Michel Foucault, "Il faut défendre la società", Seuil

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Michel Foucault, "Il faut défendre la società", Seuil
Michel Foucault, "Il faut défendre la società", Seuil-Gallimard, Paris, 1997, tr. it. c/ di Mauro Bertani e
Alessandro Fontana, "Bisogna difendere la società", Feltrinelli, Milano, 1998, p. 281, E 25, 8.
1. Biopolitica. Le nozioni di "biopolitica" e "biopotere" vengono elaborate da Michel Foucault – nell'ultimo
capitolo di La volontà di sapere. Storia della sessualità I (VS, Feltrinelli, Milano, 1978, p. 119-142) e nei
corsi "Bisogna difendere la società" (DS, 1975-76), Sicurezza, territorio, popolazione (1977-78) e Nascita
della biopolitica (1978-79) –, il quale, sviluppando le analisi sul dispositivo della sessualità mostra come
quest'ultima definisca la "natura" dell'individuo nella congiunzione di elementi biologici e politici. La
sessualità è infatti il tramite dei meccanismi di sorveglianza individuale, ma attraverso i suoi effetti di
procreazione si inserisce efficacemente all'interno di ampi processi biologici che concernono l'unità
molteplice costituita dalla popolazione (DS 217). Il punto in cui si incrociano questi due aspetti del
dispositivo della sessualità, tra la fine del XVIII e l'inizio del XX secolo, fa emergere un mutamento
all’interno delle relazioni di potere: ai meccanismi di sorveglianza e addestramento individuale subentra la
regolazione dei fenomeni di massa: una tecnologia non disciplinare, il biopotere, che si riferisce all'uomo
come essere vivente (DS 208). Le discipline vengono modificate per essere applicate in un altro ambito: il
potere sui corpi diventa un processo di massa che concerne la vita, la nascita, la morte, la procreazione, la
malattia. C'è continuità tra le discipline e il biopotere, ma nel corso del XIX secolo, attraverso l'adattamento
dei fenomeni biologici ai processi dell'economia e della produzione, si costituisce un soggetto politico prima
sconosciuto: non il corpo sociale riunito in un patto (valido per le note teorie del diritto), non i corpi
individuali da educare, ma la popolazione: concetto biologico e politico che mette a soqquadro le relazioni di
potere. [Se le teorie del mercantilismo inserivano il problema della popolazione in un rapporto direttamente
proporzionale alla ricchezza di una nazione, questo era accompagnato dalla soppressione dell'inutilità sociale
nel senso di una diffusione di una tecnologia disciplinare del lavoro, mentre per il resto la popolazione
restava la somma di coloro che abitano un particolare territorio potendo venir invogliati nella loro funzione
riproduttiva o di modificazione delle risorse.] Con le teorie economiche fisiocratiche la popolazione diventa
un problema politico a sé stante: gli elementi di questo complesso sono legati al regime generale degli esseri
viventi. Si introduce la nozione di specie umana; ma si tratta di decidere delle abitudini collettive, dei modi
di vivere e fare (La cura di sé. Storia della sessualità III, Feltrinelli, Milano, 1985, p. 78-9). Trasferire
abitudini e comportamenti dall'individuo alla popolazione significa che quest'ultima si offre al sapere-potere
come oggetto politico e scientifico al tempo stesso. La tecnica di governo procede parallelamente a
statistiche e previsioni dei processi sociali. La sessualità come comportamento della popolazione diventa
allora oggetto di regolazione, oggetto su cui si esercita la biopolitica. Il biopotere si rivolge ai fenomeni
della natalità e della mortalità, della salute, della longevità. La protezione cui viene sottoposta la popolazione
modifica le forme tradizionali dell'assistenza, elabora tecnologie fondate sulla "sicurezza" come principio.
