p. 5-6 Dossier diabete

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in alute
A cura di
Cesarina Balestrieri
Un po’ di storia...
Nel 1869 Paul Langherhans scopriva
all’interno del pancreas, sparsi qua e
là come tante isolette, numerosi
gruppetti di cellule diverse da quelle presenti nel resto dell’organo. Il
significato rivoluzionario di questa
scoperta rimase però ignoto per molti anni e solo nel 1921 due ricercatori canadesi, Frederick Banting e
Charles Best, dimostrano il collegamento tra la funzione pancreatica e
la produzione di insulina, un ormone che viene così chiamato perché
prodotto dalle cellule beta contenute proprio in quei gruppetti, denominati appunto “isole (in latino, insulae) di Langherhans”. Gli stessi
Banting e Best scoprirono anche che
iniettando insulina a un cane a cui
era stato asportato il pancreas si abbassava la glicemia dell’animale. Joe
Gilchrist, un medico logorato dal
diabete, è il primo malato a cui la
somministrazione di insulina salva
la vita. Nel 1923 MacLeod, il direttore del laboratorio presso cui Banting
e Best avevano condotto i loro esperimenti, e lo stesso Banting, vincono
il premio Nobel per queste scoperte;
nessun riconoscimento, chissà perché, ottiene invece Best, il giovane
assistente. Nello stesso anno la ditta
farmaceutica Eli Lilly inizia a mettere in commercio questo farmaco,
tutt’ora in molti casi insostituibile
per la cura dei diabetici.
...e un po’ di numeri
In Italia, il 3-4% della popolazione
generale è affetto da diabete e la percentuale raggiunge il 10% nei soggetti superiori a 70 anni. Nel mondo
sono ben 170 milioni le persone affette da diabete, ma si ritiene che entro il 2010 vi saranno 215 milioni di
diabetici, di cui 28 milioni nella sola
Europa. Per il 2020 le previsioni sono ancora più impressionanti: il diabete interesserà infatti 300 milioni
di abitanti del pianeta. Questo aumento esponenziale è dovuto a due
fattori. In primo luogo l’allungamento della durata media della vita (oltre i 60 anni, 1 persona su 4 è diabetica) e in secondo luogo la diffusione di uno stile di vita in cui lo
stress, l’obesità e la sedentarietà (ovvero i principali fattori di rischio per
l’insorgenza della malattia) la fanno
da padroni.
La malattia diabetica
non è una sola
Aumenteranno prevalentemente i
malati di diabete di tipo 2 (in passato definito “non insulino-dipenden-
DOSSIER
diabete
La parola DIABETE indica un gruppo di disturbi metabolici che hanno in comune una
fondamentale caratteristica: l’iperglicemia, cioè la presenza nel sangue di un’eccessiva quantità
di glucosio. Il glucosio è uno zucchero semplice di cui l’organismo si serve per fornire energia ai
diversi tessuti del corpo. Oltre ad essere introdotto come tale con gli alimenti, il glucosio viene
prodotto dal fegato trasformando in zucchero i carboidrati. Per il metabolismo del glucosio è
essenziale l’insulina, un ormone prodotto da particolari cellule del pancreas, che da un lato fa
assorbire il glucosio dai tessuti e dall’altro “comanda” al fegato di bloccarne la produzione
quando la quantità di zucchero presente nel sangue è sufficiente. Una sregolazione di questi
meccanismi metabolici provoca la malattia diabetica.
te”), che colpisce appunto soggetti
di mezza età con abitudini di vita
non salutari associate ad una predisposizione genetica (casi di diabete
nel ceppo familiare). Si tratta della
forma più diffusa, molto comune
soprattutto nelle donne, caratterizzata in una prima fase dall’incapacità dell’organismo di utilizzare
l’insulina per far entrare il glucosio
nelle cellule dei diversi tessuti, dove dovrebbe essere “bruciato” per
produrre energia.
Ne consegue che il glucosio rimane
presente nel sangue in grande quantità, cosa che stimola il pancreas ad
aumentare sempre più la produzione di insulina. Ma questo “superlavoro” esaurisce il pancreas, che nella seconda fase della malattia non
riesce più a produrre sufficienti
quantità di ormone. Un’altra forma
è il diabete di tipo 1 (in passato definito “insulino-dipendente” o
“giovanile”), che si manifesta quasi
sempre prima del 25° anno di età, è
ugualmente diffuso nei due sessi e
deriva dell’azione di meccanismi
autoimmuni che distruggono progressivamente le cellule beta del
pancreas (quelle che producono insulina), causando quindi la mancanza assoluta dell’insulina nell’organismo. Anche in questo caso si ritiene che esista una predisposizione
genetica, presumibilmente associata
a qualche fattore infettivo che innescherebbe il processo autoimmune.
Oltre a questi due tipi principali
esistono altre forme decisamente
più rare, dovute a disordini più
complessi e generalmente associati
ad altre malattie. Merita poi di essere ricordato il diabete gestazionale,
che si manifesta durante la gravidanza (spesso nella seconda metà) e
che, pur risolvendosi spontaneamente dopo il parto in un buon numero di casi, indica un elevato rischio di ammalarsi di diabete tipo 2
nel corso degli anni successivi.
