Economic Briefing n.25

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Economic Briefing n.25
Commercio mondiale – un successo
sul banco di prova.
Economic Briefing n. 25
Il commercio, volàno del benessere.
La concorrenza e il commercio cambiano i mercati.
Organizzazione mondiale del commercio: priorità del diritto sul potere.
Economic Research & Consulting
Con il dialogo verso nuovi orizzonti di liberalizzazione.
Sommario
Introduzione / Riassunto
3
1. Vantaggi del commercio
4
2. Evoluzione dei flussi commerciali mondiali
5
3. Importanza dell’economia estera
9
4. Organizzazione mondiale del commercio (OMC) 12
5. Sfide per l’ordinamento commerciale globale
14
6. Prospettive
20
Indicazioni bibliografiche
22
Editore
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
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17 agosto 2001
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2
Economic Briefing n. 25
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
Introduzione
Riassunto
Anche voi conoscete qualcuno che almeno una volta,
attraversando il confine nazionale, non ha deliberatamente dichiarato e sdoganato tutto oppure che si è irritato per le formalità doganali? Siete tra quelli che privilegiano i prodotti indigeni nell’intento di assicurare i
posti di lavoro nell’economia interna, ma nel contempo
apprezzate la varietà di prodotti e di scelta che il commercio consente? Sapete distinguere la carne secca
grigionese prodotta con carni di bovini allevati nelle Alpi
da quella realizzata con carne argentina? Accettate il
fatto che i farmaci svizzeri costino meno all’estero? In
occasione di un viaggio in paesi lontani vi è capitato di
vedere bambini in tenera età al lavoro in fabbriche di
tappeti o terrecotte e poi, acquistando un souvenir, vi
siete chiesti se mercanteggiare il prezzo richiesto –
come usanza in molti di quei paesi – oppure se pagarlo
senza discussioni o persino arrotondarlo per eccesso?
Non vi sorprendete di fronte al basso prezzo – in rapporto al nostro potere d’acquisto – di banane, caffè e
yogurt, malgrado i primi debbano essere trasportati per
migliaia di chilometri e richiedano, nel caso dei latticini,
un processo di valorizzazione assai impegnativo sul piano delle risorse umane e tecnologiche? Cosa pensate
confrontando il prezzo di un litro di benzina a quello di
un litro d’acqua minerale, e come reagite di fronte a un
loro aumento di cinque centesimi? Sapete quanti posti
di lavoro creano le imprese svizzere all’estero mediante
investimenti diretti, contribuendo nel contempo a difendere l’occupazione interna?
Sicuramente, cercando le risposte a questi interrogativi
vi baleneranno nella mente molti pensieri, e non pochi
di essi ruoteranno intorno al grande tema del commercio internazionale, ma anche a due scenari sovrani del
nostro tempo, la concorrenza e la globalizzazione. Questo fascicolo, il n. 25 della collana Economic Briefing,
intende aprirvi lo sguardo sui benefici e le sfide del
commercio mondiale e della sua ulteriore liberalizzazione. La risposta alla domanda se per voi il commercio,
tutto sommato, è una fortuna più che una disgrazia (o
viceversa), potete trovarla solo voi.
Una delle conseguenze più vistose della globalizzazione
è la massiccia crescita del commercio mondiale osservata negli ultimi cinquant’anni. Soprattutto gli interscambi di prodotti industriali e artigianali hanno fatto
registrare, unitamente alla quota del commercio nella
produzione mondiale, una rapidissima progressione nel
secondo dopoguerra, accompagnata negli ultimi dieci
anni da una netta espansione degli investimenti diretti
all’estero.
I benefici del commercio internazionale non sono affatto una scoperta recente e sono soprattutto i piccoli
paesi a farvi tradizionalmente affidamento. Nel complesso, un’economia nazionale trae vantaggio dall’accesso ai mercati di approvvigionamento e di vendita
esteri, anche se taluni settori vengono messi a dura
prova dalla concorrenza dei beni importati e avversano
perciò l’abbattimento delle barriere commerciali. Tuttavia, non tutti gli stati del pianeta partecipano in uguale
misura agli interscambi: in particolare i paesi in via di
sviluppo appaiono ancora largamente in ritardo rispetto
a quelli industrializzati.
L’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) rappresenta dal 1995 il fondamento legale e istituzionale
del sistema commerciale multilaterale e ha già dichiarato il suo orientamento a intensificare gli sforzi volti alla
liberalizzazione, nel quadro di una nuova tornata di negoziati. In questa cornice, l’OMC avrebbe l’opportunità
di confrontarsi con una serie di temi nodali per lei ancora ampiamente «inesplorati», tra i quali spicca la problematica della relazione tra il commercio da una parte e
gli investimenti e la politica concorrenziale dall’altra. A
tutt’oggi non è ancora noto se queste prossime trattative avranno luogo a un grande tavolo comune, come fu
il caso l’ultima volta, al cosiddetto Uruguay round. Questa soluzione richiede dapprima una sagace opera di
piallatura dei più disparati conflitti d’interessi – ad
esempio tra i paesi in via di sviluppo e quelli industrializzati – nonché la cementazione di una solida piattaforma
di ancoraggio per i compromessi politici. Sullo sfondo
della crescente impopolarità della globalizzazione, le
serpeggianti paure per i mutamenti economici strutturali devono essere prese sul serio, specialmente se l’obiettivo è quello di gettare un fondamento politico per la
conservazione e l’ulteriore evoluzione dell’ordinamento
commerciale liberale.
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Economic Briefing n. 25
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1. Vantaggi del commercio
Il commercio non è un’invenzione del nostro tempo,
tanto è vero che già antiche civiltà, come i Greci e i Romani, lo praticavano intensamente. In tempi meno lontani, le Repubbliche marinare italiane, come Genova e
Venezia, affidavano gran parte del loro fulgido divenire
alle relazioni commerciali. Poi, nel XVIII secolo la politica estera di gran parte degli stati europei fu guidata da
un principio apparentemente illuminato: una nazione,
massimizzando le esportazioni e minimizzando le importazioni, riesce a conseguire un attivo commerciale e
perciò a incrementare la ricchezza interna. Ma per approdare al successo, questa politica richiese come mai
prima d’allora il favoreggiamento dei prodotti indigeni e
l’imposizione di dazi su quelli d’oltrefrontiera.
Questa idea, nota come mercantilismo, diede lo spunto
allo sviluppo dell’economia politica e fu fortemente contestata dai padri dell’economia nazionale, che ebbero a
dimostrare come la discriminazione di competitori esteri favorendo una stretta cerchia di privilegiati imprenditori interni creasse distorsioni concorrenziali a tutto
svantaggio dei consumatori.
Oggi, tuttavia, forse nessuno di noi rinuncerebbe a prodotti provenienti da altri paesi, e moltissime aziende perirebbero senza il cordone ombelicale che le tiene legate ai mercati di acquisto e di vendita internazionali. Il
Messico importa ad esempio dagli Stati Uniti modernissimo software e vi esporta le sue apprezzate confezioni.
La teoria del vantaggio comparativo dell’economista
David Ricardo spiega come e perché un paese, anche
in caso di assoluta inferiorità concorrenziale (ovvero una
minore produttività in tutti i settori rispetto a quella di un
partner commerciale) può trarre profitto dagli interscambi. Infatti, tale paese si concentrerà sulla produzione e sull’esportazione di quei beni in cui vanta la maggiore produttività relativa, conseguendo quindi maggiori
ricavi attraverso una più razionale allocazione delle risorse, giacché queste ultime non verrebbero impiegate
per la produzione di beni acquisibili a minore prezzo sul
mercato mondiale.
Questa teoria è bene avvalorata dall’esempio delle relazioni commerciali tra Svizzera e Taiwan. Nel 2000, la
Svizzera ha importato dalla Cina di Taipei ben 770 milioni di franchi in prodotti meccanici ed elettronici, ossia
beni che essa stessa potrebbe produrre, forse persino
a un maggiore regime di produttività, ma che invece
escono dalle fabbriche taiwanesi non da ultimo grazie al
4
Economic Briefing n. 25
minore costo del lavoro. Nel contempo, l’export di orologi «Made in Switzerland» verso Taiwan è aumentato a
270 milioni di franchi e, nel complesso, la Svizzera vanta oggi un saldo attivo netto delle esportazioni pari a
450 milioni di franchi nei confronti di questo partner.
Nella valutazione dei vantaggi derivanti dall’interscambio, per la Svizzera non ha alcun’importanza se il vantaggio di prezzo taiwanese sia imputabile a una maggiore produttività oppure al minore costo del lavoro. È
determinante unicamente il fatto che per l’economia
elvetica è più conveniente produrre orologi, esportarli e
con il ricavato acquistare elettronica a Taiwan anziché
produrla nel circuito interno.
Tuttavia, le teorie dei classici riescono ormai a spiegare
solo in parte i flussi commerciali odierni. Accade spesso che due paesi vendano i medesimi prodotti in un
rapporto di reciprocità: la Volkswagen distribuisce sul
mercato americano molti suoi modelli prodotti negli stabilimenti tedeschi, mentre la General Motors traghetta
oltre Atlantico le sue automobili. Il desiderio dei consumatori di una più ampia scelta di prodotti è la forza
motrice di questo meccanismo commerciale. Probabilmente, le scelte dei consumatori e quindi gli interscambi si presenterebbero assai diversi se sui prezzi di vendita fossero effettivamente ricaricati i costi ecologici della
produzione e del trasporto, un fenomeno già da tempo
in discussione sotto l’etichetta tematica della «internalizzazione delle esternalità».
Ma anche volendo prescindere dagli aspetti economici,
il trasporto di prodotti per migliaia di chilometri ha difficilmente senso anche nella pura ottica economica. Per
i produttori è spesso vantaggioso essere vicini ai mercati di sbocco, e ciò conduce a un’altra forma di scambio internazionale: l’investimento di capitali all’estero,
attraverso il quale, ad esempio, la ditta statunitense
Dell produce in Irlanda tutti i suoi computer destinati al
mercato europeo e la Heineken fa altrettanto con la
sua birra a Coira. E tutto ciò accade senza che i consumatori avvertano il benché minimo cambiamento.
I vantaggi di un sistema commerciale liberale per i consumatori acquistano ancora più spessore se i loro rispettivi mercati interni sono egemonizzati da monopoli o
cartelli. In questi casi le importazioni creano la necessaria pressione concorrenziale, notoriamente moderatrice
dei prezzi e sovente anche promotrice di una migliore
qualità. Inoltre, i competitori esteri impongono agli operatori che controllano il mercato nazionale una maggiore innovazione, di cui essi stessi traggono vantaggio a
lungo termine.
