Documenti archeologici del Museo Civico di Lucera

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Documenti archeologici del Museo Civico di Lucera
DOCUMENTI ARCHEOLOGICI
del Museo Civico di Lucera
Siamo lieti di poter presentare i principali monumenti archeologici del Museo « Fiorelli » di Lucera, non solo perché si tratta di
materiale di primo ordine, dal punto di vista storico ed artistico, ma anche perché
essi appartengono al patrimonio di uno dei
più illustri centri della Capitanata, raggiungibile in qualsiasi momento da chiunque,
dopo aver letto le note che seguiranno, si
sentirà spinto a conoscere « dal vero » gli
oggetti qui descritti, oppure a rivederli per
fissarne meglio certi particolari non sempre
Fig. 1 - Testa fittile dalla « stipe acquisibili ad una prima vista e, infine per
del Salvatore » (I sec. a. C.)
apprezzarne tutta l'importanza sia come irripetibili documenti del passato, sia come, aventi spesso un proprio incontestabile valore artistico.
A questo punto è opportuno precisare che il presente lavoro non va
considerato soltanto come utile strumento per una visita al Museo di Lucera, cioè, per così dire, come una « guida ». Il materiale qui presentato è in
parte poco noto o del tutto ignoto anche a molti studiosi di Archeologia,
che, da questa segnalazione, potrebbero essere indotti ad approfondire lo
studio di singoli monumenti, finora inediti, oppure appena menzionati in
qualche vecchia guida della città.
Per rendere organica la trattazione dei numerosi oggetti raccolti nel
Museo, si è pensato di procedere secondo le seguenti classi di ma38
teriale: I) Terrecotte votive; II) Ceramica e terrecotte architettoniche; III)
Mosaici; IV) Scultura in pietra. Di proposito, quindi, abbiamo tralasciato di
occuparci di altre classi di materiale, o perché rientrano in un campo di studio specialistico o perché cronologicamente estranee al mondo antico. In
particolare si tratta di numerose epigrafi latine, già peraltro abbastanza conosciute dagli specialisti, di monete romane, di età repubblicana ed imperiale; di pochi manufatti di età preistorica e, infine, di una raccolta di ceramiche e di sculture di età medievale.
I)TERRECOTTE VOTIVE
Questa classe di oggetti è fra le più importanti del Museo. Ad essa
appartengono oggetti in terracotta di vario tipo (figurine umane e teriomorfe, antefisse, modellini di edifici, parti anatomiche) accomunati in questo
capitolo per essere stati offerti come ex-voto ad una divinità.
La massima parte degli oggetti qui menzionati appartiene ad una unica stipe votiva, rinvenuta a Lucera, sul colle del Belvedere, presso il Monastero e la chiesa del SS. Salvatore. La stipe, nota con il nome di « stipe del
Salvatore », fu esplorata in maniera regolare nel 1934-35 dalla Soprintendenza alle Antichità e di essa è stata data una relazione preliminare dall'archeologo Bartoccini 1.
Gli oggetti più numerosi nella stipe sono costituiti da ex-voto riproducenti parti del corpo umano, offerti alla divinità, o per grazia ricevuta,
cioè per l'avvenuta guarigione di questo o quell'organo, o per invocare una
pronta guarigione. Si hanno, perciò, mani, piedi, bracci, gambe, organi di
riproduzione maschili e femminili, mammelle, ecc. Abbondanti sono anche
i modellini di bambini, da quelli ancora avvolti in fasce a quelli più grandicelli, con « bulla » legata al collo. Ci sono anche delle teste a tutto tondo di
giovinetti, dalle folte chiome fluenti, che rappresentano quanto di più valido artisticamente ci sia nella stipe. Anche fra queste teste, tuttavia, ci sono
forti differenze di qualità, cosicché si va da tipi ancora del primo Ellenismo
(il c.d. « Alessandro Magno ») a tipi più tardi, di fattura più propriamente
italica, dei quali alcuni, che conservano una spessa ingubbiatura rossa, appaiono di straordinario interesse per chi voglia ricercare le origini del ritratto italico-romano ( fig. 1).
