Tesi Andrea Bolzan - Associazione Tetra Paraplegici fvg
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Tesi Andrea Bolzan - Associazione Tetra Paraplegici fvg
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE _______________________________________________ Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica Laboratorio di Bioingegneria Industriale Tesi di Laurea DISPOSITIVI ED ADATTAMENTI COMPLEMENTARI ALLA GUIDA PER DISABILI ( ANALISI DELLA MOVIMENTAZIONE DI UN SOGGETTO DISABILE DA CARROZZINA A SEDILE D’AUTOVEICOLO ) Relatore Prof. Paolo Pascolo Laureando Andrea Bolzan Correlatori Sergio Raimondo Giovanni De Piero __________________________________________________ Anno Accademico 2007/08 SOMMARIO L’obbiettivo di questa tesi è lo studio cinematico delle fasi di accesso ad un autoveicolo da parte di soggetti disabili, nella fattispecie mielolesi, ed una prima valutazione delle tecniche impiegate per tale studio. È stata compiuta una iniziale ricerca per comprendere i problemi patologici di tali soggetti e le difficoltà, dipendenti dalle capacità residue soggettive, che essi incontrano nello svolgimento del gesto considerato. Inoltre, si sono esaminati gli ausili e gli adattamenti per gli autoveicoli attualmente esistenti in commercio. In particolare si è trattato il problema del passaggio da carrozzina a sedile d’autoveicolo e viceversa, tralasciando di proposito i cosiddetti sistemi "up & go" che permettono la guida direttamente da carrozzina, richiedendo però veicoli di una particolare tipologia e modifiche consistenti ed irreversibili agli stessi. Per lo studio si è fatto ricorso ad un sistema optocinetico che ha permesso l’acquisizione dei dati delle varie fasi dell’atto motorio ed una loro successiva elaborazione ed analisi. Infine, si è cercato di interpretare i dati rilevati e la bontà delle misure eseguite confrontandoli con quelli acquisiti nel caso di soggetti normodotati e con quanto presente in letteratura riguardante prove analoghe. III INDICE INDICE GENERALE SOMMARIO III INDICE V INDICE GENERALE INDICE DELLE TABELLE INDICE DELLE FIGURE INTRODUZIONE CAPITOLO 1 1.1 1.2 1.2.1 1.3 1.4 INTRODUZIONE SISTEMA NERVOSO CENTRALE LA COLONNA VERTEBRALE SISTEMA NERVOSO PERIFERICO SISTEMA NERVOSO AUTONOMO CAPITOLO 2 2.1 2.2 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE GENERALITÀ RELAZIONE TRA LIVELLO NEUROLOGICO E POSSIBILITÀ DI RECUPERO FUNZIONALE 2.3 LESIONI COMPLETE ED INCOMPLETE DEL MIDOLLO SPINALE 2.3.1 LESIONI INCOMPLETE 2.3.2 LESIONI COMPLETE CAPITOLO 3 AUSILI ED ADATTAMENTI 3.1 DEFINIZIONI E CONCETTI GENERALI 3.1.1 CLASSIFICAZIONE DEGLI AUSILI 3.1.2 MOBILITÀ E GUIDA 3.2 LA CARROZZINA 3.2.1 MATERIALI PER LA COSTRUZIONE DEL TELAIO 3.3 ADATTAMENTI COMPLEMENTARI ALLA GUIDA PRESENTI SUL MERCATO 3.3.1 MANIGLIA RIMOVIBILE 3.3.2 RIBALTINA MANUALE OD ELETTRICA 3.3.3 PIASTRA GIREVOLE CON AVANZAMENTO 3.3.4 PIASTRA GIREVOLE ELETTRICA 3.3.5 GRUETTA SOLLEVA PERSONE 3.3.6 CARROZZINA AUTOTRASLANTE V VII VII 1 3 3 4 7 11 15 17 17 23 24 25 29 33 33 35 37 37 41 43 43 44 45 46 47 47 V INDICE 3.4 CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA SCELTA DELL’AUSILIO 3.5 ALCUNI SISTEMI BREVETTATI 3.5.1 APPARATO PER LA MOVIMENTAZIONE DI UNA CARROZZINA VERSO L’INTERNO E L’ESTERNO DI UN’AUTOMOBILE [LANIER J., 1985] 3.5.2 APPARATO PER IL TRASFERIMENTO DI DISABILI [SUMRALL J.L., 1992] 3.5.3 SEDILE D’AUTOMOBILE PER DISABILI [ZALEWSKI W., 1992] 3.5.4 SEDIA A ROTELLE SMONTABILE [CHUNG TIEN-TUNG, SU YUN-CHIN, HUANG CHUN-SHUO, 2007] 3.5.5 AUTOVEICOLO ADATTATO PER GUIDATORI DISABILI [TODD R.E., 1984] 3.5.6 MECCANISMO DI ROTAZIONE PER SEDILE D’AUTOMOBILE [CHUNG TIEN-TUNG, SHEN HSIU-CHU, 2006] 3.5.7 SEDILE GIREVOLE PER AUTOVEICOLO [YUNDT N.K., KINKAID D., 2000] 3.5.8 TRASPORTO DI DISABILI O DI PERSONE INVALIDE [SOUTHWARD L.B., SIMPSON C.J., TUMBRIDGE C.R., 1979] 3.6 ALCUNE RICERCHE E STUDI 53 54 55 55 56 57 61 INTRODUZIONE LO STUDIO DEL MOVIMENTO E L’APPROCCIO BIOMECCANICO MISURE SPERIMENTALI PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO MISURE CINEMATICHE MISURE DINAMICHE ELETTROMIOGRAFIA ANALISI MEDIANTE MODELLI BIOMECCANICI MODELLO A SEGMENTI RIGIDI DEL CORPO UMANO DEFINIZIONE E CALCOLO DEL CENTRO DI MASSA CORPOREO DEFINIZIONE DI ANGOLO ANATOMICO ED ARTICOLARE MODELLAZIONE DEL MOVIMENTO: ISTANTI DI INIZIO E DI FINE DELL’ATTO 61 63 64 64 66 67 69 70 72 74 MOTORIO 4.8 IL SISTEMA ACMOTION 4.8.1 GENERALITÀ’ 4.8.2 IL RICONOSCIMENTO DEI MARKER 4.8.3 L’ANALISI BIDIMENSIONALE E TRIDIMENSIONALE CAPITOLO 5 5.1 5.2 5.3 5.3.1 5.3.2 5.4 51 52 53 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO CAPITOLO 4 4.1 4.2 4.3 4.3.1 4.3.2 4.3.3 4.4 4.4.1 4.5 4.6 4.7 49 51 ANALISI DEL TRASFERIMENTO GENERALITÀ IL TRASFERIMENTO E LE SUE FASI RISULTATI OPTOCINETICI E CINEMATICI METODOLOGIA SPERIMENTALE ADOTTATA RISULTATI SPERIMENTALI CONSIDERAZIONI CAPITOLO 6 CONCLUSIONI 77 78 78 81 83 91 91 91 98 98 100 106 111 RINGRAZIAMENTI 115 BIBLIOGRAFIA 117 VI INDICE INDICE DELLE TABELLE TABELLA 2-1: LIVELLO NEUROLOGICO E COMPLETEZZA DEL DANNO AL MIDOLLO SPINALE [P. O’CONNOR, 2002]....................................................................................................................... 18 TABELLA 2-2: TIPO DI LESIONE SULLA BASE DEI VARI FATTORI CHE CARATTERIZZANO L’INCIDENTE STRADALE [P. O’CONNOR, 2002] ................................................................................................ 18 TABELLA 2-3: CLASSIFICAZIONE DEI CASI SULLA BASE DEL LUOGO DELL’INCIDENTE, DEL NUMERO D’AUTO COINVOLTE E DEL TIPO DI INCIDENTE [P. O’CONNOR, 2002].......................................... 19 TABELLA 2-4: CLASSIFICAZIONE DEI CASI SULLA BASE DEL LUOGO D’INCIDENTE, DEL TIPO D’AUTO E DEL TIPO D’INCIDENTE PER UNA SINGOLA AUTO COINVOLTA [P. O’CONNOR, 2002] ................... 19 TABELLA 3-1: E = MODULO ELASTICO; RS = CARICO DI SNERVAMENTO; RM = CARICO DI ROTTURA; P.SPC = PESO SPECIFICO; A% = ALLUNGAMENTO PERCENTUALE................................................. 42 TABELLA 3-2: DATI TECNICI CARONY® AUTOADAPT® ......................................................................... 49 TABELLA 3-3: CATALOGAZIONE AUTOVETTURE IN FUNZIONE DELL’AUSILIO DA INSTALLARE (MOBILITY-TREND®) ................................................................................................................... 50 TABELLA 4-1: CONFRONTO FRA VARI METODI DI RAPPRESENTAZIONE DEL COLORE ............................. 80 TABELLA 5-1: SPOSTAMENTO ANGOLARE E VELOCITÀ ANGOLARE DEL TRONCO [GAGNON ET AL., 2008] .................................................................................................................................................... 97 TABELLA 5-2: MISURE RILEVATE SUI VOLONTARI E LORO AUTOVEICOLI .............................................. 99 TABELLA 5-3: VELOCITÀ ANGOLARI, DURATE E PAUSE DEL GESTO..................................................... 105 INDICE DELLE FIGURE FIGURA 1-1: NEURONE............................................................................................................................ 3 FIGURA 1-2: NEURONE E CELLULE GLIALI............................................................................................... 3 FIGURA 1-3: SISTEMA NERVOSO ............................................................................................................. 4 FIGURA 1-4: SISTEMA NERVOSO CENTRALE E NERVI SPINALI .................................................................. 5 FIGURA 1-5: FIBRE NERVOSE ASCENDENTI E DISCENDENTI ..................................................................... 5 FIGURA 1-6: SEZIONE TRASVERSALE DEL MIDOLLO SPINALE .................................................................. 6 FIGURA 1-7: COLONNA VERTEBRALE ...................................................................................................... 