al follow-up, continuando a far registrare in
molti casi significativi miglioramenti. Nonostante si tratti di un’indagine preliminare, questo nuovo
trattamento, mirato alla promozione del benessere psicologico in età pediatrica, mostra di poter
essere molto utile anche nel ridurre la sofferenza somatica, favorendo lo sviluppo di aspetti del
benessere che sembrano svolgere un ruolo protettivo prolungato.
Autismo e sedute di PAT
Gloria Argentieri, Serena Basile, Roberta Cacioppo, Gubert Finsterle, Riccardo Pignatti (AVS
Research)
La seduta di Psico-Acustica Transizionale (PAT) - completamente determinata dal punto di vista
fisico-matematico - consiste nell’ascolto di un suono a struttura frattalica emesso secondo i
parametri previsti dal sistema di riproduzione audio AVS (Int. pat.), in grado di indurre uno stato di
ipersincronizzazione globale tra popolazioni neurali che sembra attivare un processo di
cancellazione endogena di patterns disfunzionali correlabile all’apertura di nuovi ed efficaci
percorsi neurali. L'effetto generale è una maggiore plasticità e connettività funzionale tra le
popolazioni neurali, incrementando prestazioni psico-fisiche per almeno 48 ore. È stato condotto
uno studio pilota su 5 bambini di età compresa tra i 4-7 anni (3: sindrome autistica, 1: ritardo della
comunicazione, 1: disturbo linguistico-emotivo-relazionale) per valutare quali cambiamenti possano
essere indotti da 6 sedute di PAT (frequenza bisettimanale). Tutti i soggetti erano già in terapia
presso un centro medico specializzato da almeno 6 mesi. L'efficacia delle sedute è stata valutata
attraverso griglie di osservazione analitica suddivisa per aree (emotivo-relazionale, cognitiva,
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linguistico-espressiva, percettivo-motoria) compilate dagli operatori di riferimento, un questionario
semi-strutturato compilato da un care-giver contenente note degli operatori e la videoregistrazione
delle sedute. Tutti i bambini hanno risposto in modo positivo al trattamento, permettendo in alcuni
di riscontrare cambiamenti dalla prima seduta. In nessun caso si sono verificati effetti collaterali
negativi. Nei bambini si sono osservati la riduzione, quando presenti, di stereotipie, tic, manierismi,
eccessiva sensibilità a determinati stimoli oltre all’acquisizione di nuove competenze cognitive. Un
dato che emerge trasversalmente riguarda una modulazione più armonica delle competenze motorie
e attentive.
Psicologia ambientale e benessere al lavoro: il ruolo della restorativeness nella
determinazione della sicurezza
Rita Berto, Margherita Brondino, Margherita Pasini (Università di Verona)
Molte ricerche hanno indagato l’impatto di variabili organizzative e di caratteristiche individuali
sulla salute fisica e mentale del lavoratore, ma quali sono le caratteristiche fisiche dell’ambiente di
lavoro, percepite dal lavoratore, maggiormente associate al suo benessere? Le caratteristiche fisiche
dell’ambiente possono essere la causa di disturbi fisici-fisiologici e di fatica mentale (Kaplan,
1995), cioè una condizione di affaticamento dell’attenzione diretta che può tradursi in maggiori
incidenti/infortuni. Per non compromettere la capacità attentiva, gli ambienti di lavoro dovrebbero
avere un livello adeguato di stimolazione, offrire la possibilità di un certo grado di controllo e
offrire affordances adeguate, cioè dovrebbero essere dotati di alcune caratteristiche rigenerative. In
un recente studio (Pasini, Berto e Brondino, 2011) è stata trovata una relazione negativa tra
restorativeness percepita e frequenza degli incidenti sul lavoro: i lavoratori che percepiscono il loro
ambiente di lavoro come meno rigenerativo riferiscono di avere avuto più incidenti. Nella presente
ricerca il livello di rigenerazione dell’ambiente di lavoro è misurato su alcune dimensioni della PRS
(Pasini, Berto, Scopelliti e Carrus, 2009) nella sua versione modificata, in particolare “Fascination”
(capacità dell’ambiente di attrarre l’attenzione involontaria), “Coherence” (il grado di coerenza
interna dell’ambiente) e “Being-Away” (allontanarsi dalla realtà quotidiana). La ricerca ha
coinvolto 540 lavoratori in produzione di una azienda veneta. Attraverso un modello di regressione,
si evidenzia che dei tre fattori rigenerativi, l’unico rilevante nel determinare un minor numero di
incidenti è la “Coherence”: la disposizione coerente della postazione di lavoro contribuisce a non
affaticare l’attenzione, portando ad una riduzione degli incidenti.
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Job Search Behaviour e Psicologia Positiva: motivazione ed auto-efficacia nella
ricerca di un lavoro
Laura Bortolossi, Margherita Pasini (Università di Verona)
L’utilizzo di tecniche atte a far emergere profili motivazionali è recentemente aumentato negli
ultimi anni nella letteratura scientifica ed in alcuni recenti articoli sulla Self Determination Theory
(Gillet, Vallerand e Rossnet, 2009; Ratelle, Guay, Vallerand, Larose e Senécal 2007; Vansteenkiste,
Sierens, Soenes, Luyckx e Lens, 2009). Bortolossi, Pasini e Gliozzo (2010) hanno evidenziato la
presenza di quattro profili motivazionali, in relazione al livello di motivazione autonoma e di
motivazione controllata, che mostrano un diverso andamento nel comportamento di ricerca attiva
del lavoro (Job Search Behaviour, JSB; Bretz, Boudreau e Judge, 1994; Blau, 1993, 1994): l'alta
motivazione, sia autonoma che controllata, determina il più alto valore di JSB. Anche un'alta autoefficacia percepita nella ricerca del lavoro (Job Search Self-Efficacy, JSSE; Saks, 2006) è in
relazione ad un alto JSB. La presente ricerca indaga l'effetto combinato dell'auto-efficacia e del
profilo motivazionale nel JSB. L’analisi di 258 disoccupati provenienti dai Centri per l’Impiego
della Regione FVG ha evidenziato che questi, pur con alta JSSE, se non sono supportati dalla
motivazione, manifestano dei bassi comportamenti di JSB. Senza motivazione, possedere un’alta
auto efficacia non determina un elevato comportamento di ricerca del lavoro. Confrontando tra loro
i due gruppi con più alta e più bassa JSSE rispetto al comportamento di ricerca del lavoro, il gruppo
ad alto valore di JSSE mostra sempre un valore più elevato di JSB, per ogni profilo motivazionale,
tranne per il gruppo con bassa motivazione autonoma e controllata, per il quale non vi è differenza
significativa nel JSB.
M.Im.O.S.A. : trattamento del disorientamento spaziale degli anziani
Valentina Busato, Adalberto Bordin, Rossella Basso (Consorzio Sociale CPS)
Il protocollo riabilitativo M.Im.O.S.A. ha origine da una precedente ricerca-intervento condotta in
collaborazione con F. Pazzaglia, docente di Psicologia generale e della Personalità e di Abilità
spaziali all’Università di Padova e ha lo scopo di migliorare le abilità di orientamento spaziale negli
anziani. M.Im.O.S.A. si propone di educare l’immaginazione e di usarla come possibile strategia
cognitiva per potenziare l’orientamento spaziale in soggetti anziani. Si prefigge lo scopo di rendere
più agevole il recupero delle informazioni in memoria, arricchendole di connessioni significative al
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momento della codifica. È stato sperimentato in trentasei soggetti anziani residenti presso una
struttura gestita dal Consorzio sociale CPS di Treviso e i dati emergenti dalla ricerca hanno
evidenziato come il training abbia permesso al gruppo sperimentale di ottenere un atteggiamento
meta- cognitivo funzionale ai compiti di orientamento spaziale e acquisire un miglioramento dello
stato di benessere. M.Im.O.S.A. descrive in modo pratico e dettagliato un protocollo operativo di
orientamento spaziale da attuare in una residenza per anziani ad opera di psicologi, educatori
professionali/pedagogisti, animatori ed operatori socio-sanitari.