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2. Evoluzione dei flussi
commerciali mondiali
2.1 Rapidissima crescita
Negli ultimi 50 anni le barriere commerciali sono state
gradualmente abbattute. Questo progresso ha contribuito in misura ragguardevole alla crescita, in parte
esplosiva, non solo del commercio mondiale, ma di
conseguenza anche del benessere in molti paesi. Gli interscambi sono inoltre stati favoriti dal progressivo miglioramento, in termini di qualità e di economicità, delle
soluzioni di trasporto e di comunicazione.
Nel secondo dopoguerra, il commercio di prodotti agricoli, industriali e artigianali, di materie prime e di servizi
ha conosciuto uno sviluppo differenziato (fig.1) 1. Gli
scambi di beni industriali e artigianali (prodotti industriali) e il commercio mondiale sono cresciuti nel complesso a un ritmo di un multiplo superiore a quello della produzione globale, la cui progressione è stata invece
superata solo di poco dal commercio delle materie prime. Gli scambi di prodotti agricoli si sono grossomodo
mantenuti in linea con l’evoluzione generale.
Mentre nel 1970 il commercio mondiale rappresentava
una quota del 10% della produzione mondiale (somma
di tutti i prodotti interni lordi, PIL), oggi questa cifra si
presenta più che raddoppiata, situandosi al 25%
(fig. 2). Da una parte, questa bruciante accelerazione
ha potuto fare leva sul comportamento dei consumatori
e sulle attività di innumerevoli piccole e medie imprese,
che con la loro domanda e offerta influenzano profondamente gli intrecci economici planetari. Dall’altra, i
flussi interni di beni e servizi nelle società multinazionali
hanno fornito un consistente apporto, che viene stimato a circa un terzo del volume complessivo degli scambi
internazionali. L’integrazione delle piccole e medie imprese (PMI) nel commercio mondiale non appare omogenea: ad esempio, solo il 12% delle PMI statunitensi
praticano l’export, mentre in Italia questa cifra tocca
una punta dell’80%; negli Stati Uniti e in Thailandia
esse alimentano circa il 10% del volume nazionale
di esportazioni, accusando quindi un vistoso ritardo
1
Merci (per es. prodotti industriali) e servizi sono riuniti sotto
il termine generico di «beni». Per le finalità perseguite dal
presente studio, la voce «materie prime» comprende minerali
metallici e altri minerali, combustibili e metalli non ferrosi.
2
OCSE (1998)
3
I classici paesi industrializzati di un tempo sono oggi definiti
società dei servizi oppure economie mature o progredite.
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Figura 1: Evoluzione mondiale di export, produzione e popolazione
1950 – 2000*
* I servizi sono rilevati con maggiore precisione solo dagli anni ’70.
Fonti: OMC, International Trade Statistics 2000, US Census; calcoli propri
Figura 2: Quota del commercio (merci + servizi)
all’interno del PIL mondiale 1970 – 2000
Fonte: FMI, Database World Economic Outlook May 2001
su quelle di Taiwan (56%), Italia (53%) e Svizzera
(40%) 2.
Sulla scia della terziarizzazione nei paesi industrializzati 3, il commercio di servizi sta progressivamente accrescendo la sua rilevanza: secondo le stime dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), nel 1999 esso
ha totalizzato un valore di 1350 miliardi di USD, decisaEconomic Briefing n. 25
5
mente inferiore a quello dei prodotti industriali e artigianali (4186 mia. di USD), ma di gran lunga superiore nel
confronto con materie prime (556 mia. di USD) e prodotti agricoli (544 mia. di USD).
2.2 Ascesa e declino di mercati e settori
Le merci e i servizi possono trovarsi in un rapporto complementare o sostitutivo. Lo stesso vale per i fattori di
produzione, che inoltre devono ubbidire alla legge della
scarsità. Acquirenti di prodotti, importatori e consumatori hanno le loro preferenze, ma non possono sempre
e comunque concretizzarle, poiché le loro scelte devono basarsi – per ovvi motivi di budget – su un’opportuna ponderazione delle diverse opzioni di utilizzo dei loro
mezzi. Le imprese competono quindi sui mercati dei
fattori, di approvvigionamento e di vendita: una vera e
propria corsa per la conquista delle migliori risorse, delle opportunità più promettenti di ricavo e di profitto. I
processi di formazione, le innovazioni e i guadagni di
produttività sono tappe obbligate su questo percorso.
Tuttavia, la competizione e il commercio cambiano
costantemente il volto dei mercati. Ed è questa metamorfosi continua che crea rischi ma anche opportunità.
Ascesa e declino dell’industria svizzera
delle macchine tessili
Le origini dell’industria svizzera delle macchine tessili
risalgono a 200 anni or sono, quando a Zurigo e Winterthur (Tösstal e Oberland zurighese) si insediarono
numerose filature e tessiture meccaniche, che lavoravano il cotone trasformandolo dapprima in filato e quindi in tessuto.
La materia prima – ovvero il cotone – e i telai meccanici allora utilizzati provenivano dall’Inghilterra, potenza
commerciale e coloniale, culla della rivoluzione industriale e patria dell’industria meccanica. Nel 1806, gli
sviluppi della guerra napoleonica condussero la Francia
a imporre un blocco continentale contro l’Inghilterra,
che rese problematiche le relazioni commerciali e implicò un rincaro delle importazioni di cotone per l’industria tessile elvetica. Inoltre, poiché l’Inghilterra era
l’unico paese titolare di esperienze nella costruzione di
macchine tessili, l’esportazione di queste ultime e delle
loro componenti fu rigorosamente vietata fino al 1843.
Le filande e gli stabilimenti svizzeri dovettero quindi improvvisare: avviando dapprima la fabbricazione delle
parti di ricambio necessarie e in seguito persino degli
interi telai, curandone inoltre il perfezionamento. Ques6
Economic Briefing n. 25
Le variazioni dell’offerta e dei prezzi influenzano le opportunità e i rischi di produttori e venditori, nonché di
esportatori e importatori. A questa dinamica ambientale
sono soprattutto sensibili quelle imprese direttamente
Figura 3: Quota delle varietà di merci
nel commercio mondiale 1950 –1999
Fonte: OMC, International trade Statistics 2000; calcoli propri
to può essere considerato l’autentico atto di nascita
dell’industria svizzera delle macchine tessili, che in seguito avrebbe conquistato i mercati di tutto il mondo: le
filande di cotone e gli stabilimenti tessili ad esse direttamente collegati rappresentarono un comparto di crescita sino al 1870 e conferirono importanti impulsi. In tempi successivi, la produzione di filati e tessuti fu sempre
più trasferita in paesi dove erano direttamente disponibili materie prime e /o manodopera a basso costo.
L’industria svizzera delle macchine tessili ha superato lo
zenit intorno al 1980. Il ridimensionamento – come in
altri settori della meccanica elvetica – è stato soprattutto determinato da tre fattori: in primo luogo, i prodotti
offerti corrispondevano ormai troppo poco alle esigenze
del mercato; concretamente, negli anni Ottanta sono
stati sviluppati telai che integravano le più moderne tecnologie, ma essi non hanno praticamente incontrato alcun interesse ad esempio in India e Pakistan, paesi con
un’abbondante disponibilità di manodopera, ma poco
qualificata. In secondo luogo, la concorrenza estera ha
potuto vincere, grazie alla flessibilità e alla creatività, il
confronto con le macchine da filatura e tessitura «Made
in Switzerland». E infine, gli esuberi di capacità sul piano mondiale hanno innescato un radicale processo di
selezione nel comparto della meccanica tessile.
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Figura 4: Composizione delle esportazioni nel 1999
Africa
Totale 112 mia. di USD
Medio Oriente
Totale 170 mia. di USD
Europa occidentale
Totale 2353 mia. di USD
Fonte: OMC, International Trade Statistics 2000
esposte al mutamento le preferenze e del reddito dei
consumatori finali. Ad esempio, questi ultimi palesano
nei paesi industrializzati una certa saturazione e disaffezione nei confronti della tecnologia, che si ripercuote
negativamente sulla domanda di computer per uso privato e di telefoni cellulari, riducendo ulteriormente i
margini. Gli esuberi di capacità su scala mondiale sono
responsabili dell’aspra lotta per la sopravvivenza nella
quale sono ingaggiati un po’ tutti gli operatori sul fronte
della produzione e della distribuzione. Dopo una fase di
carenza di personale assistiamo oggi a un’ondata di licenziamenti, che verosimilmente si abbatterà anche sugli approvvigionatori. Sul versante zootecnico, l’epidemia di afta epizootica ha portato alla fibrillazione,
soprattutto in Inghilterra e Scozia, interi settori: dall’allevamento ai trasporti, dalla fornitura di mangimi e zoofarmaci alla lavorazione delle carni, sino a contagiare persino commercio e turismo. Quest’ultimo avrebbe subito
a causa dell’afta danni stimati in circa 12 miliardi di
franchi. A prescindere dalla maggiore pressione a ripensare l’atteggiamento nei confronti della zootecnia,
questa crisi dovrebbe aver favorito quanto meno un incremento della domanda di carni equine e di struzzo, di
pesce e in generale di alternative alla carne.
Su scala globale, negli ultimi cinque decenni la quota
del commercio di prodotti industriali e artigianali è circa
raddoppiata all’80%, a discapito delle materie prime e
soprattutto dei prodotti agricoli (fig. 3). Se nel 1950
queste due ultime voci occupavano insieme circa il
60% dell’intero volume commerciale, oggi il loro singoCREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
lo peso si è ridotto intorno al 10%, evidenziando sullo
scenario attuale l’incontrastata egemonia dell’interscambio di prodotti industriali e artigianali, nel quale appare peraltro integrato un crescente numero di paesi.
L’evoluzione settoriale nei singoli stati e nel confronto
internazionale non si presenta tuttavia omogena; questa realtà è confermata ad esempio dal declino dei cantieri navali tedeschi sul Mare del Nord, che hanno dovuto cedere massicce quote di mercato a competitori di
paesi emergenti come la Corea del Sud.
Le opportunità degli esportatori di beni ad alto contenuto di lavoro e tecnologia evolvono a seconda delle variazioni di intensità – perlopiù dettate dall’innovazione –
delle risorse impegnate e del loro impatto sui prezzi. Il
prezzo dei fattori di produzione è determinato dalla loro
rilevanza nella catena di creazione del valore nonché dal
gioco della domanda e dell’offerta. Anche se il teorema
– peraltro inconfutabile – della sostituzione di manodopera ad alto costo con forze lavoro meno onerose e
mediante il capitale resta stabilmente alla ribalta, bisogna pensare che i fattori di produzione sono connotati
in un rapporto reciprocamente complementare.