1 R . BARTOCCINI, Arte e religione nella stipe di Lucera, in « Japigia », (Bari)
XI, 1940, pp. 185-213 e pp. 241-298. Altro materiale della stessa stipe era venuto alla
luce già prima, in più riprese, come attestano dei pezzi attualmente a Napoli, nella
Collezione Santangelo, formatasi nell'800, ed altri ancora immessi nel 1904 per donazione nella raccolta lucerina.
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Va osservato che il grosso dei materiali della stipe è collocabile fra gli
inizi del III e la fine del I secolo a. C. In essa sono ancora frequentissime le
teste e le mezze teste femminili e vere e proprie statue virili, vestite alla greca (« chiton » ed « himation ») o alla romana (tunica e toga), di grandi dimensioni, anche se sono state rinvenute tutte in frammenti e rimangono
spesso molto lacunose.
Non è nota la divinità cui erano dedicati gli oggetti votivi della stipe,
ma fra questi c'è una testa femminile con ricco elmo, raffigurante Minerva;
si potrebbe pensare, allora, che a tale divinità fosse consacrato il tempio di
cui doveva far parte la stipe; si tratterebbe, in tal caso, di una Minerva «
Medica ».
Non mancano, tuttavia, fra le figure della stipe altre rappresentazioni
di dèi, come un busto (appartenente ad una statua maggiore del naturale)
dal torace nudo e possente, identificato con Giove, oppure il pezzo più eccezionale dell'intera stipe raffigurante Proserpina (resta il busto con la testa)
rapita da Plutone (fig. 2). Questo pezzo merita qualche ulteriore commento.
La dea, priva di braccia, è rappresentata con il torso nudo, cosicché è posto
in evidenza il bel seno fiorente; un manto saliva dalla spalla sinistra, ma esso appare spezzato in alto. Il volto, dal profilo purissimo, presenta le labbra
carnose socchiuse, gli occhi grandi ed assorti; i capelli, divisi al centro, sulla
fronte, da una scriminatura, sormontata da un diadema, scendevano con
due morbide ciocche su entrambe le spalle. Del rapitore resta soltanto una
grande mano sul fianco sinistro della dea. L'opera doveva essere appoggiata
a una parete, come dimostra la parte posteriore lasciata allo stato di abbozzo; essa è certo opera di un valente artista, non provinciale, e può essere
collocata agli inizi del II secolo a. C.
Molti sono pure i modellini fittili di animali, dei quali i più rappresentanti sono i cavalli, i buoi, i cinghiali. Di altro genere sono i frammenti raffiguranti il muso e lo zoccolo, completo di garetto, di un cavallo, che, per le
sue dimensioni eccezionali (superiori al naturale), faceva parte, probabilmente, del frontone o dell'acroterio di un tempio. Interessanti sono, a tal
proposito, dei modellini di edifici, dei quali uno, completo, ha un aspetto
molto sobrio 2, l'altro, invece, di cui resta solo un frammento della parte
sinistra, conserva la colonna con capitello ionico, il fregio ad ovuli, l'acroterio angolare, costituito da una
2 Cfr. R. A. STACCIOLI, Un «nuovo » modello di edificio nel Museo Civico di Lucera, in « Archeologia Classica », XXII, 1970, pp. 72-75,
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grande voluta e, per finire, una figura frontonale costituita da un grosso
volatile rivolto verso il centro del timpano.
II) CERAMICA E TERRECOTTE ARCHITETTONICHE
CERAMICA
La ceramica conservata nel Museo di Lucera deriva, per la maggior
parte, da doni di collezionisti privati e mancano, quindi, gruppi di oggetti
derivanti dallo stesso corredo tombale; essa si articola in parecchie classi,
diverse fra loro per tecnica, per decorazione, per forme e per cronologia. Si
dà qui, pertanto, una loro breve sintesi, seguendo, per quanto possibile, un
ordine cronologico.
