prevede all`articolo 23: “La parità tra uomini e donne deve essere

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prevede all`articolo 23: “La parità tra uomini e donne deve essere
DALLA NORMATIVA COMUNITARIA
ALLE AZIONI DEGLI ENTI TERRITORIALI
di Sandra Travagli
Responsabile Ufficio Pari Opportunità del Comune di Ferrara
Le nuove generazioni e in particolare le giovani donne possono avvalersi di un quadro
normativo caratterizzato da leggi che contrastano le discriminazioni, che favoriscono i
principi di parità e la valorizzazione delle differenze.
L’Unione Europea riconosce l’uguaglianza tra uomini e donne come diritto costitutivo e
fondamentale da tutelare e promuovere sia dal punto di vista giuridico che culturale,
politico e programmatico in tutte le sfere del vivere quotidiano.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000, è riconosciuta documento giuridicamente vincolante, punto di
riferimento per la legislazione europea e degli stati in materia di diritti e libertà e
prevede all’articolo 23: “La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i
campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio
della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi
specifici a favore del sesso sottorappresentato”.
L’evoluzione normativa europea negli ultimi decenni è stata promotrice e allo stesso
tempo ha ricompreso al suo interno i cambiamenti culturali e le importanti elaborazioni
politiche proposte dai movimenti femminili1. Si è inoltre caratterizzata con un
percorso che, a partire dalla individuazione di strumenti di tutela volti essenzialmente
al miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne, attraverso un graduale
passaggio a norme favorenti la parità e le pari opportunità, è attualmente fondato sui
principi del “mainstreaming di genere” e dell’”empowerment”. Questi due concetti si
riferiscono alla proposizione di norme, raccomandazioni, strategie di azione e
interventi in grado di affrontare il problema del diverso trattamento fra i sessi a
favore dell’assunzione di una prospettiva di genere, per programmare e operare
tenendo conto del valore delle differenze e della necessità di favorire il contributo di
donne e uomini allo sviluppo sociale, politico ed economico della comunità.
La nostra normativa nazionale ha seguito un percorso simile anche se caratterizzato
da condizioni di partenza storicamente diverse. A partire dalla Costituzione che
sancisce il principio di uguaglianza non solo formale, come parità di trattamento fra
uomini e donne e divieto di discriminazione, ma anche sostanziale, come impegno a
rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono a una uguaglianza di fatto, sono state
emanate nel corso di decenni, a partire dagli anni ’50, norme antidiscriminatorie. Tali
norme hanno previsto tutela della parità, promozione delle pari opportunità fino alla
progressiva, e non sempre facile, introduzione del “principio di genere” negli atti
legislativi e programmatori generali.
1
Piattaforma d’Azione approvata dalla IV Conferenza Mondiale delle Donne – Pechino 1995
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È con una direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri2 che nel 1997 viene
introdotto, nell’attività di governo del nostro Paese , il principio del mainstreaming:
“I Ministri, nell’esercizio delle rispettive competenze e con le iniziative di volta in
volta necessarie, perseguiranno i seguenti obiettivi, nell’ambito degli obiettivi
strategici indicati nella dichiarazione e nel programma di azione della quarta
conferenza mondiale sulle donne, allo scopo di promuovere l’acquisizione di poteri e
responsabilità da parte delle donne, di integrare il punto di vista della differenza di
genere in tutte le politiche generali e di settore, di promuovere nuove politiche
dell’occupazione, dei tempi di vita e dell’organizzazione del lavoro, di riconoscere e
garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini”.
Successivamente il Codice delle Pari Opportunità3 ha raccolto e unificato in un unico
“contenitore” buona parte delle norme in materia di promozione delle pari opportunità
e di prevenzione e contrasto delle discriminazioni per motivi sessuali. Il codice è stato
modificato nel tempo anche a seguito del recepimento di Raccomandazioni emanate
dall’Unione Europea.
