Incontro con Arnaldo Pomodoro

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Incontro con Arnaldo Pomodoro
La Vetrina dell’Arte
ARTE A CONFRONTO
ARNALDO POMODORO
LA MATERIA OLTRE IL TEMPO
di MARCO DELPINO
INCONTRO COL MAESTRO
Q
uando nell’estate del 2004 gli consegnammo il Premio “S. Margherita Ligure - Fernanda Pivano”, la giornalista Fiorella Minervino del quotidiano La Stampa disse di
lui che «sa coniugare il nuovo con l’antico, unendo la
qualità umana alla ricerca».
I
n effetti, per Arnaldo Pomodoro, uno dei pochi
artisti italiani contemporanei ad essersi affermato a livello internazionale, «la vita è una continua ricerca per conoscere e capire nuove frontiere,
per tradurre gli eventi contemporanei in forme senza
tempo, nel desiderio di andare oltre, di crescere, di costruire...». Nel suo studio milanese, un tempo stazione
di posta dei cavalli, dal 1967 sono sbocciate le grandi
Sopra A. POMODORO - COLPO D’ALA - OMAGGIO A BOCCIONI
(1981-1984 bronzo, 380 x 400 x 550 cm, Water and Power bld. - Los
Angeles - particolare della foto di Carlo Orsi - Archivio Pomodoro)
Nella pagina accanto A. POMODORO - COLONNA A GRANDI
FOGLI (1972-75 bronzo e acciaio, 13 x 2,20 x 2,20 m, Sede Casa
Editrice Mondadori, Segrate, Milano - particolare della foto di
Antonia Mulas - Archivio Pomodoro)
sculture che oggi fanno bella mostra di sé al Palazzo
delle Nazioni Unite a New York, alla Farnesina a Roma,
nella nuova chiesa dedicata a Padre Pio a S. Giovanni
Rotondo, nel cortile della Pigna nei Musei Vaticani, ma
lo sguardo e la curiosità di questo Maestro, che sa essere
naturale e positivo al tempo stesso, sono rimasti quelli
di quando lui era ragazzo. Di quando, cioè, ammirava
estasiato i grandi artisti del Rinascimento, da Raffaello e Bramante a Piero della Francesca. Da lì capì che
le sue opere avrebbero dovuto «scaturire dalla terra,
mediante la ricerca dei segni delle antiche culture, in
un’esplosione della materia capace a generare gangli
e forme geometriche in movimento».
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La Vetrina dell’Arte
ARTE A CONFRONTO
INCONTRO COL MAESTRO
SEGUE DA PAGINA 19
E
aggiunge Pomodoro: «Per me l’arte è la sfida
di dare a sfere, piramidi, obelischi e colonne,
che rappresentano la metafora delle contraddizioni della storia attuale, il significato della perfezione, anche se resto un eterno insoddisfatto. Cerco,
tuttavia, di non cedere alla ripetitività, per cui la mia
poetica è soprattutto invenzione, in un’apertura in cui
si insinui la luce con i suoi giochi e la sua poesia».
D
i lui Arturo Schwarz, uno dei più illustri critici d’arte di fama internazionale e Presidente
degli Amici del Museo di Tel Aviv”, ha detto:
«Pomodoro ha avuto il grande merito di resistere a tutte le false avanguardie che si sono succedute dal dopoguerra ad oggi. E se la sua arte è plastica, le mani di
questo Artista sono semplicemente magiche». In questo
modo egli riesce ad essere «grande nel piccolo e addirittura maestoso nel grande». «La scultura, come dice Hegel,
ha senso quando trasforma il luogo in cui è posta - puntualizza il Maestro - L’ispirazione nasce dalla capacità
di contemplare la profondità dell’essere, la sua bellezza
e il senso dell’esistenza. Nei momenti in cui mi riposo
penso al lavoro, anche se c’è spazio per molte altre cose, a
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Da sinistra il maestro ARNALDO POMODORO, la scrittrice
FERNANDA PIVANO e il giornalista MARCO DELPINO (foto
Michele Merello).