Regolazione delle emozioni e benessere nei bambini...
Nicoletta Businaro, Ottavia Albanese (Università degli Studi di Milano-Bicocca)
Vi è un sostanziale accordo che la capacità di regolare le proprie emozioni, abilità che rientra nel
complesso costrutto teorico di competenza emotiva (Albanese et al., 2006), possa essere un
possibile predittore per il benessere della persona (Eisenberg e Fabes, 1999; Caprara e Steca, 2005).
Nell’ambito della Psicologia Positiva, la prospettiva edonica (Diener, 2000) riferisce il concetto di
benessere ad una componente emotiva (emozioni) e ad una cognitiva (soddisfazione della vita). Gli
studi sul legame tra regolazione delle emozioni e benessere sono stati condotti con adolescenti ed
adulti e poche ricerche hanno considerato la fascia di età infantile. Dunque, il presente studio
intende indagare tale legame in un campione di 132 bambini (72 maschi e 60 femmine; età
media=9.5). I bambini hanno compilato i seguenti questionari autovalutativi: How I feel (Walden et
al., 2003; “Come mi sento” - versione italiana di Antoniotti et al., 2008), Positive and Negative
Affect (Laurent et al., 1999), Multidimensional Students’ Life Satisfaction Scale (Huebner, 1994).
La capacità di regolare le proprie emozioni, soprattutto negative, risulta legata al benessere, in
particolare, alla componente emotiva. Una maggiore capacità di regolare le emozioni negative è
legata ad una maggiore intensità di emozioni positive (p<.001). I risultati evidenziano inoltre
significative differenze di genere per le tre variabili considerate (regolazione emotiva, intensità
emozioni e soddisfazione). I risultati verranno discussi alla luce delle implicazioni che la capacità di
regolare le emozioni può avere per il benessere individuale e sociale del bambino.
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Consumo di Carne: Il Problema
Elena Cadel (Università degli Studi di Milano-Bicocca)
La carne è considerata un prodotto fondamentale per l’alimentazione, tuttavia, consumi eccessivi
hanno gravi implicazioni per la salute e per l’ambiente. Recenti studi hanno dimostrato una
correlazione diretta tra l’abbondanza di proteine animali e lo sviluppo delle più comuni patologie,
quali obesità, cancro, malattie cardiovascolari e sindrome metabolica. Contemporaneamente,
allevare animali per scopi alimentari, soprattutto in contesti industriali, influisce sui cambiamenti
climatici a causa delle emissioni di gas tossici, dello spreco di risorse (come, acqua ed elettricità),
della deforestazione e dei danni provocati dallo smaltimento di tutto ciò che non è utile alla
produzione. In Italia il consumo di carne è aumentato vertiginosamente negli anni e nuove abitudini
alimentari devono farsi strada nella popolazione. L’informazione, da sola, non è sufficiente per
incoraggiare la messa in atto di nuovi comportamenti, soprattutto se essi implicano un impegno a
lungo termine; per questo motivo, urge cercare strategie basate sulla comprensione del rapporto
carne-individuo. L’obiettivo di questo progetto di dottorato è di analizzare le percezioni, le
aspettative di consumo, gli atteggiamenti e le principali variabili psicologiche, come identità, norme
e valori, che possono influire su questa relazione. L’indagine verrà svolta su un campione di giovani
(età 21-31), autonomi nei loro comportamenti di consumo, e prevede l’utilizzo di strumenti
quantitativi (un questionario basato su una versione modificata della Teoria del Comportamento
Pianificato) per descrivere il fenomeno e di strumenti qualitativi, come il Life Histories Interview
Approach, per indagarne l’evoluzione e le implicazioni culturali.
La valutazione degli aspetti psicosociali della menopausa
Alessandra Capra (Università degli Studi di Milano-Bicocca)
Due lavori hanno affrontato il tema della menopausa. Il primo si è occupato di intervistare donne in
menopausa precoce per esplorare i sentimenti, le emozioni e le percezioni di Sé al momento della
comunicazione della diagnosi e la ricaduta sulla vita quotidiana; l’ipotesi di ricerca, confermata
dall’analisi dei contributi narrativi, era verificare se gli aspetti psicosociali legati alla menopausa
precoce fossero influenzati dal contesto sociale e dagli stereotipi relativi. Per il secondo è stato
costruito un questionario, ispirato dallo Psychological General Well Being Index e dal Women
Health Questionnaire, somministrato a donne in menopausa e non; l’ipotesi di ricerca era valutare
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se la qualità della vita potesse essere intaccata dall’evento. I dati raccolti, elaborati tramite SPSS,
hanno rivelato due fattori: Benessere e Senso di liberazione. Per le donne in menopausa l’aumento
di benessere è direttamente proporzionale con la distanza dall’evento; mentre per le altre il
benessere decresce con l’avvicinarsi dell’evento.
Disturbi alimentari e organizzazione del significato: un contributo empirico
Marco Castiglioni*, Elena Faccio**, Guido Veronese*, Annalisa Poiana Mosolo** (*Università di
Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “R. Massa” ** Università di
Padova, Dipartimento di Psicologia Applicata)
Secondo l’approccio sistemico-costruzionista la psicopatologia è una “scienza del significato”: i
disturbi psicopatologici sono legati a specifiche dimensioni semantiche e alla posizione occupata
dai singoli individui nel loro contesto familiare. La semantica del potere è considerata la
dimensione di significato critica per le persone che presentano disturbi alimentari (anoressia,
bulimia, obesità). Il contributo sottopone al vaglio empirico la teoria che connette i disturbi del
comportamento alimentare (DCA) alla semantica del potere, formulando l’ipotesi che i significati
personali “vincente/perdente” e i loro correlati siano predominanti per questi pazienti. I costrutti
personali di 30 giovani DCA (suddivisi in 10 obesi, 10 anoressiche, 10 bulimiche) sono stati rilevati
utilizzando la tecnica delle Griglie di Repertorio (Kelly, 1955) e posti a confronto con quelli di un
gruppo di controllo composto da 30 soggetti normo-peso. I costrutti personali sono stati classificati
in categorie semantiche e i dati confrontati attraverso opportune analisi statistiche. Dai risultati
emerge che i costrutti del gruppo DCA sono correlati alla semantica del potere più di quelli del
gruppo di controllo, confermando le ipotesi formulate, sebbene l’interpretazione dei dati relativi ai
sottogruppi appaia meno chiara. Tali risultati possono essere rilevanti sia alla luce sia delle loro
implicazioni cliniche sia in termini di prevenzione e di promozione del benessere e della salute.
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La regolazione emozionale e rabbia come predittori del benessere nei giovani
all’inizio dell’adolescenza e verso l’età adulta
Cristina Ciuluvica*, Maria Cristina Verrocchio**, Chiara Conti**, Daniela Marchetti**, Mario
Fulcheri** (*Università di Bucarest, Facoltà di Psicologia e Scienze dell’Educazione ** Università
G. D’Annunzio Chieti-Pescara, Facoltà di Psicologia)
Considerando sia le grandi trasformazioni emozionali e sia il fatto che il periodo dell’adolescenza è
caratterizzato da importanti cambiamenti che sono determinanti per l’equilibrio e la qualità di vita
nell’età adulta, il presente lavoro mira ad individuare le relazioni tra autostima, regolazione
emozionale, aggressività e benessere nei giovani all’inizio ed alla fine dell’adolescenza e portare un
contributo su ciò che riguardano i metodi di sviluppo personale in questa fascia di età. Si è scelto di
effettuare la ricerca su un campione di 220 giovani di età compresa tra i 15 e 23 anni. Per la
valutazione della regolazione emozionale è stato utilizzato Emotion Regulation Questionnaire
(Gross e John, 2003), considerando due meccanismi di base con impatto differente sulla qualità di
vita e benessere della persona: la soppressione espressiva e la rivalutazione cognitiva. Per esaminare
l’aggressività sono state rilevate: aggressività fisica, aggressività verbale, rabbia e ostilità con
l’utilizzo del Aggression Questionnaire (Buss e Perry, 1992). Per determinare invece il benessere
della persona è stato utilizzato Satisfaction With Life Scale (Diener, Emmons, Larsen e Griffin,
1985) e come indice di riferimento, il valore soggetivo di vita. Per la valutazione dell’autostima è
stato utilizzato Rosemberg con Self-Steem Scale sviluppada da Moris Rosemberg (1965).