I mercati agricoli attraversano una fase di crollo globale
dei prezzi indotto dalla concorrenza e dalla produttività,
e che rappresenta una minaccia esistenziale specialmente per alcune economie africane, caratterizzate da
un’elevata dipendenza dall’export di prodotti agrari
(fig. 4) e da uno scenario occupazionale fortemente
sbilanciato verso il settore primario (oltre il 50% contro
il 4,9% nell’UE e il 4,6% in Svizzera). Le minori entraEconomic Briefing n. 25
7
te delle esportazioni non solo diminuiscono il reddito
nazionale, ma complicano anche alle economie interessate e ai consumatori l’importazione e rispettivamente
l’acquisto di beni richiesti o persino di prima necessità.
L’offerta di prodotti semilavorati, finiti e di consumo si
impoverisce, e può accadere che merci indispensabili
debbano essere prodotte internamente a un regime
solo relativo di efficienza. Questo fenomeno colpisce
segnatamente i paesi che, da un lato, esportano prodotti facilmente sostituibili – ma anche gravati da una
forte sudditanza a prezzi e corsi di cambio – e, dall’altro,
vantano poche possibilità di diversificare l’output economico su alti livelli di efficienza. La flessione globale
dei prezzi dei prodotti agricoli costringe molti contadini
ad abbandonare le loro terre, mentre altri tentano di incrementare la produttività con il ricorso a mezzi tecnici
più moderni, ma nel contempo più onerosi da finanziare. Analogamente a quanto accadde in Europa prima
dell’industrializzazione, l’agricoltura sta liberando nel sistema economico sempre più manodopera disoccupata, che ha perso il proprio reddito a causa di mancanza
di alternative di lavoro. Su questo sfondo appare ancora più significativo il calo della quota africana sull’intero
volume del commercio mondiale, che si è contratta da
un 6% a circa il 2% negli ultimi 20 anni.
La diminuzione della quota di scambi di materie prime
non significa in effetti un calo delle esportazioni, ma
8
Economic Briefing n. 25
Figura 5: Giacimenti petroliferi accertati nel mondo
per regioni 1979 –1999
Fonte: OPEP, Annual Statistical Bulletin 1999
unicamente una crescita meno sostenuta del volume
(= prezzo × quantità) dei beni trattati nel confronto con
altre merci. La scoperta di nuovi giacimenti nonché
l’impiego di efficienti metodi di estrazione, trasporto,
stoccaggio e lavorazione si traducono in un incremento
delle riserve mondiali disponibili calcolate con criteri
economici, come chiaramente confermato dalla fig. 5.
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3. Importanza dell’economia estera
Figura 6: Grado di apertura* a raffronto 1970** e 1999
3.1 Integrazione nel commercio mondiale
Il rapporto tra l’import-export di un paese e il PIL esprime il grado di apertura della sua economia (fig. 6). Se
ora poniamo il dato relativo al commercio estero in rapporto alla produzione mondiale oppure al volume globale di importazioni ed esportazioni di uno stesso gruppo
di beni, possiamo ricavare indicazioni sull’importanza
relativa di un paese nel commercio mondiale in qualità
di esportatore e importatore (fig. 7).
I piccoli paesi, rispetto ai grandi, devono fare maggiore
ricorso alla ripartizione del lavoro nell’economia mondiale. In altri termini, essi dispongono spesso di insufficienti risorse e capacità produttive proprie per soddisfare la domanda interna e, pertanto, si trovano nella
necessità di dover finanziare con esportazioni di beni ad
alto contenuto di specializzazione le importazioni dei
prodotti di cui necessitano. Gli investimenti, assolutamente vitali per il successo dell’export, destinati alla ricerca e allo sviluppo, alla creazione di nuove capacità
produttive e manageriali e all’allestimento di reti di distribuzione, possono essere meglio ammortizzati se i
mercati di sbocco sono grandi. Quanto maggiore è la
dimensione di un’economia nazionale, tanto più essa
può fare affidamento su grandi mercati di approvvigio-
* Grado di apertura = (export di merci e servizi + import di merci e servizi) / (2 × PIL)
** Nel caso del Bangladesh: 1973
Fonte: FMI, International Financial Statistics Yearbook 2000; calcoli propri
namento e di vendita interni. Ciò riduce tendenzialmente la necessità sia di importare ed esportare merci e
servizi, sia di gestire le incertezze insite nei mercati
esteri. Questo vantaggio rientra ad esempio nel corredo
Figura 7: I principali paesi importatori ed esportatori di merci e servizi nel 2000
Quota nello scambio di merci
Quota nello scambio di servizi
Importazioni (%)
Esportazioni (%)
12
1. Stati Uniti
2. Germania
9
2. Germania
8
3. Giappone
8
3. Giappone
6
4. Francia
5
4. Gran Bretagna
5
5. Gran Bretagna
4
5. Francia
5
6. Canada
4
6. Canada
4
7. Cina
4
7. Italia
3
8. Italia
4
8. Cina
3
9. Paesi Bassi
3
9. Paesi Bassi
3
1. Stati Uniti
Importazioni (%)
Esportazioni (%)
19
19
1. Stati Uniti
2. Gran Bretagna
7
2. Germania
9
3. Francia
5
3. Giappone
8
4. Germania
5
4. Gran Bretagna
6
5. Giappone
5
5. Francia
4
6. Italia
4
6. Italia
4
7. Spagna
4
7. Paesi Bassi
4
8. Paesi Bassi
4
8. Canada
3
9. Hong Kong
3
9. Belgio / Luss.
3
1. Stati Uniti
14
10. Belgio
3
10. Messico
3
10. Belgio / Luss.
3
10. Cina
2
14. Spagna
2
13. Spagna
2
16. Svizzera
2
12. Spagna
2
1
15. Svizzera
19. Svizzera
Rimanenti
Mondo
41
100
100% = 6358 mia. di USD
Rimanenti
Mondo
1
38
100
100% = 6662 mia. di USD
27. Svizzera
Rimanenti
Mondo
39
100
100% = 1415 mia. di USD
Rimanenti
Mondo
1
40
100
100% = 1400 mia. di USD
Fonte: OMC, Focus June 2001
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Economic Briefing n. 25
9
degli Stati Uniti e spiega la loro quota relativamente ridotta di importazioni (13,5%); tuttavia, misurata in cifre
assolute, la domanda di beni, servizi e capitali esteri
dell’economia americana è molto consistente e rappresenta persino la più potente locomotiva per l’economia
mondiale. L’Occidente europeo e l’UE hanno creato –
rispettivamente con lo Spazio economico europeo (SEE)
e l’introduzione dell’euro – premesse fondamentali per
avvicinare ulteriormente i consumatori, lavoratori, importatori ed esportatori, produttori e investitori del Vecchio continente ai benefici dei grandi mercati comuni.
3.2 Interessi settoriali contrastanti
Come già accennato, l’importanza del commercio estero a livello di economia reale si manifesta in una scelta
più ampia, sul piano qualitativo e quantitativo, per i consumatori e gli imprenditori indigeni. In Svizzera, ad
esempio, dei quasi 60 principali settori, circa 10 del
ramo industria /artigianato e 5 del ramo servizi denotano una dipendenza molto forte dalle esportazioni 4. Tra
questi figurano meccanica, orologeria e bigiotteria, chimica, tessile e abbigliamento, banche e turismo.
L’andamento degli affari di molte aziende di ogni dimensione è sovente legato, direttamente o indirettamente, alle sorti del commercio estero. Proprio per
questo non solo le imprese fortemente orientate all’import e all’export, ma anche l’intera economia nazionale,
non possono che trarre profitto da un accesso il più
possibile agevole ai mercati di approvvigionamento e di
vendita esteri. E per difendere stabilmente la loro competitività su questi ultimi, gli esportatori devono poter
contare su un circuito interno di fornitura efficiente sul
piano qualitativo e dei prezzi, nonché su attraenti fattori
di piazza.
In contropartita per il suo libero accesso ai mercati internazionali, l’economia estera richiede a quella di
orientamento domestico la disponibilità ad aprirsi alla
concorrenza di operatori di altri paesi. Questa esigenza
contrasta in parte con gli interessi di ambienti con scarsa dedizione al commercio estero e quindi propensi a
considerare in primo luogo l’importazione una sgradita
concorrenza più che un contributo migliorativo all’offerta e alla competizione e, in secondo luogo, l’esportazione come una pericolosa antagonista nell’acquisizione di
risorse (ad esempio la manodopera).
10
4
Ufficio federale di statistica, Die aussenwirtschaftliche
Verflechtung der Schweiz, Erwerbsleben 3, Berna 1998.
5
CREDIT SUISSE, Economic Briefing n.18
Economic Briefing n. 25
Le regolamentazioni dei mercati sono tra gli strumenti
più tipici per difendersi dall’importazione. Ad esempio,
secondo le nostre stime, in Svizzera i settori con una
deregolamentazione da grande a molto grande e media
occupano ciascuno il 36% delle forze lavoro; ciò significa che la parte rimanente, ben il 28%, opera in settori con un’apertura di mercato da scarsa a molto scarsa 5. I conflitti d’interessi sono perciò inevitabili.
Possiamo affermare che il commercio e la concorrenza
hanno il maggiore seguito, in termini di consenso, presso coloro che ne traggono profitto, mentre incontrano
avversione laddove vengono percepiti come svantaggio. Per questo l’abbattimento delle barriere commerciali è un’impegnativa sfida politica e commerciale. Da
sola, una politica commerciale liberale non può comunque garantire benessere. Questo obiettivo può essere
raggiunto unicamente con l’apporto e la concertazione
di molti altri contesti politici 6.
3.3 Rilevanza dei paesi non industrializzati
Nei paesi industrializzati i cosiddetti «altri» stati (ovvero
quelli in via di trasformazione, di sviluppo ed emergenti)
vengono spesso considerati concorrenti. Le diffidenze
nei confronti della globalizzazione che si vanno diffondendo nel «mondo occidentale» derivano in parte dal
cambiamento strutturale innescato dai trasferimenti
della produzione e dalle relative incertezze, nonché dalle pressioni di importazione esercitate dai paesi non industrializzati, anche se il maggiore volume di interscambi si svolge ancora tra paesi industrializzati. La quota del
PIL globale accreditabile alle cosiddette «altre» economie è ancora relativamente modesta ma denota una
continua crescita. Quest’ultima crea un potere d’acquisto con il quale esse possono generare una nuova domanda di importazione, che in ultima analisi torna a
vantaggio delle economie mature. Attraverso una maggiore integrazione nel commercio mondiale, i paesi in
via di sviluppo moltiplicano le loro opportunità di contrastare con successo fenomeni come la sperequata ripartizione della ricchezza e la migrazione forzata.
