Cosa si intende per prevalenza ai sensi dell

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Cosa si intende per prevalenza ai sensi dell
Cosa si intende per prevalenza ai sensi dell’articolo 2135 del codice
civile (definizione di imprenditore agricolo) e dell’articolo 4 del d.lgs. n.
228 del 2001 (disciplina della vendita diretta)?
L’articolo 2135 del codice civile consente all’imprenditore agricolo di
commercializzare oltre ai prodotti di produzione aziendale anche prodotti agricoli
altrui sempreché questi ultimi non siano prevalenti rispetto a quelli propri. Allo
stesso modo, l’articolo 4 del d.lgs. n. 228 del 2001 consente la vendita diretta di
prodotti agricoli altrui, nel rispetto della prevalenza di quelli aziendali.
E’, peraltro, importante sottolineare che la vendita diretta può avere ad oggetto
anche “prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o
trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzati al completo sfruttamento
del ciclo produttivo dell’impresa” (cfr. art. 4, comma 5).
In ogni caso, per potersi avvalere della disciplina amministrativa semplificata di
cui allo stesso articolo 4 sopra citato, è necessario rispettare i limiti di ricavo dalla
vendita di prodotti altrui indicati nel comma 8 dello stesso articolo: 160.000 euro per
gli imprenditori individuali; 4 milioni di euro per le società.
Circa il significato da attribuire alla condizione della prevalenza dei prodotti
aziendali, secondo ANCI (cfr. Circolare ANCI del 25 ottobre 2005 che fornisce
indicazioni ai Comuni sull’applicazione dell’articolo 4 del d.lgs. n. 228 del 2001) vi è
prevalenza sulla base di un confronto in termini quantitativi tra i prodotti aziendali
ed i prodotti acquistati da terzi, confronto che potrà effettuarsi solo se riguarda beni
appartenenti allo stesso comparto agronomico. Ove sia necessario confrontare
prodotti appartenenti a comparti diversi, la condizione della prevalenza andrà
verificata in termini valoristici, ossia confrontando il valore normale dei prodotti
agricoli aziendali e il valore dei prodotti acquistati da terzi.
Per determinare la prevalenza dei prodotti aziendali rispetto a quelli di
provenienza extra-aziendale, ai fini dell’applicazione della disciplina amministrativa
semplificata di cui all’articolo 4 del d.lgs. n. 228 del 2001, bisogna considerare
esclusivamente la produzione complessivamente venduta nel corso dell’anno
dall’imprenditore agricolo con la modalità “vendita diretta”.
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Di conseguenza, non può avvalersi della disciplina amministrativa di cui al
citato articolo 4 l’imprenditore agricolo che, a fronte del conferimento/cessione
dell’intera produzione aziendale ad una cooperativa/impresa di trasformazione,
intenda procedere alla vendita al dettaglio di prodotti interamente altrui sebbene non
prevalenti rispetto ai prodotti aziendali già oggetto del predetto
conferimento/cessione.
Quanto al problema della verifica del rispetto della condizione essenziale della
prevalenza dei prodotti aziendali rispetto a quelli acquistati e rivenduti
dall’imprenditore agricolo, tale verifica va effettuata prendendo a riferimento il
quantitativo venduto su base annua: tale interpretazione è sostenuta dalla locuzione
utilizzata dal citato comma 8 laddove il calcolo dei ricavi derivanti dalla vendita dei
prodotti non provenienti dall’azienda deve essere effettuato con riguardo all’anno
solare precedente.
Conseguentemente, ai fini dell’applicazione della disciplina in esame non è
necessario che in ogni occasione di vendita siano commercializzati contestualmente
prodotti aziendali e prodotti extra-aziendali, dovendosi valutare il rispetto della
ricordata condizione di prevalenza a conclusione dell’anno solare di riferimento.
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Chi può effettuare la vendita diretta ai sensi dell’articolo 4 del d.lgs. n.
228 del 2001?
L’articolo 4 riferisce la disciplina amministrativa semplificata agli
imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese tenuto
dalle Camere di Commercio.
Oltre ai soggetti che esercitano, in forma individuale o societaria, le attività
definite agricole dall’articolo 2135 del codice civile, sono imprenditori agricoli – per
espressa previsione di legge (cfr. art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 228 del 2001) – anche
le società cooperative che siano costituite esclusivamente da imprenditori agricoli e
che utilizzano per lo svolgimento delle attività connesse di cui all’articolo 2135 del
codice civile (es. commercializzazione, trasformazione, ecc.) prevalentemente
prodotti dei soci ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla
cura ed allo sviluppo del ciclo biologico.