Ceramica d'impasto. - Con tale termine si indica la ceramica modellata
con un'argilla non depurata, ma piena di scorie di varia natura (« impasto »);
essa fu usata da fabbriche di vasai indigene, soprattutto in età pre-classica.
Gli esempi più antichi di tale ceramica, conservati a Lucera, sono un frammento con decorazione intagliata a meandro, di tipo « appenninico » (età
del Bronzo) ed alcuni vasi (brocche ed anforette) e fusaiole (elementi di
collana di terracotta) della prima età del Ferro (VIII sec. a. C.).
Ceramica dipinta di stile geometrico. - Questa classe rappresenta la più caratteristica ceramica indigena della Daunia (corrispondente, grosso modo,
all'attuale provincia di Foggia) e si sviluppa cronologicamente per circa
quattro secoli, dagli inizi del VII alla fine del IV secolo a. C. Oltre che per
la decorazione strettamente geometrica e, comunque, mai figurata, elemento questo comune alle altre ceramiche indigene del resto dell'Apulia (Peucezia e Messapia), essa si distingue per i colori della decorazione (bruno e rosso-vinaccia su fondo giallino ) e per alcune forme peculiari, come l'attingitoio con alta ansa cornuta, lo « sphagheion » con largo labbro ad imbuto ed
elementi plastici (protomi di toro, mani, ecc.), i vasi-filtro, gli askoi e così
via.
Verso la metà del IV secolo a. C. fino alla sua completa scomparsa,
cioè nel primo periodo ellenistico, tale ceramica assume delle modifiche
nella decorazione; al rigido geometrismo tradizionale si sostituisce, cioè,
una decorazione formata di elementi vegetali, come tralci di vite, racemi e
foglie di vario genere, fregi di linee curve, mentre appaiono, per la prima
volta, figurine di animali, soprattutto delfini. Tale produzione si attribuisce
alle fabbriche di Canosa, molto attive in questo periodo e che sembrano
raccogliere l'eredità delle fabbriche della Dau42
nia centrale (Ausculum, Herdonia), ormai in decadenza. La ceramica « canosina » conserva, del periodo precedente, ancora alcuni caratteri, come il
gusto per le forme ampie (urne, askoi) e per gli elementi decorativi plastici.
La decorazione pittorica può essere limitata a motivi neri su fondo giallino,
oppure può assumere un ricco aspetto policromo.
Ceramica apula « a figure rosse ». - Questa ceramica, che deriva dalla ceramica attica a figure rosse, appare alla fine del V secolo a.C. (ceramica protoitaliota) e si sviluppa soprattutto nel IV secolo, decadendo agli inizi del
III secolo a. C. E' una ceramica di imitazione greca, che ha avuto una grandissima fioritura in tutta l'Italia meridionale e soprattutto in Apulia (i vasi di
tale genere fino a pochi anni fa erano detti, infatti, « apuli »), dove sono stati rinvenuti vasi di grandissimo pregio artistico e di notevole impegno tecnico, come alcuni trovati a Ruvo, ormai giustamente famosi nella letteratura
archeologica.
Ceramica di Egnatia. - Tale classe di ceramica, che prende nome dalla
nota città sulla costa brindisina, è diffusissima in tutta l'Apulia ed ottimi
esempi di essa si trovano nel Museo di Lucera. Di questa ceramica, fiorita
fra il IV ed il III secolo a. C., sono presenti le forme più comuni, come la
kylix, L'oinochoe, L'epikysis; la decorazione, caratteristica, è costituita da un
fondo a vernice nera, su cui appaiono sopradipinti, in bianco, giallo, rosso,
motivi miniaturistici vegetali, come tralci di vate, calici di fiori e simili. Sono
rare, ma non del tutto assenti, le figurine di animali, pur se limitate ai vasi di
dimensioni maggiori.