Nella Volontà di sapere (p. 119) e nelle lezioni «Il faut défendre la societé» (Bisogna difendere la società)
l'antico diritto di morte che qualificava il potere sovrano viene sostituito dal potere sulla vita: nelle società di
antico regime il potere faceva morire e lasciava vivere; la biopolitica fa vivere e lascia morire (DS 213): il
biopotere si occupa del controllo delle nascite, della cosiddetta "eutanasia". Per questo fenomeno Agamben,
in Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita (Einaudi, Torino, 1995) usa il termine di tanatopolitica. Il
genocidio degli ebrei e l'esperienza del totalitarismo comunista emergono come l'esito di questo processo
biopolitico. Nelle lezioni «Il faut défendre la societé», Foucalt traccia una genealogia del biopotere,
riconducendolo alle sue origini nella lotta delle razze. La crescita del potenziale distruttivo delle guerre è
complementare a questo potere che si esercita sulla vita e radicalizza il rapporto con la morte: "Se il
genocidio è il sogno dei poteri moderni, non è per una riattivazione del vecchio diritto di uccidere; è perché il
potere si colloca e si esercita a livello della vita, della specie, della razza e dei fenomeni massicci di
popolazione (VS 121). È sempre al XVII secolo che occorre risalire. L'immagine che ha consentito alla
guerra di diventare il modello di tutte le relazioni di potere, concludendosi nel genocidio, è stata, per il
pensiero moderno, la lotta delle razze.
2. Le lezioni. "Il faut défendre la societé” traccia un bilancio dei lineamenti generali del potere disciplinare
(il quale si applica singolarmente ai corpi attraverso la tecnica della sorveglianza, le sanzioni
normalizzatrici, l’organizzazione “panottica”, termine tratto dal Panopticon di Bentham, sorta di progetto
onniveggente di sorveglianza) e tratteggia il profilo del “bio-potere”. Nel tentativo di stabilire una
genealogia del biopotere Foucault si è interrogato sulla "governalità", potere che si è esercitato, sin dal XVI
secolo, tramite i dispositivi e le tecnologie della ragion di stato e della polizia. La questione delle discipline
(1) è rintracciabile in Sorvegliare e punire (Surveiller et Punir, Gallimard, Paris, 1975, tr. it. c/ A. Tarchetti,
Einaudi, Torino 1978), il bio-potere (2), come abbiamo visto, nella Volontà di sapere (1976). La questione
dei due poteri, della loro specificità e della loro articolazione è centrale. La guerra ha la funzione di
analizzatore dei rapporti di potere e della nascita del discorso storico-politico della lotta delle razze. Il nostro
storicismo, hegeliano o marxista, idealista o materialista, viene da qui. Facendo storia politica non possiamo
dimenticare da dove veniamo, anche se scavando non troveremo un’origine prima e pura, ma solo un’origine
posta dopo che tutto è già iniziato. Si tratta qui della nascita della problematica del potere in Foucault, ma
anche del funzionamento dei dispositivi e delle tecnologie del potere nelle società liberali e nei
totalitarismi, del dialogo tra Marx e Freud a proposito dei processi di produzione e della sessualità e infine
della questione delle resistenze. Foucault non ha mai dedicato un libro al potere. Ne ha piuttosto abbozzato
più volte i tratti essenziali studiandone il funzionamento, gli effetti, il "come" attraverso le sue analisi
storiche dei manicomi, della follia, della medicina, della prigione, della sessualità, della polizia. La
questione del potere si è posta a partire dagli anni cinquanta, intrecciata alle due nere eredità dello stalinismo
e del fascismo. La relazione di potere, i fatti di dominazione, le pratiche di assoggettamento non sono però
specifiche del totalitarismo, attraversano piuttosto anche le società democratiche. Stalinismo e fascismo non
hanno fatto che prolungare una serie di meccanismi che esistevano già in occidente, nei sistemi sociali e
politici. L’organizzazione dei grandi partiti, dell’apparato poliziesco, di tecniche di correzione come i
campi di lavoro. Nazismo e stalinismo sono delle singolarità storiche, ma hanno usato meccanismi già
pronti: “Malgrado la loro follia interna, hanno, in larga misura, usato idee e procedure della nostra
razionalità politica” (DS, lezione del 17 marzo). Nazismo e stalinismo mostrano una continuità nelle biopolitiche di esclusione e sterminio del politicamente pericoloso e dell’etnicamente impuro. Biopolitiche
attuate, a partire dal XVIII secolo, dal darwinismo sociale, l’eugenetica, le teorie medico-legali
dell’ereditarietà, della degenerescenza e della razza. L’obiettivo essenziale di questo corso è così l’analisi e
l’utilizzo che il fascismo soprattutto (ma anche lo stalinismo) hanno fatto delle biopolitiche razziali nel
governo dei viventi tramite l’espediente della purezza del sangue e dell’ortodossia ideologica. Foucault
intrattiene una sorta di dialogo ininterrotto con Marx che certo non ignorava la questione del potere: in
Marx, però, le relazioni di dominio sembrano stabilirsi, nell’officina, unicamente attraverso il gioco e gli
effetti del rapporto antagonista tra capitale e lavoro; per Foucault, invece, questo rapporto non sarebbe
possibile senza l’assoggettamento, l’addestramento, le sorveglianze prodotte e amministrate a priori dalle
discipline. La divisione del lavoro necessita di una sorveglianza. Non è stata perciò la borghesia del XIX
secolo ad aver inventato e imposto dei rapporti di dominazione: li ha piuttosto ereditati dai meccanismi
disciplinari del XVII e XVIII secolo; poté così utilizzarli, fletterli, intensificando o attenuando dei tratti:
"Non c’è dunque un solo fuoco dal quale sortirebbero come per emanazione tutte queste relazioni di potere,
ma un intreccio di relazioni di potere che, in totale, rende possibile la dominazione di una classe sull’altra,
di un gruppo su di un altro."(DE, III, 379: Dits et écrits, Gallimard, Paris 1994, c/di D. Defert e F. Ewald, tr.
