Tesi Andrea Bolzan - Associazione Tetra Paraplegici fvg

Transcript

Tesi Andrea Bolzan - Associazione Tetra Paraplegici fvg
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
_______________________________________________
Facoltà di Ingegneria
Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica
Laboratorio di Bioingegneria Industriale
Tesi di Laurea
DISPOSITIVI ED ADATTAMENTI
COMPLEMENTARI ALLA GUIDA PER DISABILI
( ANALISI DELLA MOVIMENTAZIONE DI UN SOGGETTO
DISABILE DA CARROZZINA A SEDILE D’AUTOVEICOLO )
Relatore
Prof. Paolo Pascolo
Laureando
Andrea Bolzan
Correlatori
Sergio Raimondo
Giovanni De Piero
__________________________________________________
Anno Accademico 2007/08
SOMMARIO
L’obbiettivo di questa tesi è lo studio cinematico delle fasi di accesso ad un
autoveicolo da parte di soggetti disabili, nella fattispecie mielolesi, ed una prima
valutazione delle tecniche impiegate per tale studio.
È stata compiuta una iniziale ricerca per comprendere i problemi patologici di tali
soggetti e le difficoltà, dipendenti dalle capacità residue soggettive, che essi
incontrano nello svolgimento del gesto considerato. Inoltre, si sono esaminati gli
ausili e gli adattamenti per gli autoveicoli attualmente esistenti in commercio.
In particolare si è trattato il problema del passaggio da carrozzina a sedile
d’autoveicolo e viceversa, tralasciando di proposito i cosiddetti sistemi "up & go"
che permettono la guida direttamente da carrozzina, richiedendo però veicoli di una
particolare tipologia e modifiche consistenti ed irreversibili agli stessi.
Per lo studio si è fatto ricorso ad un sistema optocinetico che ha permesso
l’acquisizione dei dati delle varie fasi dell’atto motorio ed una loro successiva
elaborazione ed analisi.
Infine, si è cercato di interpretare i dati rilevati e la bontà delle misure eseguite
confrontandoli con quelli acquisiti nel caso di soggetti normodotati e con quanto
presente in letteratura riguardante prove analoghe.
III
INDICE
INDICE GENERALE
SOMMARIO
III
INDICE
V
INDICE GENERALE
INDICE DELLE TABELLE
INDICE DELLE FIGURE
INTRODUZIONE
CAPITOLO 1
1.1
1.2
1.2.1
1.3
1.4
INTRODUZIONE
SISTEMA NERVOSO CENTRALE
LA COLONNA VERTEBRALE
SISTEMA NERVOSO PERIFERICO
SISTEMA NERVOSO AUTONOMO
CAPITOLO 2
2.1
2.2
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
GENERALITÀ
RELAZIONE TRA LIVELLO NEUROLOGICO E POSSIBILITÀ DI RECUPERO
FUNZIONALE
2.3 LESIONI COMPLETE ED INCOMPLETE DEL MIDOLLO SPINALE
2.3.1
LESIONI INCOMPLETE
2.3.2
LESIONI COMPLETE
CAPITOLO 3
AUSILI ED ADATTAMENTI
3.1 DEFINIZIONI E CONCETTI GENERALI
3.1.1
CLASSIFICAZIONE DEGLI AUSILI
3.1.2
MOBILITÀ E GUIDA
3.2 LA CARROZZINA
3.2.1
MATERIALI PER LA COSTRUZIONE DEL TELAIO
3.3 ADATTAMENTI COMPLEMENTARI ALLA GUIDA PRESENTI SUL MERCATO
3.3.1
MANIGLIA RIMOVIBILE
3.3.2
RIBALTINA MANUALE OD ELETTRICA
3.3.3
PIASTRA GIREVOLE CON AVANZAMENTO
3.3.4
PIASTRA GIREVOLE ELETTRICA
3.3.5
GRUETTA SOLLEVA PERSONE
3.3.6
CARROZZINA AUTOTRASLANTE
V
VII
VII
1
3
3
4
7
11
15
17
17
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33
35
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37
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43
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46
47
47
V
INDICE
3.4 CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA SCELTA DELL’AUSILIO
3.5 ALCUNI SISTEMI BREVETTATI
3.5.1
APPARATO PER LA MOVIMENTAZIONE DI UNA CARROZZINA VERSO L’INTERNO E
L’ESTERNO DI UN’AUTOMOBILE [LANIER J., 1985]
3.5.2
APPARATO PER IL TRASFERIMENTO DI DISABILI [SUMRALL J.L., 1992]
3.5.3
SEDILE D’AUTOMOBILE PER DISABILI [ZALEWSKI W., 1992]
3.5.4
SEDIA A ROTELLE SMONTABILE [CHUNG TIEN-TUNG, SU YUN-CHIN, HUANG
CHUN-SHUO, 2007]
3.5.5
AUTOVEICOLO ADATTATO PER GUIDATORI DISABILI [TODD R.E., 1984]
3.5.6
MECCANISMO DI ROTAZIONE PER SEDILE D’AUTOMOBILE [CHUNG TIEN-TUNG,
SHEN HSIU-CHU, 2006]
3.5.7
SEDILE GIREVOLE PER AUTOVEICOLO [YUNDT N.K., KINKAID D., 2000]
3.5.8
TRASPORTO DI DISABILI O DI PERSONE INVALIDE [SOUTHWARD L.B., SIMPSON
C.J., TUMBRIDGE C.R., 1979]
3.6 ALCUNE RICERCHE E STUDI
53
54
55
55
56
57
61
INTRODUZIONE
LO STUDIO DEL MOVIMENTO E L’APPROCCIO BIOMECCANICO
MISURE SPERIMENTALI PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
MISURE CINEMATICHE
MISURE DINAMICHE
ELETTROMIOGRAFIA
ANALISI MEDIANTE MODELLI BIOMECCANICI
MODELLO A SEGMENTI RIGIDI DEL CORPO UMANO
DEFINIZIONE E CALCOLO DEL CENTRO DI MASSA CORPOREO
DEFINIZIONE DI ANGOLO ANATOMICO ED ARTICOLARE
MODELLAZIONE DEL MOVIMENTO: ISTANTI DI INIZIO E DI FINE DELL’ATTO
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64
66
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69
70
72
74
MOTORIO
4.8 IL SISTEMA ACMOTION
4.8.1
GENERALITÀ’
4.8.2
IL RICONOSCIMENTO DEI MARKER
4.8.3
L’ANALISI BIDIMENSIONALE E TRIDIMENSIONALE
CAPITOLO 5
5.1
5.2
5.3
5.3.1
5.3.2
5.4
51
52
53
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
CAPITOLO 4
4.1
4.2
4.3
4.3.1
4.3.2
4.3.3
4.4
4.4.1
4.5
4.6
4.7
49
51
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
GENERALITÀ
IL TRASFERIMENTO E LE SUE FASI
RISULTATI OPTOCINETICI E CINEMATICI
METODOLOGIA SPERIMENTALE ADOTTATA
RISULTATI SPERIMENTALI
CONSIDERAZIONI
CAPITOLO 6
CONCLUSIONI
77
78
78
81
83
91
91
91
98
98
100
106
111
RINGRAZIAMENTI
115
BIBLIOGRAFIA
117
VI
INDICE
INDICE DELLE TABELLE
TABELLA 2-1: LIVELLO NEUROLOGICO E COMPLETEZZA DEL DANNO AL MIDOLLO SPINALE [P.
O’CONNOR, 2002]....................................................................................................................... 18
TABELLA 2-2: TIPO DI LESIONE SULLA BASE DEI VARI FATTORI CHE CARATTERIZZANO L’INCIDENTE
STRADALE [P. O’CONNOR, 2002] ................................................................................................ 18
TABELLA 2-3: CLASSIFICAZIONE DEI CASI SULLA BASE DEL LUOGO DELL’INCIDENTE, DEL NUMERO
D’AUTO COINVOLTE E DEL TIPO DI INCIDENTE [P. O’CONNOR, 2002].......................................... 19
TABELLA 2-4: CLASSIFICAZIONE DEI CASI SULLA BASE DEL LUOGO D’INCIDENTE, DEL TIPO D’AUTO E
DEL TIPO D’INCIDENTE PER UNA SINGOLA AUTO COINVOLTA [P. O’CONNOR, 2002] ................... 19
TABELLA 3-1: E = MODULO ELASTICO; RS = CARICO DI SNERVAMENTO; RM = CARICO DI ROTTURA;
P.SPC = PESO SPECIFICO; A% = ALLUNGAMENTO PERCENTUALE................................................. 42
TABELLA 3-2: DATI TECNICI CARONY® AUTOADAPT® ......................................................................... 49
TABELLA 3-3: CATALOGAZIONE AUTOVETTURE IN FUNZIONE DELL’AUSILIO DA INSTALLARE
(MOBILITY-TREND®) ................................................................................................................... 50
TABELLA 4-1: CONFRONTO FRA VARI METODI DI RAPPRESENTAZIONE DEL COLORE ............................. 80
TABELLA 5-1: SPOSTAMENTO ANGOLARE E VELOCITÀ ANGOLARE DEL TRONCO [GAGNON ET AL., 2008]
.................................................................................................................................................... 97
TABELLA 5-2: MISURE RILEVATE SUI VOLONTARI E LORO AUTOVEICOLI .............................................. 99
TABELLA 5-3: VELOCITÀ ANGOLARI, DURATE E PAUSE DEL GESTO..................................................... 105
INDICE DELLE FIGURE
FIGURA 1-1: NEURONE............................................................................................................................ 3
FIGURA 1-2: NEURONE E CELLULE GLIALI............................................................................................... 3
FIGURA 1-3: SISTEMA NERVOSO ............................................................................................................. 4
FIGURA 1-4: SISTEMA NERVOSO CENTRALE E NERVI SPINALI .................................................................. 5
FIGURA 1-5: FIBRE NERVOSE ASCENDENTI E DISCENDENTI ..................................................................... 5
FIGURA 1-6: SEZIONE TRASVERSALE DEL MIDOLLO SPINALE .................................................................. 6
FIGURA 1-7: COLONNA VERTEBRALE ...................................................................................................... 7
FIGURA 1-8: SEGMENTO DI COLONNA VERTEBRALE: A) VISTA DI UNA VERTEBRA LOMBARE DALLA
PARTE POSTERIORE VERSO LA PARTE ANTERIORE DELLA COLONNA VERTEBRALE; B) VISTA
LATERALE DI UNA VERTEBRA LOMBARE ........................................................................................ 7
FIGURA 1-9: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELL’ORIENTAZIONE DELLE FACCETTE ARTICOLARI DI
UNA TIPICA VERTEBRA A) CERVICALE, B) DORSALE, C) LOMBARE ................................................ 8
FIGURA 1-10: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLE VISTE ANTEROPOSTERIORE, LATERALE E
CRANICOCAUDALE DI UNA VERTEBRA A) CERVICALE, B) TORACICA, C) LOMBARE ....................... 8
FIGURA 1-11: LEGAMENTI DELLA COLONNA VERTEBRALE ..................................................................... 9
FIGURA 1-12: DISCHI INTERVERTEBRALI ................................................................................................ 9
FIGURA 1-13: CANALE VERTEBRALE ...................................................................................................... 9
FIGURA 1-14: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLA SEZIONE TRASVERSALE DI UNA VERTEBRA
CERVICALE .................................................................................................................................. 10
FIGURA 1-15: SUDDIVISIONE DELLE VERTEBRE .................................................................................... 10
FIGURA 1-16: FORMAZIONE DEL NERVO SPINALE ................................................................................. 11
FIGURA 1-17: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DEI PUNTI D'USCITA DELLE RADICI DEI NERVI
CERVICALI ................................................................................................................................... 12
FIGURA 1-18: NATURA ELETTRICA DEI MESSAGGI CHE DETERMINANO L’AZIONE RIFLESSA .................. 12
FIGURA 1-19: SCHEMATIZZAZIONE DELL’AZIONE RIFLESSA ................................................................. 13
FIGURA 1-20: NERVI SPINALI ................................................................................................................ 14
FIGURA 1-21: RELAZIONE TRA SEGMENTO MIDOLLARE ED AREA DEL CORPO CONTROLLATA ............... 14
FIGURA 2-1: LESIONI MIDOLLARI DA EVENTI TRAUMATICI: LE CAUSE [GISEM, 2000] ......................... 17
FIGURA 2-2: LESIONI MIDOLLARI DA EVENTI TRAUMATICI NEI DUE SESSI [GISEM, 2000] ................... 17
FIGURA 2-3: FRATTURA VERTEBRALE ................................................................................................... 19
FIGURA 2-4: COMPRESSIONE DEL MIDOLLO DA PARTE DELLA FRATTURA VERTEBRALE ........................ 20
VII
INDICE
FIGURA 2-5: TABELLA ASIA .................................................................................................................21
FIGURA 2-6: AREE DEL MIDOLLO SPINALE .............................................................................................25
FIGURA 2-7: SINDROME DEL MIDOLLO ANTERIORE ................................................................................26
FIGURA 2-8: SINDROME DELL'ARTERIA ANTERIORE ...............................................................................26
FIGURA 2-9: SINDROME DEL MIDOLLO POSTERIORE ...............................................................................27
FIGURA 2-10: SINDROME DEL MIDOLLO CENTRALE ...............................................................................27
FIGURA 2-11: SINDROME DI BROWN-SÉQUARD .....................................................................................28
FIGURA 2-12: SINDROMI DEL CONO E DELLA CAUDA EQUINA ................................................................28
FIGURA 2-13: SINDROME SACRALE PARZIALE ........................................................................................28
FIGURA 2-14: EMIPLEGIA.......................................................................................................................29
FIGURA 2-15: TETRAPLEGIA ..................................................................................................................30
FIGURA 2-16: PARAPLEGIA ....................................................................................................................31
FIGURA 3-1: CARROZZINA LEGGERA PER USO QUOTIDIANO ...................................................................39
FIGURA 3-2: ANGOLO DI CAMBER ..........................................................................................................40
FIGURA 3-3: MANIGLIA HANDYBAR® (KIWI®).......................................................................................43
FIGURA 3-4: RIBALTINA MANUALE (KIWI®) ..........................................................................................44
FIGURA 3-5: RIBALTINA ELETTRICA (KIWI®) .........................................................................................45
FIGURA 3-6: VERTICALIZATORE ............................................................................................................45
FIGURA 3-7: PIASTRA GIREVOLE CON AVANZAMENTO (HANDYTECH®) .................................................46
FIGURA 3-8: PIASTRA GIREVOLE ELETTRICA (HANDYTECH®) ................................................................46
FIGURA 3-9: GRUETTA SOLLEVA PERSONE (HANDYTECH®) ...................................................................47
FIGURA 3-10: ROTAZIONE DELLA PIASTRA FINO ALLA FUORIUSCITA DALL'ABITACOLO (CARONY®,
AUTOADAPT®) .............................................................................................................................48
FIGURA 3-11: AGGANCIO DELLA BASE DELLA CARROZZINA ALLA PIASTRA GIREVOLE ED INGRESSO
®
®
SEDILE (CARONY , AUTOADAPT ) ..............................................................................................48
FIGURA 3-12: SGANCIAMENTO DELLA BASE DELLA CARROZZINA DALLA PIASTRA GIREVOLE E
®
®
ROTAZIONE DEL SEDILE ALL'INTERNO DELL'ABITACOLO(CARONY , AUTOADAPT )....................48
®
®
FIGURA 3-13: SEDILE ANATOMICO RIBASSATO (BEV-SEAT AUTOADAPT ) ......................................49
FIGURA 3-14: MISURE DA RILEVARE PER L’INSTALLAZIONE (MOBILITY-TREND®) ................................51
FIGURA 3-15: MOVIMENTAZIONE CARROZZINA .....................................................................................52
FIGURA 3-16: IMBARCO CARROZZINA ....................................................................................................52
FIGURA 3-17: DISPOSITIVO DI CARICO ...................................................................................................52
FIGURA 3-18: SEDILE PER DISABILI ........................................................................................................53
FIGURA 3-19: SEDIA A ROTELLE SMONTABILE .......................................................................................53
FIGURA 3-20: SCORRIMENTO DEL SEDILE VERSO L'ESTERNO .................................................................54
FIGURA 3-21: IMBARCO CARROZZINA SULLA PORTIERA ........................................................................54
FIGURA 3-22: MECCANISMO DI ROTAZIONE PER SEDILE D’AUTOMOBILE ...............................................55
FIGURA 3-23: SEDILE GIREVOLE ............................................................................................................56
FIGURA 3-24: SISTEMA DI TRASPORTO PER DISABILI ..............................................................................56
FIGURA 3-25: IMMAGINI DAL SIMULATORE 3D, SOLUZIONE SERVOASSISTITA [CAMBIAGHI ET AL., 2002]
.....................................................................................................................................................57
FIGURA 3-26: SERVOMECCANISMO SOLLEVATORE [CAMBIAGHI ET AL., 2002] ......................................58
FIGURA 3-27: SEQUENZA D’INGRESSO AL POSTO GUIDA [CAMBIAGHI ET AL., 2002] ..............................58
FIGURA 3-28: SEQUENZA D'ACCESSO PROGETTO MARGO [CAMBIAGHI ET AL., 2002]............................59
FIGURA 3-29: PEDANA ABBASSABILE [CAMBIAGHI ET AL., 2002] ..........................................................59
FIGURA 4-1: ORGANIZZAZIONE AD ANELLO CHIUSO DEL MOVIMENTO VOLONTARIO .............................62
FIGURA 4-2: PIATTAFORMA DINAMOMETRICA .......................................................................................67
FIGURA 4-3: SINAPSI TRA MOTONEURONE E FIBRA MUSCOLARE ............................................................68
FIGURA 4-4: MODELLO CINEMATICO A SEGMENTI RIGIDI.......................................................................71
FIGURA 4-5: SISTEMA DI RILEVAMENTO ANTROPOMETRICO [GRIECO E MASALI, 1972] ........................72
FIGURA 4-6: PESI E DISPOSIZIONI DEI BARICENTRI DEI SINGOLI SEGMENTI CORPOREI ............................74
FIGURA 4-7: SISTEMA DI PIANI PERPENDICOLARI UTILIZZATO PER LA DEFINIZIONE DEI PIANI DI
MOVIMENTO DI CIASCUNA ARTICOLAZIONE [WINTER, 1990] .......................................................75
FIGURA 4-8: ANGOLI DI EULERO ...........................................................................................................77
FIGURA 4-9: VISUALIZZAZIONE DEI PIXEL AVENTI IL COLORE IMPOSTATO NEL RANGE DI TOLLERANZA,
ESPRESSO DAI TRE VALORI DEL PANNELLO A DESTRA (TARATURA DEL ROSSO, DEL BLU E DEL
VERDE) .........................................................................................................................................79
FIGURA 4-10: VELOCITÀ ED ACCELERAZIONI. L'ERRORE DATO DAL NON PERFETTO RICONOSCIMENTO
VIII
INDICE
DEL BARICENTRO DEL MARKER SI TRADUCE IN UN RUMORE SOVRAPPOSTO ALL’ANDAMENTO
DELLA TRAIETTORIA NEL TEMPO. TALE RUMORE VIENE AMPLIFICATO NEL CALCOLO DELLE
VELOCITÀ (A SINISTRA) E DELLE ACCELERAZIONI (A DESTRA)..................................................... 82
FIGURA 4-11: STICK DIAGRAM ............................................................................................................. 85
FIGURA 4-12: VISUALIZZAZIONE DI UN FRAME DEL FILMATO RICOSTRUITO DA ACMOTION.............. 85
FIGURA 4-13: TRAIETTORIA DI UN SINGOLO MARKER ........................................................................... 86
FIGURA 4-14: SVOLGIMENTO DELLA TRAIETTORIA DEL MARKER LUNGO L’ASSE DEL TEMPO ............... 87
FIGURA 4-15: ANGOLO ASSOLUTO DI UN MEMBRO................................................................................ 88
FIGURA 4-16: ANGOLO RELATIVO TRA DUE MEMBRI............................................................................. 89
FIGURA 4-17: VELOCITÀ ED ACCELERAZIONE ANGOLARE: È VISIBILE COME IL RUMORE DATO DAL
CATTIVO RICONOSCIMENTO DEL BARICENTRO DEL MARKER VENGA AMPLIFICATO NEL PROCESSO
DI DERIVAZIONE .......................................................................................................................... 90
FIGURA 5-1: FASI DI CARICAMENTO SUGLI ARTI INFERIORI E DI ALZATA............................................... 92
FIGURA 5-2: FASI DI ROTAZIONE E SALITA ............................................................................................ 92
FIGURA 5-3: INTRODUZIONE DEGLI ARTI INFERIORI E SUCCESSIVAMENTE DEL TRONCO........................ 92
FIGURA 5-4: PRESA SUL MONTANTE ESTERNO....................................................................................... 93
FIGURA 5-5: FASI DEL TRASFERIMENTO [GAGNON ET AL., 2008] .......................................................... 94
FIGURA 5-6: GRAFICI DEGLI SPOSTAMENTI ANGOLARI MEDI TEMPO-NORMALIZZATI PER TRONCO E ARTI
SUPERIORI PER SEDUTA FISSATA A TRE DIVERSE ALTEZZE. LE FASI DI PRE-ALZATA, ALZATA E
ROTAZIONE E SEDUTA SONO INDICATE CON LINEE VERTICALI TRATTEGGIATE [GAGNON ET AL.,
2008]........................................................................................................................................... 96
FIGURA 5-7: GRAFICI DELLE VELOCITÀ ANGOLARI MEDIE TEMPO-NORMALIZZATE PER TRONCO E ARTI
SUPERIORI PER SEDUTA FISSATA A TRE DIVERSE ALTEZZE. LE FASI DI PRE-ALZATA, ALZATA E
ROTAZIONE E SEDUTA SONO INDICATE CON LINEE VERTICALI TRATTEGGIATE [GAGNON ET AL.,
2008]........................................................................................................................................... 97
FIGURA 5-8: SCHERMATA DI ACQUISIZIONE DI ACMOTION................................................................ 98
FIGURA 5-9: TRAIETTORIA DEI TRE MARKER DEL BRACCIO DI UN SOGGETTO NORMODOTATO DURANTE
LA FASE DI SALITA (LATO GUIDA) .............................................................................................. 100
FIGURA 5-10: TRAIETTORIA DEI TRE MARKER DEL BRACCIO DI UN SOGGETTO DISABILE DURANTE LA
FASE DI SALITA (LATO GUIDA) ................................................................................................... 100
FIGURA 5-11: STICK DIAGRAM DEL TRONCO DI UN SOGGETTO NORMODOTATO DURANTE LA FASE DI
SALITA (LATO GUIDA)................................................................................................................ 101
FIGURA 5-12: STICK DIAGRAM DEL TRONCO DI UN SOGGETTO DISABILE CHE ADOTTA LA PRIMA
STRATEGIA DI SALITA DESCRITTA (LATO GUIDA) ....................................................................... 101
FIGURA 5-13: STICK DIAGRAM DEL TRONCO DI UN SOGGETTO DISABILE CHE ADOTTA LA SECONDA
STRATEGIA DI SALITA DESCRITTA (LATO GUIDA) ....................................................................... 102
FIGURA 5-14: CONVENZIONE PER GLI ANGOLI ADOTTATA IN ACMOTION ........................................ 102
FIGURA 5-15: VELOCITÀ ANGOLARE DEL TRONCO DURANTE LA FASE DI SALITA NEL CASO DEL
SOGGETTO DISABILE NUMERO 9 (LATO GUIDA).......................................................................... 103
FIGURA 5-16: VELOCITÀ ANGOLARE DEL TRONCO DURANTE LA FASE DI SALITA NEL CASO DEL
SOGGETTO DISABILE NUMERO 10 (LATO GUIDA)........................................................................ 103
FIGURA 5-17: VELOCITÀ ANGOLARE DEL TRONCO DURANTE LA FASE DI SALITA NEL CASO DI SOGGETTO
NORMODOTATO (LATO GUIDA) .................................................................................................. 104
FIGURA 5-18: INTERDIPENDENZA TRA CAPACITÀ RESIDUA, AUSILIO E TIPOLOGIA DI VETTURA........... 107
FIGURA 5-19: LARGHEZZA DEL BORDO INFERIORE D'ACCESSO PER VOLKSWAGEN® GOLF PLUS ........ 107
IX
INTRODUZIONE
Esistono numerose tipologie di disabilità, caratterizzate da capacità residue variabili
da caso a caso, nonostante le quali è possibile la guida di veicoli a motore (in
particolare di automobili di normale produzione) od anche il semplice accesso al
veicolo come passeggero, senza l’utilizzo di particolari ausili che comportino
interventi significativi sull’abitacolo o sulla carrozzeria. Per un disabile il momento
più critico della fase dello spostamento è l’ingresso o l’uscita dall’autovettura,
momento in cui perde parte dell’autonomia conseguita, arrivando, in taluni casi
(soprattutto per i soggetti tetraplegici) ad essere completamente dipendente
dall’accompagnatore. Ciò va ad ostacolare quello che è il bisogno di muoversi insito
in ogni individuo e la sua autonomia.
L’obbiettivo del presente lavoro è quello di analizzare la fase di passaggio da
carrozzina a sedile d’autoveicolo (e viceversa) e gli ausili attualmente presenti
progettati per facilitare tale gesto. L’analisi compiuta ha come scopo ultimo
l’ottenimento di informazioni utili al benessere umano tramite un processo di
ottimizzazione del gesto, rilevando, se possibile, eventuali errori nella strategia
motoria adottata.
Per lo sviluppo di tale indagine, ci si è quindi indirizzati verso un tipo di disabilità
che consentisse di ottenere risultati la cui validità potesse essere estesa ad un numero
non troppo ristretto di casi. La scelta pertanto è caduta su soggetti tetra e paraplegici,
caratterizzati da diverse capacità residue. Grazie alla collaborazione con
l’Associazione Tetra-Paraplegici del Friuli Venezia Giulia e con il centro di
riabilitazione sociale e sanitario Progetto Spilimbergo, è stato possibile intervistare
ed analizzare dieci soggetti volontari.
Si è inoltre cercato di comprendere se l’approccio adottato per lo studio del problema
e gli strumenti utilizzati per svolgere un’analisi quantitativa del fenomeno, fossero
adeguati o meno allo scopo prefisso, non essendo stato purtroppo possibile reperire
in letteratura molte informazioni riguardanti tale problematica, a causa della scarsità
di materiale presente sull’argomento.
L’atto motorio considerato è stato sottoposto ad analisi optocinetica utilizzando il
software ACMOTION. Tale sistema è stato sviluppato in collaborazione col
laboratorio di meccanica funzionale dell’ospedale Gervasutta di Udine.
Le modalità e le strategie d’accesso all’autoveicolo da parte di un soggetto disabile,
così come la scelta di un particolare adattamento, sono strettamente legate a quelle
che sono le capacità residue dell’individuo che, pur potendo variare da caso a caso,
dipendono innanzitutto dalla patologia esistente. Tale patologia, nel caso di soggetti
tetra e paraplegici, riguarda le lesioni al midollo spinale che possono essere di natura
traumatica o meno.
Pertanto, per inquadrare la natura e le cause del problema affrontato, nel Primo
Capitolo viene descritta innanzitutto l’anatomia del sistema nervoso umano. Vengono
brevemente passati in rassegna i suoi componenti, le sue proprietà, le sue
caratteristiche e modalità di funzionamento. Ciò è necessario per poter comprendere
quanto successivamente esposto nel Secondo Capitolo, che tratta in modo specifico
le lesioni del midollo spinale. Esse vengono suddivise principalmente in due gruppi:
1
INTRODUZIONE
lesioni complete e lesioni incomplete. In funzione della zona del midollo interessata,
tali lesioni possono andare ad intaccare la funzionalità di diverse aree del corpo
umano, in modo più o meno marcato, e quindi da loro discende l’entità e la tipologia
di capacità residua presente. Essa può tuttavia, entro certi limiti, migliorare con
specifiche terapie e con l’allenamento, così come, d’altro canto, peggiorare con l’età
del soggetto o l’aggravarsi della patologia.
Nel Terzo Capitolo si definisce il concetto d’ausilio, facendo riferimento anche alla
definizione data dallo standard internazionale ISO 9999, aggiornato nel 2007. Viene
illustrata una classificazione degli ausili basata su tale standard ed una ad essa
parallela. Nel seguito del capitolo, viene poi presentato un elenco degli ausili e dei
dispositivi progettati e commercializzati per cercare di risolvere il problema in
esame, partendo però da alcune valutazioni su quello che è e resta l’ausilio principale
per la classe di disabili considerata, nonché il punto di partenza dell’atto motorio
esaminato, ovvero la carrozzina. Tale elenco ragionato è frutto di ricerche ed
interviste presso alcuni rivenditori ed installatori.
Il Quarto Capitolo è dedicato alle tecniche ed alle metodologie per l’analisi del
movimento umano. Si illustrano le diverse tipologie di misurazioni sperimentali, il
modello biomeccanico del corpo umano a segmenti rigidi a cui si è fatto riferimento
ed alcune problematiche connesse a tali misurazioni. Viene infine descritto il sistema
optocinetico ACMOTION, esaminandone caratteristiche, modalità di funzionamento,
potenzialità e limiti. Tali limiti sono dovuti innanzitutto alle difficoltà di
riconoscimento dell’esatta posizione del baricentro del marker.
L’analisi è stata condotta nel Capitolo Quinto. Essa è stata affrontata secondo un
duplice approccio. Un primo approccio qualitativo, basato sull’analisi dei vari
filmati, ha permesso una iniziale comprensione dell’azione motoria ed una sua
possibile scomposizione. Questo ci ha permesso di porre le basi per una successiva
trattazione più rigorosa del fenomeno, condotta con il sistema optocinetico già citato
sopra. Vengono riportate le misurazioni effettuate sui volontari ed i risultati ottenuti
sottoforma di grafici delle velocità angolari di alcuni segmenti corporei. Per avere un
termine di paragone, i risultati ottenuti sono stati confrontati con quelli acquisiti nel
caso di soggetti normodotati. Seguono alcune considerazioni sugli esiti ottenuti e su
possibili sviluppi.
2
Capitolo 1
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
1.1 INTRODUZIONE
Il sistema nervoso gestisce tutte le nostre funzioni: sia quelle della "vita di
relazione", come pensare, ricordare, parlare, muoversi, sia quelle della "vita
vegetativa", come la circolazione del sangue, la digestione, la respirazione, ecc.. Il
sistema nervoso dell’uomo è costituito da una rete di milioni di cellule che
comunicano tra di loro mediante impulsi elettrici. Queste cellule si chiamano
neuroni. La loro dimensione va da 4 a 140 millesimi di millimetro e le loro forme
sono assai diverse. Osservando un neurone (Figura 1-1) al microscopio si nota che
esso possiede alcuni piccoli prolungamenti che si chiamano dendriti (che ricevono
informazioni da altri neuroni), ed un prolungamento lungo e semplice che si chiama
neurite o assone (che trasmette il messaggio ricevuto ad un altro neurone o verso le
cellule di destinazione, ad esempio le fibre muscolari, per mezzo di un singolo
impulso).