Nella pagina accanto A. POMODORO - NOVECENTO (20002002, bronzo 21 x Ø 7 m, Piazzale Pier Luigi Nervi, Roma
- particolare della foto di Carlo Orsi - Archivio Pomodoro)
cominciare dalla letteratura, che mi ha accompagnato
e formato nella vita, la scenografia, una passione che
coltivo da oltre cinquant’anni, e quel sogno americano,
che ho assorbito anche grazie all’amicizia di lunga data
con Fernanda Pivano».
P
oi, ancora, il suo rapporto con la fede. «Mia
nonna mi introdusse ai misteri del cattolicesimo. Ponevo molte domande per cui non avevo
e non ho tutt’ora le risposte. Nei periodi più difficili
della mia vita ho realizzato le sculture più forti e significative. Io credo che l’artista abbia una sua propria
religiosità e un forte senso etico: l’idea della spiritualità, infatti, nell’arte è essenziale». A quasi ottantun’anni
portati egregiamente, Arnaldo Pomodoro confessa l’esigenza di voler continuare a riempire altre pagine, anche
se «sono sempre accompagnato da un senso di angoscia
perché la vita per un artista è sempre troppo breve».
Marco Delpino
La Vetrina dell’Arte
SCHEDA BIOGRAFICA
DI ARNALDO POMODORO
Arnaldo Pomodoro è nato nel Montefeltro nel 1926, ha vissuto
l’infanzia e la formazione presso Pesaro.
Si trasferisce a Milano nel 1954: qui ha modo di frequentare
Giò Ponti, Fontana, Munari e tutto l’ambiente vitalissimo
dell’avanguardia. Realizza i primi gioielli ricavati dall’osso di seppia
che esporrà in alcune edizioni della Triennale milanese e i rilievi
in cui emerge una singolarissima “scrittura” inedita nella scultura,
che viene d’ora in poi interpretata variamente dai maggiori critici. E’
passato al “tuttotondo” nei primi anni Sessanta. Nel 1966 gli viene
commissionata una sfera di tre metri e mezzo di diametro per
l’Expo di Montreal: è il passaggio alla scultura monumentale. La
sfera viene poi posta a Roma di fronte alla Farnesina. E’ la prima
delle numerose opere dell’artista che hanno trovato collocazione in
spazi pubblici di grande suggestione e importanza simbolica: nelle
piazze di molte città (Milano, Copenaghen, Brisbane, Los Angeles,
Darmstadt), nel parco della Pepsi Cola a Purchase, New York, di
fronte al Trinity College dell’Università di Dublino, al Mills College
in California, nel Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, di fronte
alle Nazioni Unite a New York, nella sede parigina dell’UNESCO.
Per il Museo Poldi Pezzoli di Milano Pomodoro ha progettato
il riallestimento della nuova “Sala d’armi” che si è inaugurata nella
primavera del 2000. Nel 2002 ha realizzato una grande “Corona
radiante” (con crocifisso di Giuseppe Maraniello) nella Cattedrale
di St. John the Evangelist a Milwaukee, Wisconsin e nel 2003 la
Croce e l’Altare per la Nuova Aula Liturgica di Padre Pio a San
Giovanni Rotondo, progettata da Renzo Piano. Nel 2004, dopo
anni di complessa progettazione e lavorazione, è stata collocata
a Roma, in piazzale Nervi, la scultura Novecento (altezza 21 metri
e diametro 7 metri), commissionata all’artista in occasione del
Giubileo per celebrare il passaggio del millennio.