Ceramica a vernice nera. - Questa classe di ceramica, completamente
verniciata in nero, è presente nel Museo di Lucera, con diversi esemplari,
che vanno dagli inizi del V secolo (tre kylikes) a tutto il III secolo a. C. Le
forme sono numerose e varie: kylikes, brocche, oinochoai, piatti con palmette impresse nel fondo. I vasi, artisticamente più belli, di questa classe
sono, però, i « gutti », che presentano un medaglione centrale con figure in
rilievo (notevoli fra tutti, due esemplari recanti, rispettivamente, una testa di
negro ed una scena di sacrificio).
Un posto a sé occupano, sia per la rarità della forma, sia per l'eccezionalità della raffigurazione, tre « rithà » (vasi plastici) di fattura apula, attribuibili al IV secolo a. C. Essi rappresentano, rispettivamente: una testa
femminile, una testa di Sileno e, il più insolito, un coccodrillo recante sul
dorso un giovinetto.
Lucerne, - La ceramica romana è, stranamente, piuttosto rara nel
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Museo di Lucera, tuttavia abbondano le lucerne, soprattutto di età romana
imperiale. Alcune di esse presentano, nel medaglione centrale, scene interessanti, come quella raffigurante la lotta fra due gladiatori; altre conservano
sul fondo il marchio di fabbrica (APRIO F; EVCARPI; AGILIS F; ecc.).
Numerosi sono i cosiddetti «pesi da telaio » a forma di piramide
tronca, dei quali alcuni presentano delle figure in rilievo, come il busto di
Athena con l'elmo e l'alto cimiero.
TERRECOTTE
Terrecotte architettoniche. - Numerose sono le terrecotte architettoniche,
che con la loro policromia ornavano la parte alta degli edifici pubblici e privati.
Antefisse. - Le antefisse, elementi terminali dei coppi, che coprivano le
giunture fra due tegole contigue, sono di vario tipo e di varia epoca; esse
possono essere collocate, nell'insieme, fra gli inizi del V e la fine del IV secolo a. C. Alcune hanno la parte alta terminante a cuspide, altre si presentano arrotondate.
La maggior parte di esse è decorata da un'ampia palmetta o dalla testa
di Medusa, ma non mancano quelle che recano scene più complesse: cavalli
alati, guerrieri a cavallo di un ippocampo, ecc.
Gocciolatoi. -- Le antefisse potevano essere sostituite da un'ampia
gronda fittile continua, interrotta soltanto, ad intervalli regolari, da aperture
che consentivano la caduta dell'acqua piovana; tali aperture sono modellate,
per lo più, a testa di leone, ma, oltre a quelle di questo tipo, sono presenti
nel Museo anche alcune gronde a testa di cinghiale.
Acroterî. - L'acroterio è un elemento decorativo più complesso dei
precedenti; esso era collocato sugli spigoli del timpano degli edifici antichi.
Di grande importanza è l'acroterio conservato nel nostro Museo,
raffigurante una divinità di lontana origine orientale (« Pothnia theròn » =
signora delle fiere), e che conserva ancora l'antica policromia (bruno ed
oro). Lastre con rilievi. - Notevoli sono, infine, due lastre fittili ornate con
scene in rilievo, che in origine erano collocate, probabilmente, come fregio
di un edificio. La prima lastra rappresenta, in uno stile vigoroso, la figura di
un combattente ignudo, la seconda raffigura due divinità, che affiancano un
trofeo; entrambe le lastre sono attribuibili ad età ellenistica (III-II secolo a.
C.).
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III) M O S A I C I
Il pavimento della sala X è ricoperto quasi interamente dal grande
mosaico « marino » 3 , proveniente, forse, da un edificio termale 4 , sito in
Lucera, nella attuale Piazza Nocelli, dove fu rinvenuto nel 1899. Tale mosaico, citato da tutti quelli che si sono interessati del Museo di Lucera, o
più in generale della Puglia, è formato di tessere bianche e nere e si articola in due parti ben distinte: quella di destra, che presenta una ricca ed ordinata decorazione geometrica e quella di sinistra, la più grande, che mostra una scena di ambiente marino con fregio di Ippocampi, tori marini,
Tritoni, Eroti con la vela, timoni, àncore e delfini. Il mosaico è databile
tra la fine del I secolo ed i primi anni del II secolo d. C.