La figura 8 illustra, sull’esempio della Svizzera, la struttura geografica delle importazioni e delle esportazioni. In
cifre assolute e anche percentuali, il «Made in Switzerland» esportato nelle «altre» economie presenta un volume quasi doppio rispetto alle importazioni da quei paesi.
6
Ad esempio politica concorrenziale, regionale, strutturale,
dell’istruzione, sociale, d’investimento, innovativa, ambientale,
energetica e così via.
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
Figura 8: Commercio estero svizzero 2000
Esportazioni di merci
127 mia. di CHF
Figura 9: Investimenti diretti (FDI), esportazioni
e PIL globali 1990 – 2000
Fonti: FMI, Database World Economic Outlook 1997 – 2001,
UNCTAD, World Investment Report 1995 – 2001; calcoli propri
Importazione di merci
129 mia. di CHF
Fonte: BNS, Statistisches Monatsheft Juni 2001
3.4 Importanza degli investimenti diretti
Attraverso gli investimenti diretti all’estero (Foreign Direct Investment, FDI), le imprese di orientamento internazionale si assicurano un accesso privilegiato a mercati di approvvigionamento e di vendita stranieri,
nonché ulteriori capacità produttive e know how, condizioni di piazza più favorevoli e via dicendo 7. In particolare, sono qualificabili come FDI gli investimenti destinati
all’insediamento di impianti di produzione e reti di distribuzione oppure l’acquisto di imprese già esistenti, che
a seconda dei casi vengono totalmente rilevate o controllate attraverso partecipazioni strategiche. Gli investimenti diretti sono un inequivocabile segno della globaCREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
lizzazione 8: il loro volume cresce a un’andatura molto
più rapida rispetto alle esportazioni e al PIL globale (fig.
9). Mentre nel 1991 la loro consistenza annua ammontava, su scala mondiale, a 198 miliardi di USD, nel
1999 aveva già raggiunto gli 865 miliardi. Nello stesso
periodo, gli FDI della Svizzera all’estero sono lievitati da
9 miliardi di franchi a circa 54 miliardi, mentre a loro
volta gli investimenti diretti esteri in Svizzera sono passati da 4 miliardi di franchi a circa 17 miliardi. Le imprese elvetiche investono l’80% di questi mezzi in paesi industrializzati e quindi non in paesi di bassa fascia di
reddito, come molti critici affermano.
Il clima di investimento è decisivo per la crescita economica. Per questa ragione numerosi paesi si prodigano
in un’intensa opera di miglioramento delle condizioni di
piazza, nell’intento di accattivarsi le simpatie degli investitori. Gli FDI sono reciprocamente vantaggiosi: di regola, essi inducono un transfer di conoscenze che favorisce la qualità e la produttività del capitale umano.
7
Cfr. CREDIT SUISSE, Bulletin 5 / 00
8
«Globalizzazione» è l’iperonimo di un processo d’integrazione
mondiale crescente che abbraccia tutte le sfere della vita. Ai fini
del presente studio l’accento è posto sulla globalizzazione economica, che si riflette in primo luogo nell’estensione degli scambi di merci e servizi, poi nei crescenti flussi transfrontalieri di
capitali e, in terzo luogo, nella maggiore rilevanza rivestita dalle
attività svolte da multinazionali. Una delle principali forze motrici
della globalizzazione economica è l’accelerazione del progresso
tecnologico osservata negli ultimi due decenni, in particolare
il drammatico crollo dei costi di comunicazione e trasporto.
Economic Briefing n. 25
11
4. Organizzazione mondiale
del commercio (OMC)
4.1 Dal GATT all’OMC
Dal 1995 l’Organizzazione mondiale del commercio
OMC (rispettivamente WTO, World Trade Organization), con sede a Ginevra e che annovera attualmente
142 paesi partecipanti, rappresenta il fondamento
del sistema multilaterale di scambi commerciali. L’OMC
è l’organizzazione continuatrice del GATT (General
Agreement on Tariffs and Trade), ovvero dell’accordo
generale sui dazi doganali e il commercio siglato nel
1947 dai rappresentanti di 23 paesi. L’accordo fu il
frutto di sforzi pluriennali profusi dagli Stati Uniti al fine
di istituire, dopo il Secondo conflitto mondiale, un ente
da preporre al commercio mondiale che corrispondesse
ai loro principi politici ed economici liberali. La costituzione dell’OMC venne preceduta da intensi negoziati
condotti nel quadro dell’Uruguay round dal 1986 al
1994 fra i paesi membri del GATT.
Il compito che l’OMC è chiamata a svolgere è di conferire al sistema commerciale multilaterale un fondamento giuridico e istituzionale, fungere da forum permanente per colloqui imperniati su quesiti di carattere
commerciale e attendere progressivamente all’ulteriore
liberalizzazione dell’interscambio di merci e servizi fra
un numero crescente di paesi partecipanti. Il meccanismo che presiede al processo decisionale all’interno dell’OMC e dei suoi comitati è il consenso. Le decisioni
acquistano validità giuridica solo quando i singoli partner le hanno ratificate attraverso le procedure prescritte
dal rispettivo diritto nazionale. L’OMC dispone di un’istanza preposta alla composizione delle controversie.
Nel corso degli ultimi cinque decenni la liberalizzazione
del commercio internazionale avvenne a tappe, ovvero
in round di negoziati (fig. 10) multilaterali conosciuti anche come conferenze o sessioni tariffarie. I primi cinque
furono dedicati esclusivamente alla riduzione delle tariffe dei dazi doganali nei settori di economia reale inclusi
nel GATT, mentre il sesto round impresse una spinta
decisiva all’abbattimento dei dazi doganali e preparò un
terreno fertile per il codice antidumping. Con il settimo
round i negoziati divennero più complessi e si articolarono sull’arco di più anni. La rimozione degli ostacoli
non tariffari frapposti agli scambi internazionali (ad
esempio impedimenti tecnici, sovvenzioni) acquistò una
crescente importanza in rapporto agli sforzi spesi per ridurre i dazi doganali. L’ottavo, e sinora ultimo, round o
ciclo di negoziazioni multilaterali avviato in Uruguay durò
otto anni e fu decisivo ai fini dell’ulteriore sviluppo degli
scambi commerciali internazionali (cosiddetto Uruguay
round). In primo luogo, il consenso dovette essere ottenuto con un numero sensibilmente superiore di paesi
membri rispetto a quanto avveniva agli albori del GATT.
In secondo luogo, nella cornice di questo round furono
conferite ulteriori spinte alla liberalizzazione nel quadro
del GATT (economia agricola, prodotti tessili) e, in terzo
luogo, l’applicazione delle regole del gioco venne estesa ai servizi, agli appalti pubblici e alla proprietà intellettuale e si definirono altresì le fasi di sviluppo future.
In più, si riconobbe la necessità di armonizzare fra loro
– laddove opportuno e possibile – le sfide di politica
commerciale con le esigenze poste dalla politica finanziaria, ambientale e di sviluppo e con quesiti inerenti alla
libera circolazione dei capitali. Infine, l’organizzazione
del GATT venne trasposta nella nuova OMC, che si
regge su tre pilastri (fig.11). Il GATT originario, che di-
Figura 10: Round di negoziati nel quadro del GATT nel periodo 1947–1994
Anno
Luogo del vertice / Nome
Argomento
Paesi partecipanti
1947
Ginevra
Tariffe doganali
1949
Annecy
Tariffe doganali
13
1951
Torquay
Tariffe doganali
38
23
1956
Ginevra
Tariffe doganali
26
1960 –1961
Dillon round
Tariffe doganali
26
1964 –1967
Kennedy round
Tariffe doganali e antidumping
1973 –1979
Tokyo round
Tariffe doganali, ostacoli e accordi quadro non tariffari
102
1986 –1994
Uruguay round
Tariffe doganali, ostacoli non tariffari, norme, servizi,
proprietà intellettuale, regolamento delle controversie,
tessili e abbigliamento, agricoltura, istituzione dell’OMC
123
62
Fonte: OMC
12
Economic Briefing n. 25
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
sciplina il commercio internazionale di merci, venne integrato nell’OMC e i suoi principi furono ripresi. In più
vennero integrate le normative sullo scambio di servizi
(General Agreement on Trade in Services, GATS) e sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale
(Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual
Property Rights, TRIPS) e uniformato il meccanismo di
regolamentazione delle controversie.
Gli accordi OMC furono siglati nell’aprile 1994 a Marrakesh, in Marocco, dai rappresentanti di 123 paesi ed
entrarono in vigore all’inizio del 1995. La Svizzera, che
aveva aderito al GATT nel 1966, è uno dei paesi fondatori dell’OMC.
4.2 Principi basilari dell’OMC
L’obiettivo precipuo dell’OMC è promuovere lo sviluppo
economico dei paesi partecipanti attraverso la rimozione degli ostacoli che si frappongono agli scambi internazionali. Maggiore è il numero dei paesi che aderiscono all’OMC, più numerosi sono le imprese, forze lavoro
e consumatori, offerenti e richiedenti che possono beneficiare del benessere indotto dal libero scambio.
Al pari di tutti i paesi fortemente integrati nel commercio internazionale, anche la Svizzera può tutelare ancora meglio i suoi interessi economici se gli esportatori e
investitori svizzeri possono fruire di un accesso più agevole ai mercati esteri, ma se anche agli importatori svizzeri è offerta la possibilità di introdurre più facilmente
beni dall’estero. Alla certezza del diritto è tributata
un’importanza cruciale ai fini della salvaguardia di questi interessi, un aspetto che l’OMC promuove ispirandosi ai principi basilari seguenti:
Non discriminazione: l’idea portante del sistema commerciale multilaterale enuncia che nessun membro dell’OMC può discriminarne un altro.
Trattamento della nazione più favorita: le agevolazioni
commerciali che un membro dell’OMC accorda a un
paese terzo devono essere concesse a tutte le parti
contraenti dell’OMC. Le zone di libero scambio e le
preferenze doganali per paesi in via di sviluppo sono
consentite a determinate condizioni come deroga al
principio del trattamento della nazione più favorita.
Trattamento nazionale: i beni importati sono a tutti gli
effetti simili ai beni prodotti all’interno della nazione,
vale a dire che a parità di tipologia devono essere applicate le medesime disposizioni.