I punti del Codice
Divieto di discriminazione tra uomo e donna
Istituzione, funzioni, durata e composizione della Commissione per le pari
opportunità fra uomo e donna
o Costituzione, compiti e funzionamento del Comitato nazionale per
l’attuazione dei principi di parità di trattamento e uguaglianza di opportunità
tra lavoratori e lavoratrici
o Istituzione, compiti e funzioni del Collegio per l’istruzione degli atti relativi
alla individuazione e alla rimozione delle discriminazioni
o Attività del Comitato per l’imprenditoria femminile
Sono inoltre individuate le varie forme di discriminazione ed è posto il divieto a
qualsiasi tipo di discriminazione in:
- accesso al lavoro
- retribuzione
- prestazione lavorativa e carriera
- accesso alle prestazioni previdenziali
- accesso agli impieghi pubblici
- arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali
- reclutamento nelle forze armate e nel corpo della Guardia di Finanza
- carriere militari
o
o
2 Direttiva Prodi-Finocchiaro D.P.C.M. del 27 marzo 1997
“Azioni volte a promuovere l'attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, a riconoscere e
garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini.”
3 Decreto legislativo 11 aprile 2006, n.198
Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246.
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La legislazione, sia europea che nazionale, ha senza dubbio contribuito
all’affermazione di principi antidiscriminatori che negli ultimi decenni hanno
determinato modificazioni significative negli ordinamenti degli Stati membri,
compreso il nostro, ma permangono disparità significative che ostacolano il
raggiungimento dell’obiettivo della piena partecipazione del genere femminile in
condizioni di pari dignità, a tutti i livelli della vita professionale, sociale e politica.
Occuparsi di ragazze e ragazzi, di nuove generazioni vuol dire accettare di doversi far
carico di disparità, di percorsi di crescita personale e sociale diversi per femmine e
maschi.
Come è ben messo in luce nella ricerca qui riferita e nella ricerca sempre
dell’Osservatorio Adolescenti sugli stereotipi di genere e la percezione di sé,
“l’affermazione di sé nelle adolescenti femmine deve affrontare più ostacoli rispetto
ai coetanei maschi. Gli schemi sociali che accompagnano lo sviluppo femminile e la
proiezione dell’essere donna nella società contemporanea costituiscono ostacoli attivi
sul cammino dell’autoaffermazione”.
Le differenze di genere tra uguaglianza formale e sostanziale
Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’Istat 2011, “le ragazze si dimostrano più studiose
dei ragazzi. Nella scuola secondaria di I grado, le ragazze ottengono i migliori risultati.
In particolare, alle studentesse è stato attribuito il 61,8% dei giudizi di “ottimo” ed il
55,3% dei giudizi di “distinto”. Nella scuola secondaria di II grado, il 59,1% dei diplomati
con lode sono studentesse. Le donne si iscrivono all’università in percentuali più elevate
degli uomini (il 71% delle diplomate continua gli studi contro il 60% dei diplomati) e il
numero di donne che conseguono la laurea è maggiore di quello degli uomini e raggiunge il
58% del totale. Nella formazione post-laurea il 67,7% degli iscritti alle scuole di
specializzazione sono donne. Per quanto riguarda i corsi di dottorato, le donne
rappresentano il 51,7% tra gli ammessi ed il 52,8% tra i dottori di ricerca, un vero
primato europeo delle ragazze italiane.
Le donne delle nuove generazioni sono perciò il settore della popolazione più istruito, più
qualificato e più preparato per il mondo del lavoro. Ma il vantaggio femminile si ferma qui.
Le donne hanno più frequentemente degli uomini un lavoro a tempo determinato (34,8%
contro 27,4%), e tre volte più dei loro coetanei maschi un contratto part-time, non per
loro scelta (31,2% contro 10,4%). Il tasso di disoccupazione delle donne tra i 18 e i 29
anni è al 21,2% contro il 18,4% degli uomini della stessa età. Nel corso del 2010, a fronte
della sostanziale stabilità dell’occupazione femminile, è peggiorata la qualità del lavoro
delle donne: è diminuita, infatti, l’occupazione qualificata, tecnica ed operaia ed è
aumentata quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici domestiche alle addette ai
call center. Lo sviluppo dell’occupazione part-time nel 2010 è stato poi caratterizzato
dalla diffusione dei fenomeni di involontarietà, mentre è andato ampliandosi il divario di
genere nel sottoutilizzo del capitale umano: il 40% delle laureate ha un lavoro che
richiede una qualifica più bassa rispetto al titolo posseduto contro il 31% degli uomini. E
non va dimenticato un dato sconfortante: sono circa 800 mila (quasi il 9% delle madri che
lavorano o hanno lavorato in passato) le donne che, nel corso della loro vita, sono state
licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro perché in gravidanza, e solamente 4
su 10 hanno poi ripreso il percorso lavorativo”.