7 FIGURA 1-8: SEGMENTO DI COLONNA VERTEBRALE: A) VISTA DI UNA VERTEBRA LOMBARE DALLA PARTE POSTERIORE VERSO LA PARTE ANTERIORE DELLA COLONNA VERTEBRALE; B) VISTA LATERALE DI UNA VERTEBRA LOMBARE ........................................................................................ 7 FIGURA 1-9: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELL’ORIENTAZIONE DELLE FACCETTE ARTICOLARI DI UNA TIPICA VERTEBRA A) CERVICALE, B) DORSALE, C) LOMBARE ................................................ 8 FIGURA 1-10: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLE VISTE ANTEROPOSTERIORE, LATERALE E CRANICOCAUDALE DI UNA VERTEBRA A) CERVICALE, B) TORACICA, C) LOMBARE ....................... 8 FIGURA 1-11: LEGAMENTI DELLA COLONNA VERTEBRALE ..................................................................... 9 FIGURA 1-12: DISCHI INTERVERTEBRALI ................................................................................................ 9 FIGURA 1-13: CANALE VERTEBRALE ...................................................................................................... 9 FIGURA 1-14: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLA SEZIONE TRASVERSALE DI UNA VERTEBRA CERVICALE .................................................................................................................................. 10 FIGURA 1-15: SUDDIVISIONE DELLE VERTEBRE .................................................................................... 10 FIGURA 1-16: FORMAZIONE DEL NERVO SPINALE ................................................................................. 11 FIGURA 1-17: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DEI PUNTI D'USCITA DELLE RADICI DEI NERVI CERVICALI ................................................................................................................................... 12 FIGURA 1-18: NATURA ELETTRICA DEI MESSAGGI CHE DETERMINANO L’AZIONE RIFLESSA .................. 12 FIGURA 1-19: SCHEMATIZZAZIONE DELL’AZIONE RIFLESSA ................................................................. 13 FIGURA 1-20: NERVI SPINALI ................................................................................................................ 14 FIGURA 1-21: RELAZIONE TRA SEGMENTO MIDOLLARE ED AREA DEL CORPO CONTROLLATA ............... 14 FIGURA 2-1: LESIONI MIDOLLARI DA EVENTI TRAUMATICI: LE CAUSE [GISEM, 2000] ......................... 17 FIGURA 2-2: LESIONI MIDOLLARI DA EVENTI TRAUMATICI NEI DUE SESSI [GISEM, 2000] ................... 17 FIGURA 2-3: FRATTURA VERTEBRALE ................................................................................................... 19 FIGURA 2-4: COMPRESSIONE DEL MIDOLLO DA PARTE DELLA FRATTURA VERTEBRALE ........................ 20 VII INDICE FIGURA 2-5: TABELLA ASIA .................................................................................................................21 FIGURA 2-6: AREE DEL MIDOLLO SPINALE .............................................................................................25 FIGURA 2-7: SINDROME DEL MIDOLLO ANTERIORE ................................................................................26 FIGURA 2-8: SINDROME DELL'ARTERIA ANTERIORE ...............................................................................26 FIGURA 2-9: SINDROME DEL MIDOLLO POSTERIORE ...............................................................................27 FIGURA 2-10: SINDROME DEL MIDOLLO CENTRALE ...............................................................................27 FIGURA 2-11: SINDROME DI BROWN-SÉQUARD .....................................................................................28 FIGURA 2-12: SINDROMI DEL CONO E DELLA CAUDA EQUINA ................................................................28 FIGURA 2-13: SINDROME SACRALE PARZIALE ........................................................................................28 FIGURA 2-14: EMIPLEGIA.......................................................................................................................29 FIGURA 2-15: TETRAPLEGIA ..................................................................................................................30 FIGURA 2-16: PARAPLEGIA ....................................................................................................................31 FIGURA 3-1: CARROZZINA LEGGERA PER USO QUOTIDIANO ...................................................................39 FIGURA 3-2: ANGOLO DI CAMBER ..........................................................................................................40 FIGURA 3-3: MANIGLIA HANDYBAR® (KIWI®).......................................................................................43 FIGURA 3-4: RIBALTINA MANUALE (KIWI®) ..........................................................................................44 FIGURA 3-5: RIBALTINA ELETTRICA (KIWI®) .........................................................................................45 FIGURA 3-6: VERTICALIZATORE ............................................................................................................45 FIGURA 3-7: PIASTRA GIREVOLE CON AVANZAMENTO (HANDYTECH®) .................................................46 FIGURA 3-8: PIASTRA GIREVOLE ELETTRICA (HANDYTECH®) ................................................................46 FIGURA 3-9: GRUETTA SOLLEVA PERSONE (HANDYTECH®) ...................................................................47 FIGURA 3-10: ROTAZIONE DELLA PIASTRA FINO ALLA FUORIUSCITA DALL'ABITACOLO (CARONY®, AUTOADAPT®) .............................................................................................................................48 FIGURA 3-11: AGGANCIO DELLA BASE DELLA CARROZZINA ALLA PIASTRA GIREVOLE ED INGRESSO ® ® SEDILE (CARONY , AUTOADAPT ) ..............................................................................................48 FIGURA 3-12: SGANCIAMENTO DELLA BASE DELLA CARROZZINA DALLA PIASTRA GIREVOLE E ® ® ROTAZIONE DEL SEDILE ALL'INTERNO DELL'ABITACOLO(CARONY , AUTOADAPT )....................48 ® ® FIGURA 3-13: SEDILE ANATOMICO RIBASSATO (BEV-SEAT AUTOADAPT ) ......................................49 FIGURA 3-14: MISURE DA RILEVARE PER L’INSTALLAZIONE (MOBILITY-TREND®) ................................51 FIGURA 3-15: MOVIMENTAZIONE CARROZZINA .....................................................................................52 FIGURA 3-16: IMBARCO CARROZZINA ....................................................................................................52 FIGURA 3-17: DISPOSITIVO DI CARICO ...................................................................................................52 FIGURA 3-18: SEDILE PER DISABILI ........................................................................................................53 FIGURA 3-19: SEDIA A ROTELLE SMONTABILE .......................................................................................53 FIGURA 3-20: SCORRIMENTO DEL SEDILE VERSO L'ESTERNO .................................................................54 FIGURA 3-21: IMBARCO CARROZZINA SULLA PORTIERA ........................................................................54 FIGURA 3-22: MECCANISMO DI ROTAZIONE PER SEDILE D’AUTOMOBILE ...............................................55 FIGURA 3-23: SEDILE GIREVOLE ............................................................................................................56 FIGURA 3-24: SISTEMA DI TRASPORTO PER DISABILI ..............................................................................56 FIGURA 3-25: IMMAGINI DAL SIMULATORE 3D, SOLUZIONE SERVOASSISTITA [CAMBIAGHI ET AL., 2002] .....................................................................................................................................................57 FIGURA 3-26: SERVOMECCANISMO SOLLEVATORE [CAMBIAGHI ET AL., 2002] ......................................58 FIGURA 3-27: SEQUENZA D’INGRESSO AL POSTO GUIDA [CAMBIAGHI ET AL., 2002] ..............................58 FIGURA 3-28: SEQUENZA D'ACCESSO