Alle pareti della stessa sala sono affissi diversi frammenti di altri
mosaici, tutti ad ornati geometrici, alcuni bicromi ed altri policromi. Anche questi frammenti sono attribuibili all'età imperiale romana.
IV) SCULTURA IN PIETRA
La ricca raccolta di sculture in pietra del Museo « Fiorelli » si è formata, per la maggior parte, attraverso donazioni di privati ed è, pertanto,
ignota la provenienza dei singoli « pezzi », anche se è più che probabile
una loro provenienza da Lucera e dai dintorni.
Essa sarà qui suddivisa, per comodità di esposizione, in tre sezioni:
a) sculture di soggetto mitico ; b) altre sculture; c) ritratti.
a) Sculture di soggetto mitico. - La statua più celebre conservata a Lucera e, forse, il « pezzo » più noto dell'intero Museo è la Venere, che occupa
l'ampio salone dei mosaici. La statua fu rinvenuta nella zona dell'anfiteatro, nel 1872, e mandata, per il restauro, a Napoli, dove fu completata con
l'aggiunta del piede destro e con una parte del plinto. L'opera, in marmo
bianco, rappresenta la dea in atteggiamento pudico, avente alla sua sinistra
un delfino sul cui dorso sta ritto Cupido, nell'atto di sostenere, con entrambe le mani, un profondo bacile. La statua rappresenta il tipo della
Venere « pudica », che ha come lontano prototipo l'Afrodite « Cnidia »,
dello sculture greco Prassitele (IV secolo a. C.). Tale iconografia ebbe,
però, numerose e svariate rielaborazioni
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Le misure sono le seguenti: m. 10,40 x m. 4,75.
Cfr.: A. SOGLIANO, Not. Sc., 1899, p. 275.
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in età ellenistica, ad una delle quali si ricollega, più direttamente, l'opera
rinvenuta a Lucera, che costituisce una discreta copia romana (I secolo
d.C.).
Un'altra opera di notevole pregio artistico è la testa di Ercole (inv.
168), appartenente forse ad una statua intera. L'opera (fig. 3), in marmo
bianco, è tagliata alla base del collo; il dio è raffigurato, secondo l'iconografia più comune, fornito di una folta barba, che si ricollega alla ricca chioma,
cinta, tutt'intorno, da uno spesso cercine: il trattamento morbido e plastico
delle ciocche rivelano la buona qualità della testa. La bocca socchiusa, le
orbite cave, la fronte segnata da un profondo solco orizzontale sono tutti
elementi che concorrono a dare al dio invitto un aspetto stanco e sofferente. L'opera è una buona copia romana di un originale greco del grande Lisippo (seconda metà del IV secolo a. C.).
Pregevole è anche una testa marmorea di Venere (inv. 151), ta46
gliata subito sotto il mento ed appartenente ad una statua intera della dea. I
capelli formano una prima crocchia sull'occipite e sono raccolti, quindi, al
sommo del capo; poco sopra la fronte appare, inoltre, una sottile « tenia ».
L'originale di tale opera apparteneva certamente all'età ellenistica ; la
testa in esame, invece, è una buona copia romana della seconda metà del II
secolo d. C. Elementi seriori sono le iridi incise ed il modo con cui sono
rese le ciocche dei capelli, cioè mediante un largo impiego del trapano corrente.
Una statua in marmo bianco, di grandi dimensioni, ma di esecuzione
piuttosto scadente, è quella che rappresenta una figura virile seduta, con il
torso nudo e con il mantello che, dopo aver circondato il bacino, risale lungo la schiena ricadendo, con un lembo, sulla spalla sinistra. La figura, acefala, è rappresentata nell'atto di tenere con la destra una patera, con la sinistra
una cornucopia; per questa ragione è stata considerata comunemente come
la raffigurazione del « Genius populi Lucerini ». Essa è attribuibile ad età
romana imperiale.