Indipendentemente dalle caratteristiche socio-demografiche (sesso ed età), l’autostima risulta
correlata sia con la rivalutazione cognitiva e sia con il livello e la forma dell’aggresività con
implicazioni sul benessere fisico e psicologico della persona. È stata dimostrata una correlazione
positiva fra l’autostima e la rivalutazione cognitiva (,334; p<,001) e fra autostima e soddisfazione
soggettiva di vita (,618; p<,001). Per ciò che riguarda l’aggressività sono state trovate correlazioni
negative fra autostima e rabbia (-,356; p<,001), autostima e ostilità (-,502; p<,001) e autostima e
aggressività totale (-,328; p<,001). Nello steso tempo, per la popolazione studiata, è stato
dimostrato che esiste una correlazione negativa fra la soppressione espressiva delle emozioni e la
rabbia (-,229; p<,001) e fra soppressione e aggressività totale (-,140; p=,038). L’analisi dei dati ha
confermato l’ipotesi principale del seguente studio, ossia che l’autostima influenza notevolmente la
capacità di regolazione emozionale ed implica importanti cambiamenti sul livello di aggressività e
di benessere della persona.
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I Disturbi dello Spettro Autistico oggi: curare lo sviluppo di identità “atipiche”
all’interno di comunità “tipiche” aperte al valore delle differenze
Vittoria Cristoferi, Emanuela Corneli, Marta De Rinaldis (Associazione OIKIA)
L’aumentata prevalenza del disturbo dello spettro autistico e il riconoscimento di competenze
cognitive e relazionali, peculiari ma reali, nei soggetti autistici, sensibilizzano sempre più la
comunità ad un’integrazione positiva. Il miglior approccio parte da ciò che le persone autistiche
propongono e manifestano, dai loro interessi, e li coinvolge con spontaneità in relazioni che
valorizzano ciò che è adeguato in loro, rinforzando i comportamenti utili e funzionali. La forza di
questo intervento sta nel non lasciarli mai senza proposte e nell’utilizzare strategie non coercitive
mettendo in gioco le loro risorse spesso sorprendenti. L’associazione Oikia crea progetti di
integrazione allargata e partecipata, dalla prima infanzia fino all’Università o al lavoro: a partire
dalla richiesta della famiglia, struttura interventi multidimensionali, agendo su contesti formali e
non, grazie alla competenza dei suoi professionisti (neuropsichiatria infantile, psicologi,
logopedista, educatore professionale) e all’uso di innovative metodologie comunicative, relazionali
ed educative (C.A.A.:W.O.C.E., Approccio D.I.R./Floortime, Family’s Angels). L’intervento mira a
creare esperienze con lo scopo di incrementarne le capacità comunicative e relazionali e sviluppare
apprendimenti orientati all’autonomia, con miglioramento della sua qualità di vita. La scuola è il
luogo per eccellenza che permette di sviluppare questi aspetti: l’accompagnamento specialistico del
ragazzo nei diversi cicli scolastici rafforza le competenze acquisite e pone le basi per un continuo
miglioramento. Sia la dimensione individuale che quella relazionale diventano campo fertile per il
benessere: essere aiutati ad individuare i propri punti di forza permette ai soggetti autistici di
impegnarsi per realizzarsi e per vivere al meglio la propria vita nella comunità.
Emozioni ed apprendimento a scuola
Chiara Deprà, Ottavia Albanese (Università Milano Bicocca, Facoltà di Scienze della Formazione)
Le emozioni legate all’apprendimento come la gioia, l’ansia e la noia sono frequenti, pervasive ed
intense nelle situazioni scolastiche ed influenzano la performance cognitiva degli studenti (Pekrun,
2007). In particolare, studi recenti (Goetz et al., 2007) hanno dimostrato che le emozioni positive
(gioia, orgoglio) sono significativamente correlate alla riuscita e al successo scolastico. Nonostante
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l’importanza degli aspetti emotivi nell’apprendimento, poche ricerche sono state condotte con
bambini della scuola primaria (Pekrun et al., 2002a; Schutz e Pekrun 2007, Pekrun et al. in press).
Il presente studio intende indagare la relazione tra le emozioni e la riuscita in compiti di risoluzione
di problemi matematici e di comprensione del testo in 77 bambini di classe terza (età media= 8 anni
e 10 mesi). Gli studenti hanno compilato i seguenti questionari: Achievement Emotions
Questionnaire- Elementary School – Mathematics (Pekrun, Lichtenfel, Killi; 2007) e la versione per
la lingua italiana. Inoltre sono stati somministrati: la Prova di Comprensione MT (Cornoldi, 1998),
il Test di Soluzione dei Problemi Matematici, SPM (Lucangeli et al., 1998). I risultati evidenziano
che, in generale, i bambini provano con maggiore intensità gioia (M=3.53) rispetto a noia (M=1.81)
ed ansia (M=1.89). Significative differenze (paired t-test) emergono in considerazione delle
discipline: i bambini provano maggiore gioia, minore noia ed ansia in matematica rispetto
all’italiano. Correlazioni significative indicano che migliori risultati nella risoluzione dei problemi e
nella comprensione del testo sono legati all’emozione della gioia mentre correlazioni negative si
hanno con l’emozione dell’ansia. Tali risultati suggeriscono l’utilità di tenere in considerazione il
ruolo degli aspetti emotivi per l’importanza che essi rivestono nel processo stesso di apprendimento
e per l’effettivo rendimento scolastico.
La meditazione: un metodo per potenziare benessere e risorse cognitive
attraverso l’incremento delle risorse delle emozioni positive
Veronica Delai, Anna Maria Meneghini (Università degli Studi di Verona, Dipartimento di
Filosofia, Pedagogia e Psicologia)
La ricerca segue il paradigma sperimentale che Fredrickson e collaboratori hanno utilizzato per lo
studio degli effetti delle emozioni positive (Broaden-and-Build Theory). Il metodo di induzione
utilizzato è la meditazione, tecnica che, a differenza di altre proprie del setting laboratoriale
(esempio: filmati), è praticabile anche nel quotidiano dopo specifico training. Scopo della ricerca:
rilevare se l’induzione di emozioni positive attraverso la meditazione sortisce gli stessi effetti a
breve termine delle tecniche di induzione utilizzate in laboratorio. 14 persone che praticano da
tempo meditazione hanno costituito il gruppo “Induzione Emozioni Positive”. 30 partecipanti, che
non praticano meditazione, hanno formato il gruppo di controllo (induzione emozione rabbia).
Con uno schema di rilevazione pre-post induzione sono stati misurati gli effetti sull’intensità di 16
emozioni (5 positive; 11 negative) e sulle prestazioni dei due gruppi rispetto a 4 compiti di localglobal visual processing task e un compito di immaginazione. I risultati sono in linea con le attese
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ed evidenziano come l’induzione di emozioni positive attraverso la meditazione produca una
riduzione nell’intensità di quelle negative e un aumento di quelle positive, oltre a far sì che i
“meditatori” abbiano una visione global piuttosto che local e un’immaginazione più vivida e legata
al tipo di emozioni elicitate dall’induzione. Tali risultati, in linea con gli esiti degli esperimenti di
Fredrickson e collaboratori, confermano come la meditazione possa essere considerata una valida
tecnica di induzione di emozioni positive nel quotidiano.
Bambini popolari e bambini rifiutati: quali implicazioni sullo svolgimento di un
compito strutturato cooperativo?