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Come rileva Chiara Saraceno “a livelli nazionali ed anche dell’Unione Europea sembra
essere sempre più riproposto un modello di cittadinanza fondato sulla partecipazione
al lavoro per il mercato, per gli uomini e per le donne, senza che vengano pienamente
affrontate le questioni della cura, che di fatto rimangono prevalentemente sulle spalle
delle donne. La novità è che ora il modello normativo consiste, per le donne soltanto,
nella conciliazione di queste responsabilità con la partecipazione al mercato del lavoro.
Le pari opportunità continuano ad essere concettualizzate e presentate come
possibilità per le donne di accedere alle posizioni fin qui riservate agli uomini, senza
tuttavia correggere la divisione del lavoro e delle responsabilità tra uomini e donne”.
È ovvio allora che, al di là degli strumenti giuridici o delle interpretazioni sociologiche,
culture organizzative diversi nei differenti ambiti - scuola, lavoro, vita famigliare e
sociale – possano contenere più concezioni di cittadinanza per donne e uomini e che
forte può essere il rischio, oltre al persistere di stereotipi, che si ingeneri una
concezione neutra fondata sul convincimento che l’applicazione dei principi di pari
opportunità sia garanzia di un trattamento equo fra i due sessi.
La differenza, le differenze vengono in questo modo negate, e diventa sempre più
difficile ma necessario acquisire, soprattutto da parte delle nuove generazioni,
consapevolezza dei fattori che incidono sulla piena realizzazione di sé come persona e
come cittadina/o.
La Carta europea per l’uguaglianza e
le parità delle donne e degli uomini nella vita locale
Per essere messo in atto un diritto di cittadinanza pieno per donne e uomini non è
sufficiente che siano riconosciuti per legge pari diritti o affermati principi di
uguaglianza, ma diventa necessario esercitare cambiamenti consistenti e strutturali
riguardo a tutti gli aspetti della vita, da quello politico, a quello economico, sociale e
culturale, con un approccio che tenga conto delle diverse realtà all’interno anche di
uno stesso territorio, della complessità dei bisogni, della necessità di dare voce a
esigenze non espresse perché più fortemente legate a condizioni di svantaggio.
La Carta europea si pone l’obiettivo di sollecitare gli Enti locali, quali organo di governo
più vicini ai cittadini, ad utilizzare appieno i loro poteri a favore del reale
perseguimento dell’uguaglianza delle donne e degli uomini nella vita politica, sociale,
economica e culturale. È stata adottata e sottoscritta il 12 maggio 2006 a Innsbruck
dal Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa, sostenuta dalla Commissione europea.
Nel 2007 Anno europeo delle pari opportunità per tutti la Carta europea è stata
recepita dalla Regione Emilia Romagna e sottoscritta anche dal Comune di Ferrara.
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I principi della Carta
L’uguaglianza delle donne e degli uomini è un diritto fondamentale per tutte e per
tutti e rappresenta un valore determinante per la democrazia. Per essere compiuto
pienamente, il diritto non deve essere solo riconosciuto per legge, ma deve essere
effettivamente esercitato e riguardare tutti gli aspetti della vita: politico,
economico, sociale e culturale.
Malgrado i numerosi esempi di un riconoscimento formale e dei progressi compiuti,
la parità fra donne e uomini nella vita quotidiana non è ancora una realtà. Nella
pratica donne e uomini non godono degli stessi diritti. Persistono disparità politiche,
economiche e culturali (disparità salariali e bassa rappresentanza in politica).
Queste disparità sono prassi consolidate che derivano da numerosi stereotipi
presenti nella famiglia, nell’educazione, nella cultura, nei mezzi di comunicazione, nel
mondo del lavoro, nell’organizzazione della società…tutti ambiti nei quali è possibile
agire adottando un approccio nuovo e operando cambiamenti strutturali.