Altra opera di un certo interesse è una doppia testa (inv. 153) marmorea, in cui appaiono raffigurati da un lato il dio-capro Pan, dall'altro un
imberbe satirello; è un'opera arcaistica attribuibile al I secolo d.C. (fig. 4).
Degne di menzione sono ancora: una testa di satirello (inv. 152), un
Heros giacente, nell'atto di dormire (s. inv.), una testa di Dionysos barbato
(inv. 175) e, infine, due statuette raffiguranti rispettivamente Dionysos ed
Apollo; si tratta di opere di età romana, aventi soltanto un valore decorativo.
Eccezionale importanza riveste, invece, il capitello collocato, sopra
un frammento di colonna con base ionica, al centro della Sala VI. Si tratta
di un capitello scolpito in calcare locale e recante una ricca figurazione in
rilievo, su quattro facce. Le scene, non sempre di facile interpretazione per
la cattiva conservazione di alcune figure, sembrano essere le seguenti: a)
Tetide sul dorso di un Ippocampo, mentre reca la corazza di Achille; b)
Scilla che divora i compagni di Ulisse; c) Polifemo e Galatea ( ?) ; d) Scena
di congedo.
L'opera può senz'altro essere considerata un originale di età ellenistica.
b) Altre sculture. - Annoveriamo sotto questo titolo sculture di vario
genere, di soggetto non mitico. La più importante, non solo per le sue dimensioni eccezionali, ma anche per i problemi che pone,
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è il busto colossale che troneggia sul ripiano dello scalone di accesso al Museo. Il busto, in marmo bianco, presenta la testa intenzionalmente scalpellata in antico; esso faceva parte di una statua seduta, come è facilmente intuibile dalla presenza della spalliera del sedile in entrambi i lati e soprattutto a
destra, dove appare decorata con un motivo a tralci vegetali in basso rilievo.
La statua doveva essere addossata ad una parete e rappresentava un imperatore con il torso nudo, ma ricoperto parzialmente da un manto, che, coprendo la schiena, ricadeva a sinistra sul petto. Della testa, completamente
abrasa, si può dire soltanto che essa era cinta da una larga benda che, annodata sulla nuca, ricadeva con le due estremità sul petto; oltre che dalla benda la testa era cinta da una corona di quercia, di cui si vede ancora qualche
foglia nella parte posteriore. Il braccio sinistro, unico superstite, si eleva in
alto e la mano sembra stringesse uno scettro, come appare dal resto di un
tassello di appoggio nella parte interna del polso.
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Chiaramente siamo dinanzi ad una statua di un imperatore romano, il
cui volto fu scalpellato in seguito alla « damnatio memoriae » ; potrebbe
trattarsi di Domiziano, dal momento che una datazione all'ultimo ventennio
del I secolo d. C., non contrasterebbe con i tratti anatomici e stilistici dell'opera.
Altre opere degne di nota sono: un grande frammento di statua femminile panneggiata, in « pietra di Apricena », appartenente, forse, ad una
statua funeraria ed attribuibile ad età romana repubblicana ed ancora un
frammento di lastra calcarea decorata ad alto rilievo, con teste femminili
collegate fra loro da grossi festoni di frutta e fiori ed ornati da « vittae »
svolazzanti (I secolo d. C.).
Maggiore importanza sembra assumere, tuttavia, un frammento di
una grossa lastra in « pietra di Apricena », raffigurante, in rilievo, un uomo
che spinge dinanzi a sé degli animali (buoi?), che dovevano essere raffigurati nella parte sinistra della lastra, ora mancante. Il rilievo è stato interpretato
come la rappresentazione dell'atto dell'istituzione della colonia (tracciamento del solco) ed è databile ad età augustea.
c) Ritratti. - Ricca e di grande importanza artistica è la raccolta dei ritratti in pietra. Essi, che rappresentano, probabilmente, privati cittadini di
Luceria, occupano cronologicamente circa un secolo e mezzo di storia della
città, dalla prima metà del I secolo a. C. alla seconda metà del I secolo d. C.