Simona De Stasio*, Caterina Fiorilli**, Maria Cristina Rappazzo*, Cristiana Rolli*, Carlo Di
Chiacchio*** (*Università di Roma “Foro Italico” **Lumsa ***Invalsi)
La “buona fama” che alcuni bambini si costruiscono tra i propri compagni di scuola si basa sul
riconoscimento che essi ricevono a partire dai comportamenti prosociali messi in atto (Eisenberg e
Fabes, 1998; Rubin, Bukowski e Parker, 1998; Walker, 2009). Le caratteristiche dei bambini
rifiutati o invisibili, il cui basso grado di accettazione sociale induce i ricercatori a considerare
bambini meno abili socialmente (Ladd, 2006), rimangono troppo spesso non indagate. Si ritiene
interessante poter mettere a fuoco il ruolo attivo che quest’ultimi agiscono all’interno di un gruppo
che li rifiuta o li nega ed approfondire i processi di riconoscimento che essi attivano. Nell’ambito di
un più ampio disegno di ricerca sugli aspetti protettivi nella determinazione dello status
sociometrico in classe, in questa sede saranno esplorate le possibili differenze nella qualità degli
scambi verbali con l’altro attivati da bambini popolari e da bambini rifiutati. Si è scelto di
analizzare gli scambi in un compito strutturato cooperativo da svolgere in coppia con un amico di
classe. Su un campione di 190 bambini coinvolti di età compresa tra i 4 e 7 anni, sulla base dei
sociogrammi di Moreno (1953) effettuati in ciascuna classe, sono state selezionate 18 coppie. È
stata effettuata un’analisi qualitativa delle conversazioni secondo la metodologia proposta da Fasulo
e Pontecorvo (1999) individuando 3 strategie conversative: cooperazione vs. conflitto, accordo vs.
disaccordo, simmetria vs. asimmetria. Gli esiti principali evidenziano come in presenza di un
bambino molto popolare la coppia protende per un’ interazione cooperativa e in accordo; in
presenza, invece, di un bambino rifiutato, l’interazione assume i caratteri di conflittualità,
disaccordo e asimmetria.
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Effetti Psicologici Postivi Dell’immersione Subacquea: un’innovativa tecnica per
il raggiungimento del benessere
Chiara Di Credico, Filippo Cestaro, Alessandra Santona, Gherardo Amadei (Università degli Studi
di Milano-Bicocca)
In contrapposizione alla tradizionale visione che generalmente considera l’attività di immersione
subacquea un’attività che induce stress e sconsigliata per le persone con una tendenza all’ansia
elevata, si vogliono sottolineare gli effetti psicologici positivi di questa attività, condotta in
determinate condizioni. Studi mostrano la dominanza di attivazione parasimpatica durante
l’immersione, altri evidenziano una relazione tra l’incremento dell’attività parasimpatica ed il
benessere. Nessuno studio ancora indaga la relazione tra immersione e benessere. Scopo di questo
lavoro è stato quello di investigare questa relazione con particolare attenzione ai livelli di ansia,
all’equilibrio emotivo e alla capacità di mindufulness, anche in presenza di elevati livelli di ansia.
120 soggetti sono stati reclutati in un luogo di vacanza: 61 hanno svolto attività subacquea; 59
hanno svolto altre attività, tranne quella subacquea. Sono state svolte le misurazioni in due momenti
distinti: il giorno di arrivo nella struttura turistica; il giorno prima di partire e sono stati valutati i
cambiamenti psicologici dopo una settimana. Il gruppo dei subacquei diminuisce significativamente
i livelli di ansia di stato e di tratto confrontati con i controlli, anche in coloro con alti livelli di ansia
di tratto alla baseline. Anche l’equilibrio emotivo e la mindufulness dei subacquei mostrano
significativi miglioramenti. Questo primo studio sperimentale vuole introdurre una innovativa
tecnica per il raggiungimento del benessere. Quindi, si suggerisce di considerare questa attività,
svolta in determinate condizioni, come un nuovo modo per promuovere il benessere e per
migliorare l’abilità di far fronte efficacemente alle differenti richieste ambientali.
Non solo burden: aspetti positivi correlati all’assistenza di un familiare affetto
da Malattia di Alzheimer
Susanna Falchero, Elisa Tanzini (Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Psicologia
Generale)
La letteratura scientifica evidenzia da tempo come l’assistenza quotidiana ad un familiare affetto da
malattia degenerativa, quale quella di Alzheimer, sia un compito estremamente impegnativo che
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mette a dura prova il benessere psicofisico del primary caregiver e degli altri membri della famiglia.
Se la maggior parte delle ricerche si è concentrata sull’impatto negativo del caregiving, esistono
però alcuni studi che hanno dimostrato come prendersi cura di un familiare gravemente ammalato
possa rappresentare anche un momento positivo di “crescita personale” (i.e. Koerner et al., 2009).
Abbiamo pertanto inteso valutare la percezione di aspetti positivi in primary caregiver di pazienti
affetti da malattia di Alzheimer, attraverso colloqui di ricerca. Utilizzando come cornice teorica di
riferimento il lavoro di Sanjo et al. (2009) si sono analizzate quattro macroaree: senso di
competenza personale, senso della vita, riordino delle priorità, apprezzamento degli altri. I risultati
evidenziano una correlazione inversa tra livelli di burden esperito e percezione di aspetti positivi nel
caregiving, soprattutto per quanto riguarda l’area “riordino delle priorità”. Ciò sembra indicare che
la diminuzione dei livelli di burden si accompagni al cambiamento nella gerarchia dei propri valori
personali e a un maggiore apprezzamento per “il quotidiano”. Consapevoli che tali riflessioni non
sempre sorgono in modo spontaneo, riteniamo fondamentale la messa a punto di interventi rivolti ai
primary caregiver affinché, attraverso metodi quali il colloquio o l’autobiografia, possano
ripercorrere l’esperienza della care e riappropriarsi di quegli aspetti positivi che spesso vengono
“oscurati” dal peso dell’assistenza.
Effetti psicosociali della formazione negli atteggiamenti degli insegnanti di
sostegno
Graziella Di Marco, Orazio Licciardello, Manuela Mauceri (Università di Catania)
Abbiamo proposto un intervento formativo laboratoriale e ispirato all’Action Learning, a 61
insegnanti abilitanti al sostegno. Abbiamo adottato metodologie didattiche attive, orientate a
produrre apprendimenti e cambiamenti mediante il coinvolgimento personale dei partecipanti in
setting di piccolo gruppo, per stimolare una riflessione sulla propria identità professionale, sulle
personali rappresentazioni della disabilità e sugli effetti che tali rappresentazioni possono avere
sulla qualità delle relazioni tra insegnanti e studenti. L’obiettivo della ricerca è stato duplice: per un
verso, esplorare la rappresentazione che il nostro campione ha dell’insegnante di sostegno e
dell’alunno, e valutare il coinvolgimento emotivo nel rapporto educativo; per l’altro, verificare
l’ipotesi secondo la quale l’intervento proposto, centrato sulla partecipazione attiva dei formandi,
potesse produrre una rappresentazione degli alunni più positiva e connotata da un maggiore
coinvolgimento emotivo. Abbiamo utilizzato i seguenti strumenti: 4 items per misurare il
Sentimento del Potere (Spaltro, 1984); 3 Differenziali Semantici; il Portrait Values Questionnaire
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(Schwartz et al., 2001), limitatamente ai 10 items che misurano la dimensione valoriale
dell’Autotrascendenza; 2 inventari PANAS (Watson et al., 1988); una scala per valutare l’Empatia
verso le persone disabili. I risultati hanno indicato come il coinvolgimento attivo delle persone alle
attività di formazione abbia prodotto degli effetti in favore di una più articolata rappresentazione
emozionale degli studenti, sia normodotati che disabili. L’orientamento valoriale all’autotrascendenza aumenta in modo apprezzabile dopo la formazione laboratoriale. Il Sentimento del
Potere, dopo la partecipazione al training, passa da un punteggio contenuto ad uno di livello medioalto.