Figura 1-1: Neurone
I neuroni sono cellule eccitabili specializzate nella ricezione di stimoli e nella
conduzione degli impulsi provenienti dai nervi e servono a trasmettere informazioni
ad altre parti del corpo. Essi usano impulsi elettrici e segnali chimici per la
trasmissione di informazioni tra le diverse aree del cervello e tra il cervello ed il resto
del sistema nervoso. Tutto ciò che l’uomo pensa e sente non sarebbe possibile senza
il lavoro dei neuroni e delle loro cellule di sostegno: le cellule gliali (dal greco colla),
chiamate astrociti e oligodendrociti (Figura 1-2).
Figura 1-2: Neurone e cellule gliali
3
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
Tali cellule hanno la funzione di sostenere, nutrire e difendere dalle infezioni il
sistema nervoso, ma non quella di trasmettere messaggi nervosi. All’interno del
corpo cellulare c’è un nucleo che controlla l’attività della cellula e contiene il suo
materiale genetico. I neuroni comunicano tra di loro attraverso l’invio di composti
chimici, chiamati neurotrasmettitori, in un piccolo spazio, chiamato sinapsi, tra
assoni e dendriti di neuroni adiacenti. Ci sono tre classi di neuroni:
• neuroni sensoriali: portano informazioni dagli organi di senso al cervello;
• neuroni motori: hanno lunghi assoni e portano le informazioni dal sistema
nervoso centrale ai muscoli ed alle ghiandole del corpo;
• interneuroni: hanno assoni corti e comunicano solo all’interno della loro
immediata regione.
All’interno di queste tre classi vi sono centinaia di tipi diversi di neuroni, ognuno con
specifiche abilità in base al messaggio da trasmettere. Il sistema nervoso si suddivide
in due parti principali: il sistema nervoso centrale ed il sistema nervoso periferico. Il
primo è costituito dal cervello e dal midollo spinale (possiamo pensare al midollo
spinale come ad un’estensione del cervello), il secondo invece è composto dai nervi
craniali, che fuoriescono dalle cellule neurali, e dai nervi spinali che si propagano dal
midollo spinale. Sebbene i neuroni possono essere di varie grandezze e tipologie,
come altre cellule, essi hanno una dimensione ed una funzione ben caratteristica,
ovvero quella di trasportare stimoli ed impulsi. Una delle differenze principali tra i
neuroni e le altre cellule è che i primi non si possono dividere e non possono formare
nuove cellule: ciò impedisce che la struttura equilibrata del sistema nervoso venga
distrutta dalla creazione di nuovi circuiti, ma significa anche che, se un nervo viene
danneggiato, questo non può essere sostituito in alcun modo. Ci sono due tipi di
neuroni: mielinico e non mielinico. La mielina è una guaina protettiva di materiale
bianco isolante che circonda alcuni assoni. Le fibre degli assoni isolate dalla mielina
possono trasmettere messaggi elettrici a una velocità di 90 metri al secondo, mentre
le fibre senza mielina possono solo inviare messaggi a una velocità di uno o due
metri al secondo. Una delle conseguenze di una lesione midollare è la
demielinizzazione degli assoni.
1.2 SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Il sistema nervoso centrale è costituito dall'encefalo (cioè il cervello) e dal midollo
spinale (Figura 1-3).
Figura 1-3: Sistema nervoso
4
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
Come dice il suo stesso nome, è la "centrale" di comando del corpo, dove vengono
analizzate le informazioni in arrivo e organizzate le risposte. Nell’encefalo si
elaborano le reazioni agli stimoli (fame, dolore, ecc.), le sensazioni ed i fenomeni
dell’intelligenza, della volontà, del sentimento. L’encefalo si prolunga all’indietro in
un cordone chiamato midollo spinale, che è lungo circa 45 cm, ha un diametro di
circa 1 cm ed è situato nel canale rachidiano. Il midollo spinale è collegato a sua
volta con la periferia del corpo mediante dei lunghi "fili" cilindrici che si chiamano
nervi spinali (ce ne sono 31 paia ed escono dal midollo ad intervalli regolari) che si
diramano nelle varie parti dell’organismo (Figura 1-4).
Figura 1-4: Sistema nervoso centrale e nervi spinali
Il midollo spinale assolve quindi soprattutto alle funzioni di collegamento tra il
cervello e le parti periferiche del corpo. Per svolgere quest’attività è percorso dai
prolungamenti delle cellule nervose che, come si è detto prima, sono chiamati assoni
o neuriti: alcuni di essi trasportano segnali nervosi in uscita dal cervello (fibre
discendenti) ed altri, invece, segnali che salgono verso il cervello (fibre ascendenti)
provenienti, mediante i nervi periferici, da ogni regione del nostro organismo (Figura
1-5).
Figura 1-5: Fibre nervose ascendenti e discendenti
5
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
L’encefalo ed il midollo spinale sono protetti da tre membrane:
• la dura madre, la quale ricopre la superficie interna del cranio e del canale
rachidiano; è fibrosa ed è piuttosto spessa e resistente e con dei
prolungamenti si interpone fra gli emisferi e fra il cervello ed il cervelletto,
contribuendo a mantenere fissi i rapporti di ogni parte dell’encefalo e del
midollo;
• l’aracnoide, membrana sottile che avvolge l’encefalo ed il midollo passando
come ponte sulla superficie di ogni depressione;
• la pia madre, membrana cellulo-vascolare sottilissima che copre tutta la
superficie dell’encefalo e del midollo spinale. Il suo carattere principale è
quello di insinuarsi nei fori, nelle depressioni e nei solchi che limitano le
circonvoluzioni. I vasi sanguinei della pia madre sono molto numerosi: si può
dire che è una vastissima rete vascolare.
Fra la meninge aracnoide e la pia madre circola un liquido che si chiama liquido
cefalo-rachidiano, destinato alla protezione dell’asse nervoso centrale. Detto liquido
si forma nei ventricoli da alcuni prolungamenti della pia madre che penetrano in essi.
Dai ventricoli laterali si diffonde lungo tutto il sistema nervoso centrale (encefalo e
midollo spinale) inframmentendosi non solo fra aracnoide e pia madre ma anche
penetrando nei ventricoli del cervello e nel canale dell’ependima (di cui si parlerà più
sotto) del midollo spinale. Se noi pratichiamo un taglio trasversale del midollo
spinale, notiamo che esso presenta una specie di farfalla grigia nella parte centrale,
circondata da un’area di colore bianco (Figura 1-6). Nella parte grigia centrale
risiedono soprattutto le cellule nervose (neuroni), mentre la parte bianca è occupata
soprattutto dagli assoni. Il colore bianco di questa zona è dovuto alla presenza della
mielina che è una sostanza isolante la quale avvolge come un manicotto gli assoni e ,
come già accennato precedentemente, consente una trasmissione più veloce e sicura
del segnale nervoso, ricevendo i segnali elettrici dagli organi sensoriali e
trasmettendoli a quelli effettori del sistema nervoso periferico.
Figura 1-6: Sezione trasversale del midollo spinale
La sezione orizzontale del midollo mette in evidenza un solco anteriore ed uno
posteriore che dividono il midollo nella parte destra e sinistra, tenute però insieme
dalla sostanza grigia posta al centro, la quale tuttavia è attraversata da un canalino
detto "canale dell’ependima" che risale fino al cervello ed è in rapporto coi ventricoli
cerebrali.
6
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
1.2.1 La colonna vertebrale
Proprio per l’importante funzione svolta, il midollo spinale è circondato e protetto da
una robusta struttura ossea: la colonna vertebrale (Figura 1-7). La colonna vertebrale
(o spina dorsale) è formata dalla sovrapposizione di 31 ossa chiamate vertebre, e si
estende dalla base del cranio sino alla regione glutea. La colonna vertebrale è il
centro di controllo della nostra postura e fornisce la nostra stabilità quando stiamo in
piedi. A causa delle sue numerose funzioni, la colonna vertebrale è molto vulnerabile
e possono verificarsi lesioni alle ossa stesse, ai legamenti che collegano le ossa, ai
dischi che separano ciascuna vertebra dall’altra, od ai muscoli che conferiscono il
movimento alla spina dorsale.
Figura 1-7: Colonna vertebrale
La colonna vertebrale presenta quattro curve:
• la curva anteriore convessa sacrale che curva verso il ventre o regione
pelvica;
• la lordosi lombare verso il retro;
• la cifosi toracica che curva verso la parte anteriore del torace;
• la lordosi cervicale che curva verso la parte posteriore del collo.
Figura 1-8: Segmento di colonna vertebrale: A) Vista di una vertebra lombare
dalla parte posteriore verso la parte anteriore della colonna vertebrale; B) Vista
laterale di una vertebra lombare
7
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
Figura 1-9: Rappresentazione schematica dell’orientazione delle faccette
articolari di una tipica vertebra A) cervicale, B) dorsale, C) lombare
Figura 1-10: Rappresentazione schematica delle viste anteroposteriore, laterale
e cranicocaudale di una vertebra A) cervicale, B) toracica, C) lombare
8
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
I legamenti della colonna vertebrale sono tessuti fibrosi che mantengono le ossa e le
articolazioni in allineamento (Figura 1-11). Sotto stress, ad esempio in caso di ferite,
questi legamenti si possono allungare o rompere. Una lacerazione parziale o totale di
un legamento prende il nome di distorsione.
Figura 1-11: Legamenti della colonna vertebrale
I dischi intervertebrali sono situati tra le vertebre ed agiscono come ammortizzatori
della colonna vertebrale. I dischi sono costituiti da strati fibrosi, detti appunto anelli
fibrosi, che circondano una sostanza gelatinosa chiamata nucleo polposo (Figura
1-12)
Figura 1-12: Dischi intervertebrali
Ogni vertebra è composta anteriormente da un corpo e posteriormente da un arco
osseo che delimitano un’apertura, chiamata forame vertebrale, la quale contribuisce,
grazie alla sovrapposizione delle 31 vertebre, a formare un canale (il canale
vertebrale o spinale) al cui interno è collocato il midollo spinale (Figura 1-13 e
Figura 1-14).
Figura 1-13: Canale vertebrale
9
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
Figura 1-14: Rappresentazione schematica della sezione trasversale di una
vertebra cervicale
In relazione alla regione del corpo attraversata, la colonna e le sue vertebre si
suddividono in (Figura 1-15):
• colonna cervicale, composta da 7 vertebre (indicate come C1 la prima e C7
l’ultima, di cui la prima a diretto contatto con la base del cranio);
• colonna dorsale o toracica, con 12 vertebre (sono numerate dall’alto in basso
da D1 a D12 o, indifferentemente, con T1-T12);
• colonna lombare, con 5 vertebre (L1 la prima e L5 l’ultima);
• colonna sacrale con 5 vertebre (da S1 a S5);
• infine le 2 vertebre coccigee.
Figura 1-15: Suddivisione delle vertebre
Ad eccezione delle vertebre sacrali, che sono fuse tra loro, le altre vertebre sono
separate dai dischi intervertebrali (Figura 1-12 e Figura 1-13) che hanno la funzione
di rendere la nostra colonna più flessibile ed elastica. Come già esposto sopra, la
colonna vertebrale, se viene guardata nel piano sagittale, presenta quattro curvature
che servono a migliorare l’equilibrio e la mobilità del nostro corpo (Figura 1-7): due
curve concave posteriormente, una a livello cervicale ed una a livello lombare che si
10
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
chiamano lordosi; due curve a concavità anteriore: una a livello dorsale ed una a
livello sacrale che si chiamano cifosi. Il midollo spinale percorre il canale vertebrale
dalla prima vertebra cervicale (C1) sino al margine superiore della seconda vertebra
lombare (L2). L’ultima parte del canale vertebrale, da L2 sino alla ultima vertebra
sacrale (S5), è occupata da un fascio di nervi chiamato cauda equina per la forma che
ricorda la coda di un cavallo (Figura 1-15).
1.3 SISTEMA NERVOSO PERIFERICO
Il sistema nervoso periferico è costituito da un insieme di nervi che possiamo
suddividere in:
• nervi cranici;
• nervi spinali.
I nervi cranici sono in numero di dodici paia e sono collegati direttamente al cervello.
Alcuni di essi trasportano solo informazioni dall’ambiente verso il cervello (come ad
esempio le stimolazioni visive, uditive ed olfattive), mentre altri, come quelli che
muovono la lingua o gli occhi, conducono solo informazioni dal cervello a questi
organi. I nervi spinali, come abbiamo detto, sono in numero di trentuno paia e sono
in collegamento diretto con il midollo spinale mediante due radici ben distinte:
• una posteriore o dorsale (detta sensoria), la quale contiene fibre nervose che
portano al midollo le informazioni dalla periferia del corpo;
• una anteriore o ventrale (detta motoria), che trasporta gli impulsi nervosi
provenienti dal cervello e dal midollo verso la periferia del corpo.
Appena uscita dal midollo, ciascuna radice dorsale si unisce con quella rispettiva
ventrale a formare un nervo nel quale, tuttavia, le fibre sensitive e quelle di moto
restano separate, pur procedendo insieme fino al punto di arrivo del nervo (Figura
1-16).
Figura 1-16: Formazione del nervo spinale
In tal punto il nervo si suddivide in numerosissimi filamenti nervosi che,
11
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
nell’insieme, innervano vaste zone. I nervi spinali sono, dunque, nervi misti (Figura
1-16).
Figura 1-17: Rappresentazione schematica dei punti d'uscita delle radici dei
nervi cervicali
L’azione dei nervi efferenti o motori, per mezzo dei quali il midollo spinale ed il
cervello inviano segnali atti a produrre la contrazione dei muscoli, e dei nervi
afferenti o sensitivi, mediante i quali i muscoli inviano ai centri nervosi superiori
informazioni sul loro stato di tensione o di contrazione, è di natura elettrica (Figura
1-18). Più genericamente, questa proprietà elettrica dell’azione dei nervi non è
limitata a quelli collegati ai muscoli ma è tipica di tutto il sistema nervoso. Si è
accertato che i nervi afferenti trasmettono sempre i loro segnali per via elettrica, sia
che debbano indicare tensione muscolare, contatto, dolore, calore, suono, ecc., o che
debbano trasmettere le informazioni fornite da qualcuno degli altri sensi.
Analogamente, sono di natura elettrica i segnali nervosi trasmessi lungo i nervi
efferenti ai meccanismi effettori, sia che questi ultimi siano di natura meccanica,
come i muscoli, o di natura chimica, come le ghiandole.
Figura 1-18: Natura elettrica dei messaggi che determinano l’azione riflessa
12
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
Figura 1-19: Schematizzazione dell’azione riflessa
Il midollo spinale è organizzato per tutta la sua lunghezza in tante parti (tecnicamente
si chiamano segmenti midollari) che non corrispondono esattamente alle vertebre
perché durante la crescita, dall’età infantile a quella adulta, la colonna vertebrale si
sviluppa in lunghezza più del midollo spinale. Da ognuno dei segmenti midollari
nasce un paio di nervi spinali, e più precisamente: 8 dalla regione cervicale, 12 dalla
toracica, 5 dalla lombare, 5 dalla sacrale ed 1 dalla coccigea (Figura 1-20). Ogni paio
di nervi spinali, uno per il lato destro ed uno per il lato sinistro del corpo, mettono in
connessione un determinato segmento midollare con una specifica regione del corpo.
Per cui avremo che (Figura 1-21):
• i segmenti del midollo spinale contenuti nel tratto cervicale della colonna,
mediante i nervi spinali che originano da essi, saranno in grado di controllare
e comandare le attività del collo, delle braccia e delle mani;
• i segmenti del midollo toracico (da T1 a T12) sono in rapporto soprattutto con
la regione del dorso;
• i segmenti del tratto lombare (da L1 a L5) e sacrale (da S1 a S5) controllano
il funzionamento degli arti inferiori e della regione perineale.
13
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
Figura 1-20: Nervi spinali
Figura 1-21: Relazione tra segmento midollare ed area del corpo controllata
14
ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO
1.4 SISTEMA NERVOSO AUTONOMO
Alcune attività del corpo sono sotto il diretto controllo dell’individuo mentre altre
avvengono senza un nostro intervento volontario. La spiegazione è che alcuni nervi
periferici contengono fibre nervose che trasportano messaggi del sistema nervoso
volontario (detto anche in termini tecnici somatico), mentre le fibre di altri nervi
periferici appartengono al sistema nervoso involontario (che viene definito anche
autonomo o vegetativo). In pratica noi siamo in grado di gestire i messaggi che
transitano nei nervi del sistema volontario, mentre quelli che viaggiano nel sistema
involontario sono svincolati dal nostro controllo. Bisogna comunque dire che tra i
due sistemi esistono dei frequenti punti di contatto e dialogo, sia nel midollo spinale
che nel cervello ed anche in periferia a livello di alcuni organi. A complicare le cose
si aggiunge anche il fatto che il sistema nervoso involontario o vegetativo, è
organizzato in due sottosistemi che si chiamano ortosimpatico (meglio noto come
simpatico) e parasimpatico. Di questi ci interessa sapere che entrambi possiedono
delle sedi anche nel midollo spinale. Il sistema simpatico ha i suoi centri nei
segmenti del midollo spinale del tratto dorsale e nei primi due di quello lombare (da
D1 a L2). Il sistema parasimpatico ha i suoi centri midollari localizzati nel tratto
sacrale nei segmenti S2, S3 e S4: da questi centri partono delle vie nervose
fondamentali per il controllo della vescica, dell’ultima parte dell’intestino e degli
organi sessuali. Risulta infine importante conoscere che il sistema simpatico ed il
parasimpatico di solito funzionano tra loro in modo opposto: ad esempio, il simpatico
fa accelerare il battito cardiaco e l’altro lo rallenta. Tutto quanto si è sino ad ora
esposto ci ha fatto intendere che il sistema nervoso periferico, con i suoi nervi,
segnala al midollo spinale ed al cervello che cosa si tocca, si vede, si ascolta oppure
gli stimoli dolorosi, i sapori dei cibi, ecc.. Il cervello elabora i segnali in arrivo e
prende decisioni sulle risposte da dare.
15
Capitolo 2
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
2.1 GENERALITÀ
Un recente studio condotto in Italia dal Gruppo Italiano di Studio Epidemiologico
sulle Mielolesioni (GISEM) ha evidenziato che una lesione al midollo spinale è
provocata nel 65% dei casi da un trauma (Figura 2-1) e nel 35% dei casi da una
malattia (tumori, infiammazioni/infezioni, problemi di circolazione del sangue, grave
artrosi o artrite, ecc.).
Altro
8%
Tentato suicidio
4%
Auto
39%
Caduta dall'alto
22%
Arma/violenza
2%
Sport
8%
Ciclista/Pedone
3%
Moto
14%
Figura 2-1: Lesioni midollari da eventi traumatici: le cause [GISEM, 2000]
100
96,5
90
80
87,9
100
85,9
77,6
77,1
73,3
70,8
70
60
50
Masch i
Fe m mi ne
40
29,2
30
26,7
22,9
22,4
20
14,1
12,1
10
3,5
0
Auto
Moto
Ciclista/
pedone
Sport
Arma/ Caduta Tentato
violenza dall'alto suicidio
Altro
Figura 2-2: Lesioni midollari da eventi traumatici nei due sessi [GISEM, 2000]
17
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
Per quanto riguarda le cause di natura traumatica, circa il 50% sono dovute ad
incidenti stradali (auto e moto, Figura 2-1 e Figura 2-2), come anche confermato
dallo studio effettuato da P. O’Connor (Tabella 2-1, Tabella 2-2, Tabella 2-3, Tabella
2-4) che ha preso in esame i fattori di rischio per lesioni al midollo spinale negli
incidenti stradali, considerando i casi di lesioni al midollo identificati dall’ASCIR
(Australian Spinal Cord Injury Register) che copre l’intera popolazione adulta (per lo
studio sono stati considerati i casi compresi dal 1988 al 1995). Negli incidenti
stradali che coinvolgono un singolo veicolo, la probabilità di danni al midollo spinale
è risultata cinque volte minore per gli occupanti di vetture berline rispetto ad altri tipi
di vetture. La probabilità di danni è, in particolare, molto più elevata per vetture non
berline che subiscono un ribaltamento (dieci volte superiore). O’Connor esprime
inoltre preoccupazione a proposito della diffusione degli Sport Utility Vehicles
(S.U.V.) in quanto maggiormente inclini al cappottamento.
Tabella 2-1: Livello neurologico e completezza del danno al midollo spinale [P.
O’Connor, 2002]
Tabella 2-2: Tipo di lesione sulla base dei vari fattori che caratterizzano
l’incidente stradale [P. O’Connor, 2002]
18
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
Tabella 2-3: Classificazione dei casi sulla base del luogo dell’incidente, del
numero d’auto coinvolte e del tipo di incidente [P. O’Connor, 2002]
Tabella 2-4: Classificazione dei casi sulla base del luogo d’incidente, del tipo
d’auto e del tipo d’incidente per una singola auto coinvolta [P. O’Connor, 2002]
La conseguenza di un trauma vertebrale importante può essere una frattura (Figura
2-3 e Figura 2-4) od una lussazione (per lussazione si intende l’alterazione dei
normali rapporti fra le vertebre con scivolamento di una vertebra sulla sottostante).
Figura 2-3: Frattura vertebrale
19
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
Figura 2-4: Compressione del midollo da parte della frattura vertebrale
Bisogna comunque porre attenzione al fatto che, in occasione di certi tipi di traumi,
si possono osservare lesioni del midollo o delle radici anche in assenza di fratture o
lussazioni delle vertebre (si tratta delle cosiddette contusioni midollari: le vertebre ed
i dischi sono intatti, ma il midollo può ugualmente aver subito un danno all’interno
del canale vertebrale). I traumi vertebrali vengono classificati in relazione al danno
alle strutture nervose in:
• mielici: quando interessano il midollo spinale o le radici della cauda equina
(il midollo spinale termina all’altezza della seconda vertebra lombare);
• amielici: quando il trauma coinvolge solo le ossa delle vertebre od i dischi
che stanno tra una vertebra e l’altra.
A causa di queste lesioni traumatiche si possono verificare due conseguenze
fondamentali:
• la colonna vertebrale diventa instabile;
• le strutture nervose (midollo spinale e/o radici spinali) subiscono una
compressione che le danneggia (Figura 2-4).
La presenza di una compressione del midollo o delle radici viene rilevata con la
valutazione neurologica iniziale del paziente traumatizzato, che permette un bilancio
della lesione e di programmare il trattamento, ed è soprattutto il termine di paragone
con gli esami successivi per seguire nel tempo l’evoluzione del danno. Diagnosticata
la sede e l’entità della lesione midollare con l’esecuzione di radiografie, TAC spinale
ed eventualmente anche della risonanza magnetica, il chirurgo, se il paziente non ha
altre complicazioni, decide il tipo di intervento. Gli scopi dell’intervento chirurgico
sono quelli di decomprimere il midollo e stabilizzare la colonna vertebrale. Il
midollo, per il trauma subito in seguito ad una frattura vertebrale, va subito incontro
ad una grave sofferenza che danneggia le cellule nervose ed i loro prolungamenti
lunghi e brevi. Il danno causa un immediato e gravissimo effetto: queste cellule non
sono in grado di svolgere la loro funzione fondamentale, cioè trasmettere segnali
20
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
nervosi. Ciò viene rilevato attraverso l’esame neurologico che ci permette di
individuare quali parti del midollo funzionano ancora e quali sono in condizioni di
sofferenza, anche senza la necessità di effettuare sofisticate indagini come la
risonanza magnetica o la TAC. Questo è possibile ricorrendo ad una apposita scheda
(Figura 2-5) che può essere paragonata ad una mappa, in quanto è lo strumento che
utilizza il medico per definire l’entità e la sede degli eventuali deficit di movimento e
della sensibilità che stanno coinvolgendo il corpo del paziente traumatizzato.
Figura 2-5: Tabella ASIA
Questa scheda è stata realizzata dall’American Spinal Injury Association (ASIA),
associazione medica americana i cui componenti sono esperti nello studio delle
lesioni midollari e delle loro conseguenze. Come evidente in Figura 2-5, essa si
suddivide in due settori: quello motorio e quello sensitivo. Nella parte sensitiva si
trova raffigurato il corpo umano suddiviso da delle linee in tante aree sia lungo gli
arti che lungo il tronco. All’interno di ogni area della pelle (dermatomero) è riportata
una sigla composta da una lettera maiuscola e da un numero: da C2 in alto, collocata
a livello della parte posteriore del cranio, a S5. L’area del corpo, indicata da una
determinata sigla, è connessa attraverso i nervi periferici spinali con quel
corrispondente segmento del midollo spinale. Nella scheda esiste una scala che da
dei valori riguardo all’entità della sensazione che si può avvertire: 0 = sensazione
assente, 1 = sensazione ridotta, 2 = sensazione normale. Nella parte motoria della
scheda sono riportate due colonne (una per il lato destro ed una per quello sinistro del
corpo) le quali rappresentano tutti i segmenti midollari da C2 a S5. Si osserva poi che
sono elencati i nomi di cinque muscoli per l’arto superiore e di cinque per l’arto
inferiore, e che essi sono definiti come "muscoli chiave". Questo termine e stato
adottato in quanto questi muscoli sono di facile valutazione in qualsiasi posizione si
trovi collocato il paziente da esaminare e perché ricevono la maggior parte
dell’innervazione dal segmento midollare indicato a fianco (si ricorda che in questa
scheda è stata adottata una notevole semplificazione rispetto alla realtà, in quanto la
maggior parte dei muscoli riceve, seppur in quote variabili, l’innervazione da due o
più segmenti midollari). Ad ognuno dei muscoli chiave corrisponde un segmento
21
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
midollare: da C5 a T1 per l’arto superiore e da L2 a S1 per quello inferiore. Ad
esempio, accanto al muscolo bicipite, che comanda l’azione di piegare il gomito, è
riportata la casella C5 che rappresenta il quinto segmento del midollo cervicale; ciò
vuol dire che da esso deriva il nervo che comanda l’attività (contrazione e
rilasciamento) del bicipite, per cui se una persona che ha subito un trauma della
colonna vertebrale cervicale, non è in grado di piegare il gomito, significa che ha un
cattivo funzionamento del quinto segmento del midollo spinale, cioè C5, o di altri
segmenti midollari posti al di sopra. In altri termini, l’ordine di piegare il gomito
parte regolarmente dal cervello, ma si interrompe a livello di C5 o più in alto. Anche
nel caso dei muscoli esiste una scala di misura che consente di graduare la forza
residua: 0 = assenza di movimento o paralisi, 1 = contrazione visibile o palpabile, 2 =
movimento volontario in assenza di gravità, 3 = movimento volontario contro
gravità, 4 = movimento attivo contro una discreta resistenza, 5 = movimento
volontario contro una massima resistenza. L’utilizzo di tale scheda da la possibilità al
medico di capire che il paziente ha una lesione midollare e soprattutto qual’è il
livello neurologico della lesione stessa. Il livello neurologico coincide con l’ultimo
segmento di midollo spinale che ancora funziona normalmente sia per quanto
riguarda la capacità di inviare comandi (funzione motoria) sia per ricevere
informazioni dalla periferia del corpo da trasferire al cervello (funzione sensitiva). Il
livello neurologico non deve essere confuso con il cosiddetto livello scheletrico (che
è la sede della colonna dove l’esame radiologico ha evidenziato il maggior danno
vertebrale), perché non combaciano quasi mai: una persona può aver fratturato la
quarta vertebra cervicale (C4) ma il suo livello neurologico potrebbe essere
localizzato a C6 (in questo caso la persona ha funzionanti due segmenti midollari in
più rispetto al livello della vertebra lesionata). Alcuni pazienti possono avere dei
movimenti che sono comandati da dei segmenti di midollo che stanno al disotto del
livello neurologico; ciò è dovuto al fatto che possono esistere degli altri segmenti di
midollo che hanno subito dei danni parziali e sono ancora in grado di espletare in
parte alcune funzioni (ma, ad esempio, con forza ridotta). Un secondo importante
vantaggio di questa scheda è rappresentato dalla definizione del concetto di lesione
midollare completa od incompleta. Secondo l’ASIA, una lesione midollare è definita
completa quando la funzione sensitiva o motoria non è più conservata nei segmenti
del midollo sacrale da S3 a S5. Se la lesione iniziale è classificata come completa, un
eventuale recupero si verifica di norma entro le prime settimane dall’esordio della
mielolesione. Quando invece la lesione è incompleta i tempi di recupero sono più
ampi: una prima importante ripresa si ha in genere nei primi 2-3 mesi, ma ulteriori
miglioramenti, anche se più contenuti, si possono avere anche ad un anno ed oltre
dall’evento lesivo. Si precisa che una lesione midollare completa non significa che il
midollo è sezionato o tagliato di netto, perché questo tipo di lesione anatomica (la
transezione midollare) è un evento molto raro. La terza ed ultima acquisizione che
offre la compilazione della scheda ASIA, è rappresentata dalla previsione della
ripresa funzionale che si può realizzare con la riabilitazione. In termini molto
semplici si può dire che ogni paziente ha un suo livello neurologico di lesione, in
base al quale si può prevedere quali saranno le attività che questa persona sarà
capace di fare, nella vita di ogni giorno, al termine del percorso riabilitativo.