Trasparenza: le condizioni di accesso al mercato e le
misure di restrizione al commercio ugualmente adottate
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
Figura 11: I tre pilastri dell’OMC
OMC
Accordo generale
sui dazi doganali
e il commercio (GATT)
Accordo sullo scambio
di servizi (GATS)
Riduzione dei
dazi doganali
Commercio
di prodotti tessili
Economia agricola
Investimenti all’estero
Investimenti
Sovvenzioni
Ostacoli tecnici
al commercio
Dumping
Telecomunicazioni
Regolamento
delle controversie
Accordo sulla
proprietà intellettuale
(TRIPS)
Banche
Protezione brevettuale
Assicurazioni
Diritti d’autore
Turismo
Design industriale
Trasporto aereo
Marchi
Trasporto marittimo
Arte, letteratura
Movimento
delle persone fisiche
Falsificazioni
Regolamento
delle controversie
Regolamento
delle controversie
Non discriminazione
Trattamento della nazione più favorita
Trattamento nazionale
Trasparenza
per motivi d’ordine superiore (ad es. ambiente, sicurezza, salute) devono configurarsi in modo trasparente e
prevedibile.
I principi esposti poc’anzi rafforzano l’obbligatorietà degli impegni assunti, che sono perciò da considerarsi
«consolidati»; in linea generale non è infatti consentito
revocare posteriormente riduzioni delle tariffe doganali
una voltache sono state concesse. I paesi partecipanti
possono richiamarsi a questi principi qualora constatassero o dovessero supporre che i loro partner hanno violato le norme dell’OMC. Gli eventuali disaccordi commerciali che dovessero sorgere fra i singoli partner
possono essere sottoposti all’organismo di appello per
la regolamentazione delle controversie dell’OMC, che
mira a conciliare le parti in conflitto e a mitigare o comporre le controversie commerciali secondo procedure
esattamente definite. Qualora l’organo preposto al regolamento delle controversie confermasse una violazione delle norme OMC, il partner inadempiente è tenuto a
ripristinare la conformità contrattuale. Se non si giunge
ad alcun accordo, l’attore a cui è stata riconosciuta la
ragione è legittimato a sospendere l’adempimento degli
obblighi assunti – ad esempio mediante la reintroduzione di dazi doganali su importazioni – sino a concorrenza
del danno subito.
Economic Briefing n. 25
13
5. Sfide per l’ordinamento
commerciale globale
5.1 Tematiche già integrate
Alla Conferenza ministeriale OMC tenutasi alla fine del
1999 a Seattle, alcuni paesi protagonisti della scena
commerciale avevano progettato di indire un nuovo
round di negoziazioni multilaterali inteso alla liberalizzazione del commercio mondiale, ma a seguito soprattutto di radicali divergenze d’opinioni sorte fra paesi industrializzati e altri in via di sviluppo nonché di conflitti
d’interessi sulle sovvenzioni all’agricoltura non si riuscì a
giungere a un’intesa. Azioni di protesta di grande impatto pubblicitario promosse da una schiera eterogenea
di manifestanti del movimento antiglobalizzazione ostacolarono inoltre lo svolgimento del summit.
Tuttavia, relativamente ai settori dell’agricoltura e dei
servizi già alla conclusione dell’Uruguay round ci si era
dati appuntamento all’inizio del 2000 per l’avvio di negoziati settoriali. Per questo nel quadro della cosiddetta
«built-in-agenda» si stanno attualmente conducendo a
livello multilaterale colloqui di politica commerciale imperniati su questi due argomenti. Il commercio di prodotti agricoli riveste una certa importanza per la Svizzera, in quanto nel nostro paese si pone l’accento sulla
multifunzionalità dell’agricoltura. In proposito si argomenta ad esempio che i contadini di montagna forniscono un contributo prezioso alla colonizzazione decentrata del nostro paese e alla produzione rispettosa
dell’ambiente di generi alimentari di primissima qualità.
A seguito delle sue banche e assicurazioni a vocazione
internazionale, per la Svizzera anche l’ulteriore liberalizzazione dell’interscambio di servizi rappresenta un tema
di straordinaria importanza.
I primi negoziati del GATT videro esclusi i servizi e bisognò attendere 47 anni per assistere alla ratifica, avvenuta nel 1994, del GATS. Per effetto della vigorosa
crescita espressa negli ultimi decenni dagli scambi internazionali di servizi, verso la metà degli anni Ottanta si
riconobbe la necessità di avviare negoziati multilaterali
in questo settore.
All’inizio dell’Uruguay round soprattutto i paesi industrializzati caldeggiarono un’apertura del mercato nell’ambito dei servizi, un’iniziativa che venne però avversata in particolare dal Brasile e dall’India che, temendo
pregiudizi concorrenziali per il settore nazionale dei servizi, mossero l’appunto che la liberalizzazione non
avrebbe tenuto sufficientemente conto del transfer di
14
Economic Briefing n. 25
know how e della mobilità internazionale delle persone.
Il fatto che un’apertura dello scambio di servizi richieda
una riduzione o un adeguamento dei regolamenti interni dei paesi concorse a sua volta a ostacolare il raggiungimento di un accordo nell’ambito dei servizi. Viceversa, nella circolazione delle merci vennero adottate
solo disposizioni di rilievo in tema di confini. Il GATS si
distingue in alcuni punti essenziali dal GATT:
– Pur se applicato, nel GATS il principio del trattamento della nazione più favorita consente, accanto a deroghe di carattere generale, anche altre eccezioni per
singoli paesi che figurano su liste negative.
– Fondamentalmente, il principio della parità di trattamento nazionale non è applicato, a meno che i singoli paesi non abbiano assunto relativi impegni da inserire in liste positive.
Quanto appena esposto fa sì che nuovi servizi non ancora considerati nel trattato o ancora sconosciuti non
siano automaticamente inclusi nel GATS in quanto si difetta della necessaria regolamentazione interna generale. Occorre ogni volta un impegno specifico dei paesi,
ciò che agevola loro il mantenimento di regimi di monopolio e politiche protezionistiche.
Nell’ambito dei negoziati successivi in corso gli Stati
Uniti e l’UE propongono di trattare il settore dei servizi
finanziari tributandogli una maggiore importanza. Essi
richiedono più trasparenza relativamente alle disposizioni in vigore nonché alle premesse da soddisfare per
l’esercizio dell’attività nel segmento appunto dei servizi
finanziari. La conoscenza di queste normative s’impone
per poter erogare effettivamente dei servizi. Nella griglia degli obiettivi figurano uno standard di vigilanza e
diligenza comune nonché ulteriori impegni nazionali nell’ambito dell’apertura di filiali. Altri paesi propongono
l’integrazione di settori come le telecomunicazioni, il
trasporto marittimo, il trasporto aereo, la distribuzione
(rete di agenti, franchising ecc.), come pure i servizi a
imprese. I prossimi negoziati sveleranno se per alcuni
settori si riuscirà ad allineare le liste dei paesi e a stabilire così, quantomeno in parte, un grado di liberalizzazione unitario.
In avvenire l’OMC dovrà chinarsi maggiormente sulla
problematica degli ostacoli non tariffari posti al commercio. Sullo sfondo dei considerevoli progressi compiuti nell’ambito del disarmo tariffario (fig. 12) numerosi
paesi membri dell’OMC fanno vieppiù ricorso a restrizioni commerciali non tariffarie come standard tecnici o
misure sanitarie. A giustificazione di questi provvedimenti si adduce perlopiù la salvaguardia di interessi
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
pubblici, come ad esempio la salute, ancorché i reali
motivi all’origine di queste restrizioni siano spesse volte
di natura protezionistica. Occorre perciò assicurarsi che
le restrizioni commerciali poste per motivazioni superiori
siano conciliabili con il principio, fondamentale per
l’OMC, della trasparenza.
5.2 Ampliamento della lista degli argomenti
A dispetto dell’insuccesso del vertice di Seattle, numerosi paesi membri dell’OMC chiedono con insistenza
l’avvio di un nuovo ciclo di negoziazioni multilaterali per
le quali vi sarebbero sufficienti argomenti.
Al pari dello scambio dei servizi, un settore in rapida
crescita, il regime commerciale globale arrischia di non
agganciarsi per tempo allo sviluppo dell’economia mondiale anche con riferimento ai sempre più importanti investimenti diretti. Nel quadro dell’Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) si è
tentato invano di elaborare un accordo multilaterale sugli investimenti (Multilateral Agreement on Investment,
MAI). L’intento era di dar vita a una normativa completa che – proprio nei paesi in via di sviluppo e in quelli
prossimi a varcare la soglia dell’industrializzazione – tutelasse gli investimenti diretti esteri richiamandosi a
principi come la non discriminazione e adottando un
sistema di regolamentazione delle controversie efficace. Ma a seguito di profonde divergenze d’opinioni e
delle massicce pressioni esercitate da un movimento
internazionale di protesta che si opponeva al MAI, alla
fine del 1998 l’OCSE abbandonò ogni tentativo di perfezionare l’accordo sugli investimenti. Non è dato sapere se l’OMC potrebbe ottenere il consenso a norme
multilaterali in materia di investimenti.
È altresì affatto ipotizzabile che nell’ambito dell’OMC si
rivolga la mente al rapporto fra commercio e politica
concorrenziale. Il tema figura sul tavolo degli argomenti
all’ordine del giorno, giacché molte società internazionali detengono pingui quote di mercato al di fuori del
loro mercato nazionale. Ne consegue che le fusioni di
aziende statunitensi o dell’UE con potere di mercato al
di là dell’Atlantico devono essere approvate dalle autorità in materia di concorrenza dell’Unione europea e degli Stati Uniti. Tuttavia, come avvenuto recentemente
nel caso della fusione squisitamente americana di General Electric e Honeywell vietata dalla Commissione
UE, questi due organi di vigilanza possono giungere a
risultati diversi riguardo all’ammissibilità della fusione,
ciò che può destare disappunti transatlantici. In questa
prospettiva, una certa armonizzazione internazionale del
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
Figura 12: Riduzione dei dazi doganali nel quadro del GATT dal 1947
* Beni industriali e commerciali
Fonte: Die Volkswirtschaft 11/1999
diritto della concorrenza all’interno dell’OMC potrebbe
contribuire a evitare in futuro siffatti conflitti.
5.3 Settori selezionati
In questa sede non si intende fornire un elenco definitivo ed esauriente di argomenti proponibili per un nuovo
round sul commercio mondiale, tuttavia giova soffermarsi brevemente sui tre settori selezionati descritti qui
di seguito.