Gli enti locali e regionali, che sono gli ambiti di governo più vicini ai cittadini,
rappresentano i livelli di intervento più idonei per combattere il persistere e il
riprodursi delle disparità e per promuovere una società veramente equa. Essi
possono, nella loro sfera di competenza ed in cooperazione con l’insieme degli attori
locali, intraprendere azioni concrete a favore della parità. Inoltre, il principio di
sussidiarietà, che si applica a tutti i livelli di governo – europeo, nazionale, regionale
e locale – ha un ruolo particolarmente importante per quanto riguarda l’attuazione
del diritto alla parità. Gli enti locali e regionali d’Europa, pur esercitando
responsabilità di diversa portata, possono e devono avere un ruolo positivo nella
promozione della parità con azioni che producano un impatto sulla vita quotidiana dei
cittadini.
I principi dell’autonomia locale e regionale sono strettamente legati al principio di
sussidiarietà. La Carta dell’autonomia locale del Consiglio d’Europa del 1985, firmata
e ratificata da una grande maggioranza di stati europei, sottolinea “il diritto e la
capacità effettiva per gli enti locali di regolamentare e gestire, nell’ambito della
legge, sotto la propria responsabilità e a vantaggio del loro popolo, una parte
importante degli affari pubblici”.
L’attuazione e la promozione del diritto alla parità deve essere al centro del
concetto dell’autonomia locale.
La democrazia locale e regionale deve permettere che siano effettuate le scelte più
appropriate per quanto riguarda gli aspetti più concreti della vita quotidiana quali la
casa, la sicurezza, i trasporti pubblici, il mondo del lavoro o la sanità.
Inoltre, il pieno coinvolgimento delle donne nello sviluppo e nell’attuazione di
politiche locali e regionali permette di prendere in considerazione la loro esperienza
vissuta, il loro modo di fare e la loro creatività.
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Cosa succede a livello territoriale
Le azioni degli enti pubblici territoriali sono ispirate dunque al principio della
sussidiarietà, sono finalizzate cioè a rispondere ai bisogni dei cittadini o, sempre
meglio, a tener conto della pluralità dei bisogni espressi dalle persone che vivono in un
territorio; pluralità data da differenze di genere, di età, di etnia, di condizione
economica e sociale.
Per la Regione Emilia Romagna, la rimozione di qualsiasi forma di discriminazione,
l’uguaglianza fra uomini e donne e l’integrazione della dimensione di genere in tutte le
politiche costituiscono un importante obiettivo da assumere nella programmazione
degli interventi.
Le politiche regionali attraverso il Piano interno integrato delle azioni regionali in
materia di pari opportunità di genere4 adottano un approccio trasversale, secondo i
principi del mainstreaming di genere, in linea con le scelte dell’Unione Europea.
Ne derivano azioni direttamente finalizzate a creare condizioni di pari opportunità
fra donne e uomini e a promuovere un’ottica di genere e una cultura di parità
principalmente centrate su quattro assi di intervento:
conciliazione tra tempi di vita e di lavoro;
contrasto alla violenza sulle donne;
programmazione dei fondi strutturali secondo una prospettiva di genere;
lotta contro gli stereotipi di genere.
Questi importanti temi trasversali coinvolgono l’elaborazione delle politiche di tutti i
settori e l’organizzazione dei servizi in un processo continuo di attenzione alla
necessità di garantire, alla pluralità e complessità dei bisogni delle persone, risposte
complesse, che mettano in campo le attenzioni culturali e tutte le risorse per una
piena affermazione dei principi di parità e di valorizzazione delle differenze.
4
Regione Emilia Romagna – Assessorato alle Pari Opportunità
http://cm.regione.emilia-romagna.it/pari/in-regione-politiche-e-progetti/politiche-integrate-1
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LA CHIAVE DI LETTURA EDUCATIVA
di Silvana Collini
Referente Formazione Ufficio X – Ambito Territoriale della Provincia di Ferrara
Di una cosa sono certo: peggio del male vi è solo l’indifferenza.
È contro di essa che bisogna combattere con tutte le proprie forze.