PROGETTO MARGO [CAMBIAGHI ET AL., 2002]............................59 FIGURA 3-29: PEDANA ABBASSABILE [CAMBIAGHI ET AL., 2002] ..........................................................59 FIGURA 4-1: ORGANIZZAZIONE AD ANELLO CHIUSO DEL MOVIMENTO VOLONTARIO .............................62 FIGURA 4-2: PIATTAFORMA DINAMOMETRICA .......................................................................................67 FIGURA 4-3: SINAPSI TRA MOTONEURONE E FIBRA MUSCOLARE ............................................................68 FIGURA 4-4: MODELLO CINEMATICO A SEGMENTI RIGIDI.......................................................................71 FIGURA 4-5: SISTEMA DI RILEVAMENTO ANTROPOMETRICO [GRIECO E MASALI, 1972] ........................72 FIGURA 4-6: PESI E DISPOSIZIONI DEI BARICENTRI DEI SINGOLI SEGMENTI CORPOREI ............................74 FIGURA 4-7: SISTEMA DI PIANI PERPENDICOLARI UTILIZZATO PER LA DEFINIZIONE DEI PIANI DI MOVIMENTO DI CIASCUNA ARTICOLAZIONE [WINTER, 1990] .......................................................75 FIGURA 4-8: ANGOLI DI EULERO ...........................................................................................................77 FIGURA 4-9: VISUALIZZAZIONE DEI PIXEL AVENTI IL COLORE IMPOSTATO NEL RANGE DI TOLLERANZA, ESPRESSO DAI TRE VALORI DEL PANNELLO A DESTRA (TARATURA DEL ROSSO, DEL BLU E DEL VERDE) .........................................................................................................................................79 FIGURA 4-10: VELOCITÀ ED ACCELERAZIONI. L'ERRORE DATO DAL NON PERFETTO RICONOSCIMENTO VIII INDICE DEL BARICENTRO DEL MARKER SI TRADUCE IN UN RUMORE SOVRAPPOSTO ALL’ANDAMENTO DELLA TRAIETTORIA NEL TEMPO. TALE RUMORE VIENE AMPLIFICATO NEL CALCOLO DELLE VELOCITÀ (A SINISTRA) E DELLE ACCELERAZIONI (A DESTRA)..................................................... 82 FIGURA 4-11: STICK DIAGRAM ............................................................................................................. 85 FIGURA 4-12: VISUALIZZAZIONE DI UN FRAME DEL FILMATO RICOSTRUITO DA ACMOTION.............. 85 FIGURA 4-13: TRAIETTORIA DI UN SINGOLO MARKER ........................................................................... 86 FIGURA 4-14: SVOLGIMENTO DELLA TRAIETTORIA DEL MARKER LUNGO L’ASSE DEL TEMPO ............... 87 FIGURA 4-15: ANGOLO ASSOLUTO DI UN MEMBRO................................................................................ 88 FIGURA 4-16: ANGOLO RELATIVO TRA DUE MEMBRI............................................................................. 89 FIGURA 4-17: VELOCITÀ ED ACCELERAZIONE ANGOLARE: È VISIBILE COME IL RUMORE DATO DAL CATTIVO RICONOSCIMENTO DEL BARICENTRO DEL MARKER VENGA AMPLIFICATO NEL PROCESSO DI DERIVAZIONE .......................................................................................................................... 90 FIGURA 5-1: FASI DI CARICAMENTO SUGLI ARTI INFERIORI E DI ALZATA............................................... 92 FIGURA 5-2: FASI DI ROTAZIONE E SALITA ............................................................................................ 92 FIGURA 5-3: INTRODUZIONE DEGLI ARTI INFERIORI E SUCCESSIVAMENTE DEL TRONCO........................ 92 FIGURA 5-4: PRESA SUL MONTANTE ESTERNO....................................................................................... 93 FIGURA 5-5: FASI DEL TRASFERIMENTO [GAGNON ET AL., 2008] .......................................................... 94 FIGURA 5-6: GRAFICI DEGLI SPOSTAMENTI ANGOLARI MEDI TEMPO-NORMALIZZATI PER TRONCO E ARTI SUPERIORI PER SEDUTA FISSATA A TRE DIVERSE ALTEZZE. LE FASI DI PRE-ALZATA, ALZATA E ROTAZIONE E SEDUTA SONO INDICATE CON LINEE VERTICALI TRATTEGGIATE [GAGNON ET AL., 2008]........................................................................................................................................... 96 FIGURA 5-7: GRAFICI DELLE VELOCITÀ ANGOLARI MEDIE TEMPO-NORMALIZZATE PER TRONCO E ARTI SUPERIORI PER SEDUTA FISSATA A TRE DIVERSE ALTEZZE. LE FASI DI PRE-ALZATA, ALZATA E ROTAZIONE E SEDUTA SONO INDICATE CON LINEE VERTICALI TRATTEGGIATE [GAGNON ET AL., 2008]........................................................................................................................................... 97 FIGURA 5-8: SCHERMATA DI ACQUISIZIONE DI ACMOTION................................................................ 98 FIGURA 5-9: TRAIETTORIA DEI TRE MARKER DEL BRACCIO DI UN SOGGETTO NORMODOTATO DURANTE LA FASE DI SALITA (LATO GUIDA) .............................................................................................. 100 FIGURA 5-10: TRAIETTORIA DEI TRE MARKER DEL BRACCIO DI UN SOGGETTO DISABILE DURANTE LA FASE DI SALITA (LATO GUIDA) ................................................................................................... 100 FIGURA 5-11: STICK DIAGRAM DEL TRONCO DI UN SOGGETTO NORMODOTATO DURANTE LA FASE DI SALITA (LATO GUIDA)................................................................................................................ 101 FIGURA 5-12: STICK DIAGRAM DEL TRONCO DI UN SOGGETTO DISABILE CHE ADOTTA LA PRIMA STRATEGIA DI SALITA DESCRITTA (LATO GUIDA) ....................................................................... 101 FIGURA 5-13: STICK DIAGRAM DEL TRONCO DI UN SOGGETTO DISABILE CHE ADOTTA LA SECONDA STRATEGIA DI SALITA DESCRITTA (LATO GUIDA) ....................................................................... 102 FIGURA 5-14: CONVENZIONE PER GLI ANGOLI ADOTTATA IN ACMOTION ........................................ 102 FIGURA 5-15: VELOCITÀ ANGOLARE DEL TRONCO DURANTE LA FASE DI SALITA NEL CASO DEL SOGGETTO DISABILE NUMERO 9 (LATO GUIDA).......................................................................... 103 FIGURA 5-16: VELOCITÀ ANGOLARE DEL TRONCO DURANTE LA FASE DI SALITA NEL CASO DEL SOGGETTO DISABILE NUMERO 10 (LATO GUIDA)........................................................................ 103 FIGURA 5-17: VELOCITÀ ANGOLARE DEL TRONCO DURANTE LA FASE DI SALITA NEL CASO DI SOGGETTO NORMODOTATO (LATO GUIDA) .................................................................................................. 104 FIGURA 5-18: INTERDIPENDENZA TRA CAPACITÀ RESIDUA, AUSILIO E TIPOLOGIA DI VETTURA........... 107 FIGURA 5-19: LARGHEZZA DEL BORDO INFERIORE D'ACCESSO PER VOLKSWAGEN® GOLF PLUS ........ 107 IX INTRODUZIONE Esistono numerose tipologie di disabilità, caratterizzate da capacità residue variabili da caso a caso, nonostante le quali è possibile la guida di veicoli a motore (in particolare di automobili di normale produzione) od anche il semplice accesso al veicolo come passeggero, senza l’utilizzo di particolari ausili che comportino interventi significativi sull’abitacolo o sulla carrozzeria. Per un disabile il momento più critico della fase dello spostamento è l’ingresso o l’uscita dall’autovettura, momento in cui perde parte dell’autonomia conseguita, arrivando, in taluni casi (soprattutto per i soggetti tetraplegici) ad essere completamente dipendente dall’accompagnatore. Ciò va ad ostacolare quello che è il bisogno di muoversi insito in ogni individuo e la sua autonomia. L’obbiettivo del presente lavoro è quello di analizzare la fase di passaggio da carrozzina a sedile d’autoveicolo (e viceversa) e gli ausili attualmente presenti progettati per facilitare tale gesto. L’analisi compiuta ha come scopo ultimo l’ottenimento di informazioni utili al benessere umano tramite un processo di ottimizzazione del gesto, rilevando, se possibile, eventuali errori nella strategia motoria adottata. Per lo sviluppo di tale indagine, ci si è quindi indirizzati verso un tipo di disabilità che consentisse di ottenere risultati la cui validità potesse essere estesa ad un numero non troppo ristretto di casi. La scelta pertanto è caduta su soggetti tetra e paraplegici, caratterizzati da diverse capacità residue. Grazie alla collaborazione con