Don Giuseppe Murtas - Parrocchia San Giuseppe Lavoratore
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Don Giuseppe Murtas - Parrocchia San Giuseppe Lavoratore
Don Giuseppe Murtas Il 7 maggio del 2000 moriva don Giuseppe Murtas, lasciando nel cuore della città di Oristano il rimpianto per la perdita di un protagonista e un testimone del nostro tempo, di un intellettuale sardo attento ai più svariati aspetti del passato e del presente della nostra Isola, di un sacerdote amatissimo, che tutti conoscevano semplicemente come don Peppino. Era nato a Milis nel 1928, quarto di sette fratelli. Entrato nel Seminario diocesano di Cuglieri il 21 novembre del 1939, il 3 settembre del 1950 fu ordinato sacerdote da Mons. Fraghì. A ventidue anni don Peppino divenne dunque vice-parroco in Cattedrale ad Oristano, e assistente diocesano del settore giovani dell’Azione Cattolica. Il 20 novembre del 1953 venne nominato parroco di Paulilatino. Vi avrebbe trascorso quattordici anni, determinanti per la sua formazione di uomo e di sacerdote. A Paulilatino conobbe la realtà drammatica dei pastori e dei contadini che vivevano in condizione di miseria e di sfruttamento. Il giovane parroco seppe stare al fianco di chi era indifeso ed emarginato, adoperandosi per far nascere nella gente di una coscienza religiosa, sociale e politica. Così organizzò corsi di cultura agro-pastorale, in cui, con la collaborazione di giovani universitari, si trattavano anche temi di cultura generale, agraria, economia, politica. Per impulso di don Peppino, nel 1956, nacque la prima cooperativa casearia di pastori: fu “una cooperazione difficile”, come lo stesso don Murtas la descriveva in un saggio pubblicato nel 1978. Nonostante la passione e l’impegno, infatti, non riuscì a realizzare fino in fondo il progetto di dare un futuro alla sua gente. Ebbe quindi il sapore di una sconfitta l’esodo di tante giovani coppie di paulesi che emigravano in cerca di fortuna; don Peppino però seppe mantenere sempre vivi i contatti con loro, anche recandosi una volta all’anno a dir messa tra i suoi parrocchiani lontani. Quando tornò ad Oristano fu impegnato in numerose attività pastorali, sociali, culturali, di lavoro, che mai però lo distolsero da una profonda vita di preghiera e di meditazione. 1 Don Peppino era suo agio con persone di ogni estrazione sociale e culturale, soprattutto con i giovani: di loro diceva che “bisogna ascoltarli, capirli, perché essi sono pronti ad accettare l’essenziale ed il caratterizzante del Cristianesimo.” Si era laureato in Teologia presso il Pontificio Seminario Regionale di Cuglieri , con una dissertazione su La libertà religiosa nel pensiero cattolico contemporaneo e nella “Pacem in Terris”, quindi in Lettere e Filosofia all’Università di Cagliari. Per molti anni insegnò Lettere, prima nel Seminario Arcivescovile Arborense e, poi, presso l’Istituto Tecnico “L. Mossa” di Oristano. Insegnò anche Filosofia presso l’Istituto Magistrale delle Figlie di san Giuseppe. Nel 1982 fondava la rivista culturale “Quaderni Oristanesi”, di cui fu Direttore e Redattore fino alla fine. Il periodico si proponeva “di capire aspetti di una certa realtà della nostra storia attuale e meno recente”, come dichiarava don Peppino nel primo numero della rivista. Con l’iniziativa si volevano “riprodurre documenti e scritti della nostra storia, studi su capitoli e aspetti di questa storia, su personaggi e scrittori isolani”. Vi trovarono spazio i problemi del lavoro, della vita economica e sociale, così come l’arte, la religiosità, le tradizioni popolari della sua e della nostra terra. Notevole il contributo di don Murtas allo studio di alcuni personaggi della storia di Oristano, con i saggi Eleonora d’Arborea e i cento anni del suo monumento, Salvator Angelo De Castro ed Evaristo Madeddu. Il suo impegno culturale era espressione della necessaria mediazione tra Fede e Storia, una tensione sempre presente nelle cinque raccolte di poesie, nei numerosi racconti, nell’attività di saggista e giornalista. Profondamente radicato nella fede era il suo amore per la giustizia, per la pace, per la libertà. Nel gennaio del 1973, sulle pagine della rivista Il Rimedio, don Peppino sintetizzava così la sua visione della vita :”condividere per amare, assimilarsi per darsi, soffrire della stessa sete di giustizia e di pace dell’umanità per edificarle, con lealtà e sincerità, sia la pace che la giustizia. E nessuna autentica, disinteressata e sofferta solidarietà con i fratelli e con i più poveri sarà mai un pericolo per la cosiddetta “verticalità” della vita religiosa, della preghiera, della carità di Dio. In mezzo ai fratelli, immersi 2 nei loro drammi quotidiani, non si può non sentire il bisogno di Cristo Figlio di Dio, della Sua Grazia, senza la quale molto presto si tocca con mano il limite del nostro amare, il nostro dare niente quando non abbiamo il Cristo da dare: il Suo messaggio di pace, testimoniato con la fedeltà quotidiana”. Carla Murtas e Luisanna Usai 3