E per farlo un’arma esiste: l’educazione.
Bisogna praticarla, diffonderla, condividerla, esercitarla sempre e dovunque.
Non arrendendosi mai
Elie Wiesel – Premio Nobel per la pace 1986
Le criticità sociali
Oggi la condizione di incertezza investe numerosi aspetti della nostra esistenza: la
nostra salute, i nostri mezzi di sussistenza, la qualità dell’ambiente in cui viviamo e dei
nostri rapporti sociali, la nostra economia, la tecnologia, la politica. Questa condizione
comporta la disponibilità ad affrontare sfide e a porre in discussione canoni
interpretativi della realtà, sino ad oggi rassicuranti, che hanno trovato origine nella
cultura del senso comune.
Tra le numerose criticità in cui tutta la società è impegnata, a parte il declino lento
ma ormai incontestabile del patriarcato e della roccaforte culturale rappresentata dal
maschilismo emergono prepotentemente la compulsiva reinvenzione della percezione
del proprio corpo –particolarmente evidente nelle donne – il cui aspetto speculare è
l’altrettanto vorticosa e continua riformulazione della propria identità corporea e
personale; il permanere di attribuzioni stereotipiche circa i differenti stili di
pensiero, di cognizione della realtà e dell’esistenza legati alle differenze di genere.
Queste problematiche sono intimamente riconducibili
• alla sottovalutazione, nella cultura generale, della persistenza di importanti
discriminazioni di genere che erroneamente si ritengono superate solo per aver
declinato normativamente il riconoscimento della differenza;
• alla ancora non adeguatamente sviluppata integrazione tra gli aspetti dell’educazione
formale, informale e non formale di genere; alla persistente esclusione, nella maggior
parte dei casi, delle tematiche di genere dalla programmazione scolastica e dai
curricoli;
• alla non sufficiente attenzione educativa rivolta all’ integrazione tra la dimensione
corporea, cognitiva, affettiva e relazionale nella costituzione dell’identità personale,
in particolare delle donna.
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La scuola
La scuola, dall’infanzia alle superiori, ha finalità formative ed orientative che vengono
declinate in vario modo a seconda del grado di scuola che si considera. Gli alunni
frequentano la scuola per molti anni, attraversando fasi importanti della propria
crescita che sono determinanti per la costruzione della loro identità: si scoprono e si
sperimentano, si pongono in relazione con gli altri, sviluppando le proprie competenze
emotive, relazionali e socio-affettive.
La soggettività che i ragazzi hanno sviluppato soprattutto nell’ambito familiare, trova
fin dall’inizio del loro percorso scolastico, una comunità più ampia e complessa.
Attraverso processi cognitivi e relazionali la scuola consente a ciascuno di esplorare
se stesso, mettendo a confronto il proprio punto di vista con quelli degli altri. È
indubbio che le condizioni del contesto educativo nei vari segmenti scolastici, incidono
profondamente sulla crescita dei soggetti, sulla valorizzazione delle specificità
individuali e sulla capacità di interazione consapevole e responsabile che
caratterizzerà la vita della persona e del cittadino.
I docenti sono artefici importanti di questo processo e influenzano sensibilmente la
formazione dell’identità degli allievi, con la programmazione disciplinare e curricolare,
con l’approccio e le pratiche didattiche che mettono in atto, con le modalità educative
che realizzano.
Diventano così essenziali la consapevolezza dell’insegnante circa le finalità formative
ed educative che persegue, la capacità di tradurle in agire coerente e stimolante in
quanto incideranno sullo sviluppo armonico, quando l’agire è positivo, della personalità
dell’alunno o dell’alunna.
Anche il docente tuttavia è portatore di un sé, di un proprio punto di vista, di
significati e valori e, non sempre, nella sua azione formativa ed educativa, è
consapevole dei condizionamenti, palesi o nascosti, che induce.