“La montagna che va da Maometto”
Rosaria Ferone (ASL Napoli 2 Nord)
L’esigenza di raggiungere le fasce popolari di utenza per le campagne di promozione alla salute ci
ha indirizzato a recuperare i “cortili”, loro tradizionali luoghi di aggregazione, per portare gli
interventi nei loro luoghi quotidiani: “La montagna che va da Maometto”, con l’ausilio di un
camper di cui l’Azienda dispone. Le finalità sono:
a) intercettare e coinvolgere fasce di popolazione difficilmente raggiungibili con mezzi
informativi tradizionali al fine di attivare canali comunicativi per veicolare interventi di
promozione della salute;
b) creare una rete stabile di partners locali (Comuni, Distretti, associazioni, parrocchie,
stampa).
Questo modello operativo ha trovato applicazione nella collaborazione con la campagna di
prevenzione del carcinoma della cervice uterina portando lo screening direttamente nei cortili del
territorio: il camper allestito come ambulatorio ginecologico, ha raggiunto numerose donne nei loro
cortili. Associazioni del territorio hanno collaborato ad organizzare focus group con le donne prima
e dopo l’uscita col camper nei cortili per consentire la massima partecipazione della comunità nella
pianificazione degli interventi di promozione della salute utilizzando strategie di attivazione delle
reti, istituzionali e non. Nei cortili sono stati consegnati gadgets e opuscoli informativi delle attività
dei Distretti. Sono stati inoltre somministrati questionari per conoscere le principali cause di
evasione dallo screening e della diffidenza verso le strutture del SSN. Ad una prima valutazione si
riscontra un incremento significativo delle prenotazioni per lo screening nei Distretti di riferimento
dei Comuni raggiunti dal camper, presumibilmente dovuto all’azione educativa svolta. Inoltre i
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prelievi effettuati direttamente nei cortili sul camper hanno fatto registrare numerose positività,
alcune delle quali di grave livello, con indicazione chirurgica.
MAMME NEL VORTICE. Uno studio sulla prevenzione della depressione e
sulla promozione del ben-essere nel post partum
Gabriella Gandino, Mara Vesco, Veronica Coppola (Università di Torino, Dipartimento di
Psicologia)
La gravidanza è un periodo di particolare vulnerabilità per l’insorgere di disturbi affettivi nelle
donne. L’esistenza del mito circa l’obbligo di essere madri felici rischia di provocare nelle donne in
gravidanza e nelle neomadri una forte dissonanza cognitiva tra le emozioni provate, inevitabilmente
anche negative e contraddittorie, e le aspettative dell’ambiente familiare e sociale. La discrepanza
tra l’aspettativa di felicità e le inaspettate sensazioni di tristezza e irritabilità possono portare molte
donne a non esprimere il loro disagio e a sottovalutare l’esordio dei sintomi più comuni della
depressione post-partum. Lo studio che abbiamo condotto parte dall’idea che, per un’efficace
prevenzione, sia necessario conoscere le storie personali e familiari, i vissuti e i sentimenti di ogni
donna, al fine di connettere gli interventi supportivi alle reali esigenze di ciascuna; la depressione
post-partum a nostro avviso può essere infatti intesa come un sintomo che nasconde una pluralità di
possibili disagi, con origini e significati diversi. Il presente contributo, che espone una parte dei dati
raccolti in una ricerca più ampia, analizza i vissuti di 34 donne, raccolti attraverso la
somministrazione, durante i corsi pre-parto, di un’intervista semistrutturata. Le interviste sono state
trascritte e analizzate attraverso il programma di elaborazione qualitativa dei dati Atlas.ti. I risultati
depongono a favore di un ascolto individualizzato al fine di un utile intervento di prevenzione, ed
evidenziano l’importanza di una rete di sostegno ampia, variegata e stabile per diminuire le
probabilità che la donna cada nell’abisso del disturbo depressivo post-partum e percepisca al
contrario un aumentato ben-essere.
Il benessere attraverso l’armonia tra l’individuo e il gruppo
Antonio Lumia*, Cristina Scimemi*, Giuseppe Mannino** (*LUMSA Roma **Lumsa Palermo)
All’interno di una cornice di promozione del benessere sociale, l’associazione trapanese “Centro
Tutela dei Diritti del Cittadino onlus” in rete con la Provincia di Trapani, il Conservatorio “A.
69
Scontrino” di Trapani e la L.U.M.S.A. sez. S. Silvia di Palermo, promuovono l’attivazione di un
laboratorio di musica facilitata, iniziativa realizzata grazie al contributo economico ottenuto dalla
Provincia Regionale di Trapani, volto a soggetti diversamente abili, con disabilità lieve-moderata.
Le attività di laboratorio musicale vengono condotte in assetto gruppale, al fine di implementare
l’apprendimento musicale e lo sviluppo dei processi di socializzazione. Il laboratorio è condotto da
un musicista-musicoterapeuta, da uno psicologo-esperto in dinamiche di gruppo, con la presenza di
un assistente specializzato; il disegno di ricerca prevede inoltre che le attività esperenziali siano
oggetto di supervisione e di monitoraggio in itinere da parte dell’Università. Tale esperienza si
configura come un progetto innovativo per la realtà trapanese (siciliana) finalizzata ad offrire uno
spazio educativo, istruttivo, formativo e di socializzazione per una parte della popolazione spesso
ingiustamente emarginata. Obiettivi: la presente ricerca ha l’obiettivo di valutare il funzionamento
di tale esperienza attraverso la somministrazione di strumenti di esito e di processo. Target: 24
sogg. diversamente abili con disabilità medio-lieve, divisi in due gruppi da 12. Durata del progetto:
6 mesi. Strumenti esito: questionari di valutazione dell’apprendimento musicale e dell’area
relazionale. Strumenti processo: Griglia di Bales (1955), per valutare e monitorare le dinamiche di
gruppo (viene siglata al termine di ogni incontro).
Benessere Organizzativo e Senso di Autoefficacia. Riflessioni sulla qualità
percepita del contesto organizzativo in un istituto di credito siciliano
Paola Magnano*, Tiziana Ramaci*, Giuseppe Santisi** (*Libera Università degli Studi Kore,
Enna **Università degli Studi di Catania)
Il passaggio culturale dalla health protection alla health promotion segna lo spostamento del focus
dell’intervento organizzativo dall’ottica medica di cura e tutela dei rischi e del malessere ad
approcci focalizzati sul miglioramento continuo delle condizioni di vita della comunità
organizzativa (Kaneklin, Scaratti, 2010). Inoltre, numerose ricerche empiriche (Borgogni, 2001)
avvalorano il ruolo centrale delle convinzioni di efficacia nel favorire lo sviluppo delle carriere,
l’efficienza manageriale, l’adattamento al contesto organizzativo, la soddisfazione lavorativa e il
commitment organizzativo (Allen, Meyer, 1990). L’indagine è stata condotta in un istituto di
credito siciliano, il campione coinvolto è costituito da 40 dipendenti (20 maschi e 20 femmine), ai
quali sono stati somministrati l’Occupational Stress Indicator (OSI) di Cooper e al. (2002), la Scala
di Efficacia Personale Percepita nelle organizzazioni produttive e la Scala di Efficacia Collettiva
Percepita nelle organizzazioni produttive (Borgogni, Petitta, Steca, in Caprara, 2001). L’obiettivo
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della ricerca è valutare gli effetti dello stress e analizzare nel dettaglio la tenuta e dunque la
generalizzabilità di un modello teorico riguardante l’influenza dell’efficacia, personale e collettiva,
su due importanti variabili organizzative quali l’impegno e la soddisfazione lavorativa all’interno
del contesto bancario, tenendo conto del ruolo centrale giocato dalla percezione della qualità
dell’ambiente lavorativo.