Memorabili mostre antologiche, a partire da quella alla
Rotonda della Besana di Milano nel 1974, al Forte di Belvedere di
Firenze nel 1984, all’Hakone Open-Air Museum in Giappone nel
1994, alla Rocca Malatestiana di Cesena nel 1995, nella Fortezza
di San Leo nel 1997, al museo La Llonja a Palma de Mallorca nel
1999, alla Reggia di Caserta nel 2000, fino a quella più recente a
Parigi nei Giardini del Palais-Royal nel 2002 lo hanno consacrato
artista tra i più significativi del panorama contemporaneo. Si
ricordano inoltre le esposizioni itineranti nei musei americani
(dall’University Art Museum di Berkeley, California, nel 1970-71
e dal Columbus Museum of Art di Columbus, Ohio, nel 1983-85)
e, da ultimo, le mostre allestite nel centro cittadino a Lugano nel
2004, lungo la cinta muraria di Paestum nell’estate 2005 e quella
a Reggio Emilia nelle sedi di Palazzo Magnani e di Palazzo dei
Principi a Correggio nel 2006. Ha insegnato nei dipartimenti d’arte
delle università americane: Stanford University, University of
California a Berkeley, Mills College. Ha fondato il Centro TAM per
la formazione dei giovani artisti, istituito in collaborazione con il
Comune di Pietrarubbia nel Montefeltro. Nel 1993 è stato nominato
Socio Onorario dell’Accademia di Brera di Milano.
Si è dedicato anche alla scenografia, antica passione della
giovinezza, realizzando ‘‘macchine spettacolari’’ in numerosi
lavori teatrali, dalla tragedia greca al melodramma, dal teatro
contemporaneo alla musica: a partire dalla messinscena con
Ronconi sul lago di Zurigo di un testo di Kleist nel ’72 e dalle
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ARNALDO POMODORO IN UNA FOTO SCATTATA DA
BOB KRIEGER
(Archivio Pomodoro)
straordinarie esperienze a Gibellina sui ruderi negli anni Ottanta,
fino al concerto in omaggio a Stravinskij al Teatro Olimpico di
Roma nel 2001, a “Madama Butterfly” di Puccini, rappresentata
a Torre del Lago nel 2004, in occasione del centenario
dell’opera. Da ultimo ha studiato scene e costumi per “Un ballo
in maschera” di Verdi, messo in scena nel novembre 2005 al
Teatro dell’Opera di Lipsia con la regia di Ermanno Olmi e la
direzione di Riccardo Chailly. Ha avuto numerosi ed importanti
premi: a San Paolo nel ‘63, a Venezia nel ‘64, uno dei sei premi
internazionali del Carnegie Institute nel ’67, con Albers, Bacon,
Miró, Paolozzi e Vasarely, il Praemium Imperiale per la scultura
a Tokyo nel 1990 (Leonard Bernstein per la musica, Federico
Fellini per il cinema e il teatro, James Stirling per l’architettura,
Antoni Tàpies per la pittura).
Per le scenografie di “La Passione di Cleopatra” di Ahmad
Shawqi e “I paraventi” di Jean Genet oha ottenuto il “Premio
UBU 1990”. Nel 1992 il Trinity College dell’Università di Dublino
gli ha conferito la Laurea in Lettere honoris causa e nel 2001
l’Università di Ancona quella in Ingegneria edile-architettura.
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine “Al merito della Repubblica
Italiana” nel 1996, ha ricevuto nel 2005 dal Ministero per i Beni
e le Attività Culturali la Medaglia d’oro con “Diploma di I classe
come Benemerito della Scuola, della Cultura e dell’Arte”.
Nel gennaio 2006 l’Associazione Amici di Spoleto gli
ha conferito la Lex Spoletina 2006. Vive e lavora a Milano a
fianco della “darsena” di Porta Ticinese. Dalla ricca bibliografia
si segnalano: “L’arte lunga” (Feltrinelli 1992), un dialogo con
Francesco Leonetti in cui Pomodoro racconta le esperienze
della sua vita di artista; “Arnaldo Pomodoro” (Fabbri 1995),
opera monografica completa curata da Sam Hunter; “Scritti
critici per Arnaldo Pomodoro e opere dell’artista (1955-2000)”
(Lupetti 2000), una raccolta a cura della Fondazione Arnaldo
Pomodoro degli scritti critici più importanti con le immagini delle
opere più significative.