I primi ritratti appaiono eseguiti in semplice pietra calcarea, soprattutto nella « pietra di Apricena », mentre i più recenti sono marmorei.
Primo nella serie cronologica sembra porsi un ritratto muliebre (inv.
155), eseguito in « pietra di Apricena ». Si tratta di una testa di notevoli dimensioni, priva della calotta cranica. Il taglio netto della parte superiore
della testa esclude che possa trattarsi di una lacuna accidentale e fa pensare
che vi fosse applicato un tassello di stucco, recante, fino alla sommità della
fronte, un lembo del manto, che si scorge dietro la nuca. Il viso presenta
larghe e possenti mascelle, labbra carnose, occhi grandi con i bulbi alquanto
sporgenti; le palpebre inferiori sono rettilinee, quelle superiori fortemente
arcuate. Dei capelli restano le due parti laterali che, discendendo probabilmente da una scriminatura centrale, mostrano una doppia serie di onde,
fitte, dal viso verso la parte posteriore del capo, ampie in senso perpendicolare alle prime. L'opera, che probabilmente faceva parte di una statua o di
un busto funerarî, è databile al secondo quarto del I secolo a. C.
Il ritratto n. 164 rappresenta un uomo in età giovanile ed è ese49
guito, parimenti, in « pietra di Apricena ». Esso appare sbozzato nelle parti
laterali ed è addirittura non finito nella parte posteriore; inoltre alla base del
collo appare l'orlo di una leggera tunica. L'uomo è rappresentato con il
mento prominente ed appuntito, le labbra serrate, gli occhi grandi con le
palpebre arrotondate ed i bulbi levigati, le orecchie a ventola, i capelli appena sbozzati a piccole ciocche; le guance sono leggermente cave e gli zigomi
un po' sporgenti.
Anche questa testa doveva far parte di una statua, o di un busto, a carattere funerario, probabilmente collocata in una nicchia in modo che fosse
visibile solo il lato anteriore. L'opera è databile intorno alla metà del I secolo a. C.
Il ritratto muliebre n. 154 è stilisticamente molto vicino a quello ora
esaminato (n. 164). Esso è eseguito in « pietra di Apricena » e manca della
parte posteriore, forse, in origine, integrata con lo stucco. Il volto della
donna mostra uno stile asciutto, ma estremamente incisivo: il mento è forte,
le labbra sottili e serrate, il naso dritto, gli occhi grandi, con le palpebre
curve ed i bulbi lisci, i capelli sono divisi al centro della fronte e tirati indietro; tracce di due lunghe ciocche appaiono ai lati del collo. Questo ritratto,
in cui si può scorgere un avvicinamento alla compostezza ed all'equilibrio
del ritratto greco-ellenistico, è assegnabile fra il terzo e l'ultimo quarto del I
secolo a. C. (fig. 5).
Di notevole pregio artistico, anche per il suo carattere aulico, è il ritratto muliebre, contrassegnato dal numero di inventario 166. Esso è eseguito in marmo bianco ed è tagliato all'altezza delle clavicole. Il ritratto raffigura una giovane donna, certo di famiglia patrizia. Il collo è lungo e sottile
ed il mento arrotondato; la bocca ed il naso sono, purtroppo, guasti per
varie scheggiature; gli occhi, volti verso l'alto, hanno un aspetto sognante,
dovuto, forse, alla forte consunzione delle superfici; l'iride e la pupilla non
sono segnate. Le sopracciglia si sviluppano con una linea sottile su due ampie arcate; la fronte è alta. La pettinatura appare elaborata soprattutto nella
parte posteriore; i capelli, tirati indietro, formano delle strette onde convergenti verso l'occipite, dove appare una complessa crocchia, formata dall'incrocio di varie trecce. Le orecchie appaiono semicoperte dai capelli e subito
davanti ad esse dovevano scendere delle ciocche supplementari, come suggeriscono dei tasselli tuttora ben visibili. L'artista ha ripreso, soprattutto
nella pettinatura, modi caratteristici dell'arte ellenistica, elaborandoli e complicandoli in un sottile giuoco decorativo. La testa, che
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forse apparteneva ad una statua intera, è assegnabile alla prima età augustea.