22
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
2.2 RELAZIONE TRA LIVELLO NEUROLOGICO E POSSIBILITÀ DI
RECUPERO FUNZIONALE
Se la lesione del midollo spinale riguarda i segmenti che vanno da C1 a C7, cioè
quelli cervicali, la persona avrà come conseguenza una tetraplegia, cioè avrà
difficoltà ad utilizzare in misura più o meno completa gli arti superiori, a controllare
il tronco, non comanderà gli arti inferiori e perderà il controllo degli organi contenuti
nel bacino. I tetraplegici che hanno subito la lesione in uno o più dei primi quattro
segmenti del midollo cervicale (C1-C4), al termine della riabilitazione saranno
autosufficienti solo nella conduzione di una carrozzina elettronica e quelli con
lesione dei segmenti midollari tra C1 e C3 utilizzeranno per respirare un ventilatore
24 ore al giorno (il diaframma, un insieme di muscoli coinvolti nella respirazione, è
collegato al midollo spinale tramite fibre nervose che si diramano dalle vertebre
cervicali poste tra C3 e C5: pertanto, in caso di una lesione sopra questo livello,
potrebbe appunto essere necessaria la ventilazione meccanica). Coloro che hanno un
livello neurologico pari a C5 saranno capaci di alimentarsi con appositi apparecchi e
con assistenza di una persona. Il recupero funzionale (cioè le attività che una persona
riesce a compiere più o meno da sola) è maggiore quando la tetraplegia è causata da
una lesione a carico del segmento C6 e soprattutto di C7. Queste persone possono
divenire capaci di condurre da sole una carrozzina manuale in casa, mentre hanno
bisogno di aiuto negli ambienti esterni quando si trovano su terreni in pendenza o
con un fondo un po’ sconnesso. Alcuni di essi saranno in grado di mangiare da soli
utilizzando appositi ausili, mentre qualcun’altro avrà bisogno di assistenza. I
trasferimenti dalla carrozzina al letto o al wc richiedono l’intervento di mezzi
meccanici (sollevatori) per i pazienti con lesione sino a C5, mentre per i livelli C6,
C7 e C8 è richiesta l’assistenza di una persona quando i due piani (carrozzina e letto
ad esempio) non sono allo stesso livello. Per le persone tetraplegiche è prevista la
guida dell’automobile ad iniziare dal livello neurologico C5, naturalmente con
utilizzo di numerosi e sofisticati adattamenti, che diventano più semplici per i livelli
C6, C7 e C8. La persona se utilizzerà un caravan opportunamente attrezzato, potrà
salire e scendere anche autonomamente con la carrozzina elettrica e guidare
direttamente da questa.
Se la lesione midollare colpisce i segmenti dorsali, lombari o sacrali (vale a dire da
D1 a S5) la persona avrà come conseguenza una paraplegia. La persona paraplegica
avrà intatte la forza e la funzione degli arti superiori, mentre le difficoltà di controllo
del tronco, delle gambe e degli organi del bacino dipendono dalla sede della lesione.
È allora possibile dividere i paraplegici in tre gruppi:
• da D1 a D9;
• da D10 a L1;
• da L2 a S5.
In tutti e tre i gruppi si attende per i mielolesi l’autosufficienza nelle attività
riguardanti l’alimentarsi, la pulizia del corpo, il vestirsi, i trasferimenti da e alla
carrozzina, la guida della carrozzina all’interno ed all’esterno della casa anche su
lunghe distanze, la guida dell’auto dotata di opportune modifiche per il mancato
utilizzo degli arti inferiori (cambio automatico, freno ed acceleratore a mano). La
differenza più significativa tra i tre livelli di lesione, alla conclusione della
23
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
riabilitazione, in termini di capacità funzionale, riguarda il raggiungimento della
stazione eretta e della deambulazione:
• le persone del gruppo D1-D9 non sono in grado di ottenere un cammino
funzionalmente valido, ovvero una marcia sufficientemente veloce, che non
determini rischi di cadute, né troppa fatica per l’individuo;
• per il secondo raggruppamento (D10-L1), ci si può attendere una
deambulazione funzionale con utilizzo di adeguate ortesi (deambulatori,
tutori, ecc.) e di solito con la supervisione di una persona;
• nel terzo ed ultimo gruppo (L2-S5), la persona è in grado di camminare da
sola in modo funzionale, anche se di solito necessita di ausili (scarpe, tutori,
bastoni, stampelle ecc.).
2.3 LESIONI COMPLETE ED INCOMPLETE DEL MIDOLLO
SPINALE
Per comprendere meglio cosa succede quando il midollo spinale subisce una lesione,
è forse utile paragonare il sistema nervoso ad una rete telefonica. La rete inizia con i
fili del nostro apparecchio telefonico, i quali trasportano le informazioni verso i cavi
più grossi che entrano in contatto con la centrale. Quest’ultima riceve, elabora ed
invia i messaggi all’utente da noi contattato e di nuovo anche al nostro apparecchio.
Se trasferiamo questo modello al sistema nervoso, possiamo dire che: il nostro
cervello corrisponde alla centrale telefonica, il midollo spinale ai grossi cavi ed i
nervi periferici, che sono in contatto con i muscoli, le articolazioni, i visceri e gli
organi di senso, ai fili collegati ai nostri apparecchi telefonici. Quando si verifica una
lesione al midollo spinale, possiamo dire che il guasto si localizza a livello dei grossi
cavi (midollo spinale) che portano le informazioni provenienti dal nostro apparecchio
telefonico (muscoli e organi vari) alla sede centrale (cervello), per cui i nostri
messaggi si fermano all’altezza della zona danneggiata e non raggiungono la sede
centrale. Nello stesso tempo i messaggi che partono dalla sede centrale (il cervello)
verso il nostro apparecchio (muscoli ed organi) si arrestano per la maggior parte
all’altezza di dove è avvenuto il guasto nei grossi cavi (midollo spinale) e solo pochi
riescono ad oltrepassare la zona danneggiata. Le lesioni al midollo spinale di solito
non si limitano al midollo, al contrario queste spesso provocano danni ai nervi spinali
che si diramano dal midollo stesso. La lesione midollare traumatica può essere
causata dall’allungamento del midollo nel momento in cui si ha lo spostamento delle
vertebre, o da un danno al midollo causato dai frammenti della vertebra fratturata che
si conficcano nel midollo stesso. La lesione midollare non traumatica invece può
essere causata dalla pressione sul midollo spinale causata da cisti o tumori, e da una
interruzione locale del flusso sanguigno. Gli effetti di una lesione traumatica
continuano per diversi giorni dalla lesione iniziale: questo periodo è conosciuto come
"shock spinale". Lo shock spinale può durare per circa sei settimane: esso è dovuto in
parte al livido e all’edema che si forma sul midollo spinale (causato dallo
schiacciamento del midollo tra le vertebre) ed in parte alla mancanza di ossigeno
(causata dall’interruzione dell’erogazione del sangue al tessuto). Inoltre, ogni
sanguinamento all’interno dell’area lesionata può provocare un ulteriore danno.
Durante questo periodo di shock spinale, la capacità di inviare messaggi all’interno
24
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
del midollo viene meno e la perdita della funzionalità sotto la lesione può sembrare
totale. Tuttavia, una volta che il gonfiore comincia a diminuire, alcune funzioni
possono essere recuperate: infatti solo quando la fase di shock spinale è termina si
può capire e valutare appieno il danno subito dal midollo spinale. Durante i
primissimi giorni dopo la lesione, le cellule dei globuli bianchi viaggiano verso la
zona colpita per rimuovere le scorie dalle cellule danneggiate, causando però spesso
ulteriori danni. Inoltre, durante le prime settimane dalla lesione iniziale, il tessuto
danneggiato viene ripulito da cellule specializzate. Queste lasciano una cavità
riempita di fluido circondata da tessuto cicatriziale. Si instaura poi un meccanismo
per cui alcune molecole bloccano la ricrescita di molti neuroni all’interno della cavità
piena di fluido ed in questo modo agiscono come barriera per la riconnessione dei
due lati del midollo spinale danneggiato. Questa serie di eventi negativi è stata
esaminata nella speranza di trovare dei metodi per prevenirli e/o gestirli. Sono state
inoltre attuate delle ricerche sulle forme di trattamento post shock spinale volte a
migliorare la normale, ma spesso limitata, ripresa che si può avere dopo una lesione
midollare.
2.3.1 Lesioni incomplete
Con lesione incompleta si fa riferimento ad un danneggiamento parziale del midollo
spinale: in questa situazione alcune funzioni motorie e sensoriali continuano ad
essere attive. Persone con una lesione incompleta possono avere attività sensoriale
ma non di movimento mentre altre, al contrario, possono avere attività motorie ma
scarsa o nulla sensorialità. Infatti, i danni causati da una lesione midollare variano da
persona a persona poiché varia il tipo di danno che si accumula nelle fibre nervose a
seconda del tipo di lesione subita. Gli effetti di una lesione incompleta dipendono
dall’area del midollo (parte anteriore, posteriore, laterale) che è stata danneggiata
(Figura 2-6). Infatti la parte di midollo danneggiata dipende dalle forze di torsione o
schiacciamento che sono state coinvolte nell’infortunio.
Figura 2-6: Aree del midollo spinale
I differenti tipi di lesioni incomplete possono causare sindromi specifiche:
25
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
2.3.1.1 Sindrome del midollo anteriore
É il risultato di un’inclinazione in avanti (iper-flessione) e di solito coinvolge le
vertebre cervicali del collo. È di solito dovuta ad un incidente automobilistico,
quando la testa è battuta in avanti in seguito all’impatto. Le lesioni provocate
dall’inclinazione della testa si hanno anche quando questa è colpita da dietro, o
quando la persona con la lesione cade, sbattendo la parte posteriore della testa. La
violenta inclinazione del collo causa un grave spostamento in avanti delle vertebre,
che comprimono la parte anteriore del midollo. La lesione che ciò provoca porta ad
una perdita del controllo dei muscoli e ad una riduzione della capacità di sentire il
dolore e la temperatura sotto il livello della lesione stessa. La sensazione del tatto,
delle vibrazioni e la sensazione della posizione delle braccia non sono totalmente
colpite, poiché queste funzioni attraversano la parte posteriore del midollo (Figura
2-7)
Figura 2-7: Sindrome del midollo anteriore
2.3.1.2 Sindrome dell’arteria anteriore
Questa sindrome è simile a quella del midollo anteriore ma è dovuta all’interruzione
dell’erogazione del sangue alla parte anteriore del midollo. Questa situazione non
intacca la parte posteriore del midollo, poiché ha un sistema di erogazione separato.
La parte al di sotto della lesione subisce una perdita della funzione motoria
volontaria e di quella sensoriale, ma la sensazione del tatto, delle vibrazioni e la
posizione delle braccia, spesso non sono colpite (Figura 2-8).
Figura 2-8: Sindrome dell'arteria anteriore
2.3.1.3 Sindrome del midollo posteriore
L’allungamento innaturale del mento (iper-estensione), che può essere causato da una
caduta sul mento o sul viso, comprime e danneggia la parte posteriore del midollo.
Ciò provoca la perdita del senso del tatto, della posizione e della vibrazione al di
26
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
sotto della lesione. La forza dei muscoli, la sensazione del dolore e della temperatura
non sono intaccati, ma poiché la normale conoscenza subconscia della posizione
delle gambe è di solito persa, la persona affetta da questo infortunio potrebbe avere
difficoltà nell’imparare nuovamente a camminare dopo il periodo di riabilitazione
(Figura 2-9).
Figura 2-9: Sindrome del midollo posteriore
2.3.1.4 Sindrome del midollo centrale
Questa sindrome è dovuta ad una lesione parziale causata da un minimo
allungamento del collo. Il danno è localizzato nella sezione centrale del midollo ed il
modo in cui i neuroni sono disposti all’interno del midollo porta alla perdita della
forza dei muscoli e della sensazione nelle braccia e nelle mani, con anche una
parziale perdita della forza e della sensazione nella parte superiore dell’addome e del
torace. La sensazione ed il movimento delle gambe e dei piedi potrebbe non
risentirne, mentre rimangono attive le funzioni di vescica e intestino (Figura 2-10).
Figura 2-10: Sindrome del midollo centrale
2.3.1.5 Sindrome di Brown-Séquard
Questa sindrome può essere causata da un trauma, o da un piegamento forzato, che
portano ad una lesione profonda su una parte del midollo. I neuroni sensoriali che
trasmettono al cervello la sensazione del dolore e della temperatura, si incrociano
all’interno del midollo in modo che possano viaggiare da una lato del corpo verso il
cervello sul lato opposto del midollo. Di conseguenza, questo tipo di lesione va a
colpire, nel lato in cui è localizzata, la forza dei muscoli ed il controllo, ma non la
sensazione del dolore e della temperatura. Nell’altra parte del corpo è vero l’opposto,
la forza dei muscoli non è colpita, ma il senso del dolore e la sensazione della
temperatura è ridotta od assente (Figura 2-11)
27
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
Figura 2-11: Sindrome di Brown-Séquard
2.3.1.6 Sindromi del cono e della cauda equina
Un danno alla colonna spinale sotto la vertebra T11 può causare un insieme di effetti.
La lesione ai nervi nel cono midollare o nella cauda equina, al di sotto della lesione,
porta alla perdita della forza dei muscoli e del loro controllo, ma mantiene una
quantità variabile di sensazione. La perdita dei riflessi spinali, causata dalle lesioni di
questo livello, può avere un grave effetto sulla vescica, sull’intestino e sulla funzione
sessuale (Figura 2-12)
Figura 2-12: Sindromi del cono e della cauda equina
2.3.1.7 Sindrome sacrale parziale
Anche quando la maggior parte del midollo subisce un trauma o subisce la perdita
dell’erogazione del sangue, alcuni piccoli vasi sanguigni possono rimanere intatti nel
bordo più esterno del midollo. In questa sindrome la persona, sebbene paralizzata
dalla vita in giù, mantiene alcune sensazioni provenienti dall’area sacrale del midollo
(Figura 2-13).
Figura 2-13: Sindrome sacrale parziale
28
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
2.3.1.8 Emiplegia
È un disordine in cui solo un lato del corpo è paralizzato. È definita come una
paralisi che coinvolge almeno un braccio ed una gamba. Tale termine è usato talvolta
per descrivere anche altre paralisi parziali. Le cause più comuni di un’emiplegia sono
legate ai danni al cervello. In genere, una lesione al lato sinistro del cervello causa
una emiplegia destra, mentre una lesione al lato destro, una emiplegia sinistra.
Quando il danno alla spina dorsale è localizzato solo su un lato del midollo,
normalmente lo stato emiplegico è la risultante dal trauma (Figura 2-14).
Figura 2-14: Emiplegia
2.3.2 Lesioni complete
Lesione completa è il termine che viene utilizzato per descrivere una lesione totale
del midollo spinale. In questa situazione si ha una perdita totale, e di solito
permanente, della capacità di inviare impulsi nervosi sensoriali e motori e quindi una
completa, e di solito permanente, perdita di funzionalità sotto il livello della lesione.
Ciò provoca una paraplegia od una tetraplegia completa.
Una volta terminata la fase dello shock spinale, può essere valutato in maniera
accurata l’impatto della lesione sulle funzioni sensoriali e motorie. La paralisi è un
termine generico usato per descrivere la perdita delle funzioni sensoriali e motorie in
seguito ad un danno al sistema nervoso. Conoscere il livello esatto della lesione è
utile per predire quali parti del corpo saranno affette da paralisi e dalla perdita delle
funzioni sensoriali. Il livello in cui la lesione è localizzata, determina la gravità degli
effetti: più alta è la lesione nel midollo e maggiori saranno i danni. La gravità degli
effetti della lesione varia anche dal tipo di lesione, ovvero se è una lesione completa
od incompleta. Normalmente, dopo una lesione midollare, vengono eseguiti semplici
esami per stabilire l’estensione del blocco motorio e sensoriale (Figura 2-5).
2.3.2.1 Paraplegia
Questo termine descrive una paralisi totale o parziale che colpisce le gambe e spesso
anche il tronco, ma non le braccia. L’estensione del danno al tronco dipende dal
punto in cui si è avuta la lesione. Come è stato già anticipato più sopra, la paraplegia
è il risultato di un danno al midollo dalla vertebra T1 a scendere. Le lesioni toraciche
(T1-T12) colpiscono sia il torace che le gambe. Le lesioni lombari (L1-L5)
provocano una paralisi al di sotto della linea della vita. Le lesioni al livello sacrale
possono non provocare una paralisi agli arti ma gravano sui riflessi spinali. La
paraplegia ha spesso degli effetti sull’intestino, sulla vescica e sulle funzioni sessuali.
29
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
2.3.2.2 Tetraplegia
Come già discusso a proposito del recupero funzionale, con questo termine si
descrive una paralisi totale o parziale dal collo verso il basso, coinvolgendo i quattro
arti ed il tronco. Questa condizione si presenta in seguito al danneggiamento del
midollo spinale nella regione cervicale. Nella tetraplegia vengono gravemente colpite
le funzioni di intestino, vescica e le funzioni sessuali.
2.3.2.3 Paralisi spastica e paralisi flaccida
La paralisi può essere divisa in due categorie a seconda del tipo di danno che subisce
il midollo: si parla di paralisi spastica e paralisi flaccida. Si ha paralisi spastica
quando i riflessi spinali sono ancora funzionanti ma la supervisione di questi riflessi
da parte del cervello non funziona. In questo caso la persona ha degli spasmi che
sono delle contrazioni violente ed improvvise, o veloci movimenti, dei muscoli
causati da reazioni a stimoli normali (in una persona senza lesione il cervello avrebbe
dovuto inviare dei messaggi per prevenire questi spasmi, invece un danno al midollo
impedisce ciò). Gli spasmi, se continuano, possono causare delle contratture (danni
al muscolo e/o al tessuto circostante, che causano una deformità all’articolazione). In
questo tipo di paralisi c’è anche una maggiore rigidità di alcuni muscoli. La paralisi
flaccida si ha invece quando non sono attivi i riflessi spinali nella persona affetta da
lesione midollare. In questa situazione si ha la perdita del tono muscolare negli arti
inferiori, la perdita di tono della vescica e dell’intestino ed eventualmente
l’atrofizzazione generale dei muscoli. Il danno al di sopra della regione sacrale di
solito causa una paralisi spastica, mentre un danno nella regione sacrale causa spesso
una paralisi flaccida.
Consideriamo ora l’esempio di due persone che hanno subito una lesione midollare
in due sedi diverse: una a livello cervicale e l’altra al tratto dorsale.
1) Persona con lesione midollare a livello del quarto segmento cervicale (C 4).
Figura 2-15: Tetraplegia
30
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
La lesione midollare ha compromesso i collegamenti tra il cervello ed i centri
nervosi del suo midollo cervicale, da cui prendono origine i nervi periferici che
comandano i muscoli del braccio e della mano. La medesima lesione midollare
impedisce all’individuo anche di alzarsi e di camminare in quanto ha causato anche
l’interruzione delle lunghe vie nervose che collegano il cervello con i centri del
midollo lombare e sacrale da cui partono i nervi che comandano i movimenti degli
arti inferiori e del tronco. Questa persona ha una tetraplegia (Figura 2-15).
2) Soggetto con lesione midollare a livello del decimo segmento dorsale (D10).
Figura 2-16: Paraplegia
Le vie nervose che collegano il cervello con i centri del midollo cervicale da cui
prendono origine i nervi spinali per le braccia e le mani sono integre, mentre sono
interrotte quelle necessarie per il collegamento con i centri nervosi del midollo
lombare e sacrale, da cui partono i nervi periferici che comandano i movimenti degli
arti inferiori, e perciò l’individuo non è in grado né di alzarsi né di camminare.
Questa persona ha una paraplegia (Figura 2-16).
In altri termini, richiamandoci all’esempio iniziale della rete telefonica, possiamo
così riassumere l’andamento delle cose: il midollo spinale si comporta come un cavo
telefonico, spedisce messaggi al cervello e dal cervello a tutte le parti del nostro
corpo. Il cervello è come un computer e mette in ordine tutti i messaggi. Quando si
verifica una lesione midollare, tutte le strutture al di sopra della zona danneggiata
continuano a lavorare come hanno sempre fatto. Al di sotto della lesione, le fibre
nervose dopo una prima fase di quasi inattività (lo shock spinale), riprendono a
lavorare ma in modo confuso, perché manca loro l’intervento regolatore ed
organizzativo del cervello. Se la lesione midollare è grave e non si verificano delle
modificazioni che consentano una sufficiente ripresa dei contatti tra la parte del
midollo al di sotto della lesione ed il cervello, dopo due-tre mesi di inattività, il
midollo si riorganizza per conto proprio e riprende a funzionare. Solo che questa
ripresa, mancando la regolazione del cervello, è anormale e scatena, nella maggior
parte dei casi, delle attività esagerate e fuori controllo. Ne sono esempio la spasticità,
31
LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE
l’eccessiva facilità alla contrazione della vescica e la disreflessia autonomica (ovvero
la risposta anormale ad un problema che si sta verificando in una parte del corpo
localizzata al di sotto del livello della lesione midollare; si manifesta quasi
esclusivamente nei soggetti che hanno un livello di lesione neurologica da C2 a D6
di tipo completo).
32
Capitolo 3
AUSILI ED ADATTAMENTI
3.1 DEFINIZIONI E CONCETTI GENERALI
Si può definire autonomia il recupero di un nuovo equilibrio, a fronte di una
limitazione delle proprie risorse fisiche e delle abilità, nelle relazioni con sé
(controllo sulla propria vita e sulle proprie scelte), nelle relazioni con l’ambiente
(possibilità di muoversi liberamente nell’ambiente, di svolgervi le attività quotidiane
conformemente alle proprie necessità, ruoli ed aspirazioni) e nelle relazioni con gli
altri (libertà di scelta nelle modalità, nello stile e nell’intensità dei rapporti con altre
persone). È possibile allora sintetizzare il problema nella seguente equazione:
Ambiente accessibile + Ausili tecnici + Assistenza personale = Autonomia
Questa equazione è certamente una semplificazione della realtà, essendovi infatti
molti altri fattori che concorrono al raggiungimento dell’autonomia, ma serve a
mettere in rilievo due dati rilevanti: il primo, che questi aspetti per così dire "tecnicoorganizzativi" hanno un’importanza fondamentale nella vita di una persona con
disabilità (non è infrequente invece che vengano sottovalutati in quanto ritenuti
residuali rispetto agli interventi di carattere più strettamente sanitario); il secondo,
che accessibilità, ausili ed assistenza sono complementari ed alleati tra loro nel
sostenere l’autonomia (mentre a volte si tende a considerare l’assistenza personale
come alternativa all’ausilio, o l’ausilio come alternativa all’accessibilità e così via).
Accessibilità ("design for all"), ausili ("assistive technologies") e assistenza
personale ("personal assistance") costituiscono dunque un trinomio inscindibile e
pertanto non si può pensare agli ausili senza considerare l’accessibilità e l’assistenza
personale, e viceversa. Ogni persona, in relazione alla propria personalità, alle
attività che è chiamata a svolgere ed al contesto in cui vive necessita di un
determinato mix di questi tre elementi. Per accessibilità si intende sostanzialmente
l’adattamento dell’ambiente alle persone che ne fruiscono. Essa va intesa come
fruibilità generale dell’ambiente costruito, degli arredi, dei prodotti, delle tecnologie
e dei servizi di uso generale: non dunque un adattamento personalizzato alle esigenze
di una determinata persona disabile, ma di tutte le persone che operano in tale
ambiente, comprese dunque sia le persone cosiddette "normodotate", che le persone
con specifiche limitazioni motorie, sensoriali o cognitive. L’accessibilità è un
prerequisito fondamentale, è il primo linguaggio che l’ambiente comunica alla
persona: quando le forze fisiche decrescono o determinate abilità sono compromesse,
nella percezione la prima cosa che emerge con evidenza non è tanto il deficit, quanto
l’accoglienza o l’ostilità con cui l’ambiente circostante (architettonico, tecnologico,
organizzativo) si manifesta. Per ausili, oggi detti anche tecnologie assistive, si
intendono invece quegli strumenti che permettono l’adattamento individuale della
persona all’ambiente: essi comprendono sia dispositivi finalizzati a superare certe
barriere all’ accessibilità, sia dispositivi volti a compensare determinate limitazioni
33
AUSILI ED ADATTAMENTI
funzionali ai fini di facilitare o rendere possibili determinate attività della vita
quotidiana (si pensi alle carrozzine). Per assistenza personale intenderemo, infine,
come dice il nome stesso, l’aiuto fisico da parte di altre persone nello svolgimento di
determinate attività della vita quotidiana. In questo contesto parleremo di assistenza
non nel senso di accudimento passivo, bensì di supporto alla vita indipendente. Il
nuovo linguaggio dell’organizzazione Mondiale della Sanità (ICF, 2001) ha imposto
una rivisitazione del concetto di ausilio, in un certo senso semplificandolo. Il
modello ICF modifica radicalmente il concetto di disabilità. Essa non è più un
attributo della persona bensì una situazione: quella particolare situazione, anche
occasionale, nella quale qualsiasi individuo può trovarsi ogni qualvolta avverta un
divario tra le proprie capacità ed i fattori ambientali, tale da porre restrizioni nella
propria qualità di vita o nel pieno sviluppo delle proprie potenzialità. Esistono
pertanto dei fattori contestuali ambientali che possono giocare a favore oppure contro
la persona dando luogo, in rapporto alla suo stato di salute, ad una situazione di
funzionamento oppure di disabilità. Nella lingua inglese si è preferito marcare il
distacco dal modello precedente introducendo una parola diversa per indicare tale
situazione ("disablement" anziché "disability"). L’ICF rende più facile il compito di
spiegare il ruolo degli ausili, dell’accessibilità e dell’assistenza personale: rientrano
infatti tra quei fattori contestuali ambientali che, se scelti ed organizzati in modo
appropriato, possono concorrere a ridurre o ad eliminare la disabilità.
Da qui la nuova definizione di ausilio dello standard internazionale ISO 9999,
aggiornato nel 2007:
“qualsiasi prodotto (inclusi dispositivi, apparecchiature, strumenti, sistemi
tecnologici, software), di produzione specializzata o di comune commercio, atto a
prevenire, compensare, tenere sotto controllo, alleviare o eliminare menomazioni
limitazioni nelle attività o ostacoli alla partecipazione.”
Questa definizione suggerisce altresì che rispetto all’obiettivo "strategico" della
riabilitazione (riportare la persona a condizioni di "funzionamento"), gli ausili
possono svolgere un ruolo fondamentale, ora a livello di "riparare" la persona
(sostituire o sostenere una funzione, si pensi ad esempio ad una protesi), ora di farla
funzionare nonostante la menomazione (migliorarne la performance in determinate
attività), ora di riparare l’ambiente (ridurre o togliere barriere che impedirebbero
l’attività o la renderebbero difficile). Le caratteristiche fisiche dell’ambiente di vita e
le tecnologie in esso presenti, siano esse progettate per la generalità della
popolazione ("mainstream") o per rispondere specificamente a determinate
limitazioni funzionali ("assistive"), svolgono un ruolo di primo piano nell’aggravare
o nell’alleviare una situazione di disabilità, a seconda di come sono state concepite,
progettate e messe in opera. Nella classificazione ICF dei fattori contestuali
ambientali, troviamo infatti poste sullo stesso piano sia le tecnologie "mainstream"
che le tecnologie "assistive". In situazioni complesse può non bastare un singolo
strumento tecnologico, può essere invece necessario un corredo di strumenti
comprendente sia tecnologie di uso generale che tecnologie assistive, la cui
composizione ed il cui assemblaggio varia caso per caso a seconda delle
caratteristiche individuali della persona, delle attività che essa è destinata a svolgere
e dal contesto fisico ed umano ove essa vive. Potremmo chiamare tale corredo, nel
suo complesso, soluzione assistiva. Quest’ultima considerazione tocca una questione
di studio molto importante che spesso viene alla luce quando si ponga il problema di
inserire soluzioni assistive in protocolli clinici in regolamenti o normative: è
34
AUSILI ED ADATTAMENTI
possibile individuare una relazione stabile e ripetibile tra una determinata soluzione
assistiva ed una determinata patologia o stato clinico, in modo da poter definire su
base diagnostica il campo di appropriatezza per ciascun ausilio? La letteratura è
piuttosto concorde nel dare a questa domanda una risposta generalmente negativa.
Dall’ICF si apprende infatti che la patologia o lo stato clinico sono solo uno dei
determinanti della situazione di disabilità in cui la persona verrà a trovarsi nel suo
particolare ambiente, a seconda dello stile di vita che assumerà in relazione alle sue
necessità, motivazioni ed aspettative. Gli altri determinanti sono appunto il modello
occupazionale proposto per quella determinata persona (dal quale discendono le
attività) ed il contesto fisico, umano e sociale ove essa vive. La triade
persona/attività/contesto quali parametri di valutazione per la scelta degli ausili è
oggi condivisa in letteratura od è riproposta in modo simile, seppur con terminologia
diversa: ad esempio sostenendo che una soluzione assistiva, per essere definita
appropriata, deve realizzare i principi di competenza (svolgere efficacemente i
compiti cui è preposta), contestualità (inserirsi sinergicamente nell’ambiente) e
consonanza (essere aderente alle caratteristiche della persona).
3.1.1 Classificazione degli ausili
Il primo punto di riferimento per la classificazione degli ausili è lo standard ISO
9999, unico standard attualmente condiviso a livello internazionale, al quale si stanno
adeguando pressoché tutti i cataloghi commerciali ed i sistemi di informazione nel
settore. Nella sua versione più recente (ISO 9999:2007) che sta anche alla base del
Portale Europeo di informazione sugli ausili EASTIN, la classificazione ISO prevede
undici classi:
• 04 ausili per terapia;
• 05 ausili per addestramento di abilità;
• 06 ortesi e protesi;
• 09 ausili per la cura e la protezione personale;
• 12 ausili per la mobilità personale;
• 15 ausili per la cura della casa;
• 18 mobilia ed adattamenti per la casa od altri edifici;
• 22 ausili per comunicazione ed informazione;
• 24 ausili per manovrare oggetti o dispositivi;
• 27 adattamenti dell’ambiente, utensili e macchine;
• 30 ausili per le attività di tempo libero.
Ogni classe si suddivide a sua volta in sottoclassi (es. 18.30 "ausili per il
superamento di barriere verticali") ed in divisioni (es. 18.30.12 "montascale mobili").
Per i dettagli si rimanda al portale internet Italiano sugli Ausili (www.portale.siva.it).
Lo Standard precisa con chiarezza che si tratta di oggetti concepiti per uso
individuale nella vita quotidiana, non di attrezzature utilizzate in contesto medico od
ospedaliero (queste escono dal campo di interesse dell’ISO 9999). Secondo questo
standard è la funzione, più che non la tipologia merceologica, a qualificare un
dispositivo come ausilio: non è infatti rilevante sotto il profilo classificatorio che un
ausilio esplichi la sua funzione attraverso tecnologie meccaniche piuttosto che
35
AUSILI ED ADATTAMENTI
informatiche, o con semplici accorgimenti a basso contenuto tecnologico. Ciò
significa che ogni classe ISO comprende una varietà estremamente disomogenea di
prodotti e tecnologie, che va da semplici impugnature facilitate, a sofisticate
apparecchiature elettromeccaniche (es. carrozzine elettroniche), domotiche (es.
interfacce con comando a voce per controllare elettrodomestici e automatismi della
casa) od informatiche (es. comunicatori).