l’Associazione Tetra-Paraplegici del Friuli Venezia Giulia e con il centro di riabilitazione sociale e sanitario Progetto Spilimbergo, è stato possibile intervistare ed analizzare dieci soggetti volontari. Si è inoltre cercato di comprendere se l’approccio adottato per lo studio del problema e gli strumenti utilizzati per svolgere un’analisi quantitativa del fenomeno, fossero adeguati o meno allo scopo prefisso, non essendo stato purtroppo possibile reperire in letteratura molte informazioni riguardanti tale problematica, a causa della scarsità di materiale presente sull’argomento. L’atto motorio considerato è stato sottoposto ad analisi optocinetica utilizzando il software ACMOTION. Tale sistema è stato sviluppato in collaborazione col laboratorio di meccanica funzionale dell’ospedale Gervasutta di Udine. Le modalità e le strategie d’accesso all’autoveicolo da parte di un soggetto disabile, così come la scelta di un particolare adattamento, sono strettamente legate a quelle che sono le capacità residue dell’individuo che, pur potendo variare da caso a caso, dipendono innanzitutto dalla patologia esistente. Tale patologia, nel caso di soggetti tetra e paraplegici, riguarda le lesioni al midollo spinale che possono essere di natura traumatica o meno. Pertanto, per inquadrare la natura e le cause del problema affrontato, nel Primo Capitolo viene descritta innanzitutto l’anatomia del sistema nervoso umano. Vengono brevemente passati in rassegna i suoi componenti, le sue proprietà, le sue caratteristiche e modalità di funzionamento. Ciò è necessario per poter comprendere quanto successivamente esposto nel Secondo Capitolo, che tratta in modo specifico le lesioni del midollo spinale. Esse vengono suddivise principalmente in due gruppi: 1 INTRODUZIONE lesioni complete e lesioni incomplete. In funzione della zona del midollo interessata, tali lesioni possono andare ad intaccare la funzionalità di diverse aree del corpo umano, in modo più o meno marcato, e quindi da loro discende l’entità e la tipologia di capacità residua presente. Essa può tuttavia, entro certi limiti, migliorare con specifiche terapie e con l’allenamento, così come, d’altro canto, peggiorare con l’età del soggetto o l’aggravarsi della patologia. Nel Terzo Capitolo si definisce il concetto d’ausilio, facendo riferimento anche alla definizione data dallo standard internazionale ISO 9999, aggiornato nel 2007. Viene illustrata una classificazione degli ausili basata su tale standard ed una ad essa parallela. Nel seguito del capitolo, viene poi presentato un elenco degli ausili e dei dispositivi progettati e commercializzati per cercare di risolvere il problema in esame, partendo però da alcune valutazioni su quello che è e resta l’ausilio principale per la classe di disabili considerata, nonché il punto di partenza dell’atto motorio esaminato, ovvero la carrozzina. Tale elenco ragionato è frutto di ricerche ed interviste presso alcuni rivenditori ed installatori. Il Quarto Capitolo è dedicato alle tecniche ed alle metodologie per l’analisi del movimento umano. Si illustrano le diverse tipologie di misurazioni sperimentali, il modello biomeccanico del corpo umano a segmenti rigidi a cui si è fatto riferimento ed alcune problematiche connesse a tali misurazioni. Viene infine descritto il sistema optocinetico ACMOTION, esaminandone caratteristiche, modalità di funzionamento, potenzialità e limiti. Tali limiti sono dovuti innanzitutto alle difficoltà di riconoscimento dell’esatta posizione del baricentro del marker. L’analisi è stata condotta nel Capitolo Quinto. Essa è stata affrontata secondo un duplice approccio. Un primo approccio qualitativo, basato sull’analisi dei vari filmati, ha permesso una iniziale comprensione dell’azione motoria ed una sua possibile scomposizione. Questo ci ha permesso di porre le basi per una successiva trattazione più rigorosa del fenomeno, condotta con il sistema optocinetico già citato sopra. Vengono riportate le misurazioni effettuate sui volontari ed i risultati ottenuti sottoforma di grafici delle velocità angolari di alcuni segmenti corporei. Per avere un termine di paragone, i risultati ottenuti sono stati confrontati con quelli acquisiti nel caso di soggetti normodotati. Seguono alcune considerazioni sugli esiti ottenuti e su possibili sviluppi. 2 Capitolo 1 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO 1.1 INTRODUZIONE Il sistema nervoso gestisce tutte le nostre funzioni: sia quelle della "vita di relazione", come pensare, ricordare, parlare, muoversi, sia quelle della "vita vegetativa", come la circolazione del sangue, la digestione, la respirazione, ecc.. Il sistema nervoso dell’uomo è costituito da una rete di milioni di cellule che comunicano tra di loro mediante impulsi elettrici. Queste cellule si chiamano neuroni. La loro dimensione va da 4 a 140 millesimi di millimetro e le loro forme sono assai diverse. Osservando un neurone (Figura 1-1) al microscopio si nota che esso possiede alcuni piccoli prolungamenti che si chiamano dendriti (che ricevono informazioni da altri neuroni), ed un prolungamento lungo e semplice che si chiama neurite o assone (che trasmette il messaggio ricevuto ad un altro neurone o verso le cellule di destinazione, ad esempio le fibre muscolari, per mezzo di un singolo impulso). Figura 1-1: Neurone I neuroni sono cellule eccitabili specializzate nella ricezione di stimoli e nella conduzione degli impulsi provenienti dai nervi e servono a trasmettere informazioni ad altre parti del corpo. Essi usano impulsi elettrici e segnali chimici per la trasmissione di informazioni tra le diverse aree del cervello e tra il cervello ed il resto del sistema nervoso. Tutto ciò che l’uomo pensa e sente non sarebbe possibile senza il lavoro dei neuroni e delle loro cellule di sostegno: le cellule gliali (dal greco colla), chiamate astrociti e oligodendrociti (Figura 1-2). Figura 1-2: Neurone e cellule gliali 3 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO Tali cellule hanno la funzione di sostenere, nutrire e difendere dalle infezioni il sistema nervoso, ma non quella di trasmettere messaggi nervosi. All’interno del corpo cellulare c’è un nucleo che controlla l’attività della cellula e contiene il suo materiale genetico. I neuroni comunicano tra di loro attraverso l’invio di composti chimici, chiamati neurotrasmettitori, in un piccolo spazio, chiamato sinapsi, tra assoni e dendriti di neuroni adiacenti. Ci sono tre classi di neuroni: • neuroni sensoriali: portano informazioni dagli organi di senso al cervello; • neuroni motori: hanno lunghi assoni e portano le informazioni dal sistema nervoso centrale ai muscoli ed alle ghiandole del corpo; • interneuroni: hanno assoni corti e comunicano solo all’interno della loro immediata regione. All’interno di queste tre classi vi sono centinaia di tipi diversi di neuroni, ognuno con specifiche abilità in base al messaggio da trasmettere. Il sistema nervoso si suddivide in due parti principali: il sistema nervoso centrale ed il sistema nervoso periferico. Il primo è costituito dal cervello e dal midollo spinale (possiamo pensare al midollo spinale come ad un’estensione del cervello), il secondo invece è composto dai nervi craniali, che fuoriescono dalle cellule neurali, e dai nervi spinali che si propagano dal midollo spinale. Sebbene i neuroni possono essere di varie grandezze e tipologie, come altre cellule, essi hanno una dimensione ed una funzione ben caratteristica, ovvero quella di trasportare stimoli ed impulsi. Una delle differenze principali tra i neuroni e le altre cellule è che i primi non si possono dividere e non possono formare nuove cellule: ciò impedisce che la struttura equilibrata del sistema nervoso venga distrutta dalla creazione di nuovi circuiti, ma significa anche che, se un nervo viene danneggiato, questo non può essere sostituito in alcun modo. Ci sono due tipi di neuroni: mielinico e non mielinico. La mielina è una guaina protettiva di materiale bianco isolante che circonda alcuni assoni. Le fibre degli assoni isolate dalla mielina possono trasmettere messaggi elettrici a una velocità di 90 metri al secondo, mentre le fibre senza mielina possono solo inviare messaggi a una velocità di uno o due metri al secondo. Una delle conseguenze di una lesione midollare è la demielinizzazione degli assoni. 