Modello integrato di educazione del paziente pediatrico con diabete di tipo 1
Alessandra Mauri*, Anna Corò**, Francesco Fabbris**, Susanna Schmidt***, Antonella
Scantamburlo*, Tania Ciani*, Michela Cazziola*, Liviana Da Dalt** e Agostino Paccagnella*
(*U.O. Malattie Metaboliche e Nutrizione Clinica Azienda Ulss 9 Treviso **U.O. Peditria Azienda
Ulss 9 Treviso ***Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia)
Dal Settembre 2009 presso l’Ulss 9 di Treviso si è operata una ristrutturazione degli spazi di
consulenza medica e dell’educazione terapeutica del giovane diabetico di tipo1 (0-16 anni). Il
progetto di ristrutturazione si sviluppa nell’applicazione del modello biopsicosociale all’educazione
terapeutica e centra la promozione della salute e la gestione della malattia sullo sviluppo delle
diverse potenzialità umane. Nelle condizioni croniche, come nel diabete di tipo1, le capacità del
soggetto di occuparsi della propria salute e di prendersi cura di sé diventano abilità e competenze
fondamentali per la prevenzione delle complicanze e per uno stile di vita sano. I contenuti dei
percorsi di educazione terapeutica e alla salute proposti si basano sull’applicazione delle Life Skills
Education (WHO, 1993) alla gestione del diabete e sul modello di autoefficacia di Bandura (2000).
Il modello educativo promosso è di empowering e si fonda su un’azione educativa che ha come
obiettivo il rendere i soggetti capaci, autonomi, autosufficienti. La ristrutturazione dell’intervento
educativo si è quindi articolato attraverso diversi programmi:
1. ristrutturazione degli ambulatori pediatrici attraverso la creazione di un équipe
multidisciplinare e di un percorso di educazione terapeutica di gruppo (6-16 anni)
2. realizzazione di campi scuola educativi rivolti agli adolescenti (12-16 anni)
3. attivazione di un percorso di “sostegno alla genitorialità” rivolto ai genitori dei ragazzi (0-16
anni).
Nel presente lavoro verrà illustrato il percorso di costruzione e attivazione del modello educativo
integrato e verranno presentati i dati relativi al gruppo adolescenti.
71
Il volontariato come frontiera tra individuo, alter e comunità. Una ricerca con
volontari della Croce Rossa Italiana
Manuela Mauceri, Orazio Licciardello, Graziella Di Marco, Valentina Ispoto (Università di
Catania)
Considerato il ruolo strategico che gioca il volontariato nel sopperire, spesso, alle funzioni
formalmente ascritte allo Stato, risulta importante approfondire le differenti dinamiche connesse al
fenomeno. La letteratura evidenzia l’importanza delle determinanti disposizionali e, soprattutto,
situazionali e rimarca la distinzione tra le motivazioni autocentrante-strumentali, rivolte a soddisfare
i bisogni personali, e quelle eterocentrate-valoriali, volte a soddisfare bisogni altruistici: le persone
si dedicano al volontariato per incrementare il benessere altrui, ma anche quello proprio, oltre che
quello della comunità d’appartenenza. Secondo tale prospettiva, il volontariato sta in quella zona di
frontiera, di passaggio tra egoismo e altruismo, tra fare per sé e adoprarsi per gli altri, tra individuo
e collettività. La ricerca ha coinvolto 112 volontari della CRI di una provincia siciliana. Sono stati
utilizzati strumenti quali: Function Volunteer Inventory, Scale Likert, Termometri dei Sentimenti,
Differenziali Semantici. La funzione Valori motiva maggiormente al volontariato; meno (ma
apprezzate) le funzioni auto-centrate. Chi tiene più alla Carriera svolge attività non a diretto
contatto con l’utenza e frequenta la CRI con maggiore assiduità. Il clima interno, percepito
positivamente, funge da supporto per i volontari impegnati nei servizi socio-assistenziali, che danno
minore visibilità esterna, ma che, di fatto, giustificano l’esistenza dell’organizzazione medesima. È
emersa una discrasia tra il “dichiarato” e “l’implicito sentire” nella considerazione dell’utenza, ciò
che sottolinea il carattere multisfaccettato del volontariato. La relazione con l’altro in stato di
bisogno, dunque, malgrado spesso fonte di soddisfazione personale, talvolta può essere vissuta
come problematica, stressante e frustrante, ciò che pone importanti questioni sull’adeguata
formazione dei volontari.
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La Qualità della Vita nel bambino e nell’adolescente con disturbo del
movimento; la lettura dell’esperienza secondo un’analisi comparativa
Paolo Meucci (Università Cattolica di Milano - Fondazione Istituto Neurologico C. Besta di
Milano)
Si vuole qui presentare la metodologia e i primi risultati grezzi di una ricerca coordinata dalla
Direzione Scientifica della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta”, SOSD
Neurologia, Salute Pubblica e Disabilità e svolta in collaborazione con la U.O. di Neuropsichiatria
Infantile, Disturbi del movimento della stessa Fondazione. L’obiettivo della ricerca è fornire
un’analisi approfondita sulla Qualità della Vita (QoL) percepita da un minore con un disturbo del
movimento comparando ad essa la percezione sul livello di QoL che il genitore attribuisce al
proprio figlio. In ultima analisi, il confronto tra i dati raccolti attraverso questionari standardizzati e
le analisi sistematiche delle narrazioni dei vissuti, favorirà l’emergere di eventuali letture o domini
della QoL non ancora indagati e stimolerà una riflessione sui criteri di misurazione della stessa.
I risultati attesi possono essere così sintetizzati:
•
Fornire una lettura incrociata della QoL attraverso i dati raccolti con i Questionari Kidscreen
e la lettura qualitativa delle narrazioni fornite dai bambini e dai genitori.
•
A seguito delle analisi effettuate, teorizzare il fenomeno studiato, al fine di porre in luce
eventuali aree di QoL non sufficientemente indagate, ed aprire una riflessione rispetto alla
modalità di raccolta, all’uso e agli obiettivi che si vogliono raggiungere attraverso dati
quantitativi sulla qualità della vita.
•
Fornire un modello di analisi di QoL nei bambini e adolescenti, utile al fine di impostare dei
progetti personalizzati che puntino al miglioramento della QoL dei minori con disturbo del
movimento e delle loro famiglie.
Pessimismo difensivo e benessere soggettivo
Dario Monzani*, Andrea Greco**, Patrizia Steca** (Università degli Studi di Milano-Bicocca,
*Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” **Dipartimento di
Psicologia)
Il pessimismo difensivo è una strategia cognitiva vantaggiosa quando le persone devono affrontare
compiti e situazioni per loro rilevanti. I pessimisti difensivi dichiarano basse aspettative di riuscita
73
ad un compito imminente, anche se nel passato hanno avuto buoni risultati in situazioni simili.
Inoltre, riflettono assiduamente su cosa potrebbe succedere loro, prestando particolare attenzione
agli eventuali problemi e difficoltà da affrontare in una specifica situazione. Infatti, il pessimismo
difensivo, diversamente dall’ottimismo disposizionale, è una caratteristica individuale altamente
contesto-specifica. Grazie a questa strategia, i pessimisti difensivi riescono a fronteggiare i loro alti
livelli di ansia in specifiche situazioni e, quindi, ad ottenere elevati livelli di prestazione. Tuttavia,
poche ricerche hanno analizzato le relazioni tra l’adozione di questa strategia e il benessere
soggettivo degli individui. Obiettivo generale del presente studio è quello di indagare le relazioni tra
il pessimismo difensivo, il benessere soggettivo e due importanti caratteristiche individuali come
l’autostima e l’ottimismo disposizionale. Lo studio ha coinvolto 143 partecipanti (Uomini= 42%;
Donne= 58%) con un’età compresa tra i 19 e i 35 anni (Età media= 23,77; DS = 2,89). I risultati
delle analisi di correlazione dimostrano relazioni negative tra il pessimismo difensivo, la
soddisfazione di vita e l’affettività positiva. Al contrario, il pessimismo difensivo è positivamente
correlato con l’affettività negativa. Infine, i risultati evidenziano l’esistenza di moderate
correlazioni negative tra questa strategia, l’ottimismo disposizionale e l’autostima. Concludendo,
possiamo sottolineare come il pessimismo difensivo, seppur ritenuto una risorsa vantaggiosa per
raggiungere adeguati livelli di prestazione in specifiche situazioni, è negativamente associato al
benessere soggettivo.