La scuola, inoltre, è parte integrante della società e specchio dei cambiamenti storici,
sociali, culturali che in essa avvengono. La presenza di comunità scolastiche sempre più
complesse, caratterizzate da diversità fisiche, sociali e culturali, porta
necessariamente a mettere in discussione il significato classico della cultura e a
considerare quale asse portante delle scelte formative la tematica delle differenze
Le diversità di genere, presenti in tutti i gradi di scuola, costituiscono un’
irrinunciabile occasione per il mondo scolastico per favorire quella cultura delle
differenze che porta all’affermazione positiva dell’identità della persona, al rispetto e
alla reciprocità nella relazione, alla promozione della parità delle opportunità
inducendo una visione tollerante e quindi non di prevaricazione nei confronti dell’
“altro”, ma anche di tutela e affermazione della propria personalità forte degli
strumenti culturali atti ad individuare e superare criticamente gli stereotipi.
Attivare didattiche di genere in questo particolare momento storico risulta di
particolare importanza, ma si scontra con una tradizione educativa che fatica a
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superare la visione neutra della classe condizionata da un concetto di uguaglianza
forviante che sottintende una cultura solo apparentemente neutra, ma di fatto tesa a
conservare una struttura sociale prestabilita che , nonostante il vertiginoso aumento
del successo scolastico femminile, vede ancora le donne “votate” al ruolo di cura.
Il divenire donna o uomo, sostiene Barbara Mapelli, docente di Pedagogia delle
Differenze all’Università Bicocca di Milano, non è un processo lineare. La vicenda tra i
sessi, dato che è vicenda di culture e di vite, è educativa. Per questo motivo, una
pratica pedagogica sessuata, che offra ascolto e centralità alle parole di giovani
donne e uomini, è l’unica che possa offrire possibilità di comprensione di quel che
accade
e
cambia.
Di certo si propone alla scuola di aprire una nuova riflessione su questa tessitura del
proprio di sé donna e uomo, che è un lavoro quotidiano. L’immagine di sé nel futuro, il
confronto con esperienze, vissuti e relazioni del presente, è il lavoro di crescita che
dovrebbe avvenire soprattutto nel luogo educativo, ancora troppo “neutro” nelle
relazioni docente/discente (la classe è una , sono uguali….) e così marcatamente
culturalmente maschile ( le donne citate nei libri di testo sono ad oggi una micro
percentuale)
Come argomenta Stefano Ciccone, presidente dell’associazione Maschile plurale, in un
luogo come la scuola si infrangono le genealogie maschili perché la costruzione dei
saperi formalizzati rende obsoleti i saperi maschili tradizionali. Non è un caso che a
scuola i maschi vadano meno bene: il percorso di costruzione della propria identità, da
parte di un uomo, è contrassegnato da continue iniziazioni, verifiche e minacce che
richiamano la precarietà della propria virilità. La crisi del maschile, intesa come crisi
di un modello di valori tradizionali, può però essere un’occasione per aprire spazi di
libertà e un’opportunità per reinventare la propria collocazione nel mondo. La scuola
può rappresentare il “luogo sociale in cui si costruiscono strumenti condivisi per vivere
questa trasformazione se interpreterà questo ruolo cogliendo la necessità di un
ripensamento complessivo non solo dei saperi proposti, ma anche delle modalità di
relazione”.
Parlare della costruzione delle identità di genere a scuola permette inoltre di
affrontare la problematica questione di come costruire un dialogo tra generazioni
diverse, come costruire percorsi e linguaggi che non facciano percepire questo
dibattito come estraneo a generazioni di ragazzi e ragazze che vivono nella scuola.
Si tratta di un modo di porsi molto complesso, che chiama in causa piani diversi e che
è di difficile attuazione a livello di politiche educative.
Le politiche educative
Nel giugno 2010, la Commissione europea ha presentato uno studio, Gender
Differencies in Educational Outcomes: Study on the Measures Taken and the Current
Situation in Europe, che si basa sui dati raccolti da Eurydice , rete informativa sulle
politiche educative istituita dalla Commissione nel 1980. La ricerca analizza i sistemi
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di 29 Paesi (i 27 Stati membri dell’Unione europea – eccetto la Bulgaria – più Islanda,
Liechtenstein e Norvegia) e prende in esame le modalità attraverso le quali i Paesi
europei affrontano le disuguaglianze tra i sessi in ambito educativo. (figure 1, 2, 3)
L’analisi mostra che ci sono ancora molte differenze tra maschi e femmine, sia nella
scelta
degli
studi,
sia
nei
risultati
dell’apprendimento.