Se la classificazione ISO rappresenta lo standard, è però possibile, parallelamente ad
essa, suddividere gli ausili in sette ampie tipologie, ciascuna delle quali caratterizzata
da differenti ruoli negli attori coinvolti e, a volte, anche da circuiti diversi di mercato:
• protesici: sono ausili che servono a compensare limitazioni funzionali
restituendo la funzione lesa. Restituiscono una funzione assente;
• ortesici: come per gli ausili protesici, in questo caso però compensano una
funzione presente ma compromessa;
• adattativi: servono a compensare limitazioni nell’attività consentendo di
svolgerle. Pensiamo, ad esempio, ad una carrozzina elettronica;
• ambientali: sono progettati per rimuovere barriere dell’ambiente, quali un
montascale per superare una scalinata in carrozzina, od un software che
consente ad un cieco di navigare con il computer nell’ambiente informatico;
• assistenziali: sono progettati per rendere più sicuro e meno gravoso il compito
della persona che assiste, quali un sollevatore che facilita il trasferimento
dalla carrozzina al letto: ausili dunque non pensati per l’utente, ma per
l’assistente (da cui la denominazione);
• terapeutici: sostengono funzioni vitali (es. un ventilatore polmonare portatile)
o prevengono l’insorgenza di complicanze secondarie (es. letti movimentabili
in maniera autonoma o assistita);
• cognitivi: una frontiera emergente della ricerca tecnologica è rappresentata
infine da quegli ausili che facilitano l’autonomia in presenza di disturbi della
memoria, dell’attenzione, dell’apprendimento. Ad esempio, agende portatili
che in determinati orari o circostanze avvertono su cose da fare (es. assumere
un determinato farmaco), o ricordando a voce la sequenza corretta con cui
compiere determinate operazioni.
Lo studio europeo EUSTAT ha descritto in quattro tappe il processo che sottende la
scelta degli ausili. Esse sono:
• l’identificazione di un bisogno;
• la formulazione di un obiettivo;
• la definizione di un progetto;
• una serie di decisioni atte a realizzare quel progetto.
Per essere autonoma in tale processo, la persona deve essere formata a capire i propri
bisogni, a porre obiettivi, a trovare soluzioni ed a prendere decisioni non
necessariamente da sola, ma potendo contare ove necessario sul consiglio di
operatori. Va da sé che il primo passo, probabilmente il più complesso, è
l’identificazione del bisogno: la disabilità spesso impegna l’utente ad affrontare
bisogni sempre nuovi nel corso della vita, a capirne la natura e la priorità e ad
elaborare strategie rispetto ad essi. Opportune checklist, come le schede EUSTAT
36
AUSILI ED ADATTAMENTI
"Analisi delle attività" ed "Analisi della singola attività", possono essere molto utili
in questa fase. EUSTAT ha anche identificato cinque strumenti utili a sostenere
l’utente come protagonista di questo processo:
• counselling (è una relazione di aiuto tra operatore e cliente, in cui il primo
aiuta il secondo a chiarire i suoi bisogni, ad individuare le soluzioni possibili
ed i conseguenti piani di azione);
• addestramento (riguarda l’apprendimento delle competenze operative rispetto
all’uso dell’ausilio);
• formazione (riguarda l’acquisizione di una più ampia padronanza
dell’argomento, della capacità di ragionamento e di soluzione dei problemi);
• informazione (banche dati, da cataloghi o da mostre, ecc.);
• sensibilizzazione.
Ciascuno di essi ha un proprio ruolo e si caratterizza per l’accento che pone sul fatto
di generare competenza tecnica piuttosto che iniziativa. Si definiscono educativi in
senso stretto quei processi che hanno come obiettivo primario l’apprendimento, ossia
l’addestramento e la formazione.
3.1.2 Mobilità e guida
Con il termine "mobilità" si intende essenzialmente movimento, viaggio. Più di
qualsiasi altra cosa, mobilità ed accessibilità determinano il grado di disabilità. È
sorprendente, quindi, che la mobilità sia rappresentata principalmente da sedie a
rotelle o supporti per il camminare, e che siano gli strumenti più importanti per la
vita quotidiana per la maggior parte delle persone con una lesione al midollo. Con il
termine "guida" si vuole fare riferimento alla guida di tutti i tipi di veicoli
motorizzati oltre alle sedie a rotelle motorizzate ed ai veicoli come gli scooter. Infatti
molte persone con lesione al midollo spinale sono in grado di guidare un’automobile
ricorrendo a specifici ausili, sia per l’accesso all’automobile che per la guida vera e
propria. Possono verificarsi delle difficoltà nel trasferimento dalla sedia a rotelle
all’auto od a vani convertiti e viceversa. Spesso non si riceve assistenza veicolare
prima di lasciare l’ospedale ed è quindi fortemente consigliato contattare un Centro
di Mobilità. I Centri di Mobilità sono strutture che offrono ai disabili un aiuto
concreto per risolvere i problemi relativi alla guida: in ogni centro il disabile può
testare le proprie capacità motorie residue tramite speciali simulatori, prendere
confidenza con i veicoli modificati e chiedere il parere di medici e fisioterapisti al
fine di ottenere il certificato di idoneità alla guida. Il simulatore di guida è una
sofisticata strumentazione elettronica che valuta le capacità motorie (relative sia agli
arti superiori che inferiori) e visive del disabile e gli consente di prendere confidenza
con le apparecchiature che utilizzerà poi sulla vettura. Tramite sensori, il computer
testa la capacità di guida della persona e la sua forza nella progressione di
accelerazione e di frenata. Gli strumenti a disposizione variano secondo le esigenze
specifiche.
3.2 LA CARROZZINA
Prima di passare alla trattazione degli ausili presenti sul mercato specifici per
37
AUSILI ED ADATTAMENTI
l’accesso all’autoveicolo, è opportuno soffermarsi brevemente sull’ausilio più
utilizzato dai tetraplegici e paraplegici per spostarsi e che costituisce il punto di
partenza (salita) o di arrivo (discesa) dell’analisi del gesto compiuta. Se durante i
mesi successivi alla lesione midollare la persona presenta un recupero di movimenti
volontari agli arti inferiori, il soggetto sarà avviato alla riabilitazione del cammino.
Ma se tale evoluzione non si verifica o se la riabilitazione al cammino non porta ai
risultati attesi, la carrozzina resterà l’unico strumento utile alla persona mielolesa per
spostarsi da sola. In quest’ultimo caso il paziente verrà sottoposto ad un allenamento
specifico che lo dovrà rendere capace di:
• effettuare una spinta della carrozzina sempre più efficace (cioè compiere
percorsi più lunghi con maggior velocità e minor fatica);
• superare gli ostacoli che si possono incontrare sia negli ambienti di casa che
all’esterno di essa (scalini, marciapiedi, terreni con varia pendenza o con
fondi di diversa natura, salita e discesa di scale, entrata ed uscita da un
ascensore, ecc.) che, nonostante le normative vigenti sull’abbattimento delle
barriere architettoniche, si incontrano ancora di frequente;
• apprendere, quando il livello lesionale lo consente, le corrette modalità per
trasferirsi dalla carrozzina al letto, alla vasca da bagno, all’automobile, ecc..
I criteri in base ai quali viene scelta una carrozzina sono legati alle caratteristiche ed
alle necessità della singola persona ed all’offerta di questi ausili presente sul mercato.
Per quanto riguarda le caratteristiche cliniche e la necessità della persona mielolesa,
si considera:
• la possibilità di controllo posturale del tronco, capacità di movimento residue
agli arti superiori e tipologia delle attività della vita quotidiana da svolgere in
autonomia al termine del percorso riabilitativo;
• la presenza o meno di calcificazioni, retrazioni muscolari, spasticità, esiti di
fratture, amputazioni che possono limitare i movimenti articolari;
• le condizioni generali o, meglio, la conformazione della persona (magrezza,
obesità, altezza, lunghezza degli arti, rischio di sviluppare ulcere da decubito,
malattie cardiologiche o respiratorie);
• le caratteristiche degli ambienti (interni ed esterni) dove la carrozzina sarà più
utilizzata e le necessità di trasporto della stessa (automobile, scale, ascensori,
ecc.);
• la possibilità di ottenere la carrozzina da parte del Sistema Sanitario
Nazionale o da altri Enti assistenziali.
Le carrozzine presenti sul mercato si suddividono in due grandi famiglie a seconda
del tipo di trazione: a spinta manuale od elettrica. La carrozzina a trazione elettrica è
un mezzo tecnologicamente più complesso. È caratterizzato da una serie di comandi
manuali (comando a cloche elettronico che consente una variazione continua della
velocità e della direzione) o, all’occorrenza, mentonieri e nucali, che permettono,
anche a pazienti con grave deficit di movimenti degli arti superiori, di poter
mantenere un discreto grado di autonomia nello spazio interno e soprattutto in quello
esterno. Sono carrozzine piuttosto costose, ma di facile utilizzo e dotate di
meccanismi elettronici e meccanici affidabili. Funzionano con motore elettrico
alimentato da un accumulatore ricaricabile. Il limite maggiore di queste carrozzine
risiede nella difficoltà di gestirne i trasferimenti, per cui si rende necessario l’uso di
38
AUSILI ED ADATTAMENTI
automezzi adattati. Infatti, l’ingombro ed i pesi elevati obbligano il soggetto
tetraplegico a dei trasporti che richiedono l’assistenza di altre persone oppure a
dotarsi di caravan oppure di automobili adattate che consentono una salita e una
discesa pur rimanendo sempre seduti sulla carrozzina (con apposite rampe). La
carrozzina elettrica è assolutamente necessaria per le persone con lesione del midollo
cervicale compreso tra C1 e C5.
Le carrozzine a spinta manuale si dividono in:
• Carrozzina leggera (Figura 3-1): è la carrozzina destinata ad uso quotidiano,
essa dispone di due ruote grandi posteriori dotate di freni e mancorrenti, due
ruote piccole anteriori sostenute da forcelle piroettanti che consentono una
facile e rapida direzionalità, braccioli estraibili con appoggia gomiti, pedane
orientabili estraibili e regolabili in altezza ed in alcuni casi schienale
reclinabile. Alcune sedie a rotelle possono avere il dispositivo monoguida per
le persone che hanno l’uso di un solo braccio. Consente l’auto spinta con due
mani sulle ruote posteriori. Permette un facile trasferimento laterale, un
semplice controllo della direzione di spostamento e, con la presenza di
accompagnatore, di superare ostacoli di una certa entità (ad esempio uno
scalino con altezza superiore a 5-10 cm). È pieghevole, anche per consentire
una facilità nei trasporti in auto. Per le persone con eccessivo peso corporeo o
per coloro che sono costretti ad un utilizzo anche su fondi stradali accidentati,
esiste una variante con telaio rinforzato o stabilizzante. Infine, il mercato
offre un modello di carrozzina pieghevole definita "di transito" per consentire
il passaggio attraverso aperture di dimensioni ridotte come quelle di alcuni
ascensori. È una carrozzina, manovrabile solo dall’accompagnatore,
facilmente pieghevole e smontabile, possiede quattro ruote di dimensione
media poste in modo tale da ridurre l’ingombro in larghezza e talvolta anche
in lunghezza.
Figura 3-1: Carrozzina leggera per uso quotidiano
•
Carrozzina superleggera: Si tratta di carrozzine ad autospinta con due mani
sulle ruote posteriori. Sono costruite in materiali compositi (carbonio e/o
kevlar) o leghe superleggere ad altissima resistenza. In uso raggiungono un
peso massimo di 13 kg. Il telaio può essere pieghevole o rigido. Il loro
utilizzo è indicato per le persone che svolgono un’intensa attività esterna (in
39
AUSILI ED ADATTAMENTI
•
particolare di studio e lavoro).
Carrozzina sportiva: Sono carrozzine costruite in leghe molto leggere e
ridotte all’essenziale. Gli assetti, la posizione ed il numero delle ruote variano
a seconda dello sport praticato. Peculiarità delle carrozzine per la pratica del
tennis o del basket è la leggerezza, ottenuta tramite l’utilizzo di materiali
leggeri (ad esempio il titanio) e con l’accorgimento di eliminare o ridurre
ogni elemento superfluo quali spondine o schienali, al fine di ottenere grande
libertà di movimento. Gli ausili destinati al tennis presentano ruote campanate
dai 15 ai 20 gradi riducendo, in questo modo, l’angolo di abduzione delle
spalle e l’altezza della sedia stessa, elementi che contribuiscono ad
ottimizzare il movimento e ridurre l’energia muscolare. Le carrozzine per il
basket hanno anch’esse schienale generalmente molto basso per consentire
maggior raggio di movimento all’atleta. La posizione delle gambe è arretrata
per proteggerle da eventuali urti. L’angolo di seduta tra sedile e schienale è
leggermente chiuso e retroverso per evitare scivolamenti. La carrozzina da
corsa presenta una serie di accorgimenti atti a renderla più idonea possibile
allo scopo cui è prefissata: essere veloce, manovrabile e sicura. In generale
essa presenta tre ruote, due posteriori, dotate di mancorrente, ed una
anteriore, dotata di un particolare dispositivo che blocca la sterzata quando si
affronta la curva, permettendo così all’atleta continuità di spinta e
mantenimento della velocità. Fattore fondamentale per raggiungere ottime
performance è la stabilità della carrozzina sia in andatura rettilinea sia
nell’affrontare le curve. Il mantenimento dell’assetto ideale è ottenibile
mediante accorgimenti tecnici e geometrici quali: regolazione della
campanatura (angolo di camber, Figura 3-2), regolazione del passo e
regolazione del baricentro del sistema atleta-ausilio. Il termine campanatura
indica l’inclinazione che l’asse passante per la mezzeria della ruota assume
rispetto alla perpendicolare al terreno; può assumere valore negativo, nullo e
positivo. Scopo del valore negativo dell’angolo è di aumentare l’area di
contatto in curva con l’intento di avvicinarsi alla situazione ideale che si
avrebbe con pneumatico ortogonale al terreno. Naturalmente, aumentare
troppo l’angolo di camber implicherebbe caricare eccessivamente le ruote
posteriori con sollecitazioni notevoli ai loro mozzi. Un ulteriore vantaggio
ottenibile dalla campanatura è riscontrabile nell’aumento della stabilità
ottenuto grazie ad un aumento della distanza tra i punti di appoggio delle
ruote posteriori. Infine, due ruote campanate permettono un più facile
raggiungimento del mancorrente, riducendo l’angolo di abduzione delle
spalle durante la spinta e con esso l’energia muscolare necessaria a
contrastare il momento della gravità.
Figura 3-2: Angolo di camber
40
AUSILI ED ADATTAMENTI
Altro importante elemento che contribuisce alla stabilità della carrozzina è il "passo",
ovvero la distanza tra il centro della ruota posteriore e quello della ruota anteriore;
maggiore è la distanza tra le ruote e più l’assetto della carrozzina è stabile ma per
contro risulterà meno maneggevole da condurre. Un aspetto molto importante del
passo riguarda una sua diminuzione determinata dallo spostamento in avanti delle
ruote posteriori: ciò comporta uno spostamento all’indietro del peso atletacarrozzina. Poiché l’attrito volvente è inversamente proporzionale al diametro della
ruota, esso è necessariamente concentrato nelle ruote anteriori, le quali risultano
caricate in modo minore rispetto alle posteriori con conseguente diminuzione della
resistenza al rotolamento. Da queste analisi emerge come l’impostazione dell’assetto
sia determinante in termini di propulsione e di sicurezza e, quindi, diventa
fondamentale l’ubicazione del baricentro dell’intero sistema. Maggiore è
l’inclinazione della carrozzina, più il baricentro è spostato all’indietro, di
conseguenza la carrozzina diventa molto maneggevole ma perde in stabilità.
3.2.1 Materiali per la costruzione del telaio
Fattore importante, sia in ambito sportivo sia nella vita quotidiana, è la leggerezza. I
materiali possono essere più o meno nobili e di conseguenza più o meno leggeri. Il
Nomenclatore Tariffario delle Protesi propone un peso massimo per la carrozzina ad
autospinta con due mani sulle ruote posteriori che è di 13 kg. Sviluppo di tecniche
costruttive ed evoluzioni nello studio di resistenza dei materiali hanno portato ad
avere pesi medi più ridotti, circa 8 kg. L’acciaio è il primo materiale con cui sono
stati costruiti i telai; a favore di questo materiale sono una elevata resistenza a fatica
ed un carico di rottura superato solo da alcuni materiali compositi. È composto da
una lega di ferro-carbonio con un aggiunta di altri elementi quali nichel, manganese,
cromo, molibdeno, che ne modificano le caratteristiche meccaniche a seconda
dell’utilizzo. Viene apprezzato per la sua estrema resistenza e di conseguenza i tubi
hanno diametro ridotto; molto spesso si utilizzano tubi di alta gamma caratterizzati
da spessori ad andamento variabile per consentire di togliere peso là dove la sezione
non è particolarmente sollecitata. Il suo punto debole è la corrosione, quindi per
ridurre tale problema si immergono le tubazioni in bagni protettivi che fissano sulla
superficie particelle che lo isolano dall’azione dell’umidità. A differenza dell’acciaio,
l’alluminio presenta proprietà meccaniche più modeste e quindi, per l’utilizzo, viene
unito con altri componenti (silicio, magnesio, manganese, rame, zinco) formando
leghe. Per indicare tali leghe si usa in campo ciclistico il sistema ASTM: ogni lega è
caratterizzata da un codice di quattro numeri seguiti da una lettera ed un numero. Il
primo numero indica il principale componente legante della lega, il secondo numero
indica se è presente anche un secondo legante (0 per indicare assenza del secondo
legante). La lettera indica il trattamento subito, o no, dalla lega. Il numero che segue
indica la natura del trattamento termico (ad esempio T6 è il trattamento di tempra e
rinvenimento). In campo ciclistico si utilizzano le leghe 5xxx ed in modo più diffuso
le leghe 6xxx (alluminio-magnesio-silicio) e 7xxx (usate con l’aggiunta di Mg).
Paragonando i moduli di Young (resistenza alla deformazione elastica) si nota che
tocca i 210.000 N/mm2 nelle migliori leghe di acciaio e tale valore è circa il doppio
di quello del titanio (105.000 N/mm2) ed il triplo dell’alluminio (70.000 N/mm2); di
conseguenza, vantaggio dell’alluminio, rispetto all’acciaio, è una minore rigidità
anche se l’introduzione delle tubazioni "oversize" per l’acciaio ha ridotto tale
41
AUSILI ED ADATTAMENTI
aspetto. L’alluminio presenta, inoltre, una resistenza a fatica ridotta rispetto
all’acciaio e quindi l’utilizzo provoca invecchiamento del telaio (l’alluminio risente
nella sua struttura anche dell’applicazione di carichi minimi). Elemento che provoca
diminuzione delle proprietà meccaniche dell’acciaio è la saldatura, poiché il
riscaldamento ne modifica la struttura molecolare. Parlando di titanio ci si riferisce
sempre non al materiale puro ma a delle leghe quali la 3Al-2.5V (3% di alluminio,
dal 2.5% di vanadio e 94.5% di titanio puro) e la 6Al-4V (6% di alluminio, 4%
vanadio e 90% di titanio puro). È un materiale di difficile lavorazione a causa
dell’elevata possibilità di alterarne la struttura cristallina e quindi la resistenza.
Risulta difficoltosa anche la saldatura a causa della presenza di metalli, come
alluminio e titanio stesso, che reagiscono con l’atmosfera costringendo il costruttore
a saldature in gas inerte quali la TIG (argon tungsteno ed elio). Ulteriore proprietà
del titanio è la sua durata praticamente illimitata: non arrugginisce, non necessita di
alcuna verniciatura e resiste ottimamente a fatica. La resistenza a fatica è circa il
doppio rispetto a quella dell’acciaio, quindi permette la realizzazione di tubazioni
sottili ed elastiche senza compromettere le proprietà meccaniche. Nota negativa è il
prezzo.
Tabella 3-1: E = modulo elastico; Rs = carico di snervamento; Rm = carico di
rottura; P.Spc = peso specifico; A% = allungamento percentuale
Un’ulteriore evoluzione nel campo dei materiali è costituita dai compositi, ovvero
l’unione di due o più materiali al fine di ottenerne altri con prestazioni superiori.
Questi materiali sono costituiti da fibre (60% in volume del composito), in ambito
telaistico carbonio o Kevlar®, immerse in una matrice che funge da legante, con il
compito, inoltre, di proteggere dagli agenti esterni e conferire al materiale maggiore
duttilità. Le resine più utilizzate per i compositi sono le termoindurenti le quali, una
volta polimerizzate, presentano una struttura tale che, per temperature superiori ad un
certo limite, si degrada in maniera irreversibile (possono essere modellate una sola
volta). Le fibre hanno il compito di sopportare il carico e possono trovarsi all’interno
della matrice intrecciate in modo disordinato, oppure essere allineate secondo
direzioni predefinite (tessuti). Per la realizzazione dei telai, quindi, non si parte da
tubi ma da "pelli" composte da fibra, di carbonio o di kevlar, preimpregnate di resina,
le quali vengono stese all’interno dello stampo ed in base allo spessore ed
all’orientamento delle fibre, si possono determinare punto per punto le caratteristiche
42
AUSILI ED ADATTAMENTI
di resistenza ed elasticità del telaio. Il materiale viene poi compresso in autoclave e
scaldato, favorendo la catalizzazione della resina.
3.3 ADATTAMENTI COMPLEMENTARI ALLA GUIDA PRESENTI
SUL MERCATO
Passiamo ora in rassegna gli ausili per la salita e la discesa dall’autoveicolo che le
varie aziende produttrici mettono a disposizione. Si concentra l’attenzione su quegli
ausili progettati per favorire il trasferimento da carrozzina a sedile d’auto che
comportino, per la loro installazione, un intervento il meno "invasivo" possibile per
l’autoveicolo, nell’ottica di evitare delle modifiche strutturali irreversibili, ottenendo
così una riduzione dei costi di installazione ed il mantenimento del valore
commerciale del veicolo in caso di vendita prima della fine del suo ciclo di vita. Non
verranno quindi di proposito considerati, ad esempio, i cosiddetti sistemi "up & go"
ovvero quegli adattamenti che permettono la salita direttamente in carrozzina
(solitamente elettrica), che richiedono, per la loro installazione, mezzi specifici come
minivan o pullmini e l’installazione di rampe motorizzate.
3.3.1 Maniglia rimovibile
Offre un supporto ed una presa per coloro che necessitano di un appoggio durante la
salita e la discesa dall’auto. È sufficiente inserirla nel nasone dell’autovettura,
impugnarla saldamente e scaricare il proprio peso su di essa (Figura 3-3).
Figura 3-3: Maniglia Handybar® (Kiwi®)
43
AUSILI ED ADATTAMENTI
3.3.2 Ribaltina manuale od elettrica
È stata progettata per creare un ponte di collegamento tra sedile dell’autovettura e
carrozzina, facilitando la salita e la discesa. Possono essere applicate su vetture a tre
o cinque porte, sia dal lato guida sia dal lato passeggero, senza alterane la struttura
generale e senza dover sostituire il sedile. La ribaltina manuale (Figura 3-4) è
disponibile in due versioni: il modello sfilabile, in cui il piano della ribaltina deve
essere sfilato durante il tragitto o posizionato in posizione verticale accanto al sedile,
e quello a scomparsa, dove il piano viene posizionato attraverso una rotazione di 90°
sul proprio asse, dietro al montante. Tale ausilio si rende necessario in quei casi in
cui la larghezza del montante laterale dell’autovettura risulta particolarmente elevata.
Figura 3-4: Ribaltina manuale (Kiwi®)
44
AUSILI ED ADATTAMENTI
La ribaltina elettrica (Figura 3-5) è indicata per la salita su veicoli, come fuoristrada e
monovolumi, in cui i sedili sono alti da terra: l’utilizzatore si sposta dalla carrozzina
al piano della ribaltina e questo, per mezzo di un motore elettrico, sale al livello del
sedile consentendone l’accesso.
Figura 3-5: Ribaltina elettrica (Kiwi®)
Viene anche detta verticalizzatore in quanto può permettere il passaggio da posizione
seduta a posizione eretta (Figura 3-6).
Figura 3-6: Verticalizatore
Il movimento di salita o di discesa è controllato da una pulsantiera o da un
interruttore. È dotata di un sistema di sicurezza che ne impedisce il funzionamento
quando la porta in corrispondenza della quale è stata installata è chiusa. Si arresta
automaticamente quando il piano è giunto alla fine della sua corsa o se un oggetto si
interponesse in essa. Entrambi i tipi di ribaltina hanno una portata di 150 kg.
3.3.3 Piastra girevole con avanzamento
Dispositivo costituito da una piastra girevole installata tra il sedile originale ed il
pianale del veicolo, utilizzando gli attacchi originali. Permette di far ruotare e
fuoriuscire il sedile per agevolare l’accesso al veicolo. Il movimento di rotazione si
effettua senza sforzo. Mantiene le guide di scorrimento e, nella maggior parte dei
casi, anche il sedile originale del veicolo. È consigliabile l’installazione su vetture a
tre porte od a cinque porte con dimensioni della portiera ampie (Figura 3-7).
45
AUSILI ED ADATTAMENTI
Figura 3-7: Piastra girevole con avanzamento (Handytech®)
3.3.4 Piastra girevole elettrica
Permette la salita e la discesa elettrificate, la rotazione del sedile manuale e lo
scorrimento manuale od elettrico del sedile. È installabile sul lato destro centrale od
anteriore ed è consigliata per monovolumi, S.U.V. e fuoristrada. Ha una capacità di
sollevamento di circa 110 kg ed in alcuni casi vi è la necessità di ricorrere ad un
sedile ribassato anatomico. Il sistema richiede lo scollegamento dell’airbag presente
sul sedile e dei sensori che lo collegano (Figura 3-8).
Figura 3-8: Piastra girevole elettrica (Handytech®)
46
AUSILI ED ADATTAMENTI
3.3.5 Gruetta solleva persone
È un dispositivo costituito da un braccio snodato di sollevamento e da una
imbragatura (a misura variabile) che consente di sollevare e spostare una persona
dalla carrozzina al sedile del veicolo. Funziona elettricamente e può essere azionato
direttamente dal portatore di handicap o dall’accompagnatore. È installabile sul lato
guida o passeggero; è smontabile e trasferibile su qualsiasi altro veicolo o nella
propria abitazione. Durante la guida può rimanere montato sulla propria staffa
oppure essere facilmente smontato (senza l’utilizzo di attrezzi) e sistemato nel
bagagliaio. È munito di sistema di sicurezza antischiacciamento. L’utilizzazione del
sollevatore con kit base mobile permette di effettuare i trasferimenti in differenti
ambienti o zone della casa. Il kit è smontabile e facilmente trasportabile in auto.
Inoltre, a richiesta, può essere fornita una serie di staffe murali più un trasformatore
per utilizzarlo nell’ambito dell’abitazione. Ha capacità di sollevamento di kg 110
(Figura 3-9).
Figura 3-9: Gruetta solleva persone (Handytech®)
3.3.6 Carrozzina autotraslante
Tale ausilio può essere installato in combinazione con la piastra girevole (sia
manuale che elettrica) a seconda del tipo di autovettura. È costituito da una base per
carrozzina manuale e da un sedile anatomico ribassato (Figura 3-13) che viene usato
sia all’interno che all’esterno della vettura. Attraverso una serie di semplici
operazioni manuali è possibile far scorrere il sedile, con il passeggero seduto sopra di
esso, dalla base della carrozzina in vettura fino a raggiungere la posizione del
passeggero e viceversa, utilizzando una piastra meccanica con un’apposita slitta. È
47
AUSILI ED ADATTAMENTI
quindi possibile stare sempre seduti sullo stesso sedile, sia all’interno della vettura
che all’esterno. Può essere installato su vetture a 3 porte e su monovolumi (con
portiere scorrevoli).
Figura 3-10: Rotazione della piastra fino alla fuoriuscita dall'abitacolo
(Carony®, AutoAdapt®)
Figura 3-11: Aggancio della base della carrozzina alla piastra girevole ed
ingresso sedile (Carony®, AutoAdapt®)
Figura 3-12: Sganciamento della base della carrozzina dalla piastra girevole e
rotazione del sedile all'interno dell'abitacolo(Carony®, AutoAdapt®)
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AUSILI ED ADATTAMENTI
Figura 3-13: Sedile anatomico ribassato (BEV-SEAT® AutoAdapt®)
La base della carrozzina può essere alzata od abbassata di 11,5 cm per raggiungere il
livello della piastra girevole installata in auto o per raggiungere punti particolarmente
alti in casa (Carony 24”, 12” e Carony Kids). Se questa opzione non è necessaria, è
disponibile una versione con base fissa (Carony Fixed).
Tabella 3-2: Dati tecnici Carony® AutoAdapt®
3.4 CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA SCELTA DELL’AUSILIO
Come si è potuto osservare da questa breve rassegna, molti sono i fattori da tenere in
considerazione per la scelta dell’ausilio e sarebbe consigliabile, per una persona
disabile che presenta esigenze specifiche in funzione della disabilità e delle capacità
residue, variabili da caso a caso, la consultazione di uno o più installatori prima
dell’acquisto di una nuova autovettura, dal momento che non su tutte le autovetture è
possibile installare lo stesso ausilio od apportare le medesime modifiche (come, ad
esempio, la modifica delle cerniere delle portiere per permettere un angolo di
apertura maggiore). Riassumendo, i principali fattori di cui tener conto sono:
• l’altezza da terra di autovettura e sedile;
49
AUSILI ED ADATTAMENTI
•
la larghezza del montante laterale (e conseguente distanza del sedile dalla
carrozzina);
• la forma e l’inclinazione del montante laterale;
• il numero delle portiere (essendo ovviamente la larghezza del foro d’entrata
maggiore nel caso di vettura a tre porte).
Le varie case produttrici od i rivenditori di ausili forniscono agli installatori delle
apposite tabelle nelle quali, in funzione dell’ausilio da installare e del modello di
autovettura, viene data una votazione (basata sull’esperienza) sulla bontà e facilità di
montaggio (Tabella 3-3) e si specificano le misurazioni da effettuare per
l’installazione (Figura 3-14).