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ARNALDO POMODORO
Dopo Galileo,
oltre Galileo...
di GIUSEPPE ZACCARIA
PARALLELO TRA DUE GRANDI
O
gni volta che guardo, ammirato,
una sfera di Arnaldo Pomodoro,
mi vengono in mente le pagine
del Sidereus nuncius in cui Galileo Galilei, dopo aver perfezionato il suo “occhiale” e averlo puntato verso la volta celeste,
comunicava le sue scoperte. La consapevolezza della loro straordinaria importanza
si riflette in un incipit particolarmente solenne: «Grandi cose per verità in questo
breve trattato propongo all’osservazione e
alla contemplazione di quanti studiano la
natura (...) per la novità non mai udita
nei secoli (...) Ma quel che di gran lunga
supera ogni meraviglia (...) è l’aver scoperto quattro astri erranti...», ossia i pianeti
cosiddette medicei.
L
e conseguenze più rivoluzionarie
dovevano derivare dall’osservazione
delle “macchie lunari”: «Da osservazioni più volte ripetute di tali macchie
fummo tratti alla convinzione che la superficie della luna non è levigata, uniforme ed esattamente sferica, come gran numero di filosofi credette di essa e di altri
corpi celesti, ma ineguale, scabra e con
molte cavità e sporgenze, non diversamente dalla faccia della Terra, variata da catene di monti e profonde valli».
L
a lunga e analitica descrizione successiva preciserà queste indicazioni, offrendoci il primo e grandioso
esempio (Italo Calvino non esiterà a definire
Sopra A. POMODORO - SFERA CON SFERA (1988-90, bronzo, ø 400 cm
Cortile della Pigna, Musei Vaticani - foto Carlo Orsi - Archivio Pomodoro)
Galileo, al di là dei suoi meriti scientifici, il più grande
scrittore italiano) di una rappresentazione paesaggistica
che non è il frutto di una stilizzazione convenzionale (il
classico locus amoenus), ma si fonda sull’osservazione diretta, con le sue prospettive e profondità geografiche, con
le variazioni indotte dai movimenti della luce. Galileo stava mettendo in crisi un intero sistema cosmologico: quello
che vedeva la terra al centro dell’universo e riteneva che i
corpi celesti fossero delle sfere perfette, lisce, incorruttibili. Le conseguenze di questo scontro sono note, e non è il
caso qui di riparlarne.
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DOPO GALILEO, OLTRE GALILEO...
SEGUE DA PAGINA 23
R
icordo solo che, prima di finire davanti all’Inquisizione, Galileo tornerà su questo punto
nella sua opera più importante e famosa, il
Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano. Di fronte a Simplicio, che rappresenta l’ottuso ipse dixit degli aristotelici, Sagredo dice
di non capire perché si debba «attribuir per grande
nobiltà e perfezione a i corpi naturali e integranti
dell’universo questo esser impassibile, immutabile,
inalterabile...». Per lui è la Terra a essere «nobilissima
ed ammirabile per le tante e sì diverse alterazioni,
mutazioni, generazioni...»; se invece, «senza esser
suggetta ad alcuna mutazione, ella fusse tutta una
vasta solitudine d’arena o una massa di diaspro, o
che al tempo del diluvio diacciandosi l’acque che la
coprivano fusse restata un globo immenso di cristallo,
dove mai non nascesse né si alterasse o si mutasse cosa
veruna, io la stimerei un corpaccio inutile al mondo, pieno di ozio e, per dirla in breve, superfluo (...) e
quella stessa differenza ci farei che è tra l’animal vivo
e il morto».
Q
ui importa soprattutto osservare come, per
combattere i pregiudizi comuni, Galileo
proponesse una spiegazione psico-antropologica di indubbia modernità: «Questi che
esaltano tanto l’incorruttibilità, l’inalterabilità, etc.,
credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio
grande di campare assai e per il terrore che hanno
della morte; e non considerano che quando gli uomini
fussero immortali, a loro non toccava a venire al mondo. Questi meriterebbero d’incontrarsi in un capo di
Medusa, che gli trasmutasse in istatue di diaspro o di
diamante, per diventar più perfetti che non sono».