it. parziale nei tre volumi di Archivio Foucault, Feltrinelli, Milano, 1996-1997-1998). Il capitalismo
presuppone le regolamentazioni disciplinari, l’assoggettamento dei corpi, le regolazioni sanitarie, che hanno
adattato, intensificato, piegato le forze di lavoro e capitale alle costrizioni economiche della produzione. Lo
stesso può dirsi anche della sessualità, che non è affatto stata respinta, repressa, negata, messa a tacere, e che
ha piuttosto visto un proliferare di discorsi, la costituzione di un sapere, che si esercita come dominio, in
seguito alla campagna contro l’onanismo dei bambini (XVIII secolo Inghilterra) come potere sulla vita nelle
due forme dell’anatomo-politica del corpo umano e della bio-politica della popolazione. Intorno alla
sessualità si sono intrecciati i due poteri, delle discipline del corpo e del governamento della popolazione.
Essi sono i due poli attorno ai quali si organizza il potere sulla vita. Il sesso è lo scopo, ciò di cui ne va in
politica. È disciplina del corpo, addestramento, intensificazione e distribuzione delle forze, aggiustamento
ed economia delle energie. Ma anche regolazione della popolazione, che indice effetti globali: «Ci si serve
di esso come matrice delle discipline e come principio di regolazione» (VS, 191-192). L’importanza del
lavoro e della sessualità, investiti dai discorsi dell’economia politica e del sapere medico, si trova nel
coniugarsi di queste relazioni di potere disciplinare e delle tecniche di normalizzazione del bio-potere. Non
si tratta allora di due teorie indipendenti, ma di due modi di unione tra sapere e potere. Dove però c’è
potere, c’è anche sempre resistenza, l’una è coestensiva all’altra. Lo sviluppo di tutte le forme di controllo,
di sorveglianza, mostra che la potenza è impotente. Il potere è, per così dire, in atto, non più potente. Non
può più. Per questo sviluppa delle forme di sapere che controllino, costringano, sorveglino. I rapporti di
potere esistono solo in funzione di una molteplicità di punti di resistenza. Essi giocano il ruolo di avversario,
di bersaglio, di appoggio di presa. “Questi punti sono onnipresenti nella rete del potere." (VS 126). Il potere
non si dispiega nelle forme della legge e del diritto, non si prende e non si scambia, non si costruisce a
partire da interessi, da una volontà, da un’intenzione, non viene dallo stato, da un contratto, dalla violenza.