Tabella 3-3: Catalogazione autovetture in funzione dell’ausilio da installare
(Mobility-trend®)
50
AUSILI ED ADATTAMENTI
Figura 3-14: Misure da rilevare per l’installazione (Mobility-trend®)
3.5 ALCUNI SISTEMI BREVETTATI
Vediamo ora alcuni brevetti da cui gli ausili presenti attualmente in commercio
hanno tratto origine:
3.5.1 Apparato per la movimentazione di una carrozzina verso
l’interno e l’esterno di un’automobile [Lanier J., 1985]
L’apparecchio comprende un supporto per sedia a rotelle fissato al tetto interno
dell’automobile, posteriormente al sedile del conducente. Il supporto può essere
mosso generalmente di lato verso l’interno e verso l’esterno dell’automobile quando
la porta del guidatore è aperta e presenta degli strumenti alla sua estremità esterna
per l’aggancio ed il sollevamento della sedia a rotelle. Quando la persona disabile si
avvicina all’automobile in sedia a rotelle, apre la porta del conducente, avvicina la
carrozzina all’auto e posiziona se stesso sul sedile del conducente. Successivamente,
egli utilizza appositi comandi sul cruscotto per estendere lateralmente verso l’esterno
51
AUSILI ED ADATTAMENTI
dell’auto il supporto per la sedia a rotelle. I mezzi di sollevamento all’estremità del
supporto sono quindi collegati alla sedia a rotelle ed i comandi sul cruscotto sono
nuovamente azionati per spostare i mezzi di sollevamento verso l’alto, piegando e
sollevando la sedia a rotelle, e poi per spostare il supporto lateralmente all’interno
per caricare la carrozzina nella parte posteriore dell’automobile, dietro al guidatore.
Figura 3-15: Movimentazione carrozzina
Figura 3-16: Imbarco carrozzina
3.5.2 Apparato per il trasferimento di disabili [Sumrall J.L., 1992]
È un dispositivo mobile di carico e di sollevamento per portatori di handicap, con
ruote montate su di una base a forma di U. Un paio di barre di sollevamento formano
una forcella di sostegno (montata ad angolo retto sulla base) e sono sollevabili
verticalmente dalla base. La forcella di sostegno è sollevata od abbassata con una
manovella meccanica. Un cuscino imbottito usato sotto la persona disabile sulla
sedia a rotelle o sul sedile dell’automobile è collegato alla forcella sollevatrice con
cinghie che l’agganciano alla barra di sollevamento. La forcella prevede un ulteriore
sostegno alla persona disabile che deve essere posizionato a livello del torace.
L’intero apparato è assemblato con componenti impilati, che sono tenuti insieme
dalla gravità, e possono essere facilmente montati e smontati per favorire la
movimentazione ed il deposito.
Figura 3-17: Dispositivo di carico
52
AUSILI ED ADATTAMENTI
3.5.3 Sedile d’automobile per disabili [Zalewski W., 1992]
Il sedile comprende un cuscino fisso più lontano dalla portiera ed un cuscino di
trasporto accanto alla portiera. Il componente mobile è limitato nel movimento da
una guida a cremagliera tra una posizione retratta ed una posizione estesa. Il
componente mobile, quando si trova in posizione estesa, si trova sotto e verso
l’esterno rispetto la sua posizione retratta. Il cuscino mobile è controllato da un
sistema operativo che include un attuatore manuale per la movimentazione tra la
posizione retratta e la posizione estesa ed è sotto costante controllo manuale.
L’attuatore è accessibile per un costante controllo manuale su di un manubrio che si
muove con il cuscino di trasporto.
Figura 3-18: Sedile per disabili
3.5.4 Sedia a rotelle smontabile [Chung Tien-Tung, Su Yun-Chin,
Huang Chun-Shuo, 2007]
La sedia a rotelle è composto da un sedile, da un telaio per la ruota destra e da un
telaio per la ruota sinistra (Figura 3-19).
Figura 3-19: Sedia a rotelle smontabile
53
AUSILI ED ADATTAMENTI
Il sedile è composto da un telaio e dal cuscino. Due alberi cavi ed un dado di
fissaggio sono installati a sinistra ed a destra del telaio del sedile rispettivamente.
Due alberi di posizionamento ed un bullone di fissaggio sono disposti sulle ruote di
destra e di sinistra rispettivamente. Gli alberi di posizionamento sui telai delle ruote
vengono inseriti negli alberi cavi nel telaio del sedile e le viti vengono avvitate nei
dadi.
3.5.5 Autoveicolo adattato per guidatori disabili [Todd R.E., 1984]
Un’automobile è stata adattata per consentire ad una persona disabile un veloce
ingresso ed uscita dal veicolo, da o verso la sua sedia a rotelle, ed anche per
consentire l’imbarco della sedia a rotelle piegata a bordo del veicolo. L’adattamento
consiste nell’installazione di un sedile che può essere spostato da una posizione
normale, all’interno del veicolo, ad una posizione traslata lateralmente verso
l’esterno del veicolo, grazie al quale la persona disabile può facilmente spostarsi
dalla sua sedia a rotelle al sedile e viceversa. È compresa anche la fornitura di mezzi
di immagazzinamento sul lato interno della porta adiacente al sedile, grazie ai quali
la sedia a rotelle piegata può essere posizionata e fissata tra la porta ed il sedile.
Figura 3-20: Scorrimento del sedile verso l'esterno
Figura 3-21: Imbarco carrozzina sulla portiera
54
AUSILI ED ADATTAMENTI
3.5.6 Meccanismo di rotazione per sedile d’automobile [Chung
Tien-Tung, Shen Hsiu-Chu, 2006]
Comprende una base per il sedile, una piastra scorrevole, una piastra rotante, una
piastra elettrica, un asse che definisce un asse di rotazione ed un perno cilindrico. La
piastra scorrevole è collocata all’interno dell’auto, consentendo all’estremità
superiore del perno cilindrico di essere posizionata all’uscita della guida elettrica,
permettendo inoltre la rotazione fuori dalla porta dell’auto e facendo scorrere il perno
cilindrico nella guida elettrica. Grazie al percorso definito dalla guida elettrica, che
caratterizza il moto del perno cilindrico, la piastra rotante non solo ruota sull’asse,
ma guida anche l’asse in avanti. Dopo aver applicato un adeguato grado di moto, la
piastra rotante fuoriesce di una piccola quantità dall’auto, mentre un movimento
opposto permette alla piastra rotante di ritornare al punto iniziale.
Figura 3-22: Meccanismo di rotazione per sedile d’automobile
3.5.7 Sedile girevole per autoveicolo [Yundt N.K., KinKaid D.,
2000]
Il sedile girevole comprende una parte interna rotante ed una parte fissa esterna che
circonda la parte interna. Preferibilmente, la parte interna è leggermente più alta della
parte esterna circostante tanto quanto basta per permettere la rotazione libera della
parte centrale.
55
AUSILI ED ADATTAMENTI
Figura 3-23: Sedile girevole
3.5.8 Trasporto di disabili o di persone invalide [Southward L.B.,
Simpson C.J., Tumbridge C.R., 1979]
Si riferisce ad un mezzo di trasporto per disabili o persone invalide e comprende un
sedile che può essere agganciato ad una base dotata di ruote ed essere quindi usato
come una sedia a rotelle, oppure essere agganciato ad una base di supporto su
un’automobile, per essere usato come un sedile d’auto (Figura 3-24).
Figura 3-24: Sistema di trasporto per disabili
56
AUSILI ED ADATTAMENTI
La base con ruote è staccabile e ripiegabile per l’imbarco ed il trasporto ed il veicolo
è provvisto di un supporto rigido con parti mobili che si fissano al sedile, per
permettere l’ingresso e l’uscita dall’automobile del sedile e della persona seduta su di
esso quando il sedile è staccato dalla base con ruote.
3.6 ALCUNE RICERCHE E STUDI
La maggior parte degli ausili visti sin qui si prestano all’utilizzo essenzialmente di
persone che hanno una buona capacità residua di tronco ed arti superiori
(paraplegici). Nel caso tale capacità residua non sia presente, ovvero per i
tetraplegici, l’accesso all’autoveicolo è subordinato ad un aiuto da parte di un’altra
persona (essi devono essere letteralmente spostati di peso dalla carrozzina al sedile
dell’auto; in questa fase, umiliante e talvolta pericolosa, sono completamente
dipendenti dall’accompagnatore e perdono gran parte della conseguita autonomia),
oppure richiede mezzi specifici profondamente modificati ed adattati (con
conseguente aumento dei costi). Vale la pena qui di segnalare due studi compiuti dai
ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università degli studi di
Brescia [Cambiaghi et al., 2002], che hanno come obiettivo quello di permettere al
disabile tetraplegico di entrare ed uscire da un automezzo seduto sulla propria
carrozzina in maniera autonoma e sicura. Il primo progetto, denominato TeDriS,
riguarda lo studio di un servo-meccanismo atto ad "agganciare" la carrozzina e
trasferirla, con la persona, al posto guida od al posto passeggero anteriore di un’auto
monovolume in commercio (Megan Scenic di Renault®) ponendo così al centro
dell’attenzione gli interventi da operarsi sull’assetto della carrozzina e lasciando di
fatto inalterata l’autovettura. Alle difficoltà intrinseche del passaggio in autovettura
(ingombri, accessibilità "anello porta", spazi interni che limitano la mobilità, ecc.),
va aggiunto il fatto che la massima autonomia e comfort per il disabile tetraplegico si
verifica quando lo stesso si trova sulla propria carrozzina. Lo studio, dopo aver
affrontato e risolto i principali problemi funzionali in modo innovativo, sfruttando
tecniche di simulazione tridimensionale (che hanno consentito di by-passare una fase
di costruzione di modelli fisici, solitamente lunga ed onerosa, Figura 3-25), è
proseguito con la prima stesura del progetto esecutivo del servomeccanismo e della
carrozzina, nonché con la definizione delle modalità operative di impiego del
dispositivo.
Figura 3-25: Immagini dal simulatore 3D, soluzione servoassistita [Cambiaghi et
al., 2002]
57
AUSILI ED ADATTAMENTI
Sono state quindi eseguite delle simulazioni di traiettorie di ingresso, predisposti
modelli numerici per l’analisi strutturale della carrozzina in condizioni di carico
differenti da quelle tipiche e verifiche delle parti critiche del servomeccanismo di
sollevamento e dell’interfaccia con la carrozzina.
Il sistema, costituito essenzialmente da un sollevatore meccanico (Figura 3-26) che
realizza una opportuna traiettoria e da una carrozzina modificata, sembra rispondere
pienamente alle specifiche prefissate e, stanti le esaustive e severe verifiche sul
modello virtuale, è apparso realizzabile e funzionante. L’Università di Brescia ha
proceduto alla copertura brevettuale dello stesso.
Figura 3-26: Servomeccanismo sollevatore [Cambiaghi et al., 2002]
Figura 3-27: Sequenza d’ingresso al posto guida [Cambiaghi et al., 2002]
Gli unici interventi, peraltro reversibili, al telaio del veicolo sono: l’aumento
dell’angolo di apertura della portiera e la motorizzazione dell’apertura della portiera
(solo versione guidatore). Tale soluzione, già nella versione prototipo, costa meno
delle attuali soluzioni, che tentano, senza riuscirvi, di effettuare lo stesso tipo di
servizio.
A fianco del progetto TeDris, che si propone di risolvere il problema utilizzando una
vettura commerciale con modifiche modeste e reversibili, allo scopo di ottenere
evidenti vantaggi di economia ed affidabilità, si è voluto esplorare anche l’ipotesi di
un veicolo progettato appositamente, ovviamente puntando su una soluzione meno
58
AUSILI ED ADATTAMENTI
complessa rispetto ad una vettura tradizionale. Allo scopo sono stati posti dei vincoli
progettuali complementari rispetto ai precedenti:
• carrozzina di tipo qualsiasi;
• dispositivo di caricamento estremamente semplice, possibilmente assente;
• vettura da costruire intorno all’interfaccia uomo-macchina (accesso,
ancoraggio, controllo del mezzo).
La soluzione che ne è derivata, denominata progetto MarGO, è anch’essa
complementare: il veicolo è adatto a spostamenti brevi con frequenti soste (si è
sfruttata la normativa meno vincolante in termini di omologazione che regolamenta i
veicoli con propulsore aventi potenza fino a 4 kW).
Figura 3-28: Sequenza d'accesso progetto MarGo [Cambiaghi et al., 2002]
Il sistema di accesso e di ancoraggio è costituito dai seguenti elementi:
• una barra : è un profilato tubolare a forma di "U". La barra ha due scopi:
occupare area parcheggio nella zona retrostante per evitare che qualcuno
parcheggi troppo vicino; proteggere il guidatore in carrozzina durante le fasi
di salita e discesa in cui è più vulnerabile;
• una pedana/pavimento abbassabile: il disabile può avere difficoltà a superare
(a forza di braccia) il dislivello dal piano terra al pianale del veicolo. Per
ovviare a questo problema è stato disegnato un meccanismo che consente di
abbassare una porzione del pianale fino al livello dal suolo: la carrozzina vi
sale e poi il piano si rialza fungendo da sollevatore (Figura 3-29);
Figura 3-29: Pedana abbassabile [Cambiaghi et al., 2002]
59
AUSILI ED ADATTAMENTI
•
•
•
•
60
la motorizzazione del portellone: questo componente è necessario perché per
il guidatore in carrozzina è praticamente impossibile chiudere
autonomamente il portellone;
cinture autobloccanti: sono normali cinture di sicurezza, del tipo presente su
tutte le vetture commerciali; l’accesso da dietro consente di lasciarle
permanentemente allacciate;
il blocco per la carrozzina: il bloccaggio della carrozzina viene realizzato
nella fase di salita della pedana/pavimento abbassabile;
un appoggiatesta: è fissato al portellone.
Capitolo 4
TECNICHE PER L’ANALISI DEL
MOVIMENTO
4.1 INTRODUZIONE
Lo studio multifattoriale del movimento umano rappresenta un campo in recente e
rapida espansione grazie allo sviluppo tecnologico che ha portato alla costruzione di
nuovi strumenti più sofisticati. Essi permettono di affrontare il tema avendo a
disposizione un più ampio set di misure e di parametri che descrivono la funzionalità
e le performance del movimento. Parallelamente devono essere sviluppate opportune
metodologie e modelli per una completa analisi dei fenomeni misurati.
Il movimento è un modo dell’uomo di rapportarsi con lo spazio circostante: è la
realizzazione ciclica o transiente di uno specifico compito. Inoltre, molteplici
movimenti, soprattutto a livello involontario (ad esempio la respirazione o la
contrazione del muscolo cardiaco), sono alla base di funzioni vitali dell’organismo. È
possibile, infatti, classificare i movimenti in due classi: volontari ed involontari. In
particolare, il movimento umano volontario rappresenta il prodotto di una complessa
elaborazione da parte del sistema nervoso centrale, il quale genera una serie di
comandi che vengono inviati al sistema effettore lungo le vie efferenti del sistema
nervoso periferico. Il sistema effettore è costituito dall’apparato muscolo-scheletrico,
comprendendo anche i tendini ed i legamenti presenti nelle diverse articolazioni. Non
deve essere dimenticato anche il ruolo fondamentale del sistema sensoriale, il quale
fornisce al sistema nervoso centrale le informazioni riguardanti lo stato del sistema
biomeccanico nel suo complesso (integrazione sensori-motoria).
Il movimento volontario differisce dal movimento riflesso (o automatico) per diversi
aspetti. In primo luogo, il movimento volontario è finalizzato all’ottenimento di un
risultato intenzionale. Il sistema motorio può utilizzare diverse strategie per
raggiungere lo stesso scopo. Alcuni autori definiscono questa flessibilità
"equivalenza motoria" della strategia [Pedotti et al., l989]. In secondo luogo,
l’esecuzione di un movimento volontario migliora con l’esperienza e
l’apprendimento. La contrazione muscolare coinvolta durante la ripetizione di
movimenti diventa più efficiente, il livello di attività muscolare ed i tempi di
esecuzione del movimento diminuiscono.
Il livello esecutivo comprende gli attuatori muscolari che, agendo sul sistema
meccanico costituito dal complesso scheletrico, consentono la realizzazione del
movimento secondo modalità derivanti dalle caratteristiche del comando nervoso
proveniente dai centri nervosi superiori. Un complesso insieme di recettori (gli
organi tendinei del Golgi, i fusi muscolari ed i sistemi sensoriali) consente il
controllo del movimento secondo una modalità ad anello chiuso (Figura 4-1).
La biomeccanica rappresenta l’applicazione dell’approccio classico delle leggi della
meccanica allo studio di sistemi aventi la caratteristica specifica di essere vivi o di
appartenere ad "organismi viventi".
61
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Figura 4-1: Organizzazione ad anello chiuso del movimento volontario
Dal punto di vista meccanico, il sistema corpo umano, che integra una catena
articolata (il sistema scheletrico), il sistema effettore (i muscoli), ed il sistema di
controllo (il sistema nervoso centrale e periferico), presenta le seguenti
caratteristiche:
• ha un numero ridondante di gradi di libertà, ovvero è un sistema che può
permettere l’esecuzione di uno stesso gesto attraverso un numero infinito di
soluzioni cinematiche differenti fra loro; questa è la caratteristica che
identifica la proprietà dell’equivalenza motoria delle diverse strategie di
movimento;
• è un sistema non lineare;
• è un sistema tempo-variante, con costanti di tempo diverse e correlate, ad
esempio, all’età (che determina una lenta variazione delle caratteristiche del
sistema), alla patologia (progressiva o di origine traumatica),
all’apprendimento, all’allenamento ed all’affaticamento (che agisce nel breve
termine);
• è un sistema sensorizzato e retroazionato, ovvero che realizza l’integrazione
sensori-motoria per il controllo del movimento; i sensori sono le specifiche
strutture anatomiche dislocate nei diversi distretti del sistema biomeccanico.
Il fattore antropometrico rappresenta un altro importante parametro che influenza la
determinazione del movimento e che si va a sommare alle caratteristiche che
descrivono le condizioni del sistema muscolo-scheletrico (in termini di abilità del
controllo, stato di affaticamento, e presenza di fattori patologici, ovvero i fattori che
determinano la tempo-varianza del sistema).
L’antropometria, ovvero l’insieme delle misure lineari del corpo umano, consente di
definire un modello "interno", propiocettivo, del corpo ed in funzione di questo
influenza l’ampiezza angolare del movimento articolare per la realizzazione del
compito motorio richiesto. Inoltre, la singola realizzazione di un movimento è
caratterizzata da una variabilità intra-individuale con caratteristiche stocastiche,
ovvero un movimento non viene mai replicato perfettamente uguale a se stesso da
parte del medesimo individuo pur in situazioni costanti [Rabuffetti et al., 1995].
La variabilità inter-individuale, invece, che si traduce nella possibilità di adottare
diverse strategie motorie per uno stesso gesto da parte di soggetti differenti, è
62
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
espressione sia della ridondanza del sistema biomeccanico sia delle diversità o
peculiarità individuali delle modalità di organizzazione del movimento e dello stato
del sistema [Pedotti e Crenna, 1990; Rabuffetti et al., 1996].
Infine, sulla determinazione del movimento, agiscono i vincoli: essi possono essere
classificati in due categorie: vincoli interni e vincoli esterni [Andreoni et al., 1997]. I
vincoli interni sono costituiti da strutture anatomiche che limitano il movimento:
appartengono a tale classe i legamenti delle articolazioni nonché le coppie di muscoli
agonisti-antagonisti, o strutture ossee delle articolazioni (ad esempio le faccette
articolari delle vertebre); tali elementi permettono il movimento solo in determinati
intervalli articolari (Range of Motion). I vincoli esterni sono elementi dell’ambiente
in cui si svolge il movimento e che rappresentano ostacoli a questo.
4.2 LO
STUDIO
DEL
BIOMECCANICO
MOVIMENTO
E
L’APPROCCIO
Lo studio del movimento si fonda sulla determinazione delle sue variabili
cinematiche, dinamiche, fisiologiche ed anatomiche. L’analisi biomeccanica
rappresenta un approccio possibile per la quantificazione di variabili associate alla
funzione motoria, alla fisiologia del movimento ed all’anatomia del sistema motorio:
essa richiede una fase sperimentale di misura che viene eseguita direttamente sul
soggetto in esame, ed una fase di elaborazione del dato sperimentale attraverso la
definizione e l’applicazione di opportuni modelli per l’estrazione di variabili e
parametri descrittivi di movimento che non sono direttamente misurabili [Biondi,
1984]. Il protocollo sperimentale di misura deve essere definito in funzione di alcune
caratteristiche generali:
• in primo luogo, nell’ambito dello studio del movimento umano è da
privilegiarsi la scelta di una misura di tipo non invasivo (in senso più ampio
rispetto al significato utilizzato in medicina) e priva di artefatti od
interferenze con fattori esterni che modifichino le caratteristiche del moto;
con ciò si intende che la misura non deve alterare artificiosamente
l’esecuzione del movimento inficiandone la significatività o la naturalità;
• la registrazione può essere continua nel tempo durante l’esecuzione del
movimento, oppure segmentata sulla base dell’occorrenza di specifici eventi
di carattere fisiologico piuttosto che funzionale;
• il protocollo sperimentale può concentrarsi su singoli aspetti del movimento
oppure integrare la misura di grandezze diverse e di diversa natura (analisi
multifattoriale);
• in ogni caso il protocollo sperimentale deve essere riproducibile e garantire la
ripetibilità della misura.
Le fasi per la determinazione di un protocollo di analisi sono:
• identificazione e definizione dello specifico compito richiesto (movimento
semplice o complesso, isolato o ciclico, di interazione con l’ambiente od
oggetti o che prevede l’utilizzo di ausili);
• individuazione delle grandezze fisiche che quantificano l’oggetto di interesse;
• definizione del setup sperimentale per l’analisi del movimento, ovvero la
63
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
migliore disposizione dei sensori e dei sistemi di misura per la rilevazione
delle grandezze di interesse;
• definizione del paradigma sperimentale, ovvero dell’attività sperimentale da
eseguirsi durante l’esame del soggetto, mediante l’identificazione dei
parametri ambientali variabili, delle perturbazioni da apportare in sequenza al
protocollo, nonché dell’utilizzo di eventuali ausili alternativi;
• definizione del modello associato alle variabili, per il loro calcolo e la loro
interpretazione anatomo-funzionale (ad esempio il modello per il calcolo di
angoli anatomici).
I protocolli sperimentali possono presentare una oggettiva semplicità, che implica
una relativa facilità di impiego ed una certa velocità per l’acquisizione,
l’elaborazione e la rappresentazione dei dati, caratteristiche che possono portare
anche ad una rapida e, per certi versi, facile interpretazione dei dati stessi. In questo
caso, non viene richiesta una particolare abilità dell’operatore che esegue la misura,
viene ridotto il coinvolgimento del paziente nell’attività di acquisizione dei dati in
termini di tempo e di impegno psicofisico, i risultati sono rapidamente a disposizione
e ciò consente una immediata interpretazione e decisione diagnostico-riabilitativa.
D’altro canto, i dati così ottenibili potrebbero non garantire una completa descrizione
del fenomeno di interesse ed oggetto dell’analisi. Si deve perciò ricorrere a protocolli
più complessi. In questa eventualità, la completezza e la multifattorialità dell’analisi
consente una più precisa ed approfondita analisi a discapito dei tempi di
acquisizione, elaborazione ed interpretazione dei dati che risultano essere più dilatati
e richiedono la presenza di operatori esperti sia per la fase di misura che di
discussione dei risultati.
4.3 MISURE SPERIMENTALI PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Come si è visto, il movimento si compone di diversi fattori: cinematici, dinamici,
elettromiografici. L’analisi del movimento può contemplare la misura di tutte queste
variabili, in funzione degli strumenti di cui si dispone.
4.3.1 Misure cinematiche
Per analisi quantitativa della cinematica si intende il rilievo e l’elaborazione
numerica delle grandezze che definiscono il movimento dello spazio dei segmenti
corporei. Esistono diversi strumenti che permettono la rilevazione di grandezze
cinematiche ma sicuramente il ruolo di maggior importanza è assolto dai sistemi
optoelettronici che registrano le coordinate spaziali di particolari oggetti, detti
marcatori, mediante l’elaborazione in tempo reale delle immagini provenienti da un
sistema di telecamere. I marcatori vengono disposti in selezionati punti anatomici del
corpo in modo da poter essere rilevati e che siano significativi ai fini dell’analisi.
L’applicazione di algoritmi di stereofotogrammetria rende possibile il calcolo delle
coordinate tridimensionali partendo dal dato 2D di almeno una coppia di telecamere
opportunamente orientate e calibrate sul campo di ripresa. Tra i sistemi basati su tale
metodologia, un ruolo di preminenza è assunto dal sistema ELITE (Elaboratore di
Immagine Televisive), sviluppato nei primi anni ‘80 presso il Centro di
Bioingegneria di Milano [Ferrigno e Pedotti, 1985; Pedotti et al., 1990; Ferrigno et
64
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
al., l990].
Il dato ottenuto da ELITE consiste nella traiettoria nello spazio tridimensionale di
marcatori riconosciuti automaticamente dal sistema e posizionati su punti anatomici
significativi. Tali marcatori sono sfere o semisfere di plastica ricoperte di carta
catarifrangente ed aventi il diametro variabile da pochi millimetri ad 1-2 centimetri
in funzione della dimensione del campo di ripresa (che è variabile dalla decina di
centimetri a diversi metri) e dell’applicazione (movimento in esame e distretti
anatomici interessati). Sono marcatori di tipo passivo, che cioè utilizzano una
sorgente di energia esterna per la loro rilevazione: nel caso specifico tali marcatori
riflettono l’energia luminosa nel campo dell’infrarosso ed emessa da corone di LED
(flash) la cui accensione viene opportunamente sincronizzata con il tempo di
campionamento del sensore. I sensori del sistema sono un set di telecamere con
sensori allo stato solido del tipo a scorrimento di carica (CCD) con frequenza di
campionamento di 100 Hz (o superiori) e che sono sensibili alle frequenze
elettromagnetiche dell’infrarosso. Tale frequenza di campionamento garantisce la
corretta acquisizione dei dati relativi al movimento umano, il cui contenuto in
frequenza è nell’ordine della decina di Hz (più alto nel caso di gesto sportivo). Il
flash infrarosso è posto in corrispondenza dell’obiettivo e sincronizzato con
l’otturatore elettronico delle telecamere stesse, e garantisce che i riflessi che
provengono dai marcatori siano caratterizzati da un livello di luminosità elevato.
L’utilizzo di marcatori passivi è di particolare importanza per l’analisi di movimenti
naturali dell’uomo, in quanto marcatori attivi comporterebbero la presenza di
ingombri (fili) che potrebbero alterare la naturalezza del movimento. Inoltre,
l’interferenza con i movimenti del soggetto risulta essere trascurabile grazie alle loro
ridotte dimensioni. Essi vengono fissati sulla pelle del soggetto con nastro biadesivo
biocompatile nei punti anatomici opportuni per l’analisi da eseguire. La forma sferica
dei marcatori conferisce alcuni ulteriori vantaggi quali l’invarianza dell’immagine e
la conservazione della simmetria dello stesso per rotazioni del marcatore rispetto alle
telecamere.
Da un punto di vista operativo, l’utilizzo del sistema ELITE necessita di una fase
preliminare di calibrazione. Tale operazione utilizza un oggetto tridimensionale con
una distribuzione spaziale di marcatori disposti a distanze reciproche fisse e note, e
consente di ottenere i coefficienti del sistema di riferimento delle telecamere rispetto
a quello del laboratorio ed i coefficienti di distorsione associati all’ottica delle
telecamere. Questi coefficienti sono fondamentali per l’applicazione delle tecniche
stereofotogrammetriche di ricostruzione della posizione dei marcatori. Il primo step
nel processo di misura della posizione dei marcatori consiste nel riconoscimento
della presenza di un marcatore nel campo di ripresa della singola telecamera. Un
algoritmo implementato nell’hardware riconosce come marcatori soltanto aree di
luminosità elevata la cui forma sia correlabile alla maschera sferica predeterminata e
memorizzata nel sistema. Il riconoscimento della forma del marcatore non classifica
come marcatori aree dotate di luminosità elevata ma la cui forma non corrisponde a
quella attesa, impedendo l’interferenza da parte di sorgenti luminose spurie e
consentendo l’utilizzo del sistema all’aperto in presenza di luce naturale e non
controllata come in laboratorio. Le coordinate bidimensionali del baricentro dell’area
riconosciuta sono assunte come coordinate del marcatore nel sistema di riferimento
bidimensionale della telecamera. Questo step di elaborazione è realizzato via
hardware in tempo reale, per tutte le telecamere del sistema. La ricostruzione della
65
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
posizione di ogni singolo marcatore richiede che lo stesso sia visibile da almeno due
telecamere: la posizione delle singole telecamere in riferimento ad un sistema di
riferimento assoluto permette di applicare equazioni stereofotogrammetriche ed
ottenere le coordinate del punto stesso nel sistema di riferimento assoluto. La
precisione sperimentale del sistema è 1/3000 delle dimensioni del campo di ripresa:
ipotizzando un volume calibrato, ovvero uno spazio in cui è possibile la rilevazione
di marcatori da parte delle telecamere, di 1 m di lato, la posizione di un punto è
ottenuta con uno scarto inferiore ai 0,4 mm.
Un altro sistema optocinetico è il sistema ACMOTION, realizzato presso
l’Università degli Studi di Udine, di cui si parlerà esaurientemente più avanti essendo
stato il sistema adottato per l’analisi del movimento umano sviluppata nel presente
studio.
Ulteriori strumenti che consentono misure di grandezze cinematiche sono gli
accelerometri e gli elettrogoniometri. Entrambi sono strumenti che forniscono in
uscita un segnale elettrico analogico. Gli accelerometri sono degli strumenti che
permettono di misurare una eventuale accelerazione cui è sottoposto il corpo a cui
viene applicato. Sono costituiti da sistemi vibranti a cui vengono applicati trasduttori
di spostamento. Il tipo di trasduttore impiegato determina le caratteristiche, il
principio di funzionamento e la classificazione degli accelerometri. Su tale base si
distinguono infatti accelerometri piezoresistivi, piezoelettrici, induttivi e ad
estensimetri. Gli elettrogoniometri sono dispositivi che consentono di misurare lo
spostamento relativo tra due corpi (in genere vicini e connessi) nello spazio. Esistono
anche in questo caso diverse tipologie di elettrogoniometri sia in base al principio di
funzionamento del trasduttore impiegato che alle grandezze misurate: sono a
disposizione strumenti in grado di rilevare un solo grado di libertà (ovvero una
singola rotazione tra i due segmenti interessati) oppure tutti e 6 i gradi di libertà (3
traslazionali e 3 rotazionali) che definiscono la posizione del segmento distale
rispetto a quello prossimale.