Il rapporto fra commercio e sviluppo è un tema che torna puntualmente d’attualità nell’agenda della diplomazia commerciale. Diversamente da quanto sperato, in
numerosi paesi in via di sviluppo non si è finora riusciti a
ridurre il divario di prosperità rispetto alle economie mature, per cui l’argomento acquisterà ulteriore rilevanza
in avvenire. Anche i rapporti di forze numerici in seno all’OMC indicano questa direzione: se più di cinquant’anni or sono i paesi promotori del GATT erano costituiti
per una metà da nazioni industrializzate tradizionali e per
l’altra dalle rimanenti macroeconomie, oggi questo rapporto è circa di 20 a 80. Come sempre, i paesi in via di
sviluppo ed emergenti devono fronteggiare in primo
luogo il protezionismo agrario e tessile dei paesi industrializzati. Pur se durante l’Uruguay round le nazioni
meno sviluppate sono riuscite a ottenere una certa liberalizzazione del commercio dei prodotti tessili, visto che
i contingenti bilaterali alle importazioni di tessili negli
Economic Briefing n. 25
15
scambi fra la maggior parte dei paesi industriali e in via
di sviluppo convenuti nel quadro del Multifiber Arrangement (MFA) cesseranno di avere vigore dal 2005, su
molti Stati del Meridione planetario, in particolare dell’Africa, incombe la minaccia di un’ulteriore regressione
delle quote all’interno del commercio internazionale
(fig. 13).
Vari stati industriali stanno cercando di incentivare la
compartecipazione dei paesi in via di sviluppo all’economia mondiale mediante accordi doganali preferenziali.
Al riguardo, essi rinunciano – nei limiti delle deroghe
al principio della non discriminazione dell’OMC consentite – in parte o integralmente alla riscossione di dazi
doganali sulle merci che importano dai paesi meno sviluppati. L’apertura dei paesi meno favoriti è promossa
anche attraverso il canale di una più ampia cooperazione tecnica. In quest’ottica, ai rappresentanti della diplomazia commerciale provenienti dai paesi in via di sviluppo vengono dispensate conoscenze approfondite sul
diritto dell’OMC, al fine appunto di consentire a questi
paesi un migliore utilizzo degli strumenti dell’organizzazione mondiale del commercio – primo fra tutti il sistema di regolamentazione delle controversie – e di tutelare più efficacemente i loro interessi.
Gli ambientalisti ammoniscono da parecchio tempo che
la crescita può produrre impatti negativi sull’ambiente
e che le risorse non sono inesauribili (cfr. «Limiti della
crescita», Club di Roma), perciò il rapporto fra il commercio che promuove la crescita e l’ambiente figura
nell’ordine del giorno dell’OMC.
Viceversa, i fautori della liberalizzazione del commercio
internazionale sostengono la tesi che gli scambi commerciali accrescono il reddito pro capite di un’economia, per cui nel corso dell’evoluzione economica l’impatto ambientale si riduce. Questo contesto teorico è
illustrato dalla Environmental Kuznets Curve (fig.14).
Altri dubitano della validità della relazione descritta e affermano a loro volta che una diminuzione dell’impatto
ambientale accompagnato da un reddito crescente può
essere ottenuta solo «esportando» detto impatto in paesi più poveri, in cui i beni sono prodotti sotto l’egida di
normative ambientali meno severe.
L’opinione pubblica è spesso indotta a credere che la
sfera d’intervento dell’OMC sia circoscritta al libero
scambio di merci e servizi e ignori del tutto gli aspetti
ecologici. Meno noto però è che l’accordo OMC accoglie una serie di clausole che tengono in debita considerazione – almeno teoricamente – queste realtà. Ne è
del resto una prova la premessa del trattato, che defini16
Economic Briefing n. 25
Figura 13: La modesta quota dell’Africa
nel commercio mondiale
Esportazioni di merci nel 1999
Fonte: OMC, International Trade Statistics 2000
sce chiaramente come «componente fondamentale»
delle norme OMC lo sviluppo sostenibile (quindi l’interazione di aspetti economici, ecologici e sociali). D’altro
lato, l’articolo XX dell’accordo GATT autorizza esplicitamente l’adozione di «misure a tutela della vita di uomini,
animali e piante». Altre disposizioni ancora nell’ambito
delle normative OMC sono intese alla salvaguardia dell’ambiente e della salute. A titolo di esempio, nell’accordo sull’agricoltura si ammette il versamento di sovvenzioni se queste sono destinate alla protezione
dell’ambiente naturale.
Il primo caso concreto relativo alla tutela ambientale
portato dinanzi al tribunale arbitrale del GATT fu il cosid-
Figura 14: Environmental Kuznets Curve
Fonte: OMC, Special Study Trade and Environment 1999
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
detto caso tonno-delfino risalente al 1991 (cfr. riquadro). Negli anni che seguirono vennero promosse altre
azioni inerenti all’ambiente, pensiamo ad esempio al divieto d’importazione di petrolio greggio sulfureo oppure
al commercio di carni bovine nel cui ciclo di produzione
si fa uso di ormoni.
Le disposizioni di rilievo sotto il profilo ecologico statuite dall’accordo OMC rappresentano in ampia misura
delle norme interpretative ed è appunto per questo che
l’Organizzazione mondiale del commercio creò nel
1994 il Committee for Trade and Environment (CTE), il
cui programma di lavoro verte fra l’altro sul rapporto
fra l’OMC e i Multilateral Environmental Agreements
(MEA), che sono oltre 200 in tutto il mondo. Di questi
però, solo una ventina di MEA prevedono esplicitamente restrizioni o divieti al commercio a salvaguardia dell’ambiente. Gli esempi più illustri di MEA sono il Protocollo di Montreal, che vieta il commercio di sostanze
nocive per l’ozono, e l’Accordo sulla protezione delle
specie siglato a Washington, che proibisce il commercio di avorio e di altri prodotti ottenuti da specie animali
e vegetali a rischio di estinzione. Pur se finora non è
stata intentata alcun’azione dinanzi all’OMC in merito a
un MEA, è evidente che alcuni di questi accordi violano
le norme OMC. In questo contesto è soprattutto dubbio
se il diritto dell’OMC o del MEA interessato possa rivendicare la priorità. Pure insoluto è l’interrogativo teso
a sapere chi infine deve essere chiamato a decidere
nell’eventualità di un’azione legale. Nessuno dubita della competenza dell’OMC in materia di diritto commerciale internazionale, ma l’Organizzazione mondiale del
commercio è davvero in grado di valutare con cognizione di causa questioni di carattere ambientale?
In numerosi negoziati di politica commerciale condotti
negli ultimi anni i diritti dei lavoratori – i diritti umani fondamentali dei lavoratori – si erano rivelati un punto assai
controverso. L’attualità della tematica non deve tuttavia
trarre in inganno e indurre a credere che il quesito del
rapporto fra commercio e diritti dei lavoratori sia una
novità: a livello di organizzazioni internazionali i diritti
precitati furono oggetto di dibattito già nell’ambito dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) istituita
nel 1919.
Va tuttavia precisato che l’inclusione dei diritti dei lavoratori in accordi o leggi commerciali fu sempre controversa. L’aspetto problematico di queste «clausole sociali» è che all’occorrenza si ricorre anche a sanzioni
che limitano il commercio per indurre gli esportatori con
standard troppo bassi a rispettare i diritti dei lavoratori.
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
Il caso tonno – delfino
Nel Pacifico, come peraltro in molti altri mari, i tonni e i
delfini vivono spesso insieme nelle stesse acque. Nelle
reti a strascico utilizzate dal Messico per la pesca al
tonno rimanevano catturati e uccisi dei delfini. La legge
statunitense sulla protezione dei mammiferi vieta esplicitamente queste tecniche di pesca, per cui gli Stati
Uniti decisero di proibire l’importazione di tonno dal
Messico o da paesi che lavorano tonno messicano. Nel
1991 il Messico e alcuni altri paesi interessati sottoposero il caso all’istanza preposta al regolamento delle
controversie del GATT (Panel), che giunse alla conclusione che l’embargo decretato dagli Stati Uniti non era
conciliabile con le norme GATT. La decisione fu da un
lato motivata con il fatto che gli Stati Uniti non possono
influire in alcun modo sulle modalità di pesca del tonno
in Messico, in quanto il prodotto finale non si distingue
dal pesce catturato con metodi rispettosi della vita dei
delfini. Si tratta nella fattispecie di un punto di cruciale
importanza poiché la discriminazione di prodotti identici
(«like products») non può legittimamente avvenire sulla
base di cosiddetti Production and Process Methods
(PPM).
D’altro lato, nel giudizio arbitrale si osservò che in virtù
delle norme GATT un paese non è autorizzato a esigere
il recepimento coattivo di proprie leggi in altre nazioni.
Agli Stati Uniti venne tuttavia concesso di introdurre
un’etichetta ecologica che consentisse di riconoscere il
tonno pescato con metodiche rispettose dell’ambiente
marino e quindi dei delfini, mettendo così il consumatore nelle condizioni di operare una scelta d’acquisto consapevole.
Il caso non contribuì ad accrescere la fiducia degli ambientalisti nell’OMC. La sentenza arbitrale fu accolta
come una conferma che la liberalizzazione del commercio conduce fatalmente a una diminuzione degli standard ambientali.
I critici vi intravedono un tentativo, camuffato con la retorica dei diritti dell’uomo, di eliminare attraverso l’armonizzazione la concorrenza per la competitività dei
propri mercati, che promuove notoriamente l’efficienza.
Di più, nonostante o proprio per la pluralità delle convenzioni OIL, non vi fu alcun consenso internazionale
unanime su quali standard andassero infine inseriti fra i
diritti umani inalienabili e universali dei lavoratori. A questo riguardo, un cambiamento importante nell’ambito
dell’OIL si verificò solo nel 1998 (cfr. riquadro p. 18).
Economic Briefing n. 25
17
Sotto l’egida dell’OMC, negli ultimi anni furono soprattutto gli Stati Uniti ad adoperarsi a fondo in favore dei
diritti dei lavoratori. Quasi in solitario, l’allora amministrazione statunitense cercò, in occasione della prima
Conferenza ministeriale dell’OMC tenutasi nel 1996 a
Singapore, di formare un gruppo di lavoro su questo
tema nell’ambito appunto dell’Organizzazione mondiale
del commercio, ma il suo tentativo fallì per la massiccia
opposizione mossa da numerosi paesi in via di sviluppo,
i cui governi vedevano nell’invito a tutelare i diritti dei lavoratori una sorta di velato protezionismo rivolto contro i
loro vantaggi comparativi. Un’ulteriore tematizzazione
dei diritti dei lavoratori nel quadro dell’OMC venne pertanto ricusata e si consolidò la competenza di principio
dell’OIL in questo ambito.