Un altro ritratto degno di nota è quello di una donna anziana (inv.
165) ; esso è eseguito in « pietra di Apricena » ed è, purtroppo, molto mal
conservato. La testa ha, nel complesso, forma tondeggiante, le labbra sono
pressoché inesistenti, tendendo verso l'interno della bocca, gli occhi sono
eseguiti nello stesso stile riscontrato per i ritratti n. 164-154, i capelli sono
spartiti al centro della fronte, da cui si dipartono verso i lati con lievi ondulazioni, e presentano, inoltre, un contorno nettamente distinto; carattere
riscontrabile, in maniera più accentuata, nel ritratto precedente (inv. 166).
Nonostante il precario stato di conservazione, che non permette di
vedere tutti i particolari stilistici, l'opera può essere assegnata agli ultimi
anni del I secolo a. C.
Un'opera tipologicamente diversa dai ritratti qui esaminati è una lastra con due festoni ovali, entro cui appaiono scolpiti, ad alto rilievo, i busti
di due coniugi. La lastra, di pietra calcarea tenera, che presenta alle estremità due strette paraste decorate da elementi vegetali in basso rilievo, faceva
parte di un monumento sepolcrale ed è stata rinvenuta nella primavera del
1970, nei dintorni di Lucera. Il rilievo, nelle cui figure è accennata anche la
parte superiore del busto, nonostante certi caratteri di secca semplicità (evidenti nel ritratto virile) e certi elementi nell'acconciatura dei capelli, risalenti
ai primi decenni del I secolo d. C. (nel ritratto muliebre), è assegnabile ad
epoca tiberiana (14-37 d. C.) 5.
Il ritratto n. 169 è eseguito in marmo bianco con venature azzurrognole (fig. 6). Il busto è tagliato secondo una linea curva, giungendo poco al
di sotto delle clavicole; esso è vuoto nella parte posteriore. Il mento è arrotondato, le labbra serrate, il naso è scheggiato, gli occhi non presentano
alcuna incisione indicante l'iride e la pupilla; la fronte, solcata da rughe orizzontali, sembra bassa a causa della pettinatura che forma una frangia, con
le piccole ciocche ricadenti in avanti. L'opera, erroneamente identificata dal
Gifuni 6 con il ritratto di Traiano, è attribuibile, per il tipo di capigliatura e
per le dimensioni del busto, ad età giulio-claudia, più in particolare alla metà
circa del I secolo d. C.
Un ritratto virile in marmo bianco-azzurrognolo (inv. 167), pone
5 Di questo rilievo è in corso di pubblicazione uno studio più dettagliato da
parte dello scrivente.
6 G. B. GIFUNI, Lucera augustea, Urbino, 1939, p. 27, fig. 22.
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numerosi interrogativi stilistici e cronologici, anche per il pessimo stato di
conservazione, che non permette un chiaro esame dei dettagli. E' una testa
massiccia e squadrata, resa ancor più tale dalle scheggiature del viso e dalle
abrasioni della calotta cranica. La parte inferiore è illeggibile, gli occhi fissi
nel vuoto presentano l'iride e la pupilla incise; la fronte, alta, reca una profonda solcatura orizzontale. L'individuo appare stempiato e con un piccolo
ciuffo al centro, alla sommità della fronte. L'opera rientra in quella corrente
di sano e rude realismo che caratterizza i ritratti dell'età flavia.
ETTORE M. DE JULIIS
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE *
SOGLIANO A. Notizie degli Scavi di Antichità, 1899, p. 275.
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* in ordine cronologico
Tutte le fotografie presentate in questo studio sono state eseguite dallo scrivente.
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