1.2 SISTEMA NERVOSO CENTRALE Il sistema nervoso centrale è costituito dall'encefalo (cioè il cervello) e dal midollo spinale (Figura 1-3). Figura 1-3: Sistema nervoso 4 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO Come dice il suo stesso nome, è la "centrale" di comando del corpo, dove vengono analizzate le informazioni in arrivo e organizzate le risposte. Nell’encefalo si elaborano le reazioni agli stimoli (fame, dolore, ecc.), le sensazioni ed i fenomeni dell’intelligenza, della volontà, del sentimento. L’encefalo si prolunga all’indietro in un cordone chiamato midollo spinale, che è lungo circa 45 cm, ha un diametro di circa 1 cm ed è situato nel canale rachidiano. Il midollo spinale è collegato a sua volta con la periferia del corpo mediante dei lunghi "fili" cilindrici che si chiamano nervi spinali (ce ne sono 31 paia ed escono dal midollo ad intervalli regolari) che si diramano nelle varie parti dell’organismo (Figura 1-4). Figura 1-4: Sistema nervoso centrale e nervi spinali Il midollo spinale assolve quindi soprattutto alle funzioni di collegamento tra il cervello e le parti periferiche del corpo. Per svolgere quest’attività è percorso dai prolungamenti delle cellule nervose che, come si è detto prima, sono chiamati assoni o neuriti: alcuni di essi trasportano segnali nervosi in uscita dal cervello (fibre discendenti) ed altri, invece, segnali che salgono verso il cervello (fibre ascendenti) provenienti, mediante i nervi periferici, da ogni regione del nostro organismo (Figura 1-5). Figura 1-5: Fibre nervose ascendenti e discendenti 5 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO L’encefalo ed il midollo spinale sono protetti da tre membrane: • la dura madre, la quale ricopre la superficie interna del cranio e del canale rachidiano; è fibrosa ed è piuttosto spessa e resistente e con dei prolungamenti si interpone fra gli emisferi e fra il cervello ed il cervelletto, contribuendo a mantenere fissi i rapporti di ogni parte dell’encefalo e del midollo; • l’aracnoide, membrana sottile che avvolge l’encefalo ed il midollo passando come ponte sulla superficie di ogni depressione; • la pia madre, membrana cellulo-vascolare sottilissima che copre tutta la superficie dell’encefalo e del midollo spinale. Il suo carattere principale è quello di insinuarsi nei fori, nelle depressioni e nei solchi che limitano le circonvoluzioni. I vasi sanguinei della pia madre sono molto numerosi: si può dire che è una vastissima rete vascolare. Fra la meninge aracnoide e la pia madre circola un liquido che si chiama liquido cefalo-rachidiano, destinato alla protezione dell’asse nervoso centrale. Detto liquido si forma nei ventricoli da alcuni prolungamenti della pia madre che penetrano in essi. Dai ventricoli laterali si diffonde lungo tutto il sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale) inframmentendosi non solo fra aracnoide e pia madre ma anche penetrando nei ventricoli del cervello e nel canale dell’ependima (di cui si parlerà più sotto) del midollo spinale. Se noi pratichiamo un taglio trasversale del midollo spinale, notiamo che esso presenta una specie di farfalla grigia nella parte centrale, circondata da un’area di colore bianco (Figura 1-6). Nella parte grigia centrale risiedono soprattutto le cellule nervose (neuroni), mentre la parte bianca è occupata soprattutto dagli assoni. Il colore bianco di questa zona è dovuto alla presenza della mielina che è una sostanza isolante la quale avvolge come un manicotto gli assoni e , come già accennato precedentemente, consente una trasmissione più veloce e sicura del segnale nervoso, ricevendo i segnali elettrici dagli organi sensoriali e trasmettendoli a quelli effettori del sistema nervoso periferico. Figura 1-6: Sezione trasversale del midollo spinale La sezione orizzontale del midollo mette in evidenza un solco anteriore ed uno posteriore che dividono il midollo nella parte destra e sinistra, tenute però insieme dalla sostanza grigia posta al centro, la quale tuttavia è attraversata da un canalino detto "canale dell’ependima" che risale fino al cervello ed è in rapporto coi ventricoli cerebrali. 6 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO 1.2.1 La colonna vertebrale Proprio per l’importante funzione svolta, il midollo spinale è circondato e protetto da una robusta struttura ossea: la colonna vertebrale (Figura 1-7). La colonna vertebrale (o spina dorsale) è formata dalla sovrapposizione di 31 ossa chiamate vertebre, e si estende dalla base del cranio sino alla regione glutea. La colonna vertebrale è il centro di controllo della nostra postura e fornisce la nostra stabilità quando stiamo in piedi. A causa delle sue numerose funzioni, la colonna vertebrale è molto vulnerabile e possono verificarsi lesioni alle ossa stesse, ai legamenti che collegano le ossa, ai dischi che separano ciascuna vertebra dall’altra, od ai muscoli che conferiscono il movimento alla spina dorsale. Figura 1-7: Colonna vertebrale La colonna vertebrale presenta quattro curve: • la curva anteriore convessa sacrale che curva verso il ventre o regione pelvica; • la lordosi lombare verso il retro; • la cifosi toracica che curva verso la parte anteriore del torace; • la lordosi cervicale che curva verso la parte posteriore del collo. Figura 1-8: Segmento di colonna vertebrale: A) Vista di una vertebra lombare dalla parte posteriore verso la parte anteriore della colonna vertebrale; B) Vista laterale di una vertebra lombare 7 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO Figura 1-9: Rappresentazione schematica dell’orientazione delle faccette articolari di una tipica vertebra A) cervicale, B) dorsale, C) lombare Figura 1-10: Rappresentazione schematica delle viste anteroposteriore, laterale e cranicocaudale di una vertebra A) cervicale, B) toracica, C) lombare 8 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO I legamenti della colonna vertebrale sono tessuti fibrosi che mantengono le ossa e le articolazioni in allineamento (Figura 1-11). Sotto stress, ad esempio in caso di ferite, questi legamenti si possono allungare o rompere. Una lacerazione parziale o totale di un legamento prende il nome di distorsione. Figura 1-11: Legamenti della colonna vertebrale I dischi intervertebrali sono situati tra le vertebre ed agiscono come ammortizzatori della colonna vertebrale. I dischi sono costituiti da strati fibrosi, detti appunto anelli fibrosi, che circondano una sostanza gelatinosa chiamata nucleo polposo (Figura 1-12) Figura 1-12: Dischi intervertebrali Ogni vertebra è composta anteriormente da un corpo e posteriormente da un arco osseo che delimitano un’apertura, chiamata forame vertebrale, la quale contribuisce, grazie alla sovrapposizione delle 31 vertebre, a formare un canale (il canale vertebrale o spinale) al cui interno è collocato il midollo spinale (Figura 1-13 e Figura 1-14). Figura 1-13: Canale vertebrale 9 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO Figura 1-14: Rappresentazione schematica della sezione trasversale di una vertebra cervicale In relazione alla regione del corpo attraversata, la colonna e le sue vertebre si suddividono in (Figura 1-15): • colonna cervicale, composta da 7 vertebre (indicate come C1 la prima e C7 l’ultima, di cui la prima a diretto contatto con la base del cranio); • colonna dorsale o toracica, con 12 vertebre (sono numerate dall’alto in basso da D1 a D12 o, indifferentemente, con T1-T12); • colonna lombare, con 5 vertebre (L1 la prima e L5 l’ultima); • colonna sacrale con 5 vertebre (da S1 a S5); • infine le 2 vertebre coccigee. Figura 1-15: Suddivisione delle vertebre Ad eccezione delle vertebre sacrali, che sono fuse tra loro, le altre vertebre sono separate dai dischi intervertebrali (Figura 1-12 e Figura 1-13) che hanno la funzione di rendere la nostra colonna più flessibile ed elastica. Come già esposto sopra, la colonna vertebrale, se viene guardata nel piano sagittale, presenta quattro curvature che servono a migliorare l’equilibrio e la mobilità del nostro corpo (Figura 1-7): due curve concave posteriormente, una a livello cervicale ed una a livello lombare che si 10 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO chiamano lordosi; due curve a concavità anteriore: una a livello dorsale ed una a livello sacrale che si chiamano cifosi. Il midollo spinale percorre il canale vertebrale dalla prima vertebra cervicale (C1) sino al margine superiore della seconda vertebra lombare (L2). L’ultima parte del canale vertebrale, da L2 sino alla ultima vertebra sacrale (S5), è occupata da un fascio di nervi chiamato cauda equina per la forma che ricorda la coda di un cavallo (Figura 1-15). 