A
l di là degli intenti della dimostrazione scientifica, Galileo risaliva in questo modo agli archetipi di un immaginario radicato, lungo i
millenni, nel pensiero e nella mentalità degli uomini,
nei loro sogni e nelle loro aspirazioni. Credo che si possa
capire, a questo punto, perché, quando guardo un’opera
di Arnaldo Pomodoro, penso alle pagine che ho appena
citato. Ma non è solo perché una qualsiasi delle sue sfere
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Sopra A. POMODORO - TRIADE (1979, bronzo e ferro, 15 m
x ø 1,5 m PepsiCo Sculpture Gardens, Purchase, New York
- Foto Antonia Mulas - Archivio Pomodoro). Nella pagina a
destra A. POMODORO - SFERA CON SFERA (1991, bronzo,
ø 330 cm, piazzale delle Nazioni Unite, New York - particolare della foto di Steve Williams - Archivio Pomodoro)
può richiamare facilmente l’immagine di Galileo che,
con il suo cannocchiale, scruta le macchie (che poi sono
montagne, avvallamenti, crateri, ecc.) su una superficie
prima ritenuta, forse anche da lui stesso, omogenea, levigata, lucente. La relazione fra queste componenti è più
complessa e può riferirsi, più in generale, all’intera opera dello scultore. La costruzione geometrica delle forme
(la sfera, il cerchio, la piramide, la colonna) è l’involucro
di un’idea di perfezione che appare solcata, al suo interno, da crepe e scanalature, attraversate a loro volta da
segni in rilievo (punti, linee, incroci, frecce, dentature,
ecc.) che si collocano in una diposizione tendenzialmente centrifuga, se non oppositiva.
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A destra A. POMODORO - PAPYRUS (199092, bronzo, cemento e corten, I elemento
10 x 4 m, II elemento 4 x 4 m, III elemento 6
x 4 m, Piazza delle Poste, Darmstadt - foto
Thomas Eicken - Archivio Pomodoro)
SEGUE DA PAGINA 24
Q
ueste forze, dinamiche, rappresentano il
movimento della vita
e, se vogliamo ancora
seguire Galileo, quella perfezione
che solo la vita, con l’eterna vicenda delle sue trasformazioni, e con
la circolarità di un tempo scandito dalla nascita e dalla morte, può
simboleggiare. E in effetti la sola
perfezione delle forme geometriche non avrebbe senso, a meno di
non concepire l’opera come l’inerte astrazione di una “massa di diaspro”, di un “globo di cristallo”.
Ma non è possibile separare la superficie liscia da quella rugosa, il
luminoso dal chiaroscurale. Non
solo la perfezione e l’imperfezione
vivono in un nesso inscindibile,
ma possono facilmente rovesciare,
fra di loro, la valenza dei significati e delle funzioni.
N
elle sintesi, o meglio
nella dialettica, di
queste possibilità, è
racchiuso il mistero dell’esistenza,
l’ossimoro della sua contraddizione
più profonda, nell’indecidibile legame che tiene insieme l’infinito e
il finito, l’assoluto e il contingente,
trascendenza e immanenza, essere e
tempo: la vita, anche su un piano
esistenziale, e la morte. La grandez-
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za dell’opera di Arnaldo Pomodoro è anche nell’aver dato la più alta e compiuta
espressione a questi interrogativi, evocando gli archetipi di sempre per esemplificare le certezze e i dubbi, ma soprattutto le perplessità e le inquietudini,
della coscienza e della sensibilità dell’uomo contemporaneo. Di qui, con il suo
carattere di necessità, l’essenzialità di una perfezione che, in un superiore equilibrio, trascende ogni lusinga antropomorfica e naturalistica, ogni schematizzazione astratta, ogni caoticità informale. Allegoria di una condizione umana,
le sculture di Arnaldo Pomodoro vivono in una dimensione cosmologica, e
cosmogonica, che unisce il presente e il passato nelle curve dello spazio e del
tempo. Dopo Galileo, certo, ma anche prima di Galileo, oltre Galileo.
Giuseppe Zaccaria (docente Università Piemonte Orientale)