Dal 1° gennaio 2013 è stata abrogata la norma che riconosceva la qualifica di
imprenditore agricolo anche alle società di persone e s.r.l. cosiddette di mera
commercializzazione, ossia costituite esclusivamente da imprenditori agricoli per
l’esercizio delle attività connesse aventi ad oggetto soltanto i prodotti dei soci.
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Che cosa è una s.r.l. agricola?
E’ una società a responsabilità limitata disciplinata dalle norme di cui agli
articoli 2462 e s.s. del codice civile che, ai sensi dell’articolo 2 del d.lgs. n. 99 del
2004, deve esercitare esclusivamente le attività agricole di cui all’articolo 2135 del
codice civile.
Il suddetto articolo 2, nell’imporre a tali società l’obbligo di inserire nella
propria denominazione le parole “società agricola”, non disciplina in alcun modo la
composizione della compagine sociale, per cui è ben possibile che tale società sia
costituita da soci non imprenditori agricoli.
Considerato che tale società è per definizione imprenditore agricolo,
svolgendo esclusivamente le attività agricole di cui all’articolo 2135 cod. civ., essa
può svolgere attività di vendita diretta dei prodotti agricoli ai sensi della disciplina
amministrativa di cui al citato articolo 4.
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Che destinazione devono avere i locali in cui si intende svolgere la vendita
diretta?
L’articolo 4 detta una disciplina amministrativa speciale per l’esercizio della
vendita diretta, stabilendo che tale attività non è soggetta alla disciplina relativa
all’esercizio del commercio e impone espressamente l’osservanza delle norme
igienico-sanitarie.
A tal proposito, la giurisprudenza (cfr. sentenza T.A.R. Puglia, 11 novembre
2004, n. 5211) ha chiarito che: “il decreto legislativo n. 228 del 2001 non impone
affatto il possesso di requisiti oggettivi (conformità dei locali alle norme
regolamentari edilizie ed alle destinazioni d’uso di zona) … ed oblitera ogni vincolo
di natura urbanistica di guisa che i locali destinati all’attività di vendita scontano
unicamente la verifica di idoneità igienico sanitaria”.
L’applicabilità della disciplina amministrativa semplificata e del conseguente
esonero dal possesso dei requisiti sopra richiamati (destinazione d’uso dei locali;
osservanza delle prescrizioni in materia di pianificazione commerciale; ecc.)
presuppone che l’attività esercitata sia giuridicamente qualificabile come “vendita
diretta di prodotti agricoli”. Pertanto, requisito essenziale è che il soggetto che
esercita l’attività sia un imprenditore agricolo e che ponga in vendita direttamente al
consumatore finale prodotti aziendali per lo meno in misura prevalente rispetto ad
eventuali prodotti altrui.
Di conseguenza, in tutti i casi in cui l’attività di vendita sia effettuata da
soggetti diversi dagli imprenditori agricoli o nei casi in cui non sia rispettata la
condizione della prevalenza dei prodotti propri, l’attività non potrà qualificarsi
“vendita diretta” ma è riconducibile al novero delle attività commerciali (art. 2195
cod. civ.).
La riconduzione alla categoria delle attività commerciali comporta che per
esercitare tale attività è necessario:
- possedere i requisiti professionali (in alternativa: a) avere frequentato con
esito positivo un corso professionale per il commercio relativo al settore
merceologico alimentare, istituito o riconosciuto dalla regione, b) essere in
possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche
triennale, o di altra scuola ad indirizzo professionale, almeno triennale,
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purché nel corso di studi siano previste materie attinenti al commercio, alla
preparazione o alla somministrazione degli alimenti; c) avere, per almeno
due anni, anche non continuativi, nel quinquennio precedente, esercitato in
proprio attività d’impresa nel settore alimentare o nel settore della
somministrazione di alimenti e bevande o avere prestato la propria opera,
presso tali imprese, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita
o all’amministrazione o alla preparazione degli alimenti, o in qualità di
socio lavoratore o in altre posizioni equivalenti o, se trattasi di coniuge,
parente o affine, entro il terzo grado, dell’imprenditore, in qualità di
coadiutore familiare, comprovata dalla iscrizione all’INPS);
- presentare la SCIA al SUAP (sportello unico) competente per territorio;
- avere la disponibilità di locali a destinazione d’uso commerciale in base alle
risultanze catastali e in regola con la disciplina delle norme igienicosanitarie:
- rispettare la pianificazione delle attività produttive operata dal Comune che
individua le zone in cui è ammesso l’esercizio di attività commerciali.