1.3 SISTEMA NERVOSO PERIFERICO Il sistema nervoso periferico è costituito da un insieme di nervi che possiamo suddividere in: • nervi cranici; • nervi spinali. I nervi cranici sono in numero di dodici paia e sono collegati direttamente al cervello. Alcuni di essi trasportano solo informazioni dall’ambiente verso il cervello (come ad esempio le stimolazioni visive, uditive ed olfattive), mentre altri, come quelli che muovono la lingua o gli occhi, conducono solo informazioni dal cervello a questi organi. I nervi spinali, come abbiamo detto, sono in numero di trentuno paia e sono in collegamento diretto con il midollo spinale mediante due radici ben distinte: • una posteriore o dorsale (detta sensoria), la quale contiene fibre nervose che portano al midollo le informazioni dalla periferia del corpo; • una anteriore o ventrale (detta motoria), che trasporta gli impulsi nervosi provenienti dal cervello e dal midollo verso la periferia del corpo. Appena uscita dal midollo, ciascuna radice dorsale si unisce con quella rispettiva ventrale a formare un nervo nel quale, tuttavia, le fibre sensitive e quelle di moto restano separate, pur procedendo insieme fino al punto di arrivo del nervo (Figura 1-16). Figura 1-16: Formazione del nervo spinale In tal punto il nervo si suddivide in numerosissimi filamenti nervosi che, 11 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO nell’insieme, innervano vaste zone. I nervi spinali sono, dunque, nervi misti (Figura 1-16). Figura 1-17: Rappresentazione schematica dei punti d'uscita delle radici dei nervi cervicali L’azione dei nervi efferenti o motori, per mezzo dei quali il midollo spinale ed il cervello inviano segnali atti a produrre la contrazione dei muscoli, e dei nervi afferenti o sensitivi, mediante i quali i muscoli inviano ai centri nervosi superiori informazioni sul loro stato di tensione o di contrazione, è di natura elettrica (Figura 1-18). Più genericamente, questa proprietà elettrica dell’azione dei nervi non è limitata a quelli collegati ai muscoli ma è tipica di tutto il sistema nervoso. Si è accertato che i nervi afferenti trasmettono sempre i loro segnali per via elettrica, sia che debbano indicare tensione muscolare, contatto, dolore, calore, suono, ecc., o che debbano trasmettere le informazioni fornite da qualcuno degli altri sensi. Analogamente, sono di natura elettrica i segnali nervosi trasmessi lungo i nervi efferenti ai meccanismi effettori, sia che questi ultimi siano di natura meccanica, come i muscoli, o di natura chimica, come le ghiandole. Figura 1-18: Natura elettrica dei messaggi che determinano l’azione riflessa 12 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO Figura 1-19: Schematizzazione dell’azione riflessa Il midollo spinale è organizzato per tutta la sua lunghezza in tante parti (tecnicamente si chiamano segmenti midollari) che non corrispondono esattamente alle vertebre perché durante la crescita, dall’età infantile a quella adulta, la colonna vertebrale si sviluppa in lunghezza più del midollo spinale. Da ognuno dei segmenti midollari nasce un paio di nervi spinali, e più precisamente: 8 dalla regione cervicale, 12 dalla toracica, 5 dalla lombare, 5 dalla sacrale ed 1 dalla coccigea (Figura 1-20). Ogni paio di nervi spinali, uno per il lato destro ed uno per il lato sinistro del corpo, mettono in connessione un determinato segmento midollare con una specifica regione del corpo. Per cui avremo che (Figura 1-21): • i segmenti del midollo spinale contenuti nel tratto cervicale della colonna, mediante i nervi spinali che originano da essi, saranno in grado di controllare e comandare le attività del collo, delle braccia e delle mani; • i segmenti del midollo toracico (da T1 a T12) sono in rapporto soprattutto con la regione del dorso; • i segmenti del tratto lombare (da L1 a L5) e sacrale (da S1 a S5) controllano il funzionamento degli arti inferiori e della regione perineale. 13 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO Figura 1-20: Nervi spinali Figura 1-21: Relazione tra segmento midollare ed area del corpo controllata 14 ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO 1.4 SISTEMA NERVOSO AUTONOMO Alcune attività del corpo sono sotto il diretto controllo dell’individuo mentre altre avvengono senza un nostro intervento volontario. La spiegazione è che alcuni nervi periferici contengono fibre nervose che trasportano messaggi del sistema nervoso volontario (detto anche in termini tecnici somatico), mentre le fibre di altri nervi periferici appartengono al sistema nervoso involontario (che viene definito anche autonomo o vegetativo). In pratica noi siamo in grado di gestire i messaggi che transitano nei nervi del sistema volontario, mentre quelli che viaggiano nel sistema involontario sono svincolati dal nostro controllo. Bisogna comunque dire che tra i due sistemi esistono dei frequenti punti di contatto e dialogo, sia nel midollo spinale che nel cervello ed anche in periferia a livello di alcuni organi. A complicare le cose si aggiunge anche il fatto che il sistema nervoso involontario o vegetativo, è organizzato in due sottosistemi che si chiamano ortosimpatico (meglio noto come simpatico) e parasimpatico. Di questi ci interessa sapere che entrambi possiedono delle sedi anche nel midollo spinale. Il sistema simpatico ha i suoi centri nei segmenti del midollo spinale del tratto dorsale e nei primi due di quello lombare (da D1 a L2). Il sistema parasimpatico ha i suoi centri midollari localizzati nel tratto sacrale nei segmenti S2, S3 e S4: da questi centri partono delle vie nervose fondamentali per il controllo della vescica, dell’ultima parte dell’intestino e degli organi sessuali. Risulta infine importante conoscere che il sistema simpatico ed il parasimpatico di solito funzionano tra loro in modo opposto: ad esempio, il simpatico fa accelerare il battito cardiaco e l’altro lo rallenta. Tutto quanto si è sino ad ora esposto ci ha fatto intendere che il sistema nervoso periferico, con i suoi nervi, segnala al midollo spinale ed al cervello che cosa si tocca, si vede, si ascolta oppure gli stimoli dolorosi, i sapori dei cibi, ecc.. Il cervello elabora i segnali in arrivo e prende decisioni sulle risposte da dare. 15 Capitolo 2 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE 2.1 GENERALITÀ Un recente studio condotto in Italia dal Gruppo Italiano di Studio Epidemiologico sulle Mielolesioni (GISEM) ha evidenziato che una lesione al midollo spinale è provocata nel 65% dei casi da un trauma (Figura 2-1) e nel 35% dei casi da una malattia (tumori, infiammazioni/infezioni, problemi di circolazione del sangue, grave artrosi o artrite, ecc.). Altro 8% Tentato suicidio 4% Auto 39% Caduta dall'alto 22% Arma/violenza 2% Sport 8% Ciclista/Pedone 3% Moto 14% Figura 2-1: Lesioni midollari da eventi traumatici: le cause [GISEM, 2000] 100 96,5 90 80 87,9 100 85,9 77,6 77,1 73,3 70,8 70 60 50 Masch i Fe m mi ne 40 29,2 30 26,7 22,9 22,4 20 14,1 12,1 10 3,5 0 Auto Moto Ciclista/ pedone Sport Arma/ Caduta Tentato violenza dall'alto suicidio Altro Figura 2-2: Lesioni midollari da eventi traumatici nei due sessi [GISEM, 2000] 17 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE Per quanto riguarda le cause di natura traumatica, circa il 50% sono dovute ad incidenti stradali (auto e moto, Figura 2-1 e Figura 2-2), come anche confermato dallo studio effettuato da P. O’Connor (Tabella 2-1, Tabella 2-2, Tabella 2-3, Tabella 2-4) che ha preso in esame i fattori di rischio per lesioni al midollo spinale negli incidenti stradali, considerando i casi di lesioni al midollo identificati dall’ASCIR (Australian Spinal Cord Injury Register) che copre l’intera popolazione adulta (per lo studio sono stati considerati i casi compresi dal 1988 al 1995). Negli incidenti stradali che coinvolgono un singolo veicolo, la probabilità di danni al midollo spinale è risultata cinque volte minore per gli occupanti di vetture berline rispetto ad altri tipi di vetture. La probabilità di danni è, in particolare, molto più elevata per vetture non berline che subiscono un ribaltamento (dieci volte superiore). O’Connor esprime inoltre preoccupazione a proposito della diffusione degli Sport Utility Vehicles (S.U.V.) in quanto maggiormente inclini al cappottamento. Tabella 2-1: Livello neurologico e completezza del danno al midollo spinale [P. O’Connor, 2002] Tabella 2-2: Tipo di lesione sulla base dei vari fattori che caratterizzano l’incidente stradale [P. O’Connor, 2002] 18 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE Tabella 2-3: Classificazione dei casi sulla base del luogo dell’incidente, del numero d’auto coinvolte e del tipo di incidente [P. O’Connor, 2002] Tabella 2-4: Classificazione dei casi sulla base del luogo d’incidente, del tipo d’auto e del tipo d’incidente per una singola auto coinvolta [P. O’Connor, 2002] La conseguenza di un trauma vertebrale importante può essere una frattura (Figura 2-3 e Figura 2-4) od una lussazione (per lussazione si intende l’alterazione dei normali rapporti fra le vertebre con scivolamento di una vertebra sulla sottostante). Figura 2-3: Frattura vertebrale 19 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE Figura 2-4: Compressione del midollo da parte della frattura vertebrale Bisogna comunque porre attenzione al fatto che, in occasione di certi tipi di traumi, si possono osservare lesioni del midollo o delle radici anche in assenza di fratture o lussazioni delle vertebre (si tratta delle cosiddette contusioni midollari: le vertebre ed i dischi sono intatti, ma il midollo può ugualmente aver subito un danno all’interno del canale vertebrale). I traumi vertebrali vengono classificati in relazione al danno alle strutture nervose in: • mielici: quando interessano il midollo spinale o le radici della cauda equina (il midollo spinale termina all’altezza della seconda vertebra lombare); • amielici: quando il trauma coinvolge solo le ossa delle vertebre od i dischi che stanno tra una vertebra e l’altra. A causa di queste lesioni traumatiche si possono verificare due conseguenze fondamentali: • la colonna vertebrale diventa instabile; • le strutture nervose (midollo spinale e/o radici spinali) subiscono una compressione che le danneggia (Figura 2-4). La presenza di una compressione del midollo o delle radici viene rilevata con la valutazione neurologica iniziale del paziente traumatizzato, che permette un bilancio della lesione e di programmare il trattamento, ed è soprattutto il termine di paragone con gli esami successivi per seguire nel tempo l’evoluzione del danno. Diagnosticata la sede e l’entità della lesione midollare con l’esecuzione di radiografie, TAC spinale ed eventualmente anche della risonanza magnetica, il chirurgo, se il paziente non ha altre complicazioni, decide il tipo di intervento. Gli scopi dell’intervento chirurgico sono quelli di decomprimere il midollo e stabilizzare la colonna vertebrale. Il midollo, per il trauma subito in seguito ad una frattura vertebrale, va subito incontro ad una grave sofferenza che danneggia le cellule nervose ed i loro prolungamenti lunghi e brevi. Il danno causa un immediato e gravissimo effetto: queste cellule non sono in grado di svolgere la loro funzione fondamentale, cioè trasmettere segnali 20 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE nervosi. Ciò viene rilevato attraverso l’esame neurologico che ci permette di individuare quali parti del midollo funzionano ancora e quali sono in condizioni di sofferenza, anche senza la necessità di effettuare sofisticate indagini come la risonanza magnetica o la TAC. Questo è possibile ricorrendo ad una apposita scheda (Figura 2-5) che può essere paragonata ad una mappa, in quanto è lo strumento che utilizza il medico per definire l’entità e la sede degli eventuali deficit di movimento e della sensibilità che stanno coinvolgendo il corpo del paziente traumatizzato. Figura 2-5: Tabella ASIA Questa scheda è stata realizzata dall’American Spinal Injury Association (ASIA), associazione medica americana i cui componenti sono esperti nello studio delle lesioni midollari e delle loro conseguenze. Come evidente in Figura 2-5, essa si suddivide in due settori: quello motorio e quello sensitivo. Nella parte sensitiva si trova raffigurato il corpo umano suddiviso da delle linee in tante aree sia lungo gli arti che lungo il tronco. All’interno di ogni area della pelle (dermatomero) è riportata una sigla composta da una lettera maiuscola e da un numero: da C2 in alto, collocata a livello della parte posteriore del cranio, a S5. L’area del corpo, indicata da una determinata sigla, è connessa attraverso i nervi periferici spinali con quel corrispondente segmento del midollo spinale. Nella scheda esiste una scala che da dei valori riguardo all’entità della sensazione che si può avvertire: 0 = sensazione assente, 1 = sensazione ridotta, 2 = sensazione normale. Nella parte motoria della scheda sono riportate due colonne (una per il lato destro ed una per quello sinistro del corpo) le quali rappresentano tutti i segmenti midollari da C2 a S5. Si osserva poi che sono elencati i nomi di cinque muscoli per l’arto superiore e di cinque per l’arto inferiore, e che essi sono definiti come "muscoli chiave". Questo termine e stato adottato in quanto questi muscoli sono di facile valutazione in qualsiasi posizione si trovi collocato il paziente da esaminare e perché ricevono la maggior parte dell’innervazione dal segmento midollare indicato a fianco (si ricorda che in questa scheda è stata adottata una notevole semplificazione rispetto alla realtà, in quanto la maggior parte dei muscoli riceve, seppur in quote variabili, l’innervazione da due o più segmenti midollari). Ad ognuno dei muscoli chiave corrisponde un segmento 21 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE midollare: da C5 a T1 per l’arto superiore e da L2 a S1 per quello inferiore. Ad esempio, accanto al muscolo bicipite, che comanda l’azione di piegare il gomito, è riportata la casella C5 che rappresenta il quinto segmento del midollo cervicale; ciò vuol dire che da esso deriva il nervo che comanda l’attività (contrazione e rilasciamento) del bicipite, per cui se una persona che ha subito un trauma della colonna vertebrale cervicale, non è in grado di piegare il gomito, significa che ha un cattivo funzionamento del quinto segmento del midollo spinale, cioè C5, o di altri segmenti midollari posti al di sopra. In altri termini, l’ordine di piegare il gomito parte regolarmente dal cervello, ma si interrompe a livello di C5 o più in alto. Anche nel caso dei muscoli esiste una scala di misura che consente di graduare la forza residua: 0 = assenza di movimento o paralisi, 1 = contrazione visibile o palpabile, 2 = movimento volontario in assenza di