Un’indagine attraverso il concetto di Capitale Psicologico. Il contributo della
psicologia positiva al workplace
Silvia Pinato (Università di Verona)
Il concetto di Capitale Psicologico (PsyCap) è stato introdotto recentemente da Luthans e colleghi
all’interno del POB – Positive Organizational Behaviour (Luthans, 2002a, 2002b, 2003), approccio
basato sugli stati psicologici positivi e proveniente dalla psicologia positiva (Seligman, 1998b;
Seligman e Csikszentmihalyi, 2000; Snyder e Lopez, 2002) ma che si estende al workplace. In
questa prospettiva, che prende in esame le forze e le capacità positive degli individui, emergono in
particolare quattro dimensioni: self-efficacy/confidence, hope, optimism e resiliency. Tali fattori
sono parte costituente del Capitale Psicologico, costrutto dall’impatto rilevante e con importanti
implicazioni sulle motivazioni al lavoro, nonché sulla performance e sui relativi vantaggi
competitivi. Di recente definizione, il Capitale Psicologico appare una risorsa sia per la crescita a
livello individuale che a livello organizzativo. Pertanto, si indagherà attraverso la letteratura
74
disponibile al fine di proporre un’esplorazione nel costrutto, ponendo particolare attenzione alle
relazioni con altri concetti cardine delle recenti linee di ricerca, gli sviluppi e le implicazioni future
in ambito lavorativo e organizzativo. In modo particolare, si esamineranno contributi che si sono
focalizzati sul rapporto tra Capitale Psicologico e performance, con l'intento di evidenziare come la
relazione tra emozioni positive e comportamenti positivi sul posto di lavoro conduca a prestazioni
migliori.
Nuove identità lavorative e conseguenze sul benessere organizzativo
Tiziana Ramaci *, Paola Magnano *, Giuseppe Santisi ** (*Università Kore di Enna **Università
di Catania)
L’introduzione di nuove forme di regolamentazione del lavoro ha riaperto la questione della tutela
dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici (Ferrari, Veglio, 2006). Già a livello legislativo alcuni
diritti fondamentali appaiono tutelati in misura minore per i lavoratori senza contratto di
subordinazione a tempo indeterminato (Barbier e Nadel, 2000). Ancor più sul piano delle pratiche
di episodi di discriminazione e di mancato rispetto di diritti essenziali sono sempre più frequenti.
Studi recenti hanno evidenziato che la sensazione di essere trattati in modo ingiusto abbia un
profondo impatto sulle modalità di percezione del benessere lavorativo nel proprio luogo di lavoro.
Il contributo si propone di esplorare prima fra tutte le relazioni fra un campione di 800 lavoratori
atipici (in prevalenza femminile) della Sicilia, le percezioni di sicurezza lavorativa (Giesecke e
Gross, 2003), in particolare vuole suggerire uno schema concettuale che può essere di aiuto nel
costruire indicatori quantitativi e qualitativi, utili per analizzare la “qualità della vita” dei lavoratori
atipici all’interno del ciclo di costruzione della carriera (Beck, 2000; Giovanetti, 2000). La nozione
di atipicità, stando alle dimensioni quantitative del fenomeno tendono a far escludere fenomeni di
“devianza più o meno temporanea dai lavori standard” (ISFOL, 2001), che si riflette, poi, sulle varie
opzioni di scelta che riguardano la dimensione privata (maternità e investimenti economici, prime
tra tutte) (Rutelli, Agus e Caboni, 2007; Signorelli, 2004). Si propone inoltre di approfondire
l’effetto delle esperienze di vessazioni del campione su alcune dimensioni riguardanti il benessere
lavorativo – cercando di individuare una differenziazione, laddove possibile, tra vessati e non in
funzione di alcune caratteristiche socio anagrafiche.
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Crescita post-traumatica: diversi predittori per diversi eventi traumatici.
Chiara Ruini, Francesca Vescovelli, Elisa Albieri, Emanuela Offidani (Università di Bologna,
Dipartimento di Psicologia)
Questa ricerca analizza i possibili predittori della crescita post-traumatica in gruppi con diverse
tipologie di eventi traumatici esperiti, tenendo in considerazione indicatori sintomatologici, distress
psicosociale e benessere psicologico. Metodi: 60 pazienti con carcinoma mammario e 60 donne che
hanno riportato eventi stressanti di natura diversa, hanno compilato i seguenti questionari: Posttraumatic Growth Inventory (PTGI), Psychological Well-being Scales (PWBS), Symptom
Questionnaire (SQ) e Psychosocial Index (PSI). Sono state calcolate le correlazioni tra le scale e
successivamente sono stati applicati modelli di regressione lineare. Risultati: Nel gruppo di pazienti
la crescita post-traumatica è particolarmente correlata alle scale sintomatologiche, piuttosto che a
quelle di benessere, ed è inversamente predetta dall’età e dai livelli di ostilità. Nelle donne con altri
eventi traumatici invece, la crescita post-traumatica è correlata principalmente al benessere
psicologico (padronanza ambientale e crescita personale) ed è predetta dallo stato civile, dal tempo
trascorso dall’evento e dalla crescita personale. Considerando entrambi i gruppi, i predittori
statisticamente più significativi sono risultati la crescita personale e il benessere fisico, insieme alla
diagnosi di carcinoma, una minore età e un maggiore tempo trascorso dall‘evento . Conclusioni: la
crescita post-traumatica sembra presentare caratteristiche diverse in donne con carcinoma
mammario rispetto a donne con altri tipi di eventi traumatici. Nelle prime sembra essere associata
soprattutto ad un miglioramento delle condizioni cliniche e sintomatologiche, mentre nelle seconde
sembra essere associata a dimensioni di benessere eudaimonico. Questi risultati hanno implicazioni
in ambito clinico e suggeriscono l’importanza di adottare un approccio olistico e multifattoriale
nella valutazione della crescita post-traumatica e nella pianificazione di eventuali interventi per la
sua promozione.
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L’intervento precoce dei disturbi psichici gravi. Il modello e gli esiti clinici del
Progetto Innovativo triennale TR43
Paola Scovazzi, Sara Comerio, Federica Rosatti, Giancarlo Belloni, Giorgio Cerati (Unità
Operativa di Psichiatria di Legnano e di Magenta del Dipartimento di Salute Mentale di LegnanoMilano)
L’intervento precoce e mirato nei disturbi psichici nei giovani risulta necessario e doveroso per il
benessere psicologico dell’adolescente o giovane adulto che si trova ad affrontare fondamentali
compiti evolutivi. Obiettivi del progetto innovativo TR 43 sono la prevenzione, l’individuazione ed
il trattamento precoce dei disturbi psichici gravi nella fascia di età 16-30. Le aree fondamentali di
intervento riguardano: (1) precoce individuazione dei soggetti a rischio di sviluppare disturbi
psichiatrici gravi e degli stati mentali “a rischio”; (2) tempestivo trattamento degli esordi e del
primo episodio in modo da ridurre la durata di malattia non trattata, associato alla facilitazione
dell’accesso ai trattamenti; (3) sviluppo e ottimizzazione di trattamenti specifici per la fase di
malattia mirati alla prevenzione della disabilità, al mantenimento del ruolo sociale della persona, al
sostegno del contesto relazionale familiare e sociale ed alla prevenzione delle ricadute. Gli
strumenti utilizzati per la valutazione e per gli studi di esito sono i seguenti: CheckList Eri-Raos,
BPRS, GAF, HONOS, CORE-om, SCL90, SF36 (baseline, dopo 6 mesi e dopo 1 anno di
trattamento)e una Scheda di rilevazione di anamnesi, ricoveri e interventi. Il campione è di 121
pazienti arruolati o nel gruppo “esordio” o “a rischio”, 68 a 6 mesi e 32 ad 1 anno. Gli esiti del
trattamento hanno dimostrato come l’individuazione precoce dei disturbi psichici gravi ed il
trattamento tempestivo portano ad una riduzione della sintomatologia clinica, migliorano la qualità
di vita, prevengono le disabilità secondarie e migliorano gli esiti a lungo termine.