Foucault nega tutte le teorie del potere come quella hobbesiana o aristotelica: il potere non è deducibile dalla
categoria della sovranità. La resistenza, allora, non è dell’ordine del diritto, non si fonda sulla sovranità di
un soggetto preesistente. Potere e resistenza si affrontano con tattiche mutevoli, mobili, multiple, in un
campo di rapporti di forza di cui la logica è meno quella, regolata e codificata, del diritto e della sovranità,
che quella, strategica e bellicosa, delle lotte. La relazione tra potere e resistenza non si ha nella forma
giuridica della sovranità, ma piuttosto nella strategia dei conflitti. Ma queste lotte sono forse analizzabili
nella forma binaria della dominazione (dominante/dominato) e quindi della guerra? Forse che la politica è
la guerra proseguita con altri mezzi? Le strategie possono essere codificate come guerra e politica, ma si
tratta di due strategie differenti, pronte a scambiarsi le parti e a mascherarsi, per integrare un rapporto
squilibrato, eterogeneo. Il marxismo interessa a Foucault se analizza le strategie e i loro metodi. Foucault
denuncia invece la teoria hobbesiana della guerra di tutti contro tutti, analizza i rapporti tra guerra civile e
potere, descrive le misure di difesa prese dalla società contro il “nemico sociale” il criminale. I processi di
dominio sono però più complessi della guerra. Occorre allora intrecciare l’analisi del potere a quella del
sapere. Infatti Foucault, nelle Lezioni, fa partire le sue analisi dal tema della guerra e della dominazione nel
discorso storico politico della lotta delle razze presso i levellers e diggers inglesi e presso Boulainvilliers. La
recita della dominazione dei Normanni sui Sassoni dopo la battaglia di Hastings, dei Franchi germanici sui
Gallo-Romani dopo l’invasione della Gallia, sono fondati sulla storia della conquista, che oppongono alle
finzioni del diritto naturale e all’universalismo della legge. Qui inizia una forma radicale di storia che parla
di guerre, di conquista, di dominio e che funziona, in Inghilterra, come arma contro il re e i nobili
(Normanni) e contro il re e il terzo stato in Francia. Il discorso storico-politico della conquista è un discorso
di lotta, di battaglie, di razze. Da qui vengono i nostri libri di storia. Qui si origina lo storicismo. E qui si
originano le filosofie hegeliana e marxista. Il reale “polemico” viene però abbandonato. È bensì vero che
lottiamo tutti contro tutti, ma non nel senso hobbesiano. Si tratta invece di un insieme di lotte puntuali e
disseminate, di una molteplicità di resistenze locali, imprevedibili, eterogenee, che il fatto grossolano della
dominazione e la logica binaria della guerra non riescono ad afferrare. Si tratta di capire come la nostra
storia abbia prodotto differenti modi di soggettivazione all’interno dell’assoggettamento. La Storia della
follia (Raison et déraison. Histoire de la folie à l'age classique, Plon, Paris, 1961, Gallimard, paris, 1972, tr.it.
c/di F. Ferrucci, Storia della follia nell'età classica, Rizzoli, Milano, 1963, 19762, 19923) aveva già parlato
della questione del potere all’interno delle procedure del grande internamento degli individui pericolosi
(vagabondi, criminali e folli). Qui appare però il tema del razzismo (protagonista di altri internamenti,
esclusioni-inclusioni). Le tecniche della discriminazione, dell’isolamento, della normalizzazione degli
individui “pericolosi”, si sono elaborate nel XIX secolo. Si tratta dell’aurora delle purificazioni etniche e dei
campi di lavoro. Un nuovo razzismo è nato quando il sapere dell’eredità si è accoppiato con la teoria
psichiatrica della degenerescenza. La psichiatria ha così dato luogo al razzismo. Il nazismo non ha fatto
null’altro che afferrare questo nuovo razzismo, come mezzo di difesa interna della società contro gli
anormali, sul razzismo etnico che era endemico al XIX secolo.
Facit. Queste lezioni sono il punto di giunzione tra problema politico del potere e questione storica della
razza. Si tratta di una genealogia del razzismo: la guerra che attraversa il campo del potere, distingue amici
e avversari, genera dominazioni e rivolte. Emerge un problema urgente, di quello del razzismo. Foucault
scarta teorie giuridiche e dottrine politiche, incapaci di rendere conto delle relazioni di potere e dei rapporti
di forza nello scontro dei saperi e nelle lotte reali. L’età dell’illuminismo viene riletta: occorrerebbe vedere
come i saperi minori vengono squalificati, prevalendo la centralizzazione, la normalizzazione, la disciplina
dei saperi dominanti, piuttosto che il progresso della ragione. La storia non è un’invenzione della borghesia
in ascesa nel XVIII secolo, lo storicismo è la storia che parla di conquiste e battaglie, di domini: la storia
come campo di battaglia e come strumento di guerra. Nel XIX secolo questa lotta si trasforma nella
regolazione biopolitica delle condotte, nella nascita del razzismo e del fascismo. Foucault ha aperto un
problema.
(Sintesi di Andrea Gilardoni)