Tutti i Paesi europei, tranne alcune eccezioni, dispongono di politiche in materia di
parità tra i sessi (promozione della didattica di genere) nel campo dell’istruzione, o
intendono dotarsene. L’obiettivo è superare i ruoli tradizionali e gli stereotipi,
lavorando per l’aumento delle donne negli organi decisionali, il superamento di certi
modelli educativi e la lotta alle molestie di genere nelle scuole. Mancano, però, o sono
scarse, le iniziative volte a informare i genitori su queste tematiche e a coinvolgerli di
più per promuoverle.
Se, però, si passa ad analizzare le politiche di orientamento, emerge come in solo metà
dei Paesi europei esse tengano conto delle componenti di genere e siano rivolte, per lo
più, alle ragazze: di solito, si tratta di incoraggiamenti a scegliere carriere nel campo
della tecnologia e delle scienze naturali. Anche in presenza di iniziative e progetti
individuali interessanti, mancano strategie di portata nazionale, per superare gli
stereotipi di genere nella scelta della carriera.
In Italia, si assiste ancora a segregazioni di tipo orizzontale e verticale.
In mancanza di un orientamento adeguato, sia maschi sia femmine scelgono in
prevalenza percorsi di studio che ricalcano i ruoli tradizionali: le ragazze sono sovra
rappresentate negli indirizzi socio-pedagogici e artistici, mentre sono in minoranza
negli
istituti
tecnici.
Inoltre, se l’insegnamento si caratterizza per una netta femminilizzazione, pochissimi
Stati hanno adottato iniziative concrete per attrarre personale di sesso maschile.
Come se non bastasse, la proporzione delle donne tra il personale didattico cala con
l’ascesa nella piramide dirigenziale, soprattutto a livello universitario.
Sulla base dei risultati, le priorità per promuovere l’effettiva uguaglianza di genere
nei percorsi formativo-educativi restano: la lotta agli stereotipi, a ruoli tradizionali
rigidi, alle violenze sessuali in ambito scolastico; l’aumento dell’apporto delle donne nei
processi decisionali; il coinvolgimento dei genitori; la formazione dei docenti; una
minore femminilizzazione della categoria; la promozione di politiche che in modo più
incisivo
riducano
la
segregazione
orizzontale
e
verticale.
Tutto ciò richiede politiche complesse, che devono far fronte a resistenze di tipo
anche culturale.
L’impostazione dell’Unione europea non riconosce un peso centrale all’obiettivo di
integrare politiche di genere e politiche per l’istruzione, vuoi perché l’istruzione
viene vista come funzionale all’incremento dell’occupazione, vuoi perché la necessità di
superare gli stereotipi e i ruoli tradizionali in ogni ambito limita l’attenzione all’area
della rappresentazione, dei linguaggi e dei media in senso ampio e non alle realtà e alle
situazioni di discriminazione che le sottendono, vuoi ancora perché il discorso sulle
pari opportunità per tutti e sull’accessibilità delle politiche in qualsiasi ambito, porta
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con sé il rischio di creare un unico contenitore con effetti di “appiattimento” e/o
“competizione” tra vittime di discriminazioni molteplici.
In Italia si può dire che, in linea generale, le politiche per l’uguaglianza di genere
relative
alla
scuola
sono
marginali.
Intorno agli anni 80, il gruppo di filosofe Diotima, supportato da insegnanti e studiose
di pedagogia, elabora un’applicazione pedagogica che si propone di rifondare la pratica
dell’insegnamento alla luce dei capisaldi del pensiero della differenza. La pedagogia
delle differenza considera la differenza sessuale come fattore in grado di rimettere
in discussione le modalità di organizzazione e trasmissione dei saperi, uscendo dal
regime
di
neutralità
che
le
caratterizza.
Negli anni 90, questa impostazione confluisce nel Movimento per un’Autoriforma
Gentile, che ha tentato di portare al centro di un progetto di cambiamento della
scuola la relazione educativa e i linguaggi, riflettendo sulla relazione tra maschile e
femminile.