Cionondimeno, ampi strati dell’opinione pubblica nei
paesi industrializzati come pure molte delle politicamente sempre più influenti organizzazioni non governative
(ONG) si indignano sempre più per le condizioni di lavoro (in cosiddetti «sweatshops») che vigono in numerose
nazioni del mondo. Già solo per quanto dianzi menzionato l’OMC non potrà esimersi in avvenire dall’occuparsi di quesiti che attengono ai diritti dei lavoratori. Peraltro, il rispetto dei diritti umani fondamentali non si
contrappone all’incentivazione della crescita economica
nei paesi in via di sviluppo. Anzi: un mercato del lavoro
che non conosce la discriminazione – ad esempio delle
donne – è più efficiente di uno in cui determinati gruppi
sociali sono penalizzati. Pur se ancora oggi il lavoro minorile rappresenta in molti paesi meno sviluppati una
fonte di reddito irrinunciabile per numerose famiglie, nel
lungo periodo il potenziale di crescita di queste macroeconomie sarà assottigliato per il fatto che esse non incentivano lo «human capital stock» mediante opportune
misure formative.
Anche in una prospettiva futura la diplomazia commerciale internazionale sarà sollecitata a trovare una regolamentazione istituzionale adeguata per disciplinare la
questione dei diritti fondamentali dei lavoratori senza
ostacolare il potenziale di creazione di prosperità insito
nei mercati globali. Un approccio ipotizzabile risiede in
una maggiore cooperazione fra OMC e OIL. La problematica può essere mitigata anche con un particolare
contrassegno (cosiddetti labels) che informa il consumatore sulle condizioni di lavoro alle quali un prodotto è
stato realizzato. In ogni caso, oggi la tesi – predominante ancora sino a pochi anni or sono – che diritti dei lavoratori e interscambi commerciali siano due realtà del
tutto disgiunte fra loro non è ormai più sostenibile.
18
Economic Briefing n. 25
Diritti fondamentali dei lavoratori
Nel giugno 1998 i rappresentanti dei Governi, sindacati e datori di lavoro di tutto il mondo presenti alla Conferenza dell’ONU hanno votato all’unanimità una Dichiarazione Internazionale dei principi e dei diritti sul lavoro
(Declaration of Fundamental Principles and Rights at
Work), accordandosi così sul contenuto fondamentale
dei diritti che i governi devono rispettare globalmente e
indipendentemente dal livello di sviluppo di un paese. Ai
sensi della Dichiarazione OIL, nello spettro di questi
principi figurano i punti seguenti:
– la libertà di associazione e il diritto a trattative
collettive,
– il divieto di tutte le forme di lavoro coatto,
– l’abolizione del lavoro minorile nonché
– il divieto di discriminazione nell’ambito
dell’assunzione e dell’occupazione.
Il divieto del lavoro minorile rimane però controverso.
Nella Convenzione n.182 (Worst Forms of Child Labour
Convention) del 1999, che concretizza la Dichiarazione
OIL sui diritti fondamentali dei lavoratori, l’Organizzazione internazionale del lavoro si limita perciò a vietare
ogni forma di lavoro o di attività che possa danneggiare
la salute, la sicurezza o la moralità dei bambini. La Convenzione n.182 è intesa soprattutto a combattere il lavoro forzato dei bambini, la prostituzione infantile, l’impiego di bambini come corrieri della droga e in processi
di trasformazione pericolosi, ad esempio nell’industria e
nelle miniere. Secondo dati dell’OIL, oggi sono circa 80
milioni i bambini costretti a svolgere queste attività pericolose.
5.4 Disparati conflitti d’interessi
Con riferimento a eventuali nuove negoziazioni multilaterali, i principali blocchi commerciali continuano a nutrire preferenze diverse. Gli Stati Uniti hanno richiesto in
origine un round limitato nel tempo («market access
round») che avesse per oggetto soprattutto lo scambio
di prodotti agricoli e servizi, settori in cui l’economia statunitense intravede le migliori opportunità di esportazione. Ultimamente però si stanno moltiplicando i segnali
che anche Washington potrebbe caldeggiare l’avvio di
un ciclo di negoziati commerciali di più ampio spettro, il
che significherebbe un avvicinamento del punto di vista
americano a quello dell’UE. Bruxelles auspica negoziati
quanto più ampi e completi possibile che includano
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
Figura 15: Le svariate sfide dell’ordinamento commerciale globale in sintesi
Argomenti già integrati
Ampliamento della lista degli argomenti
– Built-in-agenda:
PScambio di servizi
PScambio di prodotti agricoli
–
–
–
–
–
–
– Ostacoli non tariffari al commercio
– Ammissione di nuovi membri
– Aumento della trasparenza
Commercio e sviluppo
Commercio e ambiente
Commercio e diritti dei lavoratori
Commercio e investimenti
Commercio e politica concorrenziale
Liberalizzazione commerciale regionale e multilaterale a confronto
Conflitti d’interessi
– «Contrasto Nord – Sud»: gli interessi dei paesi in via di sviluppo rispetto agli interessi dei paesi industrializzati
– Conflitti all'interno dei paesi industrializzati: gli interessi dei governi e dei circoli economici rispetto agli interessi di ONG
e della (autonominatasi) «civil society»
gli aspetti del commercio e degli investimenti nonché
della concorrenza e dell’ambiente. L’UE raccomanda
un round di ampia impostazione al fine di compensare
con esiti negoziali favorevoli in altri dossier le eventuali
concessioni fatte nel settore della protezione agricola,
assai sviluppato in Europa. Questo «pacchetto di massima» era già stato la chiave del successo dell’Uruguay
round; a quel tempo i paesi in via di sviluppo si erano
inizialmente opposti con fermezza all’integrazione dei
diritti di proprietà intellettuale, ma in contropartita per la
loro capitolazione riuscirono poi a strappare concessioni in altri ambiti ai paesi industrializzati.
I paesi emergenti e in via di sviluppo a loro volta rivendicano una quota più equa nel commercio mondiale. Già
solo per le proporzioni maggioritarie all’interno dell’OMC, la cui procedura decisionale è fondata sul consenso, occorrerebbe avere una maggiore considerazione per le esigenze dei paesi in via di sviluppo. Questi
ultimi lamentano che le misure di liberalizzazione adottate sinora hanno avvantaggiato soprattutto gli stati industriali, mentre il tuttora diffuso protezionismo nei paesi del Nord preclude loro la messa a profitto dei
rispettivi vantaggi comparativi – in particolare in ordine
ai prodotti agricoli, ma anche con riguardo ai beni ad
alta incidenza di lavoro, come i tessili. Del resto, molti
paesi meno favoriti non vogliono neppure un nuovo ciclo di negoziazioni, poiché hanno già abbastanza problemi a rispettare gli impegni assunti nell’Uruguay
round. Le difficoltà riguardano in particolare alcuni
aspetti dei diritti di proprietà intellettuale: le economie
meno progredite deplorano le lunghe scadenze dei brevetti per i nuovi prodotti farmaceutici messi a punto nei
paesi industrializzati. Essi sostengono che il carattere di
diritto di monopolio rivestito dalle disposizioni di privativa
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
industriale sfocia in un protezionismo velato che nel
caso dei costosi farmaci antiAids comporta inoltre conseguenze fatali per la salute pubblica di intere regioni.
Per questo il Sud Africa e il Kenya hanno recentemente rivisto le loro leggi sui brevetti, con l’effetto che ora
le medesime consentono l’importazione di farmaci generici e tecnologie farmaceutiche antiAids a prezzi più
contenuti.
Nella posizione negoziale della Svizzera, la considerazione della multifunzionalità dell’agricoltura figura come
esigenza particolare. L’UE e il Giappone adducono argomenti in parte analoghi. Al pari degli Stati Uniti, la
Svizzera nutre inoltre un vivo interesse per l’ulteriore
apertura dei mercati dei servizi finanziari.
Molte ONG infine si oppongono fermamente a qualsiasi altra liberalizzazione del commercio mondiale. Invero
nel loro schieramento oltremodo eterogeneo non vi è
alcuna concordanza di idee sull’assetto auspicato del
sistema di scambi internazionali. Come anticipato, la
maggior parte delle richieste avanzate da oppositori
della liberalizzazione in paesi industrializzati (ad esempio
nel contesto della salvaguardia ambientale o dei diritti
dei lavoratori) viene rifiutata dai governi dei paesi in via
di sviluppo. È quindi fuori dubbio che negli anni a venire
la sfida più grande che l’ordinamento commerciale globale e liberale dovrà raccogliere consisterà nel trovare
un compromesso fra gli interessi, perlopiù diametralmente opposti, delle ONG negli stati industriali e le
preferenze dei governi dei paesi in via di sviluppo
(fig.15). Per favorire il consenso politico a nuove misure di liberalizzazione l’OMC dovrà inoltre prodigarsi per
accrescere la trasparenza. Comunque vadano le cose, i
giorni della diplomazia commerciale a porte chiuse appartengono ormai definitivamente al passato.
Economic Briefing n. 25
19
6. Prospettive
Il passato più recente – ricordando in particolare gli
eventi del 1999, in occasione della Conferenza ministeriale OMC a Seattle – ci ha consegnato un’inconfutabile certezza: in taluni strati della popolazione si annidano
profonde diffidenze riguardo all’ulteriore liberalizzazione
del commercio. Da allora non vi è praticamente incontro internazionale di vertice, a livello di capi di Stato o di
Governo, che abbia potuto sottrarsi alle veementi e talora rabbiose contestazioni di eterogenei movimenti di
protesta nei confronti dei diversi aspetti della globalizzazione. Negli stati democratici di diritto il ricorso alla violenza per scopi politici è certamente condannabile, ma i
clamorosi risvolti di queste azioni amplificano a livello
mediatico l’attualità e il potenziale destabilizzante dei
temi che le scatenano.
L’OMC deve sovente sostenere lo scomodo ruolo di
capro espiatorio per tutte le problematiche relative alla
globalizzazione. In effetti, il processo di crescente integrazione delle economie mondiali implica molte sfide e
sarebbe quindi del tutto inopportuno mentire a proposito delle ripercussioni, in parte dolorose, che molte economie dovranno metabolizzare a seguito dei cambiamenti strutturali. L’apertura dei mercati gioverà a molti,
ma sicuramente non a tutti. Alla crescente interdipendenza economica non esiste tuttavia alcun’alternativa,
e tenendo in debita considerazione il benessere indotto
dal commercio non sarebbe forse neppure auspicabile.