Quando sospettare
la presenza
del diabete
La malattia ha un decorso particolarmente insidioso, perché inizia
molto prima che compaiano i sintomi tipici e non di rado viene diagnosticata solo quando cominciano
a manifestarsi le prime complicanze. Il diabete di tipo 1 si manifesta
di solito bruscamente, quando la
malattia ha ormai distrutto quasi
tutte le cellule del pancreas che
producono insulina.
Una sete eccessiva e/o un inspiegabile calo di peso nel bambino o
nell’adolescente possono essere i
primi indizi e quindi non andrebbero mai trascurati. Altri sintomi sono
i dolori addominali, con o senza vomito; la stanchezza e l’irritabilità,
spesso con un calo del rendimento
scolastico; la presenza di infezioni
ricorrenti della pelle e, nel sesso
femminile, la candidosi vaginale.
Anche nel diabete di tipo 2 si riscontrano sintomi analoghi, ma con
esordio più progressivo. Il paziente
inizia a bere e a urinare molto, ha
una fame eccessiva, perde perso, si
sente stanco e affaticato, spesso accusa offuscamento della vista.
I criteri diagnostici
L’esame fondamentale per la dia-
gnosi di diabete mellito è la glicemia, ovvero la misurazione della
quantità di glucosio presente nel
sangue.
I valori normali di glicemia a digiuno (nessuna introduzione di cibo nelle 8 ore precedenti) sono inferiori a 110 mg per dL; la glicemia
postprandiale, misurata cioè dopo
il pasto, si considera normale quando è inferiore a 140 mg per dL.
Tra i 110 e i 126 mg a digiuno non
si definisce ancora diabete, ma glicemia alterata; tra i 140 e i 200 mg.
di glicemia postprandiale si parla di
alterata tolleranza al glucosio. Oltre
questi valori, viene formulata la
diagnosi di malattia diabetica.
Un altro indice significativo per
diagnosticare la predisposizione al
diabete o la presenza della malattia
è il Test da carico orale di glucosio, che consiste nel misurare la glicemia a digiuno rimisurandola poi
ad intervalli regolari nelle tre ore
successive alla somministrazione di
una soluzione contenente 75 gr. di
glucosio. Si considerano normali
valori che non superino i 95 mg a
digiuno, 180 mg dopo un’ora, 155
mg dopo 2 ore e 140 mg dopo 3 ore.
Per una prima valutazione dei soggetti a rischio di diabete gestazionale si esegue tra la 26esima e la
28esima settimana di gravidanza
(alla 16esima-17esima settimana
nelle pazienti ad alto rischio) la cosiddetta minicurva da carico, misurando la glicemia un’ora dopo la
somministrazione di 50 gr. di glucosio.
Si considera normale un valore che
non supera i 140 mg per dL.
In caso di valori superiori, è indicato un approfondimento diagnostico
con il test da carico orale.
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diabete
DOSSIER
na e metà pomeriggio).
È essenziale, comunque, eliminare l’eventuale sovrappeso per
Cambiare
lo stile di vita
Una volta fatta la diagnosi, il paziente diabetico deve essere consapevole che occorre innanzitutto assumere diverse abitudini di vita. Nel caso del diabete di tipo
2 sono ugualmente importanti un’alimentazione corretta e un regolare esercizio fisico. Per quanto riguarda la dieta,
molti credono ancora che il diabete costringa a fare enormi sacrifici alimentari.
In realtà, a parte il fatto di dover limitare
al massimo gli zuccheri semplici (quindi
lo zucchero, i dolci, le bibite) e ridurre il
consumo di vino, latte e frutta, il diabetico deve semplicemente alimentarsi in
modo equilibrato: in pratica, come dovrebbe fare chiunque. Una quantità di
proteine pari a 1 grammo per ogni chilo
di peso ideale, di grassi pari al 25-30%
delle calorie totali, di carboidrati (pane,
pasta e legumi) pari al 50-60% delle calorie totali e una giusta quantità di fibre
sono i principi-cardine della dieta. Sono
da preferire il pesce, la carne magra e le
uova, è indispensabile consumare molta
verdura cotta e cruda. L’apporto alimentare dovrà essere suddiviso in tre pasti
principali e due spuntini (a metà matti-
MATERNITA’ E DIABETE:
ORA SI PUO’
Un tempo i medici sconsigliavano di aver figli alle donne diabetiche, dal momento che la gravidanza provocava spesso un aggravamento della malattia e un
rischio notevole di malformazioni nel feto, oltre ad essere frequentemente causa di ipertensione con conseguenze serie, a
volte addirittura mortali, nel corso del terzo trimestre. Oggi la
gravidanza è possibile anche
per queste pazienti, purché venga gestita con molta attenzione.