Dall’inizio degli anni 90, inizia un percorso istituzionale delle politiche di pari
opportunità, sia con la legge n. 125 del 91 sia la nascita degli organismi di parità, che
nel 1990 interessa il mondo dell’istruzione, quando nasce il Comitato per le Pari
Opportunità all’interno del Ministero della Pubblica Istruzione. Nei tre Piani d’azione
messi a punto fino alla fine dell’attività, nel 2000, da un lato si sottolinea il ruolo della
differenza, come necessità di tener conto dei limiti di un progetto politico fondato
solo sulle strutture dell’esistente; dall’altro lato, però, non si coinvolgono attivamente
gli uomini e, in particolare, nella scuola, gli studenti e la componente maschile del
corpo docenti.
La Direttiva Prodi Finocchiaro del 27 marzo 1997 , contenente azioni volte a
promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, dedica una sezione
all’obiettivo strategico della “formazione a una cultura di genere”. Nel documento
viene rimarcato l’obiettivo di entrare negli insegnamenti curriculari, il tema della
formazione dei docenti, oltre a dichiarare la volontà di inserire le questioni di genere
in contesti più ampi, come il rispetto delle differenze, la mediazione, l’educazione della
sessualità e i rapporti tra i sessi fondati sull’affettività.
Se la direttiva, negli anni successivi, ha avuto applicazione parziale per il mondo
dell’istruzione, il suo spirito è stato interpretato meglio in relazioni ai contesti
universitari dalla Ministra Laura Balbo, che nel ‘99 firma un Protocollo tra
Dipartimento per le Pari Opportunità e Conferenza dei Rettori, per dare impulso ad
azioni finalizzate a garantire l’uguaglianza di genere nelle carriere accademiche. Il
protocollo ha istituito il Delegato del Rettore per le Pari Opportunità e gli studi di
genere, prevedendo che tutte le delegate formassero una conferenza che si
incontrava periodicamente.
Negli ultimi anni, nelle Università, esiste fermento intorno agli studi di genere, anche
grazie all’istituzione dei Corsi Donne Politica e Istituzioni frutto di un’intesa tra la
Ministra per le Pari Opportunità e il Ministro dell’Università e della ricerca, in
collaborazione con la Scuola Superiore della Pubblica amministrazione.
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Di certo, nell’operatività dei programmi, assistiamo a forme di “semplificazione”: in
primo luogo, si finisce per rivolgersi ancora troppo solo a studentesse o docenti
donne, senza coinvolgere i maschi e sono per lo più assenti approcci maggiormente
orientati all’interpretazione critica delle complessità; in secondo luogo, resta
preponderante la questione del lavoro, a discapito delle discipline di insegnamento e
di un tema cruciale come il superamento degli stereotipi, la violenza di genere o il
bullismo, di cui si tende a dare letture neutre rispetto al genere; infine, c’è una
tendenza a considerare il cambiamento come adattamento alle strutture sociali
esistenti, piuttosto che a promuovere strategie e progetti che favoriscano la
trasformazione.
Nel giugno 2011 è stato siglato l’ultimo protocollo fra il Ministero delle pari
Opportunità e il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca in merito alla
diversità di genere (vedi appendice) che invita a promuovere la didattica di genere
nell’ambito della disciplina Cittadinanza e Costituzione, recependo le indicazioni della
Commissione europea. Interessante nel documento il richiamo ad azioni informative e
di coinvolgimento delle famiglie riconosciute quali principali agenzie educative e ai
media a cui viene attribuita una esplicita responsabilità nella definizione di modelli e
linguaggi .
Cosa si può fare
Indagare:
• le azioni formative che mettono le persone in grado di sviluppare la propria
soggettività a partire dalla differenza di genere, che è alla base dei nostri
rapporti con gli altri e con il mondo;
• le metodologie didattiche che promuovano le uguali opportunità per maschi e
femmine e contribuiscono alla affermazione positiva dell’identità.
Per approfondimenti si rimanda a Maschi e femmine a scuola: stili relazionali e di
apprendimento
Una ricerca su genere e percorsi formativi, a cura di Chiara Tamanini, 2007, Editore
Provincia Autonoma di Trento - IPRASE del Trentino
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