Sensibilità interpersonale e didattica nella scuola. Formare gli insegnanti alla
buona relazione
Fiorella Sestigiani, Deborah Corrias, MariaGrazia Strepparava (Università degli Studi di MilanoBicocca)
Negli ultimi decenni l’interesse dei ricercatori per le modalità interattive degli insegnanti della
scuola elementare è cresciuto significativamente. Inoltre, nell’attuale profilo ideale dell’insegnante
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della scuola materna e della scuola primaria stabilito dal decreto legislativo 153/98,emergono come
abilità fondamentali quelle legate alla gestione delle relazioni con i colleghi e i genitori dei bambini.
Uno dei corsi offerti dalla Facoltà di Scienze della Formazione (Università Milano-Bicocca),
nell’ambito delle attività didattiche aggiuntive, è quello avanzato di Psicopatologia dello Sviluppo,
il quale si pone tra gli obiettivi principali quello di incrementare la consapevolezza delle
competenze relazionali e comunicative delle insegnanti che frequentano il corso stesso. A tal fine i
contenuti delle lezioni comprendono la consapevolezza delle differenze individuali, delle emozioni
e della loro regolazione e il ruolo delle emozioni nell’intersoggettività e nelle interazioni. Le
differenze individuali e la regolazione delle emozioni sono considerate secondo un’ottica cognitivocostruttivista, modello ampiamente usato in psicoterapia cognitivo-costruttivista (Guidano, 1998;
Arciero, 2002; Rezzonico, Strepparava, 2004) adattato al contesto educativo (Strepparava, 2006).
Il lavoro con le insegnanti prevede fasi di riflessione individuale alternate a discussioni di gruppo. I
questionari utilizzati per avviare l’interazione e la discussione di gruppo sono: l’Emotion
Regulation Questionnaire, sulla modalità di regolazione degli stati emotivi (Power, 2007),
l’Interpersonal Reactivity Index (IRI, Davis, 1980; 1983) sull’empatia, la Self Monitoring Scale
(SMS, Snyder, 1974) come misura della dipendenza/indipendenza dal contesto e infine il
Questionario sulle organizzazioni di significato personale (QSP, Picardi et al., 2003), per indagare
le differenze individuali. Infine, è inserito un questionario di soddisfazione al termine di ogni
singola lezione e al termine del corso. Quest’ultimo ha consentito di valutare il livello di utilità del
corso per la formazione delle insegnanti e gli eventuali cambiamenti vissuti dalle insegnanti sul
piano personale e professionale.
Gruppi di auto-aiuto psichiatrico in Toscana: ricostruzione del modello di
lavoro attuale attraverso il confronto qualitativo tra motivazioni dei partecipanti
e obiettivi istituzionali.
Sandra Vannucchi, Fausto Petrini, Alessandra Miraglia Raineri, Patrizia Meringolo (Università
degli Studi di Firenze, Dipartimento di Psicologia)
I gruppi di auto-aiuto non possono essere considerati un sostitutivo dei servizi di cura formali, ma
come un fenomeno culturale in grado di ridurre il disagio bio-psico-sociale e modificare
l’atteggiamento di delega delle persone. In una prospettiva di empowerment sono un modo per
superare la dipendenza dalla terapia, la promozione di abilità sociali e la partecipazione alla
comunità. Le rassegne sugli studi di efficacia dei gruppi nell’ambito del disagio mentale
78
evidenziano ricadute positive in termini di empowerment e di percezione del supporto sociale
(Fonquer e Knigth, 2001; Solomon, 2004; Campbell, 2005). Gli studi qualitativi mostrano inoltre i
vantaggi riportati dai partecipanti: maggiore conoscenza della malattia e del trattamento, nuove
strategie di coping, migliore comunicazione dei sintomi. La nostra ricerca mira a fornire un’analisi
in profondità di uno specifico contesto territoriale toscano. È stata effettuata una ricerca qualitativa
tramite focus group ed interviste semi-strutturate rivolte a pazienti, operatori e rappresentanti
istituzionali legati alla vita di quattro gruppi per pazienti psichiatrici. Le aree indagate sono:
-
Relazione fra partecipazione al gruppo e qualità della vita;
-
Effetto della partecipazione sul rapporto con i professionisti ed i servizi.
I risultati evidenziano il rischio di una progressiva perdita degli obiettivi di empowerment,
compensazione della dipendenza e difesa sociale nella nuova generazione di professionisti, più
interessati ai benefici economici. Tutti i partecipanti sottolineano invece la percezione di vantaggi in
termini di risorse positive, di empowerment e di incremento delle strategie di coping.
Qualità della vita organizzativa e qualità percepita dell’assistenza: risultati di un
primo studio
Sara Viotti*, Marco Ferrara*, Ivana Finiguerra**, Daniela Converso* (*Università degli Studi di
Torino, Dipartimento di Psicologia **SITRO, San Giovanni Bosco, ASL TO2)
La qualità della vita organizzativa e il burnout degli operatori hanno, come indicato in numerosi
studi, una stretta relazione con la qualità percepita dell’assistenza e la soddisfazione dei pazienti
(Leiter et al., 1998, Garman e Corrigam, 2002, Argentero et al., 2007). Al centro del presente
studio, che costituisce un primo step nell’ambito di un più ampio progetto che coinvolgerà l’intero
Presidio, è l’analisi della relazione fra la percezione di benessere e disagio da parte dei lavoratori e
la qualità dell’assistenza percepita dai loro pazienti, all’interno di alcuni reparti di un grande
Ospedale piemontese (San Giovanni Bosco di Torino: Dialisi, Ortopedia, Medicina, Cardiologia).
Tramite questionari self-report sono stati finora raccolti i dati relativi a 94 operatori e 93 pazienti
nei 4 reparti. Il questionario somministrato agli operatori comprende alcune scale volte a valutare il
benessere degli operatori (MBI, Maslach et al, 1981; soddisfazione lavorativa: JSS, Warr et al.,
1979) e una scala riguardante la percezione di giustizia organizzativa (COPSOQ, Kristensen et al.,
2003). Il questionario destinato ai pazienti rappresenta una versione adattata del Questionario sulla
valutazione della qualità percepita nell’ADI (Franci e Corsi, 1999). A tale scopo è stata effettuata
una regressione logistica per blocchi. Al primo step (R²=,229; χ²=13,774; p=0,003) sono stati
79
inseriti i fattori che descrivono il benessere degli operatori ed è emersa una relazione significativa
tra esaurimento emotivo (OR=,901 p=0,006) e qualità dell’assistenza percepita da parte dei pazienti.
Al secondo step, l’aggiunta del fattore giustizia ha determinato un incremento statisticamente
significativo della predittività del modello (R²=,303; χ²blocco=5,057; p=0,025) ed è emerso quale
fattore significativo oltre all’esaurimento emotivo (OR=,908; p=0,016) anche la giustizia
(OR=1,294; p=0,033). Tenendo presenti i limiti in primo luogo legati alla limitatezza della
numerosità della popolazione coinvolta, tale studio sembra far emergere il ruolo fino ad ora in
letteratura inesplorato della giustizia organizzativa percepita dagli operatori nel predire la
soddisfazione dei pazienti.
Aumento del Benessere e Riduzione del Malessere nella Psicologia Clinica del
Quotidiano. L’importanza strategica dell’Approccio Clinico della Elaborazione
Adattiva dell’Informazione
Enrico Zaccagnini (Istituto di Psicotraumatologia di Firenze Psicologia e Psicoterapia del
Trauma)
La dimensione quotidiana del cervello/mente e le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità. Il benessere quotidiano come continua ricerca di equilibrio, da parte della mente, tra la sfida
dei nuovi stimoli e la capacità elaborativa del cervello. L’Approccio psicologico Elaborazione
Adattiva dell’Informazione. Suoi presupposti teorici e anatomico-funzionali. Il ruolo della Memoria
Episodica. Affettività e Memoria. Episodi ad affettività negativa (i diversi tipi di trauma) e
l’importanza di elaborare il dolore. Episodi ad affettività positiva e l’importanza di individuare e
potenziare le risorse ivi celate. Tecnica psicologico-clinica per la convergenza della elaborazione
del dolore e della valorizzazione delle risorse sul target Benessere Quotidiano.
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