Innanzitutto è bene programma-
re il concepimento solo quando
il controllo della glicemia è ottimale; in secondo luogo sono necessari durante tutto il periodo
della gestazione frequenti controlli sia per quanto riguarda la
glicemia sia per verificare l’accrescimento del bambino. Terapia insulinica, dieta ed esercizio
fisico (tutti da attuarsi sotto
stretta sorveglianza medica)
possono garantire un regolare
decorso della gravidanza; la data e la modalità del parto andranno poi stabilite di comune
accordo tra il ginecologo e il
diabetologo per evitare ogni
possibile rischio.
contrastare efficacemente la malattia. Ma
è soprattutto un’attività fisica moderata e
costante come il camminare che ha effetti sorprendentemente positivi sul metabolismo del glucosio, evitando anche le
alterazioni osteo-articolari e mantenendo in efficienza il cuore. Nei soggetti
predisposti al diabete, una lunga passeggiata quotidiana riesce addirittura a prevenire la comparsa della malattia.
Nel diabete di tipo 1 occorre fare una distinzione a proposito dell’attività fisica.
Nei soggetti in cui l’attività del pancreas
è stata azzerata dalla malattia un esercizio fisico occasionale di una certa intensità, specialmente se di tipo anaerobico,
può turbare l’equilibrio glicemico raggiunto con la terapia ed essere quindi
controindicato; d’altro canto, l’attività fisica costante non apporta benefici particolari nel controllo della glicemia. Nei
soggetti che hanno ancora un residuo di
attività pancreatica l’esercizio costante è
invece utile come nei diabetici di tipo 2.
Efficacia e limiti
delle terapie mediche
Se i consigli relativi alla dieta e all’attività fisica vengono seguiti scrupolosamente, spesso il diabetico di tipo 2 non
ha bisogno di assumere farmaci. Solo nei
casi in cui non si ottiene un sufficiente
controllo della glicemia con questi provvedimenti, il medico prescriverà la terapia più opportuna. La scoperta che in alcuni pazienti diabetici, trattati con sulfamidici per dominare un’infezione, i valori di glicemia si abbassavano, è stata
casuale ma non per questo meno importante nella storia del diabete. Sostanze di
tipo sulfamidico, le Sulfaniluree (Glibenclamide, Tolbutamide, Clorpropra-
mide, Glipizide e, più recentemente, Repaglinide), sono infatti una delle risorse
terapeutiche oggi disponibili. L’azione
di queste sostanze consiste nello stimolare la produzione di insulina e quindi
la loro efficacia dipende dalla presenza
di una funzione pancreatica residua.
Le Biguanidi (Metformina) sono un’altra
categoria di farmaci ipoglicemizzanti,
che agiscono con tre meccanismi: riducono la produzione di glucosio da parte
del fegato, riducono l’assorbimento intestinale dello zucchero e migliorano il
suo assorbimento da parte dei tessuti,
soprattutto di quelli del muscolo. Sono
perciò efficaci anche quando la funzione
pancreatica è ormai esaurita. Poiché tendono anche a diminuire il senso di fame,
sono preferiti nel caso di pazienti sovrappeso. L’Acarbose è invece un enzima che potenzia l’effetto degli altri farmaci, riducendo l’assorbimento intestinale del glucosio. Infine, l’Insulina. Indispensabile nella terapia del diabete di
tipo 1, viene utilizzata anche nei casi di
diabete tipo 2 che non rispondono bene
agli ipoglicemizzanti orali, prima di interventi chirurgici o in occasione di gravi traumi o infezioni. La necessità di
praticarsi diverse iniezioni sottocutanee
durante la giornata è spesso vissuta come traumatica o quantomeno molto disturbante: il passaggio alla terapia insulinica dovrebbe quindi essere accompagnato da un valido sostegno psicologico
del paziente da parte dell’èquipe di diabetologia. Per superare almeno in parte
il disagio di questa terapia, sono allo studio vie di somministrazione del farmaco
meno invasive: via orale, congiuntivale
o spray nasali potranno in futuro sostituire ago e siringa. Un valido presidio
già
disponibile
è
invece
il
microinfusore, un minuscolo apparecchio caricato con una cartuccia di insulina rapida che inietta il farmaco nella cute attraverso un set di infusione fissato
all’addome, ai glutei o ai fianchi. Una
piccola quantità di insulina viene iniettata ogni pochi minuti, mentre schiacciando un bottone si aumenta la somministrazione in occasione dei pasti. L’apparecchio viene programmato in modo
da fornire man mano, durante le 24 ore,
la quantità di insulina necessaria al singolo paziente. Oltre a consentire un
maggiore flessibilità negli orari dei pasti
e ad evitare di “pungersi” più volte al
giorno, il microinfusore garantisce una
maggiore stabilità della glicemia e un
dosaggio più preciso dell’insulina; è
però molto costoso (anche se in qualche
Regione lo “passa” la ASL), può risultare
scomodo poiché deve essere tenuto addosso giorno e notte, a volte causa irritazioni della pelle. Inoltre il set di infusione dev’essere cambiato ogni due giorni:
l’operazione richiede 3-10 minuti e può
essere quindi fastidioso ripeterla sistematicamente. In ogni caso, è bene che lo
strumento venga prescritto da uno specialista diabetologo.
Attenzione
all’ipoglicemia!
Se l’eccessiva presenza di glucosio nel
segue a pagina 8