Lo scambio internazionale di beni, servizi e investimenti
rappresenta ancora uno dei migliori strumenti di permanente incentivazione dello sviluppo economico di un
paese. È altrettanto certo, però, che una politica commerciale liberale non può da sola rendersi garante della
crescita e tanto meno del benessere. L’apertura dei
mercati deve essere affiancata da un’intelligente politica economica e da adeguate condizioni quadro.
Questo vale soprattutto per la grande comunità dei
paesi in via di trasformazione, di sviluppo ed emergenti,
che a causa della loro bassa quota nella produzione
mondiale e della ancora scarsa integrazione nel commercio mondiale beneficiano solo in ragione di un terzo
delle plusvalenze di ricchezza generate dall’Uruguay
round. Queste ultime vengono stimate sino a 200 miliardi di USD all’anno, gran parte dei quali sono appannaggio di paesi industrializzati con una spiccata integrazione nel commercio mondiale 9. Contrariamente a
quanto sostenuto finora, i paesi in via di sviluppo sono
20
Economic Briefing n. 25
perciò troppo emarginati dal circuito economico e
commerciale globale. Questi stati, senza il commercio e
l’accesso ai capitali esteri, si troverebbero in una posizione ancora più debole. La loro integrazione nel commercio mondiale deve dunque essere promossa,
sgombrando il campo dagli ostacoli che ancora si frappongono a questo traguardo. A questo proposito deve
essere segnalato il protezionismo agrario e tessile dei
paesi industrializzati, a tutt’oggi ancora piuttosto massiccio: secondo le stime, infatti, le economie mature
devolvono annualmente circa 300 miliardi di USD per
sostenere le rispettive agricolture 10.
Indipendentemente dagli esiti della Conferenza ministeriale OMC in programma a Doha (Qatar) nel mese di
novembre 2001, con particolare riguardo alla possibile
decisione di indire un nuovo round mondiale di negoziati, nei prossimi due anni il sistema commerciale internazionale dovrà confrontarsi con la problematica dell’integrazione di nuovi membri nell’OMC. L’elenco dei circa
30 candidati all’adesione – tra i quali la Repubblica popolare cinese, la Russia e l’Arabia Saudita – si presenta assai eterogenea. Soprattutto il previsto ingresso a
breve termine della Cina, con i suoi circa 1,3 miliardi di
abitanti, implicherà profonde conseguenze per gli importatori ed esportatori dei settori più diversi e per i
consumatori di tutto il mondo.
Sul versante dei consumatori, l’integrazione dei mercati
e l’intensificazione delle relazioni commerciali significano in primo luogo un arricchimento, in termini qualitativi
e di prezzo, della scelta di beni e servizi. Nelle discussioni politiche si tende spesso a dimenticare che i vantaggi del commercio internazionale non risiedono solo
nelle esportazioni, ma anche nelle importazioni.
Le imprese sono chiamate a sfruttare attivamente le
opportunità proposte dal commercio mondiale grazie all’estensione dei mercati di approvvigionamento e di
vendita, impiegando in modo ottimale le diverse opportunità di finanziamento e di incentivazione delle esportazioni oggi disponibili. L’architettura normativa dell’OMC
offre alle aziende una garanzia giuridica per le loro attività internazionali e anche una difesa contro facili
contraffazioni, grazie alle clausole sulla proprietà intellettuale. Nel contempo, esse devono sapersi preparare
tempestivamente a una più aspra concorrenza di operatori esteri; inoltre, al fine di scongiurare proattivamente i
cosiddetti rischi di reputazione, sarebbe raccomandabi9 OCSE (1998)
10 Economist, 28 luglio 2001, pag. 25
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le un’opportuna sensibilità verso gli aspetti ambientali e
i diritti internazionali dei lavoratori. In tal modo, l’esigenza di «corporate social responsibility» (responsabilità sociale delle imprese), sempre più sentita anche negli
ambienti degli investitori, troverebbe adeguate risposte
concrete.
Per gli investitori è essenziale la capacità di individuare
precocemente le imprese in grado di adeguarsi con rapidità alla deregolamentazione e alla liberalizzazione nei
rispettivi settori, ma anche di svolgere un ruolo d’avanguardia nell’applicazione o nello sviluppo di nuove tecnologie ambientali. Inoltre, il commercio estero resta un
importante fattore congiunturale, che merita assoluta
considerazione nelle previsioni di borsa e nelle transazioni sui mercati finanziari. E non da ultimo, l’ulteriore liberalizzazione della circolazione di capitali nel quadro
del GATS, nonché la progressiva integrazione di nuovi
membri nell’OMC, non potranno che accrescere per gli
investitori i preziosi vantaggi della diversificazione internazionale.
L’Organizzazione mondiale del commercio dovrà confrontarsi con problematiche di ampia portata nel prossimo futuro: tra queste figura il tema, proposto all’attualità dai paesi in via di sviluppo, dell’implementazione dei
risultati dell’Uruguay round, nella prospettiva di tutelare
gli interessi delle economie meno evolute. L’agricoltura
rimarrà uno dei maggiori punti controversi nelle future
trattative: su questo terreno gli interessi dei singoli partner commerciali appaiono in netta rotta di collisione. In
ultima analisi l’OMC dovrà decidere se e come integrare «nuovi» temi – come ad esempio commercio e concorrenza oppure commercio e investimenti - nel regime
multilaterale di trattative. Guardando al principio del
consenso vigente nell’OMC e dei conflitti d’interessi sul
tappeto, la strada dei compromessi appare l’unica percorribile.
La diplomazia commerciale di tutto il mondo non dovrebbe tuttavia scoraggiarsi di fronte al tentacolare pro-
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
blema dell’incompatibilità degli interessi. Fondamentalmente dovrebbe essere privilegiata la soluzione di un
nuovo round globale di negoziati. Se un accordo in tal
senso non sarà raggiunto alla prossima Conferenza ministeriale OMC, esiste il rischio che la politica commerciale debba essere affidata in futuro a trattative bilaterali o regionali, uno scenario che si presenterebbe
problematico sotto diversi aspetti. In primo luogo,
un’efficiente impalcatura regolamentare multilaterale
aiuta a neutralizzare i contrasti commerciali transatlantici – sempre più acuti negli ultimi tempi – nonché a impedire una possibile escalation delle tensioni tra USA e
UE. In secondo luogo, la regionalizzazione dei negoziati
metterebbe a rischio l’ulteriore liberalizzazione del commercio mondiale, poiché solo un round multilaterale potrebbe offrire lo spazio a una ricerca di compromessi di
formato non strettamente locale. Infine, le trattative bilaterali sono gravide di potenziali svantaggi soprattutto
per gli stati più piccoli e per i paesi in via di sviluppo.
Le opportunità di un paese di migliorare il proprio destino economico sono direttamente proporzionali alla sua
capacità di garantire il proprio benessere attraverso la
competitività e l’integrazione nell’economia globale. E
proprio in questa prospettiva deve essere considerata
l’appartenenza a un’affidabile organizzazione commerciale mondiale. La potenza economica svolge spesso
un ruolo rilevante nell’ambito di negoziati internazionali.
Per i piccoli stati con una forte economia estera – come
la Svizzera – l’OMC è perciò un’istituzione particolarmente importante, perché in questo edificio normativo il
diritto ha la priorità sul potere. Per questo motivo, proprio la Svizzera dovrebbe essere interessata a un ordinamento commerciale globale efficiente. Ma solo la
creazione di un’ampia base di consenso nell’opinione
pubblica a favore del libero commercio e del suo supremo garante, l’OMC, potrà mantenere in vita, rafforzare
e valorizzare a ciclo continuo il sistema commerciale
multilaterale.
Economic Briefing n. 25
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22
Economic Briefing n. 25
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
Nella collana «Economic Briefing» sono stati pubblicati i seguenti numeri:
N.
Titolo
N. mat.
italiano
N. mat.
tedesco
N. mat.
francese
N. mat.
inglese
1
Europäische Währungsunion:
Ein Jahr vor der Entscheidung (4 /97)
–
esaurito
esaurito
–
2
L’unione monetaria europea:
Le vostre domande – le nostre risposte (7/97 e 5/98)
1521023
1521021
1521022
1521024
3
Inflation: Totgesagte leben länger (10 / 97)
–
1510331
–
–
4
Die EWU: Spreads and more... (10 / 97)
–
esaurito
–
esaurito
5
Schweizerische Sozialpolitik: Quo Vadis (10 / 97)
–
esaurito
1510352
–
6
Elchtest für den Euro: Der Weg zur Einheitswährung (3/98)
–
esaurito
esaurito
esaurito
7
Mercato svizzero del credito: nessi economici
retrospettiva e prospettive (7/ 98)
1510773
1510771
1510772
–
8
Imprese ed euro: Ho pensato a tutto? (5/98)
esaurito
esaurito
esaurito
–
9
Der Euro kommt: Mechanik und Dynamik im Euroland (7/98)
–
esaurito
esaurito
esaurito
10
Kantonale Finanzen: Die Herausforderungen der Zukunft
verlangen Teamarbeit (9/98)
–
1510871
1510872
–
11
Das Jahr-2000-Problem: Keine Rezession in Sicht (6/99)
–
esaurito
esaurito
esaurito
12
Finanza globale: non nuova, ma assai promettente (10/99)
1510993
1510991
1510992
–
13
Neuer Glanz für Gold... (10/99)
–
1540701
1540702
–
14
Aktien als langfristige Kapitalanlage (11/99)
–
1540711
1540712
1540714
15
Electronic Commerce:
(R)evolution für Wirtschaft und Gesellschaft (1/00)
–
1511361
1511362
1511364
16
Europäische Union: Gestern, heute, morgen (3/00)
–
1511381
1511382
1511384
17
Shareholder Value: Viel mehr als ein Schlagwort (6/00)
–
1540801
–
1540804
18
Die Schweiz im internationalen Wettbewerb (8/00)
–
1540811
1540812
1540814
19
L’assetto del mercato svizzero del lavoro –
un ostacolo per la crescita? (9/00)
1540833
1540831
1540832
–
20
Diversifikation – Strategie für eine erfolgreiche
Kapitalanlage. (12/00)
–
1540871
1540872
1540874
21
L’euro alla ricerca della sua identità. (1/01)
1511493
1511491
1511492
1511494
22
Viaggio al centro dei crediti. (3/01)
1511503
1511501
1511502
–
24
Politica dell’istruzione – fattore chiave della società
del sapere. (8 /01)
1511703
1511701
1511702
–
25
Commercio mondiale – un successo sul banco di prova. (9/01)
1511713
1511711
1511712
1511714
CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting
Economic Briefing n. 25
23
BUE / n. mat. 1511713 / 9.2001 Stampato su cellulosa sbiancata al 100 % senza cloro