4.3.2 Misure dinamiche
La dinamica articolare è descritta dal momento e dalla potenza meccaniche risultanti
in corrispondenza della singola articolazione, interpretabili come risultanti
dell’azione dei muscoli e, in alcune fasi, delle strutture legamentose, che equilibrano
le componenti dinamiche esterne di ordine gravitazionale ed inerziale. La stima di
tali variabili rappresenta il problema dinamico inverso, problema classico della
meccanica, che, data la cinematica di un sistema, caratterizzato nei suoi parametri
inerziali (masse, posizioni dei baricentri, assi principali di inerzia, momenti principali
di inerzia), calcola il sistema dinamico che la determina in relazione alle forze
esterne ed alle reazioni vincolari agenti e misurate. I dispositivi che consentono la
misura delle reazioni vincolari al terreno R, ovvero delle tre componenti di forza Rx,
Ry, e Rz e del momento torcente M, sono le piattaforme dinamometriche (dette anche
piattaforme di forza). Esse sono costituite da un piano rigido rettangolare sostenuto
in quattro punti (generalmente in prossimità dei quattro vertici) e dove vengono posti
gli elementi di trasduzione del segnale [Santambrogio et al., 1996]. I trasduttori
generalmente utilizzati sono celle di carico piezoelettriche o ad estensimetri, che
convertono in un segnale elettrico la grandezza meccanica forza (Figura 4-2).
66
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Figura 4-2: Piattaforma dinamometrica
4.3.3 Elettromiografia
L’elettromiografia (EMG) è l’analisi della funzione muscolare mediante la
rilevazione del segnale elettrico correlato alla contrazione muscolare. Essa può
riguardare sia lo studio del potenziale d’azione che viene originato a livello della
singola unità motoria, oppure, più generalmente e più comunemente usata, a livello
dell’intero muscolo. Il segnale elettrico che viene registrato, viene elaborato sia nel
dominio del tempo che delle frequenze per la correlazione delle grandezze ad esso
associate con i parametri cinematici e dinamici del movimento (presenza/assenza di
attività muscolare, stima della forza espressa dal muscolo durante la contrazione,
livello di affaticamento e correlazione con la frequenza del segnale EMG, eventuali
situazioni patologiche).
L’elettromiografia permette di registrare l’attività elettrica muscolare durante la
contrazione volontaria. In sintesi, il reclutamento dei gruppi muscolari avviene
attraverso la stimolazione elettrica delle fibre da parte del sistema nervoso centrale.
La sinapsi tra il motoneurone e la fibra muscolare presenta una regione specializzata
della membrana muscolare chiamata placca motrice. La stimolazione dell’assone
motore determina la liberazione di acetilcolina (ACh) che fa insorgere un potenziale
sinaptico eccitatorio chiamato potenziale di placca. Questo, a riposo, è negativo ma
grazie al rilascio del neurotrasmettitore passa a valori positivi consentendo un
passaggio di corrente determinato da un flusso ionico (Figura 4-3). Tale flusso di
corrente può essere studiato tramite la legge di Ohm:
(4.1) I EPSP = g EPSP ⋅ (Vm − E EPSP )
dove gEPSP rappresenta la conduttanza dei canali sinaptici, Vm è il potenziale di
membrana e EEPSP è il potenziale di equilibrio del potenziale sinaptico eccitatorio.
Tale corrente è realizzata dagli ioni sodio e potassio, dove i primi entrano nella
cellula mentre i secondi escono. Durante la diffusione del potenziale d’azione,
ciascuna placca motrice si comporta come un amplificatore che trasforma una
depolarizzazione, se questa supera un valore di soglia pari a 4-5 volte quello che
occorre per aprire un canale Na+, in un impulso di depolarizzazione di circa 100 mV
in 1 ms. Quando si registra il segnale elettromiografico non si esamina la contrazione
meccanica del muscolo ma solo l’evento che ne è la causa.
67
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Figura 4-3: Sinapsi tra motoneurone e fibra muscolare
Si possono distinguere due gruppi diversi di segnale elettromiografico: il segnale
prelevato in superficie e quello registrato in profondità:
• nell’elettromiografia di profondità il segnale elettrico muscolare viene
prelevato tramite elettrodi ad ago di vari tipi. Tale tipo di elettromiografia è
utilizzata prevalentemente a fini diagnostici ed è in grado di fornire
informazioni accurate sul funzionamento delle singole unità motorie data la
precisione con cui l’elettrodo sottocutaneo riesce a captare il segnale emesso.
Il segnale prelevato ha ampiezze che variano dai 20 ai 2000 µV e frequenze
comprese tra i 6 ed i 30 Hz;
• il segnale elettromiografico di superficie rappresenta la sovrapposizione dei
potenziali d’azione delle unità motorie che si attivano nel muscolo; quando si
parla di sovrapposizione, nel caso di segnale elettromiografico volontario, la
si deve intendere in termini di potenza. A causa dell’attivazione asincrona
delle unità motorie, il segnale elettromiografico volontario deve essere
considerato come un processo casuale, stocastico. Lo spettro di potenza può
essere valutato con errori di stima e risoluzione dipendenti dall’algoritmo
utilizzato e dal periodo di osservazione. Se l’attività muscolare è conseguente
a stimolazione elettrica del fascio nervoso che innerva il muscolo, dei punti
motori o delle fibre muscolari, la statistica di attivazione di ogni unità motoria
è identica per tutte le fibre muscolari, le quali pertanto vengono attivate in
modo sincrono. In questo caso, per sovrapposizione si deve intendere la
somma in ampiezza. Il segnale elettromiografico prodotto da stimolazione
elettrica, ha l’aspetto di un segnale periodico: lo spettro di potenza del
segnale è costituito dalle righe spettrali equispaziate, dove la distanza tra le
righe è pari alla frequenza di ripetizione del segnale. Lo studio del segnale
68
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
elettromiografico per contrazioni stimolate elettricamente si è dimostrato
particolarmente interessante in quanto prescinde dalla volontà o dalla
possibilità di collaborazione del soggetto testato e consente sia di studiare il
comportamento del muscolo fissandone in modo preciso la frequenza di
attivazione, sia di ottenere un segnale dotato di caratteristiche particolarmente
favorevoli all’applicazione di analisi spettrale. Gli elettrodi di superficie sono
delle piccole placchette di argento o di acciaio inossidabile che vengono poste
sopra il muscolo grazie ad un supporto adesivo. Un tipo di elettrodo molto
comune è quello di Argento-Cloruro di argento (Ag-AgCl), costituito da un
disco concavo dotato di una piccola apertura al centro attraverso la quale è
possibile inserire una pasta conduttrice.
4.4 ANALISI MEDIANTE MODELLI BIOMECCANICI
La biomeccanica affronta lo studio dell’interazione uomo-ambiente tramite lo
sviluppo di opportuni modelli (dell’uomo e dell’ambiente in cui esso opera). Il
modello è un tentativo di interpretare la realtà. Nel caso del movimento umano, il
modello interpreta la complessità dei fenomeni meccanici che avvengono nel sistema
attraverso l’analisi dei gradi di libertà che lo contraddistinguono.
Nel caso dell’analisi del movimento, il modello biomeccanico dell’uomo, senza
prendere in considerazione i dettagli della struttura anatomica ed i meccanismi
fisiologici dell’apparato motorio, rappresenta una copia semplificata dell’uomo, sulla
quale si possono studiare le caratteristiche del moto. Tale semplificazione, però, non
deve compromettere la possibilità e la capacità interpretativa della realtà stessa da
parte del modello. Questo significa che esso deve comunque permettere una
esauriente e precisa descrizione del sistema o fenomeno oggetto dello studio (il
movimento umano in questo caso) e non alterarne artificiosamente le caratteristiche
osservate nella realtà. A ciò si associa anche il concetto di applicabilità del modello,
ovvero il suo possibile utilizzo in un protocollo sperimentale fattibile con le
tecnologie a disposizione e che misuri efficacemente e con precisione il movimento.
Il principale vantaggio dell’utilizzo di modelli consiste nella possibilità del calcolo di
variabili e parametri che consentano una descrizione quantitativa di un fenomeno o
di un sistema, superando i limiti di un’analisi solamente di tipo qualitativo. Per far
questo essi devono contenere le variabili fondamentali per l’indagine. Il calcolo delle
grandezze cinematiche primitive (spostamenti) e derivate (velocità ed accelerazioni)
dei vari segmenti corporei durante il movimento, implica l’utilizzo di un modello
biomeccanico. Analogamente, gli aspetti energetici ed il calcolo di grandezze
derivate dalla cinematica o dalla cinetica del corpo umano (ad esempio centro di
massa corporeo) sono quantificabili grazie a modelli specifici di carattere
antropometrico che vengono affiancati al modello biomeccanico e lo vanno ad
integrare. In questo senso il modello è solo uno strumento della ricerca e non un fine
ultimo della ricerca stessa. In conclusione, la disponibilità di un modello
biomeccanico del sistema uomo consente l’analisi modellistica di certe funzionalità
dell’organismo umano, come ad esempio le funzionalità motorie. Questo permette
una quantificazione di aspetti più astratti legati all’esecuzione del movimento ed alla
sua interazione con l’ambiente circostante, nonché delle modificazioni che i diversi
fattori inducono sul movimento medesimo. Il modello del task motorio deve
69
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
provvedere una definizione univoca e significativa degli istanti di inizio e fine del
movimento. Ciò è soprattutto vero nel caso in cui il movimento considerato è
transiente e non ciclico. Un fenomeno transiente è infatti caratterizzato da una
indeterminazione dell’inizio e della fine, che spesso sono definiti in termini tanto
arbitrari quanto, peraltro, accettabili.
Il modello dell’ambiente è rappresentato dalla geometria dello spazio in cui il
movimento viene eseguito e vuole permettere la quantificazione dell’interazione tra
il soggetto e l’ambiente. Tale modellizzazione è realizzata mediante l’identificazione
di un set di elementi geometrici, caratteristici e influenzanti l’esecuzione del
movimento attraverso vincoli matematici, cioè piani, segmenti e punti non
penetrabili. Tali elementi sono valutati con la stessa metodologia di analisi
cinematica: marcatori passivi sono posizionati in punti univocamente identificabili e
acquisiti. La scelta del set di punti da acquisire è arbitraria e passibile di incrementi
di precisione qualora si incrementi il numero di punti da acquisire, soprattutto per
quegli elementi che sono caratterizzati da profili curvilinei.
4.4.1 Modello a segmenti rigidi del corpo umano
Il movimento umano è un movimento segmentario, ovvero che si realizza mediante il
moto relativo di segmenti corporei rispetto ad altri o di segmenti corporei rispetto
all’ambiente. Per il suo studio, in genere, viene adottato un modello biomeccanico a
corpi rigidi (cui corrispondono i vari distretti anatomici) collegati tra di loro da
cerniere ideali [Biondi, 1997]. Sotto tale ipotesi, il movimento del corpo viene
interpretato come il movimento dei segmenti scheletrici componenti il sistema ed il
sistema stesso è rappresentato da una serie di catene cinematiche connesse [Fioretti
et al., 1987].
Lo sviluppo del modello biomeccanico prevede le seguenti fasi:
• la schematizzazione del corpo come sistema di segmenti rigidi e
l’identificazione dei punti anatomici necessari a descrivere i gradi di libertà
dei suddetti segmenti;
• l’integrazione dei dati precedenti con parametri antropometrici;
• la stima della posizione dei punti interni corrispondenti ai punti anatomici
esternamente marcati;
• la definizione delle variabili associate al modello, cioè i centri di massa
parziali e totale e gli angoli.
Il primo passo da compiere è quindi costituito dalla scelta di quali e quanti segmenti
corporei devono essere considerati per la stesura di un modello rappresentativo del
sistema uomo. Ad esempio, il corpo umano può essere modellizzato come un insieme
di 16 segmenti anatomici funzionalmente identificabili. Essi sono:
• la testa;
• le braccia;
• gli avambracci;
• le mani;
• le cosce;
• le gambe;
70
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
• i piedi;
• la parte superiore del tronco (torace);
• la parte media del tronco (addome);
• la parte inferiore del tronco (bacino).
I segmenti sono considerati rigidi, ovvero le loro caratteristiche geometrico-inerziali
sono costanti, caratterizzati da 6 gradi di libertà ciascuno (sistema di corpi liberi) e
con caratteristiche inerziali a parametri concentrati, ovvero la massa è concentrata
nel baricentro del segmento stesso [Finzi, 1989]. L’identificazione di una serie di
punti riscontrabili sulla superficie esterna del corpo deve essere compatibile con tale
modellizzazione. La posizione di un segmento può essere identificata mediante la
misura dalla posizione di punti ad esso appartenenti. La scelta di un numero più o
meno alto di marcatori da utilizzare deve rappresentare un punto di equilibrio tra le
esigenze contrastanti rappresentate dalla completezza e dall’invasività e dalla
difficoltà tecnica della misura (rilevabilità dei punti da parte del sistema di misura).
Una rappresentazione ulteriormente semplificata del modello a corpi rigidi è
rappresentata dal modello a segmenti rigidi (Figura 4-4).
Figura 4-4: Modello cinematico a segmenti rigidi
In questo caso, ogni corpo rigido viene sostituito dal segmento congiungente le
adiacenti articolazioni distale e prossimale [Winter, 1990]. La modellazione a
segmenti rigidi riduce il problema dell’analisi del movimento umano all’analisi della
cinematica di un insieme di punti corrispondenti agli estremi dei segmenti rigidi
corrispondenti ai segmenti corporei. Anatomicamente, tali punti corrispondono ai
centri articolari. In tale modello si adottano cerniere sferiche per le spalle, le anche,
fra dodicesima vertebra toracica e prima sacrale e fra settima vertebra cervicale e
prima toracica, mentre si ricorre a cerniere assiali per gomiti e ginocchia. Poiché le
posizioni dei centri delle articolazioni tra segmenti corporei consecutivi sono
costituite da punti interni al corpo non direttamente misurabili, è necessario
introdurre una metodologia di stima delle posizioni di tali punti [Drillis e Contini,
1966]. Da un punto di vista metodologico, la ricostruzione delle posizioni dei centri
71
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
articolari consiste in una misurazione indiretta delle loro posizioni tramite la misura
della cinematica di altri punti (accessibili alla misura senza metodi invasivi, ovvero
punti di repere sulla superficie corporea, Figura 4-5).
Figura 4-5: Sistema di rilevamento antropometrico [Grieco e Masali, 1972]
Il problema si riduce quindi in primo luogo nella scelta del numero e della posizione
dei punti esterni da misurare per tale scopo e, in secondo luogo, nella conoscenza
della relazione spaziale geometrica tra i punti misurati ed i punti di interesse, cioè i
centri articolari e quelli di massa dei rispettivi distretti anatomici (modello
antropometrico).
4.5 DEFINIZIONE E CALCOLO DEL CENTRO DI MASSA
CORPOREO
Il modello antropometrico consente anche la determinazione dei baricentri dei singoli
distretti anatomici e globale. La posizione dei centri di massa dei singoli segmenti è,
secondo la totalità della letteratura, situata sull’asse longitudinale del segmento, a
distanze costanti dalle due estremità (Figura 4-4).
Dato un sistema, si definisce centro di massa (COM) del sistema un punto sul quale
l’azione di una forza pari alla somma delle forze esterne applicate al sistema
(risultante) produrrebbe un’accelerazione proporzionale alla massa totale del sistema
[Robertson, 1997]. Per tale motivo, il COM di un sistema può essere rappresentativo
del movimento di traslazione del sistema. Il COM non rappresenta una proprietà del
sistema in quanto immerso in un campo di forze, ma piuttosto rappresenta una
proprietà intrinseca del sistema, legata alla modalità di distribuzione delle masse
costituenti il sistema stesso. Nel caso in cui il sistema sia immerso in campo
gravitazionale, il COM coincide con il centro di applicazione delle forze
gravitazionali (centro di gravità) agenti sulla distribuzione di massa del sistema
[Cincera, 1997].
72
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Per un sistema di corpi rigidi (quale il modello biomeccanico sviluppato), di cui si
conoscano le posizioni dei relativi centri di massa, è possibile il calcolo del centro di
massa totale avendo a disposizione la massa dei singoli corpi [Nigg e Herzog, 1994].
Le masse, invece, devono essere stimate mediante equazioni di regressione che
tengano conto, in primo luogo, della massa totale del soggetto, e mediante dei fattori
correttivi, anche dell’altezza. Tali equazioni sono state riprese dal lavoro di
Zatsiorsky, già utilizzato nella definizione delle posizioni dei centri di massa locali. Il
calcolo della posizione del COM avviene secondo la formula classica per sistemi di
corpi rigidi:
r
n
r
(4.2) COM totale =
∑ m ⋅ COM
i =1
i
i
n
∑m
i =1
i
Nella quale:
r
• COM totale è il centro di massa del sistema;
•
•
n è il numero di corpi rigidi costituenti il sistema;
mi è la massa dell’i-esimo corpo costituente il sistema;
•
∑m
n
i =1
•
i
= M è la massa totale del sistema;
r
COM i è il centro di massa dell’i-esimo corpo costituente il sistema.
L’applicazione di tale relazione per il calcolo del COM del corpo umano riduce il
problema alla determinazione delle caratteristiche inerziali di ciascun segmento
corporeo [Zatsiorsky e Seluyanov, 1983; Pearsal et al., 1996], ovvero:
• determinazione delle masse di ciascun segmento corporeo;
• determinazione del centro di massa di ciascun segmento corporeo.
Il calcolo di tali parametri è stato realizzato da Zatsiorsky e Seluyanov attraverso
analisi diretta su cadavere [Zatsiorsky e Seluyanov, 1983]. In tali studi è stata presa
in considerazione un’ampia casistica di morfologie corporee (relativamente
all’altezza ed al peso della popolazione), che ha permesso di definire delle equazioni
di regressione, per la determinazione delle masse di ciascun segmento corporeo, e di
tabelle numeriche, per la determinazione dei rispettivi centri di massa. Le tabelle
forniscono degli indici che, unitamente a misure antropometriche rilevate
direttamente sul soggetto, consentono la determinazione indiretta dei centri di massa
in funzione della posizione di punti di repere esterni. Relativamente al calcolo delle
masse, l’equazione di regressione si presenta nella forma:
(4.3) M segmento = k1 + k 2 ⋅ MassaCorporea + k 3 ⋅ AltezzaCorporea
Dove k1 , k2 e k3 sono delle costanti dipendenti dal segmento considerato. Il risultato
a cui si perviene è illustrato in Figura 4-6:
73
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Figura 4-6: Pesi e disposizioni dei baricentri dei singoli segmenti corporei
4.6 DEFINIZIONE DI ANGOLO ANATOMICO ED ARTICOLARE
Come già accennato, ciascun segmento del modello biomeccanico viene supposto
essere un corpo rigido; pertanto esso risulta essere caratterizzato da sei gradi di
libertà (tre traslazionali e tre rotazionali). In questo caso, per la determinazione dello
stato di moto di ciascun segmento corporeo è indispensabile conoscere le funzioni
temporali associate a sei parametri che rappresentano i gradi di libertà del corpo. Il
modello del corpo umano presentato è meccanicamente rappresentato da un insieme
di catene cinematiche connesse. La presenza di una connessione tra due segmenti
anatomici adiacenti consente la riduzione dei tre gradi di libertà traslazionali del
segmento distale rispetto a quello prossimale per i due distretti anatomici interessati
dalla connessione (che viene quindi considerata un vincolo sul segmento adiacente).
Inoltre, la natura e la morfologia della connessione tra due segmenti corporei
adiacenti, può non permettere tutti e tre i gradi di libertà rotazionali del sistema
costituito dai due segmenti. Ad esempio, nel caso del corpo umano, tale situazione si
verifica in corrispondenza dell’articolazione del ginocchio che, in prima
approssimazione, consente un solo grado di libertà rotazionale (flesso-estensione)
relativo tra i segmenti corporei di coscia e gamba. Queste considerazioni rendono
possibile la semplificazione del protocollo sperimentale grazie alla riduzione del
modello biomeccanico adottato per l’analisi.
La modellazione biomeccanica dell’uomo come insieme di corpi rigidi collegati da
cerniere, consente la definizione di angoli anatomicamente significativi secondo le
74
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
regole della geometria spaziale. Tale definizione degli angoli che descrivono la
cinematica, si basa sull’identificazione di assi e/o sistemi di riferimento relativi ai
segmenti e caratterizzati da significatività anatomica. La possibilità di associare un
sistema di riferimento a ciascun segmento corporeo consente infatti di interpretare le
variazioni di orientamento reciproco tra due segmenti corporei come variazioni delle
orientazioni tra i due sistemi di riferimento rigidamente connessi con i segmenti
stessi. Considerati i gradi di libertà associati allo snodo ideale sferico con cui è stata
modellata l’articolazione, la determinazione delle orientazioni relative tra due
segmenti corporei adiacenti consiste nella determinazione di tre angoli corrispondenti
alla proiezione dell’angolo spaziale su tre piani tra di loro perpendicolari. La
convenzione per la scelta di questi tre piani è ovviamente arbitraria.
Una delle possibili convenzioni, frequentemente adottata nell’analisi biomeccanica di
posture o movimenti, è quella che consente un’interpretazione funzionale dei
risultati. Essa si basa su un sistema di riferimento anatomico che adotta i seguenti
piani (Figura 4-7):
• piano sagittale, corrispondente al piano che divide il corpo in parte destra e
sinistra, simmetriche tra di loro;
• piano frontale, corrispondente al piano che divide il corpo in parte anteriore e
in parte posteriore, passante per il centro di massa corporeo quando il corpo si
trovi in posizione eretta;
• piano trasversale, corrispondente al piano che divide il corpo in parte craniale
ed in parte caudale, passante per il centro di massa corporeo quando il corpo
si trovi in posizione eretta e perpendicolare ai due precedenti [Boccardi e
Lissoni, 1982; Winter, 1990].
Figura 4-7: Sistema di piani perpendicolari utilizzato per la definizione dei piani
di movimento di ciascuna articolazione [Winter, 1990]
Tali piani consentono la definizione degli angoli anatomici in modo funzionale, cioè
legati alla effettiva posizione reciproca dei segmenti corporei piuttosto che ad un loro
orientamento assoluto nello spazio. Le seguenti convenzioni possono essere adottate
per la definizione degli angoli:
75
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
•
relativamente a variazioni di angolo sul piano sagittale, si è in presenza di
flessione quando il movimento relativo tra due segmenti adiacenti
corrisponde ad un avvicinamento degli stessi, di estensione quando il
movimento tende viceversa ad allontanarli;
• relativamente a variazioni di angolo sul piano frontale, si è in presenza di
abduzione quando il segmento corporeo tende ad allontanarsi dal piano
sagittale, di adduzione quando viceversa tende ad avvicinarsi; per i segmenti
posti sull’asse mediano i termini abduzione e adduzione vengono sostituiti
con flessione laterale destra e sinistra;
• relativamente a variazioni di angolo sul piano trasversale, si è in presenza di
rotazione esterna quando il segmento corporeo tende a ruotare verso l’esterno
del corpo, di rotazione interna quando viceversa tende a ruotare verso
l’interno del corpo; per i segmenti posti sull’asse mediano si parla invece di
rotazione destra e sinistra.
La definizione degli angoli articolari richiede la definizione di sistemi di riferimento
rigidamente collegati a ciascun segmento corporeo, la scelta di una posizione
arbitraria di orientamento di segmenti adiacenti per la definizione di un valore di
riferimento (scelta dello zero) ed il calcolo della proiezione dell’angolo spaziale tra i
due segmenti adiacenti sui piani sagittale, frontale e trasversale [Winter, 1990]
tramite formule di trasformazione di due sistemi di riferimento [Craig, 1989; Grood e
Suntay, 1983; Legnani et al., 1996]. Come utilizzato nella robotica [Craig, 1989], la
descrizione della posizione e dell’orientamento nello spazio di un corpo rigido
rispetto ad un sistema di riferimento assoluto può essere esemplificata nella
determinazione di una trasformazione matriciale dal sistema di riferimento assoluto
ad un sistema di riferimento relativo rigidamente connesso al segmento rigido. La
trasformazione delle coordinate dal sistema di riferimento assoluto A al sistema di
riferimento relativo B: {A} ⇒ {B} avviene secondo la relazione:
(4.4) P B = P A • RBA
Dove:
• {A} rappresenta il sistema di riferimento assoluto;
• {B} rappresenta il sistema di riferimento relativo;
•
P A è il vettore posizione del punto P definito rispetto al sistema di
riferimento assoluto;
•
P B è il vettore posizione del punto P definito rispetto al sistema di
riferimento relativo;
•
RBA è la matrice quadrata (3x3) di rotazione, che definisce i parametri di
rotazione degli assi del sistema di riferimento relativo rigidamente collegato
al corpo rigido rispetto agli assi del sistema di riferimento assoluti:
 r11
RBA = r21
r31
76
r12
r22
r32
r13 
r23 
r33 
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Gli elementi rij della matrice di rotazione rappresentano i coseni direttori degli assi
del sistema di riferimento relativo rispetto al sistema di riferimento assoluto. Le
relazioni di dipendenza lineare tra i coseni direttori di una direzione e la mutua
ortogonalità degli assi del sistema di riferimento relativo, consentono di concludere
che la matrice di rotazione è costituita da tre elementi indipendenti, associabili a tre
parametri, arbitrariamente definibili, come ad esempio gli angoli di Eulero (l’angolo
di precessione φ, l’angolo di nutazione θ e l’angolo di rotazione propria ψ , Figura
4-8). Tali angoli definiscono una sequenza di tre rotazioni che consentono di
sovrapporre in direzione e verso gli assi del sistema di riferimento relativo agli assi
del sistema di riferimento assoluto.
Figura 4-8: Angoli di Eulero
Un secondo tipo di approccio è quello che utilizza gli angoli proiettivi, che cioè
vengono calcolati in riferimento al sistema dei piani anatomici prima definito.
4.7 MODELLAZIONE DEL MOVIMENTO: ISTANTI DI INIZIO E DI
FINE DELL’ATTO MOTORIO
L’analisi di un atto motorio richiede una univoca definizione del gesto, del suo
sviluppo temporale, inteso come istanti di inizio e fine. L’identificazione di un istante
iniziale o finale, presuppone che si abbia a priori la definizione di un evento
associato all’inizio, o fine, del movimento. Tale evento può essere di natura
fisiologica (ad esempio l’inizio di una attività elettrica in occasione della contrazione
muscolare) così come di natura funzionale, oppure l’occorrenza di un particolare
movimento, anche locale. L’identificazione di un evento fisiologico, rappresenta una
definizione più aderente alla reale effettuazione del movimento che non quanto
possibile con la seconda ipotesi. Esistono, però, notevoli differenze in ordine di
complessità di rilevazione ed anche di definizione precisa di quale evento dia inizio
al movimento. Per applicazioni in cui è accettabile una certa di arbitrarietà, a fronte
di una rilevante precisione e ripetibilità della misura, è opportuno identificare un
evento funzionale, ad esempio di tipo cinematico. In un movimento ciclico, come il
cammino, l’evento di inizio coincide con la fine ed è per sua natura arbitrario. In un
movimento transiente, tali eventi devono delimitare la fase funzionalmente
importante se non l’inizio e la fine veri dell’atto motorio stesso. Allo stesso modo,
qualora un movimento sia relativamente stereotipato, ad esempio per il cammino,
77
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
tale evento può riguardare un settore anche limitato dell’intero sistema in esame: nel
cammino tali eventi sono associati a movimenti del piede [Pedotti, 1977; Pedotti e
Frigo, 1992]. Quando il movimento non sia stereotipato, l’analisi di una o più
variabili cinematica permette di evitare situazioni di indeterminazione. Ad esempio,
nel caso considerato di accessibilità al veicolo, per un soggetto normodotato, la fase
motoria ha inizio e fine con la massima e la minima quota verticale del centro di
massa per la fase di ingresso, viceversa per la fase d’uscita.
4.8 IL SISTEMA ACMOTION
4.8.1 Generalità’
Il sistema ACMOTION è un sistema optocinetico realizzato in collaborazione col
laboratorio di meccanica funzionale dell’ospedale Gervasutta di Udine. Si tratta di un
software sviluppato in ambiente Matlab® per la comparazione e l’analisi di sequenze
di fotogrammi sia per l’analisi stereofotogrammetrica, sia per l’analisi di movimenti
svolti su un piano (2D).
Nel caso in esame è stata utilizzata una fotocamera digitale Panasonic® Lumix DMCFX01, in grado di registrare filmati con una frequenza di campionamento di 30
frame/secondo (con risoluzione 640×480 pixel). L’acquisizione delle immagini, nel
caso piano, deve avvenire con la fotocamera posta su di un piano normale rispetto al
piano del moto; ciò risulta necessario per non alterare le proporzioni fra i membri
interessati nel movimento che si vuole analizzare. La successiva scomposizione del
filmato nei frame costituenti, è stata eseguita tramite il software QuickTime™ PRO
(Apple Inc.), che permette di salvare i fotogrammi come immagini bitmap
(estensione *.bmp). La principale differenza rispetto ad apparati più sofisticati,
consiste nell’uso di marker costituiti da semplici sfere di polistirolo colorato. Le altre
tecnologie si avvalgono della facoltà, da parte delle telecamere, di percepire, con
tecniche complesse e delicate, spettri luminosi invisibili all’occhio umano. Questo
sistema si avvale invece dello stesso principio con cui il cervello riesce ad elaborare
le informazioni inviategli dall’occhio e che gli consente di distinguere i vari oggetti:
il colore. Grazie alla tecnologia digitale è infatti possibile rappresentare l’immagine
come un’insieme di pixel, a ciascuno dei quali è assegnata una tonalità di colore data
dalla combinazione di tre canali secondo il modello RGB. Dipingendo così i marker
di un colore particolarmente "brillante" e dotando il sistema di una serie di filtri, è
stato possibile metterlo in grado di distinguere i punti desiderati. Durante
l’elaborazione della prova l’operatore deve selezionare manualmente un pixel del
colore desiderato, zoomando un frame a scelta. In base a questa scelta vengono
riconosciuti una serie di punti che di solito è insufficiente per rappresentare i marker
nella loro interezza. Viene dunque richiesto di immettere un range per ciascuno dei
tre canali (rosso, verde, blu) in maniera da ampliare il numero dei pixel riconosciuti
(Figura 4-9). Un corretto settaggio del range consente di individuare in maniera
soddisfacente il marker in tutti i frame. Tale procedura consente di utilizzare marker
di qualunque colore, anche se sono preferibili tonalità di colori vicine ai
fondamentali, purché questo si distingua sufficientemente dallo "sfondo".
La capacità di riconoscere il marker in base al colore, rende possibile lo svolgimento
di acquisizioni optocinetiche in ambienti anche non controllati, dove un normale
78
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
sistema avrebbe problemi a causa dei riflessi o di un’illuminazione non appropriata.
Inoltre, vi è la possibilità di eseguire manualmente il riconoscimento dei marcatori in
quei frame dove il riconoscimento automatico non abbia avuto buon esito.