La somministrazione non assistita
dell’esercizio della vendita diretta?
può
essere
effettuata
nell’ambito
Va, innanzitutto, detto che sul piano dell’inquadramento giuridico l’attività di
somministrazione non assistita è attività di vendita di prodotti per il loro consumo
immediato sul posto (cfr., ad esempio, legge regionale Lombardia n. 8 del 2009
secondo cui è consentita “la vendita degli alimenti di propria produzione per il
consumo immediato, purché tale attività sia strumentale e accessoria alla produzione
e alla trasformazione”).
A differenza dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande
riconducibile all’attività propria del settore della ristorazione, la somministrazione
non assistita si concretizza nella vendita dei prodotti dei quali si consente
all’acquirente la consumazione sul posto senza alcun servizio di assistenza.
Le disposizioni legislative in materia di liberalizzazioni delle attività
economiche (articolo 34 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla
legge n. 214 del 2001) hanno avuto come conseguenza il venir meno dei limiti
relativi all’ambito soggettivo dell’esercizio dell’attività di somministrazione non
assistita e, pertanto, gli imprenditori agricoli dediti alla vendita diretta possono
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effettuare contestualmente l’attività di somministrazione non assistita dei prodotti
oggetto di vendita.
Sul punto, richiamando un parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato del 4 gennaio 2012, ANCI con circolare del 10 luglio 2012 ha affermato:
“anche nelle ipotesi di vendita diretta effettuata dagli imprenditori agricoli ai sensi
della disciplina in esame non può ad essi essere preclusa dalle Amministrazioni
comunali la possibilità di effettuare contestualmente a tale attività la
somministrazione “non assistita” dei prodotti oggetto di vendita per il consumo in
loco”.
Tuttavia, l’esercizio della somministrazione non assistita presuppone il rispetto
dell’eventuale disciplina regionale che, in alcuni casi, impone la previa
comunicazione/segnalazione di inizio attività al Comune del luogo in cui si intende
effettuare tale attività ovvero prevede alcune specifiche restrizioni in termini di
modalità di esercizio dell’attività in questione (es. divieto di cucinare e/o riscaldare
alimenti sul posto).
Quali prodotti possono essere somministrati in modalità non assistita?
Per la somministrazione non assistita vale quanto sopra detto sia per quanto
riguarda i prodotti vendibili sia con riguardo al criterio della prevalenza per
individuare i prodotti che possono formare oggetto di vendita diretta.
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La mescita del vino rientra nella somministrazione non assistita?
Tenuto conto di quanto sopra detto circa le caratteristiche proprie della
somministrazione non assistita, quale attività che non consente all’esercente la
prestazione di alcun servizio di assistenza a favore dell’acquirente, si ritiene che il
vino non possa essere venduto mediante servizio di mescita.
Deve ritenersi, al contrario, ammissibile la vendita del vino imbottigliato con
successivo consumo in loco da parte dell’acquirente, mediante impiego di piani di
appoggio e utilizzo di bicchieri a perdere, senza alcuna assistenza e conseguente
pagamento di un corrispettivo separato rispetto al prezzo del vino venduto in
bottiglia.
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Quali sono gli adempimenti per l’apertura di una “Bottega Italiana”?
A differenza dell’attività di vendita diretta effettuata dagli imprenditori
agricoli, nel caso di una Bottega Italiana l’attività di vendita ivi esercitata è
riconducibile all’esercizio di attività commerciale ai sensi dell’articolo 2195 del
codice civile.
Di conseguenza, non trovando applicazione la disciplina amministrativa
semplificata di cui all’articolo 4 del d.lgs. n. 228 del 2001, deve essere osservata la
normativa che regola l’attività di commercio di cui al d.lgs. n. 114 del 1998
(cosiddetto decreto Bersani) e delle conseguenti leggi regionali di pari oggetto.
Va, in ogni caso, precisato che, per effetto delle novità in materia di
liberalizzazioni delle attività economiche (cfr., in particolare, il decreto-legge n. 201
del 2011), anche per gli esercizi commerciali sono venute meno le limitazioni inerenti
gli orari di apertura in giornate festive e domenicali.
Si rinvia, in ogni caso, a quanto già detto nella precedente risposta in tema di
destinazione urbanistica dei locali.
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