Figura 4-9: Visualizzazione dei pixel aventi il colore impostato nel range di
tolleranza, espresso dai tre valori del pannello a destra (Taratura del rosso, del
blu e del verde)
Bisogna anche considerare la scarsa versatilità dei programmi di analisi dei sistemi
commerciali, i quali sono realizzati per un protocollo specifico, ad esempio lo studio
del cammino, e non possono dunque essere utilizzati per altre prove. Viene dunque
meno la possibilità di poter eseguire analisi su prove diverse da quelle garantite dal
software, a meno di non sviluppare appositi algoritmi che possano trattare i file di
testo ottenibili da tali sistemi.
Un sistema optocinetico commerciale, inoltre, anche se composto da sole due
telecamere, richiede tempi di calibratura piuttosto lunghi prima di poter effettuare la
prova. L’utilizzo di ACMOTION consente invece di poter separare il momento
dell’acquisizione, che avviene solo tramite il posizionamento della/e fotocamera/e (in
base alle esigenze), più una breve acquisizione per la calibrazione, dal momento
dell’elaborazione.
Naturalmente il riconoscimento delle coordinate del marker risulta più impreciso,
poiché non tutti i pixel del marker vengono riconosciuti come appartenenti al range
dei tre canali di colore impostato. In questa maniera il baricentro del marker viene
calcolato su un gruppo di pixel che non presenta una forma circolare. Oltre agli errori
insiti nell’analisi optocinetica, viene dunque sovrapposto l’errore nel riconoscimento
del marker.
Tuttavia, la possibilità offerta da ACMOTION di svolgere prove in ambienti non
controllati, di poter effettuare un’analisi monoplanare e di poter gestire i dati
79
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
optocinetici, lo ha fatto preferire per eseguire lo studio di interesse.
Come già detto, la capacità del sistema di riconoscimento dei marker è ottenuta
mediante l’analisi in formato digitale di una serie di frame. Ciascun frame
rappresenta l’immagine della scena relativa ad un istante fissato. Poiché le immagini
sono in formato digitale, esse sono il risultato di un insieme di punti, od entità
fondamentali, detti pixel. Tali punti sono organizzati secondo una struttura di tipo
matriciale, dove ogni pixel è univocamente determinato dalla sua posizione a
seconda della riga e della colonna di appartenenza, all’interno dell’immagine stessa.
Ciascun pixel risulta in pratica un quadrato il quale, affiancato agli altri in maniera
ordinata, ricompone l’immagine. Ogni pixel deve essere caratterizzato da un colore
che deve essere identificato quantitativamente tramite uno dei modelli di colore
disponibili.
L’immagine digitale si basa dunque sul concetto di rasterizzazione, ovvero la
suddivisione mediante la scomposizione in pixel, più la rappresentazione cromatica
di ciascuno degli stessi. La risoluzione digitale viene comunemente indicata tramite
le dimensioni della griglia (ad esempio 640×480) più la bit depth, ovvero la quantità
di bit disponibili per la rappresentazione cromatica di ciascun pixel. Un’immagine in
bianco e nero può essere rappresentata da un solo bit, poiché il nero viene
rappresentato tramite il valore 0 ed il bianco tramite il valore 1.
La rappresentazione tramite scale di grigio avviene con l’utilizzo di 8 bit, attraverso i
quali si possono avere 28=256 sfumature di grigio.
La rappresentazione a colori è solo un’estensione del concetto espresso relativamente
alla scala dei grigi, infatti ciascun colore può essere rappresentato dalla somma di più
canali fondamentali, la composizione dei quali permette la ricostruzione del colore.
Ciascuno dei tre canali può essere rappresentato con un valore da 0 a 256 utilizzando
dunque 8 bit, pertanto con n canali, si avrà la necessità di nx8 bit per la
rappresentazione cromatica del pixel.
Tabella 4-1: Confronto fra vari metodi di rappresentazione del colore
Tipo di rappresentazione
Bianco e nero
Scala di grigio
Bicromia
Colore RGB
Colore CMYK
Bit depth
1 bit
8 bit
8 bit
24 bit
32 bit
Numero massimo colori
2
256
256
16.777.216
16.777.216
I canali colore fondamentali usati per la codifica variano a seconda del modello di
colore: il modello CMYK utilizza quattro canali (ciano C, magenta M, giallo Y e
nero K). Altro modello spesso utilizzato è l’HSB (tonalità H, saturazione S,
luminosità B) e le varianti HLS e VHS. In breve si può dire che la tonalità è il valore
che distingue il colore all’interno dello spettro luminoso, la saturazione indica la
presenza di purezza come assenza di bianco, mentre la luminosità è la brillantezza
dei pixel più chiari rispetto a quelli più scuri.
Il modello di colore utilizzato in ACMOTION è l’RGB, nel quale il colore di un
pixel è ricostruito tramite la sovrapposizione dei tre canali dei colori fondamentali:
80
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
verde, rosso e blu. Di ciascun canale viene fornito un valore relativo all’intensità ed
il colore viene ricostruito in maniera additiva sommando i tre canali.
Il modello RGB rappresenta dunque un pixel tramite una terna di valori, ciascuno dei
quali varia in un range da 0 a 256.
In questa maniera è possibile dunque confrontare il colore dei pixel tramite la terna
di valori e stabilire un range di tolleranza per ciascuno di essi. Nello specifico,
l’operatore per settare i valori apre un frame a scelta e, zoomando su di un marker, ne
stabilisce il colore cliccando su uno dei pixel appartenenti allo stesso. Scelta così la
terna di partenza, si può inserire il range di tolleranza per ciascun canale in maniera
da comprendere anche i colori simili a quello di partenza. Infatti l’immagine del
marker non avrà pixel dello stesso colore ma presenterà tonalità simili, poiché
saranno presenti ombreggiature o imperfezioni sulla superficie. L’operatore può
anche visualizzare il risultato tramite una schermata dove sono presenti solo i pixel
riconosciuti (attraverso il comando "Visualizza le macchie di colore", Figura 4-9).
Il procedimento è iterativo e, se i valori di tolleranza o la scelta del pixel iniziale non
portano ad un risultato soddisfacente, l’operatore può cambiare il settaggio per
evidenziare più pixel.
4.8.2 Il riconoscimento dei marker
ACMOTION implementa due funzioni differenti per poter stabilire se un insieme di
punti appartiene ad uno stesso marker od a marker separati, entrambe si basano su un
unico principio che è la distanza reciproca di due punti. Fissata la distanza minima
tra due punti in un frame, si può stabilire infatti il limite dmax al di sotto del quale due
pixel vengono considerati come appartenenti allo stesso marker. Tale parametro
discriminante è valutato cliccando sui due marker più vicini direttamente sullo
schermo.
Come detto, vi sono due diverse routine che corrispondono all’analisi del moto
localizzato e non, dove con moto localizzato si intende quel moto dove tutto il gesto
viene compiuto in uno spazio ristretto (come, ad esempio, la salita su di un
autoveicolo). Il cammino, per contro, può rientrare nella categoria dei moti non
localizzati poiché il gesto non è confinabile in uno spazio chiuso. In questi casi il
software memorizza le coordinate dei punti (relativi allo schermo) su una matrice e
ne calcola la distanza reciproca confrontandola con la dmax. Se la distanza fra due
punti risulta inferiore a tale parametro, significa che i due punti appartengono allo
stesso marcatore.
Nel caso di moto localizzato viene eseguita la verifica della distanza di tutti i pixel
rispetto al primo ritrovato. In questa maniera si ricostruisce un marcatore e il
procedimento riprende (senza analizzare i pixel già trattati) per l’individuazione del
marcatore successivo.
Riconosciuti tutti i marcatori tramite il ritrovamento dei pixel a loro appartenenti, si
procede all’analisi delle coordinate di ciascun marker. Per calcolare la posizione del
baricentro del marker viene eseguita la media aritmetica delle coordinate di ciascun
pixel appartenente al marker stesso.
Tale procedimento comporta però un errore rilevante, poiché la posizione del marker
viene definita dal baricentro dei pixel riconosciuti in base al colore, ma l’insieme dei
pixel usati non comprende la totalità di quelli dell’immagine del marker.
81
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Di conseguenza il baricentro del marcatore viene calcolato erroneamente rispetto alle
sue coordinate reali poiché non viene implementata la funzione di forma usata invece
nei sistemi optoelettronici commerciali. Tale errore si propagherà, amplificandosi,
nel calcolo delle velocità e delle accelerazioni con la derivazione nel tempo della
posizione.
Figura 4-10: Velocità ed accelerazioni. L'errore dato dal non perfetto
riconoscimento del baricentro del marker si traduce in un rumore sovrapposto
all’andamento della traiettoria nel tempo. Tale rumore viene amplificato nel
calcolo delle velocità (a sinistra) e delle accelerazioni (a destra)
Calcolate le coordinate dei marker in tutti i frame, il sistema ACMOTION procede al
riconoscimento fra i frame successivi dello stesso marker tramite il Tracking. Esso
viene realizzato in modo da calcolare la traiettoria in maniera approssimata di un
marker a partire dagli istanti in cui il marcatore è già stato "trackato” e riconoscendo
il marker che più si avvicina a tale traiettoria.
Anche qui il procedimento risulta estremamente semplificato e può capitare che il
procedimento automatico non abbia buon esito, scambiando i marker nei frame ove
le rispettive traiettorie si incrocino. Tale problema è comunque comune agli apparati
più sofisticati dove i filtri per il tracking, pur risultando estremamente complessi
(sistema ELITE), non sempre sono in grado di gestire un gran numero di marcatori.
Il parametro fondamentale per evitare tali problematiche risulta la frequenza di
acquisizione della fotocamera. Minore è il tempo che intercorre tra due frame
successivi, più vicino si troverà il marker alla posizione assunta precedentemente e le
traiettorie risulteranno più "pulite". ACMOTION lavora con frequenze a 30 Hz che
risultano adeguate per movimenti relativamente lenti ed uniformi.
Per rimediare ai problemi che possono sorgere sia nel riconoscimento dei marcatori,
sia nel processo di trackaggio, è possibile effettuare la correzione con la ricerca
manuale. Essa consente di poter correggere gli eventuali errori dati dal processo di
elaborazione automatica o di poter analizzare tutti i frame in maniera manuale,
cliccando frame per frame la posizione dei marcatori secondo la topologia del
protocollo. Tramite la ricerca manuale si può inoltre determinare la posizione dei
marcatori che in alcuni frame possono essere nascosti al campo visivo della
telecamera.
La possibilità di riparare ai problemi esposti in maniera diretta, andando a modificare
i frame dove si sia riscontrato un errore, è una potenzialità che i normali sistemi
82
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
optoelettronici non posseggono e, insieme alla minore sensibilità ai problemi dei
riflessi e della rigidità del protocollo di posizionamento dei marker, ha permesso lo
svolgimento di prove prima non effettuate.
4.8.3 L’analisi bidimensionale e tridimensionale
ACMOTION è in grado di svolgere prove optocinetiche sia monoplanari che
tridimensionali. Nel primo caso è possibile analizzare in maniera semplificata alcuni
gesti che si svolgono in maniera planare andando a riprendere l’evento in modo che
il piano in esame risulti perpendicolare all’asse focale della telecamera.
Naturalmente, nel caso di analisi bidimensionale, i segmenti possono essere
rappresentati tramite due soli marker. Inoltre, poiché ACMOTION non possiede
alcun algoritmo per il ritrovamento dei centri di istantanea rotazione, è necessario
andare ad individuare le articolazioni corporee con i marker, posizionando questi
ultimi secondo i principi dell’anatomia per individuare a monte le cerniere attorno
alle quali ruoteranno i segmenti rigidi.
Nel caso di analisi tridimensionale è necessaria l’acquisizione di un breve filmato per
poter eseguire la calibrazione del sistema.
Di seguito verranno esposte le possibili analisi che si possono operare nel caso
bidimensionale di nostro interesse.
4.8.3.1 Ricostruzione topologica
La topologia è il concetto su cui si basa la gestione dell’allocazione dei marker
rintracciati. In particolare una corretta ricostruzione topologica permette di
identificare l’ordine logico dei marcatori in maniera da identificare i segmenti
corporei in maniera corretta.
Infatti, fissata la topologia durante tutti i frame in maniera corretta, è possibile
definire l’i-esimo segmento come il segmento identificato dai marker i e i+1. In tale
maniera non è necessario procedere ad un procedimento di "labellizzazione" poiché i
segmenti sono già identificati dalla topologia dei marker.
Inoltre, l’identificazione di ciascun segmento come "l’asta" compresa fra due
marcatori successivi, permette di poter generalizzare l’analisi a più prove diverse fra
loro senza la necessità di un software dedicato ad un solo tipo di gesto. Naturalmente
il concetto di ricostruzione topologica risulta strettamente legato al procedimento di
tracking: determinato infatti l’ordine logico dei marcatori nel primo frame, il
procedimento di tracking permette di ricostruire automaticamente l’ordine dei
marcatori nei frame successivi. In questa maniera saranno correttamente riconosciuti
anche i segmenti lungo tutta la durata del movimento.
4.8.3.2 Scalatura
Dopo aver acquisito il filmato, è necessario introdurre il fattore di scala per passare
dalle coordinate locali dei marker, espresse in pixel, alle coordinate spaziali espresse
invece in centimetri. Finora infatti tutti i marker sono stati trattati come insieme di
pixel di cui si è calcolato il baricentro nelle coordinate relative al piano di ripresa
della telecamera. Tutte le distanze sono dunque state espresse in pixel.
Per passare ai centimetri, e perciò alle coordinate spaziali, alla fine dell’acquisizione
è necessario inserire la lunghezza della distanza del primo segmento determinato dai
marker 1 e 2 (il software richiede espressamente: "Inserisci la lunghezza del primo
83
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
membro in cm"). Per passare da coordinate locali a coordinate globali basterà
moltiplicare tutte le coordinate per il fattore f dato da:
(4.5) f =
[(x − x )
2
1
2
l1
+ ( y1 − y 2 )
2
]
dove l1 è la lunghezza (in cm) del primo segmento richiesta alla fine del trackaggio,
mentre al denominatore viene calcolata la stessa lunghezza in pixel a partire dalle
coordinate locali dei due marcatori.
4.8.3.3 Correzione dei punti
L’acquisizione automatica delle coordinate dei marker è spesso imperfetta, in
analogia a quanto succede anche con i sistemi optocinetici più sofisticati. Il problema
più comune infatti risulta una imperfezione nel calcolo del baricentro del marker
dovuta, come si è già detto, al mancato riconoscimento di tutti i pixel appartenenti
all’immagine del marcatore stesso.
Tale problema, il più delle volte, non risulta percepibile poiché comporta uno
spostamento del marker di pochi millimetri rispetto al baricentro della sua immagine,
né vi è possibilità di andare a correggere tale errore manualmente senza il rischio di
commetterne uno di ordine confrontabile o addirittura superiore ad esso.
Oltre a questa tipologia di problemi, esistono tutta una serie di imperfezioni nella
ricostruzione del gesto che assumono, invece, proporzioni ben maggiori ma che
possono essere corrette facilmente.
In particolare gli errori che si manifestano possono essere:
1. associazione di due marker diversi come unico, data dalla distanza
ravvicinata raggiunta in un determinato istante;
2. errata ricostruzione topologica dei marcatori dovuta ad un errore di
trackaggio;
3. mancato o erroneo riconoscimento del marker;
4. impossibilità di ricostruire un marcatore che viene nascosto alla vista della
telecamera.
Tali errori sono comuni a tutti gli apparati optocinetici ed ogni sistema ha sviluppato
dei metodi diversi per risolvere tali problematiche. Nessun sistema consente però,
con l’eccezione di ACMOTION, di andare a correggere tali problemi in maniera
interattiva. Aprendo il frame in cui si è verificato l’errore, è possibile infatti
procedere all’acquisizione manuale delle coordinate dei marker andando a cliccare
sui punti desiderati nell’ordine giusto.
Il procedimento di correzione manuale può risultare laborioso ma permette di
rimediare a questi problemi che risultano il più delle volte insormontabili
nell’utilizzo dei sistemi optoelettronici commerciali.
4.8.3.4 Stick Diagram e visualizzazione del filmato
Con questa funzione è possibile visualizzare tutte le posizioni assunte dai segmenti
durante il moto tramite la visualizzazione sovrapposta delle configurazioni.
Tale analisi risulta di carattere estremamente qualitativo ma permette una prima
84
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
veloce valutazione degli aspetti salienti del gesto (Figura 4-11).
Figura 4-11: Stick Diagram
Della stessa natura risulta la visualizzazione del filmato, con la quale viene
visualizzato frame per frame la posizione dei marker e dei segmenti (Figura 4-12).
Figura 4-12: Visualizzazione di un frame del filmato ricostruito da ACMOTION
Tale analisi può inoltre essere usata subito dopo il tracking per valutare se e dove vi
siano stati problemi nella ricostruzione del gesto.
85
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
4.8.3.5 Traiettoria dei marker
Con tale funzione di ACMOTION è possibile visualizzare la traiettoria di ciascun
marker (Figura 4-13).
Figura 4-13: Traiettoria di un singolo marker
Tale analisi è estremamente utile per valutare alcuni aspetti salienti del moto, quali la
regolarità. L’accesso all’autoveicolo è un gesto che chi è abituato a svolgere ha
imparato ad ottimizzare. Ciascuno sviluppa delle strategie motorie proprie per poter
compiere il gesto nella maniera che a lui pare più conveniente. Anche nel caso di un
soggetto patologico, quale può essere un para o tetraplegico, è necessario valutare
che livello di recupero di funzionalità vi è stata dell’arto superiore nei vari gesti.
Un parametro di questo recupero può essere dato dalla regolarità con la quale viene
compiuto il gesto, che indica appunto lo sviluppo e l’ottimizzazione intrinseca di una
strategia motoria. L’analisi delle traiettorie consente anche di poter valutare la bontà
di tali strategie in maniera da poterle correggere là dove vi siano dei problemi
individuati dal medico.
Oltre alla semplice visualizzazione della traiettoria del punto nel piano, è possibile
"svolgere" il moto nel tempo, ottenendo così una visione tridimensionale che
permette di poter visualizzare il frame relativo ad una posizione assunta dal marker
(Figura 4-14).
Infine, è possibile calcolare lo scostamento massimo di ciascun punto in maniera da
visualizzare il valore massimo e minimo assunto da ciascuna coordinata ed il valor
medio calcolato tramite una media algebrica.
86
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Figura 4-14: Svolgimento della traiettoria del marker lungo l’asse del tempo
4.8.3.6 Analisi degli angoli
Con questa funzione è possibile svolgere un’analisi in perfetta analogia a quanto
illustrato relativamente ai sistemi optoelettronici commerciali. Inoltre, con
ACMOTION, è possibile visualizzare l’andamento angolare assoluto di ciascun
segmento. L’analisi degli angoli è dunque gestita da due funzioni diverse chiamate:
1. "Angolo di un membro";
2. "Angolo fra due membri".
La prima di queste consente la visualizzazione nel tempo dell’inclinazione assunta
dal membro durante il gesto rispetto all’asse delle ascisse. Tale analisi è svolta
dall’operatore atan2 con il quale è possibile ritrovare l’angolo a partire dalle
coordinate dei due marcatori che identificano il segmento:
 Y −Y
(4.6) α i = arctan 2 i +1 i
 X i +1 − X i



L’utilizzo dell’operatore atan avrebbe causato problemi di segno ma atan2 è in grado
di ricostruire il segno dell’angolo a partire dallo studio dei segni dell’argomento.
Rimane il problema del moto di un segmento che oltrepassi il valore critico di 180°.
In tal caso tale segmento passerà da valori di –180° a +180° o viceversa, a seconda
del segno della velocità angolare.
87
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Figura 4-15: Angolo assoluto di un membro
La funzione "Angolo fra due membri" consente invece di poter visualizzare
l’andamento dell’angolo relativo fra due membri contigui. Tale funzione è svolta
implementando il teorema del coseno. Se a, b e c sono i lati del triangolo, in cui a e b
sono i segmenti in esame e α è l’angolo opposto a c, ovvero l’angolo relativo fra i
segmenti, risulta:
(4.7) c 2 = a 2 + b 2 − ab cos(α )
Esplicitando α si ottiene:
(4.8) α = arccos
a2 + b2 − c2
ab
che permette di calcolare l’angolo relativo fra i segmenti in tutti i frame.
Si svolge un’analisi bidimensionale ma ciò è necessario per poter visualizzare gli
angoli di un qualunque sistema di segmenti in moto. L’analisi tridimensionale
richiederebbe infatti la definizione di un sistema di riferimento locale per ciascuna
giuntura, in maniera da poter identificare gli angoli in ragione del sistema di
riferimento stabilito. Tale procedura risulta estremamente complicata e necessita
dunque di un software dedicato che non può generalizzare l’analisi a un tipo di prova
al di fuori del protocollo per il quale il software è stato progettato.
L’analisi bidimensionale, invece, permette il trattamento dei dati in maniera
estremamente semplice, consentendo un’analisi di qualunque prova purché il moto
sia il più planare possibile.
88
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
Figura 4-16: Angolo relativo tra due membri
4.8.3.7 Analisi di velocità e accelerazioni
Il calcolo delle velocità e delle accelerazioni è fondamentale per un sistema
optocinetico. Solitamente i software commerciali svolgono tale analisi ma non
forniscono i risultati intermedi. La cinematica dell’evento è dunque fondamentale per
la ricostruzione delle forze in gioco, ma può fornire già da se un efficiente metodo
per l’analisi del gesto.
Il calcolo delle velocità e delle accelerazioni comportano naturalmente un processo
di derivazione dei dati optocinetici, a meno di non poter ottenere misure dirette
grazie all’uso di accelerometri. ACMOTION consente di poter compiere due analisi
diverse, sia per il calcolo delle velocità che delle accelerazioni, a seconda che si
voglia analizzare un moto di traslazione od un moto di rotazione. In particolare il
primo consente l’analisi delle velocità e delle accelerazioni relativamente a un
marker mentre il secondo valuta le velocità e le accelerazioni angolari di un
segmento.
Tutti i processi di derivazione implementati si basano su un calcolo delle derivate
desiderate tramite un metodo alle differenze finite. Risulta così:
(4.9) v =
ds ∆s
≈
dt ∆t
(4.10) a =
dv ∆v
≈
dt ∆t
per il moto di traslazione del marker, mentre per la rotazione di un segmento:
89
TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO
(4.11) ω =
dθ ∆θ
≈
∆t
dt
(4.12) α =
dω ∆ω
=
dt
∆t
con naturale significato delle grandezze espresse. Naturalmente ∆t risulta l’inverso
della frequenza di acquisizione della fotocamera, ovvero 0,033 s (30 Hz).
Figura 4-17: Velocità ed accelerazione angolare: è visibile come il rumore dato
dal cattivo riconoscimento del baricentro del marker venga amplificato nel
processo di derivazione
Il maggiore problema risulta il fenomeno di amplificazione del rumore nel processo
di derivazione (Figura 4-17).
90
Capitolo 5
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
5.1 GENERALITÀ
Anche se raggiungere un livello ottimale di indipendenza durante il trasferimento da
carrozzina a sedile d’autoveicolo è un punto cruciale per individui con lesioni al
midollo spinale, ben poco è noto dei requisiti cinematici di questa attività funzionale.
Mediamente un individuo mieloleso compie dai 14 ai 18 trasferimenti di seduta al
giorno [Gagnon et al., 2008] e, spesso, incontra molte differenze tra la superficie di
partenza e quella di destinazione. Fisioterapisti e terapisti occupazionali spesso si
concentrano, specialmente durante il periodo iniziale di riabilitazione, sullo sviluppo
dell’abilità di compiere il trasferimento con il minimo o nessun tipo di assistenza.
5.2 IL TRASFERIMENTO E LE SUE FASI
Nel seguito si riprendono alcune considerazioni dello studio eseguito da Gagnon et
al. (2008) che è servito come punto di partenza e riferimento per le analisi svolte. In
tale studio viene esaminato, tramite indagine optocinetica, il trasferimento di dieci
soggetti con lesioni al midollo spinale da una seduta di partenza, posta ad un’altezza
di 50 cm (corrispondente al piano di seduta di una normale carrozzina), verso una
seduta posta rispettivamente alla stessa altezza di quella di partenza, ad un’altezza
inferiore (40 cm) ed infine ad un’altezza superiore (60 cm). Per ulteriori dettagli si
rimanda alla pubblicazione sopra citata.
Presentando il caso di soggetti tetraplegici problematiche maggiori, come già
illustrato nei capitoli precedenti, nel seguito della trattazione considereremo il
trasferimento di soggetti paraplegici che hanno mantenuto una buona capacità
residua del tronco e degli arti superiori. Tuttavia, nel corso dell’attività sperimentale,
sono stati acquisiti dati anche per alcuni soggetti tetraplegici, che però devono essere
considerati come dei casi particolari.
All’inizio del trasferimento, il soggetto cerca di avvicinarsi quanto più possibile al
sedile dell’autoveicolo e si posiziona lateralmente ad esso. Avanza con il corpo,
rimanendo seduto sulla carrozzina (preventivamente bloccata), fino al bordo
anteriore di quest’ultima e da questo punto, dall’analisi dei casi considerati e dei
filmati acquisiti, possono venir impiegate principalmente due diverse tecniche:
• Appoggia i piedi sul terreno (Figura 5-1) o li lascia sulle pedane della carrozzina,
posizionando le mani su superfici d’appoggio stabili sull’autoveicolo e
preparandosi così per il trasferimento vero e proprio. Con questa tecnica viene
introdotto nell’abitacolo prima il tronco e poi gli arti inferiori (Figura 5-2). In tale
modo il peso corporeo viene scaricato, attraverso gli arti inferiori, verso il
terreno.
• Introduce prima le gambe e poi il tronco, caricando, in tale modo, l’intero peso
sulle articolazioni superiori che risultano ovviamente più sollecitate rispetto al
91
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
caso precedente (Figura 5-3).
Figura 5-1: Fasi di caricamento sugli arti inferiori e di alzata
Figura 5-2: Fasi di rotazione e salita
Figura 5-3: Introduzione degli arti inferiori e successivamente del tronco
92
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Tale classificazione risulta tuttavia solo indicativa, variando le diverse tecniche da
soggetto a soggetto, in funzione di capacità residua (in particolare della capacità di
raggiungere la stazione eretta o meno), allenamento ed età.
Un discorso a parte va poi fatto per i tipi di presa con le mani che si sono osservati
nei casi esaminati. La mano che viene posizionata per prima sull’autoveicolo (mano
destra nel caso del lato guida), viene chiamata nel seguito mano d’appoggio (leading
upper extremity), mentre la mano che poggia sulla carrozzina è denominata mano di
spinta (trailing upper extremity). I tipi di presa della mano d’appoggio possono
essere in basso, direttamente sul sedile dell’autoveicolo, od in alto. In quest’ultimo
caso la presa può avvenire o sulle maniglie interne fissate sul montante (se presenti, a
seconda del veicolo) oppure direttamente sul montante esterno (Figura 5-4).
Figura 5-4: Presa sul montante esterno
Da questa posizione iniziale, in genere, la testa e le spalle vengono spostate in avanti
e ruotate leggermente verso l’esterno del veicolo, mentre contemporaneamente si
introduce la parte inferiore del tronco che ruota dalla parte opposta rispetto al capo.
Una volta raggiunto il sedile, il carico sostenuto dagli arti superiori rapidamente
diminuisce in quanto la maggior parte del peso corporeo è spostato verso i glutei
(Figura 5-3).
Da quanto sopra esposto, possiamo per semplicità suddividere ogni trasferimento in
tre fasi (Gagnon et al., 2008, Figura 5-5):
a) Pre-alzata (pre-lift).
b) Alzata e rotazione (lift and pivot).
c) Seduta (post lift).
93
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Figura 5-5: Fasi del trasferimento [Gagnon et al., 2008]
La fase durante la quale i glutei non sostengono il peso (fase di ascensione) è la più
impegnativa per entrambi gli arti superiori. In questa fase infatti essi devono
sostenere contemporaneamente la maggior parte del peso del corpo, ovvero del
contributo dovuto agli spostamenti di testa, tronco ed estremità inferiori. Inoltre, a
loro è demandato il compito di assicurare la stabilità dinamica posturale.
La combinazione di tutti questi fattori possono spiegare il motivo della frequente
insorgenza di dolori alle spalle legati appunto all’attività di trasferimento.
Anche nel caso di soggetto sano l’accessibilità al veicolo può essere suddivisa in 3
fasi distinte:
a) Preparazione all’ingresso mediante l’introduzione nell’abitacolo dell’arto
inferiore destro (lato guida); l’arto inferiore sinistro assume così la funzione
portante di supporto del corpo. Il centro di gravità totale del corpo è soggetto
ad un innalzamento verticale causato dal sollevamento della gamba e della
coscia sinistra.
b) Abbassamento e traslazione del centro di massa del corpo mediante flessione
del tronco rispetto all’anca e flessione delle ginocchia, in particolare di quello
sinistro che svolge la funzione di supporto del corpo e che con la gamba
destra controlla la caduta sul sedile. Questa fase termina con l’appoggio sul
sedile.
c) Conclusione del movimento con l’estensione del tronco a raggiungere una
posizione di appoggio sullo schienale e con l’introduzione dell’arto inferiore
sinistro nell’abitacolo; il recupero della gamba sinistra con la sua
introduzione nell’abitacolo produce un movimento verso l’alto e diretto
all’interno del veicolo del centro di massa totale.
Tali considerazioni sono state fatte poiché gli spazi disponibili per eseguire tale gesto
(angolo di apertura , spazio "anello porta", ecc.), nel caso di individuo sano e di
soggetto mieloleso risultano equipollenti e pertanto è ragionevole fare un raffronto,
almeno qualitativo, tra i due casi.
94
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Nel caso di individui con lesioni al midollo spinale, gli aspetti esaminati (ovvero le
differenti altezze della seduta di destinazione rispetto a quella di partenza) e le
considerazioni fatte nella pubblicazione sopra indicata, possono valere anche nel
nostro caso. Infatti, nonostante al giorno d’oggi su quasi tutti i modelli di autoveicoli
presenti sul mercato si possa regolare abbastanza agevolmente ed in un range
relativamente ampio l’altezza del sedile, non sempre le due superfici risultano alla
stessa altezza e ciò, da quanto emerso dalle interviste fatte ai soggetti esaminati, è
risultato essere un problema (che può portare anche alla necessità di sostituzione del
veicolo o di cambiamento di tipologia dello stesso), soprattutto con l’avanzare
dell’età o con un peggioramento della patologia.
Nello studio eseguito da Gagnon, sono stati considerati dei soggetti ad almeno 2 anni
dal trauma, capaci di effettuare il trasferimento autonomamente (non vi è presente
cioè nessun tipo di assistenza fisica o tecnica), che utilizzano quotidianamente questo
tipo di trasferimento e con nessun segno e sintomo di menomazioni muscoloscheletriche al tronco ed agli arti superiori che possano alterare l’abilità al
trasferimento. I soggetti interessati hanno usato le loro normali tecniche di
trasferimento, specialmente in termini di ampiezza dei movimenti e velocità.
Eseguendo un’analisi optocinetica e registrando le forze verticali con dei trasduttori
di forza montati sotto i sedili strumentati, è stato determinato l’inizio e la fine della
fase di alzata e rotazione del trasferimento.
Le posizioni dei marcatori sono state convalidate dalla verifica degli spostamenti
iniziale e finale del centro di massa del bacino. L’inizio della fase di pre-alzata è stato
determinato dall’inizio della fase di accelerazione dei segmenti della testa e del
tronco, che hanno preceduto la fase di alzata e rotazione; la fine della fase di seduta è
confermata dalla fine della decelerazione di questi due segmenti. Lo spostamento
angolare ed i dati di velocità sono stati tempo-normalizzati su 100 punti rilevati per
fase, per un totale di 300 punti rilevati per il trasferimento completo. Le curve medie
per ogni partecipante sono state ottenute da una serie di tre prove di trasferimento. Le
curve medie globali sono state poi calcolate facendo la media di tutte le medie
individuali per un determinato trasferimento. Lo spostamento angolare ed i profili di
velocità sono stati documentati per il tronco e per le articolazioni di spalla, gomito e
polso in tutte le fasi di trasferimento e per tutti i trasferimenti effettuati (Figura 5-6 e
Figura 5-7). Anche se si sono osservati spostamenti e velocità angolari simili per le
tre altezze considerate, sono risultate delle differenze nelle ampiezze.
La maggior parte dei più ampi e più veloci movimenti si osservano durante la fase di
alzata e rotazione del trasferimento, come previsto. In media, la durata totale dei
trasferimenti è stata di 2,8 s, 2,6 s e 2,7 s rispettivamente per sedile posto a 40, 50 e
60 cm. I corrispondenti valori di durata per la sola fase di alzata e rotazione sono
stati: 1,2 s, 1,0 s e 1,3 s. All’inizio del trasferimento si osserva una flessione ed
un’abduzione della spalla, una leggera flessione del gomito ed un’estensione del
polso dal lato dell’arto d’appoggio (leading U/E), mentre il lato dell’arto di spinta
(trailing U/E) è caratterizzato da una posizione quasi neutrale della spalla, da una
flessione del gomito e da un’estensione del polso. Il tronco, in questo momento, è
mantenuto in una posizione flessa. Da questa posizione iniziale, la flessione del
tronco raggiunge poi il suo picco di velocità intorno alla fase di sollevamento e da il
via all’estensione della spalla, alla flessione del gomito e all’estensione del polso
dell’arto d’appoggio.
95
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Figura 5-6: Grafici degli spostamenti angolari medi tempo-normalizzati per
tronco e arti superiori per seduta fissata a tre diverse altezze. Le fasi di prealzata, alzata e rotazione e seduta sono indicate con linee verticali tratteggiate
[Gagnon et al., 2008].
Dal lato dell’arto di spinta, la spalla mantiene una posizione quasi neutra, il gomito
aumenta la flessione ed il polso raggiunge una posizione estrema di estensione. Una
volta avviata la fase di sollevamento, la flessione del tronco continua con velocità
progressivamente decrescente, mentre la spalla dell’arto di spinta subisce una
flessione ed un’abduzione. Durante questa fase, sul lato d’appoggio, la spalla è
soggetta ad un’abduzione. Dopo il raggiungimento di elevati valori di flessione nella
fase iniziale di sollevamento, il gomito dell’arto d’appoggio continua nella sua fase
di flessione, mentre quello dell’arto di spinta cambia direzione e si estende verso la
fine della fase di ascensione. Si noti che sostanziali estensioni bilaterali del polso
sono presenti in tutto il trasferimento.
Alla fine del trasferimento (fase di seduta), il tronco ritorna quasi alla sua posizione
iniziale ed in ciò è agevolato soprattutto dalla flessione della spalla e dall’estensione
del gomito del lato dell’arto di spinta.
96
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Figura 5-7: Grafici delle velocità angolari medie tempo-normalizzate per tronco
e arti superiori per seduta fissata a tre diverse altezze. Le fasi di pre-alzata,
alzata e rotazione e seduta sono indicate con linee verticali tratteggiate [Gagnon
et al., 2008].
Nel seguito si riportano alcuni dati relativi al tronco (Tabella 5-1). Per le altre
articolazioni interessate si rimanda al già più volte citato studio.
Tabella 5-1: Spostamento angolare e velocità angolare del tronco [Gagnon et al.,
2008]
A l t e zza s e d u t a
S p o s t am e nt o a n g ol a re ( °)
Massimo
M i ni m o
Escursione
V e l o ci t à a n g o l a r e ( ° / s e c )
Massima
M i ni m a
40 cm
50 cm
60 cm
68
47
21
68
50
18
71,2
46,9
24,3
56
-8 7
50
-6 7
56,7
-5 7 , 3
97
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
5.3 RISULTATI OPTOCINETICI E CINEMATICI
5.3.1 Metodologia sperimentale adottata
L’analisi sperimentale ha riguardato dieci soggetti disabili. Come indagine
preliminare, per inquadrare meglio il problema, sono state poste ai volontari una
serie di domande pertinenti l’azione motoria in esame e si sono eseguite delle
misurazioni antropometriche su di loro stessi ed altre misurazioni sugli autoveicoli
usati per le prove. I risultati di questa indagine sono sinteticamente riportati in
Tabella 5-2.
Non fornendo le case costruttrici, se non in rari casi, certi tipi di informazioni, e non
essendoci in letteratura studi analoghi, si sono individuate, sugli autoveicoli, le
distanze di particolare interesse e le quote riguardanti l’"anello porta", al netto di tutti
gli ingombri presenti, in modo tale da conoscere l’effettivo spazio a disposizione per
il trasferimento. Per far ciò si è preso spunto da quanto gli allestitori hanno a loro
disposizione per la rilevazione di misure per l’installazione degli ausili (Figura 3-14).
Per l’analisi sperimentale si sono innanzitutto acquisiti i filmati di salita e discesa
dall’autoveicolo di ogni disabile opportunamente strumentato, per un numero di dieci
volte ciascuno. Ogni volontario ha eseguito la prova sul veicolo che usa
quotidianamente per spostarsi ed è stato invitato ad adottare la propria personale
tecnica di salita/discesa. Tali filmati sono stati poi elaborati con il sistema
ACMOTION che ci ha permesso di analizzare la cinematica dell’azione (Figura 5-8).
Figura 5-8: Schermata di acquisizione di ACMOTION
Come si può osservare dalla Figura 5-8, il software a nostra disposizione si suddivide
principalmente in due parti: la schermata di acquisizione vera e propria, nella quale
compare il primo frame del filmato, e, sulla destra, la finestra di settaggio che
permette di indicare il numero di frame e di marker e di eseguire la taratura del
colore ed il tracking dei marker stessi.
98
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Tabella 5-2: Misure rilevate sui volontari e loro autoveicoli
99
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
5.3.2 Risultati sperimentali
Oltre ai filmati riguardanti i dieci volontari disabili, sono stati acquisiti filmati per
dieci soggetti normodotati invitati a svolgere i medesimi gesti (salita e discesa da
autoveicolo). Nel seguito vengono illustrati alcuni dei risultati forniti da
ACMOTION (Figura 5-9, Figura 5-10, Figura 5-11, Figura 5-12, Figura 5-13).
Traiettoria spalla
Traiettoria gomito
Traiettoria polso
Figura 5-9: Traiettoria dei tre marker del braccio di un soggetto normodotato
durante la fase di salita (lato guida)
Traiettoria spalla
Traiettoria gomito
Traiettoria polso
Figura 5-10: Traiettoria dei tre marker del braccio di un soggetto disabile
durante la fase di salita (lato guida)
100
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Istante iniziale
Istante finale
Figura 5-11: Stick Diagram del tronco di un soggetto normodotato durante la
fase di salita (lato guida)
Istante finale
Istante iniziale
Figura 5-12: Stick Diagram del tronco di un soggetto disabile che adotta la
prima strategia di salita descritta (lato guida)
101
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Istante finale
Istante
iniziale
Figura 5-13: Stick Diagram del tronco di un soggetto disabile che adotta la
seconda strategia di salita descritta (lato guida)
Dai grafici sopra riportati si può subito fare un raffronto, seppur solo qualitativo, tra i
diversi casi. In particolare, è possibile osservare le traiettorie dei vari punti articolari
(in corrispondenza dei quali sono stati posizionati i marker) e, dagli Stick Diagram, si
può ottenere una prima stima degli ingombri spaziali richiesti dal gesto.
Come già affermato nel primo paragrafo, gli spazi disponibili per eseguire il
trasferimento, nel caso di soggetto normodotato e di disabile, sono equiparabili ma
cambiano invece le velocità, ovvero è diversa la cinematica del gesto pur
raggiungendo, nei due casi, la stessa posizione finale (il sedile dell’autoveicolo).
Nel seguito quindi riportiamo, a titolo d’esempio, gli andamenti (opportunamente
filtrati) delle velocità angolari nel caso di due soggetti disabili (Figura 5-15, Figura
5-16) e di un normodotato (Figura 5-17). Si osservi che la convenzione per la
misurazione degli angoli adottata in ACMOTION (Figura 5-14) risulta opposta a
quella usata in Figura 5-6 ed in Figura 5-7 [Gagnon et al., 2008].
Flessione
-
Estensione
+
Figura 5-14: Convenzione per gli angoli adottata in ACMOTION
102
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Estensione
Flessione
Figura 5-15: Velocità angolare del tronco durante la fase di salita nel caso del
soggetto disabile numero 9 (lato guida)
Estensione
Flessione
Figura 5-16: Velocità angolare del tronco durante la fase di salita nel caso del
soggetto disabile numero 10 (lato guida)
103
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Estensione
Flessione
Figura 5-17: Velocità angolare del tronco durante la fase di salita nel caso di
soggetto normodotato (lato guida)
Le linee verticali tratteggiate distinguono, indicativamente, le tre fasi in cui è stato
scomposto il gesto. Nel caso di persona normodotata si può intuire come, ad una
prima fase durante la quale si ha una lieve estensione in avanti, segue un’estensione
maggiore che corrisponde all’introduzione nell’abitacolo della gamba destra,
all’abbassamento del capo ed all’introduzione del tronco. Segue, infine, una flessione
del tronco verso lo schienale del sedile per tornare in una posizione pressoché
verticale. Da un’analisi comparativa dei grafici si può intuire il "degrado" del gesto
nel caso di individui paraplegici.
I risultati ottenuti dalle prove sui soggetti normodotati, non hanno messo in evidenza
significative differenze tra di loro in termini di ampiezze degli angoli e di velocità
angolari. Pertanto, nel prosieguo della trattazione, verrà riportato solo un valore
medio delle loro velocità angolari. Tale ragionamento non vale invece nel caso di
soggetti disabili, in quanto il gesto è fortemente influenzato dalla patologia presente e
dalle conseguenti capacità residue.
In Tabella 5-3 vengono riportate le velocità angolari massime e minime del busto, le
durate medie in secondi del gesto e l’eventuale presenza di pause durante lo stesso.
Tali pause sono individuabili anche nei grafici sopra riportati, e corrispondono a quei
punti nei quali il valore oscilla attorno allo zero. Tali oscillazioni, così come altri
picchi presenti nei grafici, sono causate dagli errori di riconoscimento dell’esatta
posizione del baricentro dei marker da parte di ACMOTION, errori che vengono
ulteriormente amplificati in seguito al processo di derivazione attuato per ottenere
velocità ed accelerazioni. Eventuali velocità più elevate riscontrate nel caso di
soggetti disabili rispetto alla media dei soggetti normodotati, sono imputabili alla
presenza di movimenti più bruschi e discontinui causati dal parziale od assente
controllo della muscolatura.
104
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Tabella 5-3: Velocità angolari, durate e pause del gesto
Soggetto
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Media
n o r m o d ot at i
V e l o ci t à
max
e s t e ns i o ne
(°/s)
48
38
26
24
34
48
28
40
74
52
52
V e l o ci t à
max
f l es s i o n e
(°/s)
21
55
37
38
38
62
23
70
39
66
55
Durata
d e l g es t o
(s)
P a us e
(S/N)
11
10
5
7
14
19
22
4
8
12
2
S
S
N
S
S
S
S
N
S
S
N
L’osservazione sulla presenza o meno di pause può rivelarsi utile per comprendere se
vi è stata continuità o discontinuità nel gesto e, quindi, se il trasferimento è stato
eseguito in apnea oppure no. Da tale osservazione si può cercare di comprendere
quale tipologia di fibre muscolari viene chiamata in causa in base a considerazioni di
carattere energetico. Nei muscoli scheletrici del corpo umano, infatti, si riconoscono
tre tipi di fibra muscolare:
1. Le fibre veloci, così chiamate perché possono iniziare a contrarsi rapidamente
(in 0,01 s o meno) in risposta ad una stimolazione. Hanno diametro elevato e,
nel caso in cui queste fibre siano la maggioranza, vengono prodotte
contrazioni di potenza elevata. Sono rapidamente affaticabili, perché
utilizzano ATP (adenosintrifosfato) in grande quantità e sono supportate da
metabolismo di tipo anaerobico.
2. Le fibre lente hanno un diametro all’incirca pari alla metà di quello delle fibre
veloci ed un tempo di inizio contrazione tre volte maggiore. Esse sono
specializzate nel poter lavorare per periodi molto lunghi, e si affaticano molto
tempo dopo rispetto alle veloci a pari attività. La loro principale caratteristica
è una rete molto estesa di capillari che garantisce un consistente rifornimento
di ossigeno. Inoltre contengono il pigmento rosso della mioglobina. Questa
proteina globulare ha la medesima struttura della più famosa emoglobina,
portatrice di ossigeno nel sangue, e ne ricopia, inoltre, la funzione non in
termini di trasporto ma di stoccaggio. La conseguenza diretta di queste due
proprietà è il loro metabolismo prevalentemente aerobico garantito anche
nella fibra in condizioni di riposo.
3. Le fibre intermedie hanno proprietà che le collocano a metà strada tra le due
precedenti tipologie di materia contrattile. All’apparenza risultano molto
simili alle fibre veloci, perché contengono piccole quantità di mioglobina ed
105
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
hanno sezioni abbastanza grandi. Allo stesso tempo sono rifornite da una fitta
rete di capillari e sono molto più resistenti alla fatica delle fibre veloci.
I diversi motoneuroni vanno a comandare la contrazione di insiemi di fibre di uno
stesso muscolo, detti unità motrici. I motoneuroni vengono reclutati secondo un
determinato ordine sulla base del diametro dei loro assoni. Poiché le dimensioni dei
corpi cellulari variano in rapporto al diametro degli assoni stessi, i neuroni con corpi
cellulari più piccoli sono reclutati per primi, e con segnali più deboli data la loro
soglia di attivazione più bassa. Mano a mano che l’ampiezza dei segnali sinaptici
aumenta, vengono reclutati progressivamente motoneuroni più grandi, seguendo il
principio della dimensione. In base a tale principio, i segnali più deboli reclutano le
unità lente che generano le forze minori e sono più resistenti alla fatica;
successivamente vengono reclutate le unità rapide e resistenti alla fatica e infine
quelle rapide e suscettibili alla fatica. Questo tipo di reclutamento consente una
modulazione della forza in modo che questa venga erogata senza oscillazioni e con
intensità corrispondente al carico; inoltre esso permette un utilizzo parziale a
rotazione delle unità motrici quando non è richiesto lo sforzo massimo, in modo che
le unità che non lavorano possano riposare evitando la precoce comparsa di fatica.
Da quanto appena detto, per attività di bassa intensità saranno reclutate di preferenza
le fibre lente aerobiche (poco affaticabili); all’aumentare dell’intensità dello sforzo
vengono reclutate dapprima le fibre intermedie (mediamente affaticabili) e
successivamente quelle veloci anaerobiche (molto affaticabili).
Premettendo che articolazioni e muscolatura coinvolte nel trasferimento sono diverse
sia tra un soggetto sano ed uno disabile che tra un disabile e l’altro, a seconda della
tipologia di disabilità, da un’analisi dei tempi e delle pause (Tabella 5-3), si può
supporre che nel caso di soggetto sano, lo sforzo risulti fluido e poco intenso e di
conseguenza vengano attivate poche fibre lente. Nel caso di un disabile invece,
soprattutto in funzione della particolare patologia presente che può far dilatare i
tempi e l’intensità dello sforzo, che è interamente compiuto dagli arti superiori,
possono entrare in azione anche le altre fibre. Tale analisi, tuttavia, è solo qualitativa
e meriterebbe un approfondimento con strumentazione specifica.
5.4 CONSIDERAZIONI
Una volta inquadrato il problema, è necessario valutare i singoli casi, in funzione
della capacità residua presente. Tale capacità residua si pone fra due estremi:
• un minimo controllo del capo (caso che non può essere preso in
considerazione in questo studio, dal momento che necessita di assistenza ed
ausili specifici ed importanti in quanto il soggetto non è autonomo);
• capacità di raggiungere la stazione eretta caricando il proprio peso sugli arti
inferiori.
Per ogni singolo caso che si va a considerare, pur nella sua specificità, valgono tre
aspetti generali:
1. la capacità residua dell’individuo, per l’appunto;
2. l’ausilio disponibile;
3. la tipologia di vettura.
106
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
Questi tre aspetti sono tra loro interconnessi: ad esempio il tipo di vettura influenza
l’ausilio che si può installare, ausilio che a sua volta deve essere scelto in funzione
della capacità residua del disabile (Figura 5-18).
Figura 5-18: Interdipendenza tra capacità residua, ausilio e tipologia di vettura
In taluni casi infatti, a causa di una particolare caratteristica costruttiva del veicolo,
l’ausilio si rende praticamente necessario. Un esempio di ciò, emerso in sede di
intervista ad un volontario, è rappresentato dall’adozione di ribaltina di raccordo tra
carrozzina e sedile d’autoveicolo per il modello Golf Plus della Volkswagen®, a
causa dell’elevata estensione in larghezza del montante laterale e del bordo inferiore
d’accesso (Figura 5-19), che allontana i due piani d’appoggio.
Figura 5-19: Larghezza del bordo inferiore d'accesso per Volkswagen® Golf Plus
Si evidenzia tuttavia che, a causa dell’ aumento di severità richiesto dalle norme di
sicurezza in fatto di crash-test, si è osservato, negli anni, una progressiva
maggiorazione della sezione dei montanti laterali, che quindi va ad ostacolare quella
che sarebbe la situazione ottimale per l’accesso all’autoveicolo di un disabile. La
107
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
distanza tra sedile e carrozzina rappresenta infatti il principale limite.
Nel seguito vengono elencate le altre caratteristiche, a volte vincolanti come nel caso
dell’esempio appena fatto, che devono essere prese in esame e che possono fungere
da linee guida per la scelta di un autoveicolo da parte di un soggetto disabile (alcune
delle quali vengono riprese direttamente dal paragrafo 3.4):
• Il numero di portiere: è preferibile un’autovettura a tre porte in modo tale da
avere una maggiore larghezza dell’anello porta. Spesso viene preferito un
modello station-wagon per altre esigenze di spazio, come, ad esempio, il
recupero e l’imbarco della carrozzina.
• L’entità dello spazio aereo presente tra sedile e bordo superiore d’accesso. Tale
fattore è importante per due motivi:
1. ai fini del trasferimento vero e proprio per avere una maggiore superficie
laterale a disposizione (soprattutto nel caso di persone dotate di un’elevata
statura);
2. per il recupero della carrozzina (molti infatti adottano una carrozzina
pieghevole, con ruote sganciabili, che viene fatta passare sopra le gambe e
stivata sul sedile del passeggero).
• L’altezza del sedile da terra. Nei casi in cui non è possibile raggiungere la
stazione eretta, tale altezza risulta ottimale se pari a 50 cm ovvero pari all’altezza
del piano di seduta della carrozzina. Nei casi invece in cui l’individuo è in grado
di reggersi in piedi, solitamente viene scelta un’altezza del sedile più elevata od
un’auto dotata di maggiore altezza da terra. In entrambi i casi il sedile facilita
l’accesso quanto più la sua seduta risulta piatta e larga.
• La presenza, anche tra gli optional, di memorie di posizione elettriche per il
sedile. Ciò facilita il raggiungimento dell’assetto "da viaggio" o "da guida". In
parecchi casi infatti, per avere maggiore spazio a disposizione durante la fase di
salita/discesa, il disabile arretra del tutto il sedile ed è quindi poi costretto a
riposizionarlo al livello desiderato.
• L’ampiezza dell’angolo di apertura della portiera. Tale parametro risulta
significativo per facilitare l’accostamento al sedile e successivamente permettere
l’allineamento del fronte della carrozzina con il fronte del sedile stesso.
Indicativamente, più l’individuo è alto e più l’angolo dovrebbe essere maggiore
in quanto, con l’altezza, aumenta la necessità di spazio di manovra. L’angolo di
apertura della portiera è ad ogni modo, salvo qualche rara eccezione,
modificabile.
• L’esistenza di una maniglia interna (fissata sul montante anteriore o sul tetto) che
permetta una presa sicura e garantisca la stabilità degli appoggi. Può essere
montata in tutti i veicoli ma non sempre viene progettata o fissata in modo tale da
poter reggere l’intero peso di una persona per un numero di cicli salita-discesa
piuttosto elevato. Non sono pertanto infrequenti distacchi di tale componente.
• La profondità del pozzetto interno davanti al sedile, infine, rappresenta un
ulteriore ostacolo in quanto il disabile, che non ha più il controllo degli arti
inferiori, è costretto a sollevare le gambe di peso con la forza delle braccia per
poterle fare entrare nell’abitacolo.
Tali osservazioni sono frutto dell’attività sperimentale, dello studio degli spazi
108
ANALISI DEL TRASFERIMENTO
disponibili nell’autoveicolo, delle interviste fatte ai volontari e delle visite presso
rivenditori ed installatori. Molte delle considerazioni fatte valgono anche per persone
normodotate, come si può ben intuire.
109
Capitolo 6
CONCLUSIONI
Con questa tesi è stato affrontato, dal punto di vista biomeccanico, il problema della
movimentazione di un disabile da carrozzina a sedile d’autoveicolo. I risultati
ottenuti sono stati:
• Una prima indagine sulle caratteristiche, gli usi, le abitudini e le difficoltà dei
disabili alle prese con l’accesso e l’utilizzo del veicolo e sugli ausili esistenti
progettati per facilitare tale azione. Questa indagine si può considerare
"embrionale", potrebbe cioè essere facilmente estesa ad un numero maggiore
di soggetti, magari a livello regionale o addirittura nazionale, per arrivare a
definire le caratteristiche tipiche del disabile alla guida o che fa un uso
quotidiano dell’auto come passeggero.
• L’istituzione di un protocollo sperimentale per la valutazione dell’azione
motoria, da adottare come standard in future ricerche.
• Un’indagine sperimentale che ha permesso di scomporre l’azione motoria in
una successione di atti motori elementari, che si susseguono nel tempo in
maniera più o meno fluida a seconda delle capacità residue del soggetto. La
suddivisione del gesto consente di individuare la sede di eventuali criticità e
può permettere di orientare la scelta del corretto ausilio o del trattamento
riabilitativo più efficace per poter svolgere tale azione.
• La valutazione della bontà del software ACMOTION, programma già
impiegato in numerosi studi di biomeccanica del gesto.
Lo scopo di questo lavoro è stato quello di tentare di costruire un sistema di "ottimo"
(inteso in senso controllistico, non potendo esistere una soluzione valida in generale
visto l’elevato numero di variabili soggettive in gioco e della complessità del
problema) sulla base del trinomio: capacità residua del soggetto-tipologia di vetturaausilio disponibile.
Le premesse per poter far ciò sono state:
a) La verifica della possibilità di ottenere, attraverso l’analisi cinematica, uno o
più denominatori comuni del problema.
b) L’acquisizione, attraverso lo studio cinematico, delle traiettorie di alcuni
punti di repere e, grazie a tali rilievi, la possibilità di definire la velocità di
esecuzione del gesto. Infatti, possiamo affermare che, dal punto di vista
cinematico, i vari soggetti presentano delle diverse ampiezze dei gradi di
libertà che differiscono da caso a caso (ciò si verifica anche per i soggetti
normodotati) e, quindi, risulta importante cercare di capire come poter
sfruttare al meglio tali gradi di libertà. Ovvero, considerando il singolo
soggetto, capire quali sono le ampiezze dei suoi gradi di libertà ed in base a
ciò cercare di indirizzarlo verso una certa tipologia di veicolo o di ausilio.
c) L’analisi dell’esecuzione degli stessi gesti da parte di individui normalmente
abili, per avere un termine di paragone.
Non si è purtroppo avuta la possibilità di effettuare più prove con lo stesso soggetto
111
CONCLUSIONI
disabile su veicoli diversi tra loro (un aspetto che meriterebbe un approfondimento a
parte), dal momento che ogni soggetto ha già ottimizzato la procedura di accesso per
il particolare mezzo che utilizza quotidianamente e si è quindi preferito non
sottoporlo ad altri tipi di prova che avrebbero comportato, da parte sua, il dover
affrontare nuove tipologie di problemi e conseguenti specifiche tecniche di soluzione
in funzione della particolare disfunzione presente.
L’obbiettivo che ci si è prefissi, come si può ben capire da quanto sopra esposto, non
può essere l’ottenimento di una soluzione immediata, quanto, piuttosto, verificare se
gli strumenti a nostra disposizione ci consentono di affrontare in modo adeguato tale
tipologia di problemi e capire quali altri tipi di strumenti utilizzare per poter essere di
utilità a persone che presentano particolari esigenze.
Da un confronto tra i dati acquisiti e quelli reperiti in letteratura, possiamo verificare
che i valori ottenuti sono attendibili. Si può quindi affermare che l’analisi compiuta è
stata una buona analisi. Ciò tenuto in considerazione innanzitutto del fatto che le
prove dello studio di riferimento sono state eseguite in laboratorio (e quindi in
condizioni controllate, ad esempio di luminosità, ecc.), adottando un sistema
optocinetico molto più sofisticato di quello a nostra disposizione. Esso infatti
utilizzava 40 marker ed un sistema di telecamere in grado di campionare le immagini
ad una frequenza di 60 Hz (doppia rispetto a quella da noi impiegata) e di svolgere
uno studio tridimensionale e non planare del fenomeno. Inoltre, in tale studio veniva
esaminato il trasferimento di un disabile tra due normali sedie, caso non del tutto
equivalente al nostro che presenta caratteristiche specifiche, rappresentate dai vari
ingombri che ritroviamo in un normale autoveicolo (presenza della portiera,
larghezza ed altezza dell’anello porta fissate, ecc.), che sono vincoli esterni
aggiuntivi.
Come già più volte detto nel corso della trattazione, il problema principale con
ACMOTION (e comune ad altri sistemi optocinetici) è risultato il non perfetto
riconoscimento del baricentro del marker. Tale errore viene notevolmente amplificato
nel processo di derivazione attuato per ottenere velocità ed accelerazioni. Il problema
può essere in parte attenuato filtrando opportunamente il segnale (in tale tipo di
analisi applicare un filtro passa-basso è la norma, a causa del rumore di fondo sempre
presente). Il maggiore vantaggio di ACMOTION è dato dalla possibilità di effettuare
l’analisi in modalità completamente "off-line", richiedendo poche e semplici
attrezzature per l’acquisizione dei movimenti "sul campo".
Nel corso dello studio, si sono riscontrate altre difficoltà in quanto la salita/discesa
dall’auto rappresenta un’azione transiente. Si differenzia, ad esempio, da un
movimento periodico come può essere la pedalata. Di conseguenza, definire un inizio
ed una fine del movimento è spesso una scelta arbitraria (come discusso nel
paragrafo 4.7). Si è prestata quindi particolare attenzione alla scelta dell’istante
iniziale (soggetto già predisposto sul fronte della carrozzina e pronto al trasferimento
vero e proprio) e finale (volontario sul sedile dell’auto) dell’acquisizione dei vari
filmati ma si è riscontrato comunque un certo grado di indeterminazione di tali
istanti, al variare dei soggetti e delle rispettive tecniche di trasferimento adottate.
Inoltre, l’azione non è planare: una sua ricostruzione bidimensionale fa perciò
inevitabilmente perdere alcune informazioni sul gesto. Comunque, con una
ricostruzione tridimensionale, ci sarebbero stati problemi di copertura dei marker
durante il moto e problemi relativi al posizionamento delle due telecamere
112
CONCLUSIONI
(verosimilmente la ripresa di una delle due sarebbe stata oscurata dalla portiera
dell’auto).
Quanto fin qui osservato, ci ha permesso, grazie all’attività sperimentale, di gettare le
basi e di identificare i vari fattori di quello che si è rivelato un problema che presenta
una notevole complessità e che non era stato ancora affrontato nel modo dovuto. Per
poter sviluppare ed approfondire tale problematica ed avvicinarsi ad una sua
soluzione, si propone in futuro di affiancare, all’analisi optocinetica, un’indagine su:
• battito cardiaco;
• ventilazione polmonare;
• muscolatura ed articolazioni coinvolte nel gesto (spalla, gomito, polso);
in modo tale da poter impostare uno studio del rendimento massimo del gesto nello
spazio dell’autoveicolo.
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RINGRAZIAMENTI
Desidero innanzitutto ringraziare Sergio Raimondo, Giovanni De Piero, Giampiero
Licinio, Claudio e tutti i volontari che si sono sempre contraddistinti per la massima
disponibilità e pazienza.
Voglio inoltre ringraziare il prof Paolo Pascolo, il signor Mario Corubolo, e l’ing.
Rubens Rossi. Ringrazio in modo particolare l’ing. Paolo Ragogna per il suo aiuto
durante questi mesi.
Ringrazio Davide per avermi aiutato a superare (almeno in parte) il mio personale
rapporto conflittuale con l’intero pacchetto Office della Microsoft®.
Ringrazio tutti i miei amici, quelli che vedo ogni settimana e quelli che vedo ogni sei
mesi (quando va bene); i primi per la sopportazione dimostratami in tutti questi anni
ed i secondi perché, nonostante le distanze geografiche ed il passare del tempo,
riescono a mantenere viva la nostra amicizia anche solo con una parola:
fortunatamente non tutto passa e non tutto cambia.
Infine, ringrazio mia madre Elena che ha permesso tutto ciò e che ha sempre
dimostrato tanta (fin troppa) pazienza in tutti questi anni.
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