gravità, 3 = movimento volontario contro gravità, 4 = movimento attivo contro una discreta resistenza, 5 = movimento volontario contro una massima resistenza. L’utilizzo di tale scheda da la possibilità al medico di capire che il paziente ha una lesione midollare e soprattutto qual’è il livello neurologico della lesione stessa. Il livello neurologico coincide con l’ultimo segmento di midollo spinale che ancora funziona normalmente sia per quanto riguarda la capacità di inviare comandi (funzione motoria) sia per ricevere informazioni dalla periferia del corpo da trasferire al cervello (funzione sensitiva). Il livello neurologico non deve essere confuso con il cosiddetto livello scheletrico (che è la sede della colonna dove l’esame radiologico ha evidenziato il maggior danno vertebrale), perché non combaciano quasi mai: una persona può aver fratturato la quarta vertebra cervicale (C4) ma il suo livello neurologico potrebbe essere localizzato a C6 (in questo caso la persona ha funzionanti due segmenti midollari in più rispetto al livello della vertebra lesionata). Alcuni pazienti possono avere dei movimenti che sono comandati da dei segmenti di midollo che stanno al disotto del livello neurologico; ciò è dovuto al fatto che possono esistere degli altri segmenti di midollo che hanno subito dei danni parziali e sono ancora in grado di espletare in parte alcune funzioni (ma, ad esempio, con forza ridotta). Un secondo importante vantaggio di questa scheda è rappresentato dalla definizione del concetto di lesione midollare completa od incompleta. Secondo l’ASIA, una lesione midollare è definita completa quando la funzione sensitiva o motoria non è più conservata nei segmenti del midollo sacrale da S3 a S5. Se la lesione iniziale è classificata come completa, un eventuale recupero si verifica di norma entro le prime settimane dall’esordio della mielolesione. Quando invece la lesione è incompleta i tempi di recupero sono più ampi: una prima importante ripresa si ha in genere nei primi 2-3 mesi, ma ulteriori miglioramenti, anche se più contenuti, si possono avere anche ad un anno ed oltre dall’evento lesivo. Si precisa che una lesione midollare completa non significa che il midollo è sezionato o tagliato di netto, perché questo tipo di lesione anatomica (la transezione midollare) è un evento molto raro. La terza ed ultima acquisizione che offre la compilazione della scheda ASIA, è rappresentata dalla previsione della ripresa funzionale che si può realizzare con la riabilitazione. In termini molto semplici si può dire che ogni paziente ha un suo livello neurologico di lesione, in base al quale si può prevedere quali saranno le attività che questa persona sarà capace di fare, nella vita di ogni giorno, al termine del percorso riabilitativo. 22 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE 2.2 RELAZIONE TRA LIVELLO NEUROLOGICO E POSSIBILITÀ DI RECUPERO FUNZIONALE Se la lesione del midollo spinale riguarda i segmenti che vanno da C1 a C7, cioè quelli cervicali, la persona avrà come conseguenza una tetraplegia, cioè avrà difficoltà ad utilizzare in misura più o meno completa gli arti superiori, a controllare il tronco, non comanderà gli arti inferiori e perderà il controllo degli organi contenuti nel bacino. I tetraplegici che hanno subito la lesione in uno o più dei primi quattro segmenti del midollo cervicale (C1-C4), al termine della riabilitazione saranno autosufficienti solo nella conduzione di una carrozzina elettronica e quelli con lesione dei segmenti midollari tra C1 e C3 utilizzeranno per respirare un ventilatore 24 ore al giorno (il diaframma, un insieme di muscoli coinvolti nella respirazione, è collegato al midollo spinale tramite fibre nervose che si diramano dalle vertebre cervicali poste tra C3 e C5: pertanto, in caso di una lesione sopra questo livello, potrebbe appunto essere necessaria la ventilazione meccanica). Coloro che hanno un livello neurologico pari a C5 saranno capaci di alimentarsi con appositi apparecchi e con assistenza di una persona. Il recupero funzionale (cioè le attività che una persona riesce a compiere più o meno da sola) è maggiore quando la tetraplegia è causata da una lesione a carico del segmento C6 e soprattutto di C7. Queste persone possono divenire capaci di condurre da sole una carrozzina manuale in casa, mentre hanno bisogno di aiuto negli ambienti esterni quando si trovano su terreni in pendenza o con un fondo un po’ sconnesso. Alcuni di essi saranno in grado di mangiare da soli utilizzando appositi ausili, mentre qualcun’altro avrà bisogno di assistenza. I trasferimenti dalla carrozzina al letto o al wc richiedono l’intervento di mezzi meccanici (sollevatori) per i pazienti con lesione sino a C5, mentre per i livelli C6, C7 e C8 è richiesta l’assistenza di una persona quando i due piani (carrozzina e letto ad esempio) non sono allo stesso livello. Per le persone tetraplegiche è prevista la guida dell’automobile ad iniziare dal livello neurologico C5, naturalmente con utilizzo di numerosi e sofisticati adattamenti, che diventano più semplici per i livelli C6, C7 e C8. La persona se utilizzerà un caravan opportunamente attrezzato, potrà salire e scendere anche autonomamente con la carrozzina elettrica e guidare direttamente da questa. Se la lesione midollare colpisce i segmenti dorsali, lombari o sacrali (vale a dire da D1 a S5) la persona avrà come conseguenza una paraplegia. La persona paraplegica avrà intatte la forza e la funzione degli arti superiori, mentre le difficoltà di controllo del tronco, delle gambe e degli organi del bacino dipendono dalla sede della lesione. È allora possibile dividere i paraplegici in tre gruppi: • da D1 a D9; • da D10 a L1; • da L2 a S5. In tutti e tre i gruppi si attende per i mielolesi l’autosufficienza nelle attività riguardanti l’alimentarsi, la pulizia del corpo, il vestirsi, i trasferimenti da e alla carrozzina, la guida della carrozzina all’interno ed all’esterno della casa anche su lunghe distanze, la guida dell’auto dotata di opportune modifiche per il mancato utilizzo degli arti inferiori (cambio automatico, freno ed acceleratore a mano). La differenza più significativa tra i tre livelli di lesione, alla conclusione della 23 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE riabilitazione, in termini di capacità funzionale, riguarda il raggiungimento della stazione eretta e della deambulazione: • le persone del gruppo D1-D9 non sono in grado di ottenere un cammino funzionalmente valido, ovvero una marcia sufficientemente veloce, che non determini rischi di cadute, né troppa fatica per l’individuo; • per il secondo raggruppamento (D10-L1), ci si può attendere una deambulazione funzionale con utilizzo di adeguate ortesi (deambulatori, tutori, ecc.) e di solito con la supervisione di una persona; • nel terzo ed ultimo gruppo (L2-S5), la persona è in grado di camminare da sola in modo funzionale, anche se di solito necessita di ausili (scarpe, tutori, bastoni, stampelle ecc.). 2.3 LESIONI COMPLETE ED INCOMPLETE DEL MIDOLLO SPINALE Per comprendere meglio cosa succede quando il midollo spinale subisce una lesione, è forse utile paragonare il sistema nervoso ad una rete telefonica. La rete inizia con i fili del nostro apparecchio telefonico, i quali trasportano le informazioni verso i cavi più grossi che entrano in contatto con la centrale. Quest’ultima riceve, elabora ed invia i messaggi all’utente da noi contattato e di nuovo anche al nostro apparecchio. Se trasferiamo questo modello al sistema nervoso, possiamo dire che: il nostro cervello corrisponde alla centrale telefonica, il midollo spinale ai grossi cavi ed i nervi periferici, che sono in contatto con i muscoli, le articolazioni, i visceri e gli organi di senso, ai fili collegati ai nostri apparecchi telefonici. Quando si verifica una lesione al midollo spinale, possiamo dire che il guasto si localizza a livello dei grossi cavi (midollo spinale) che portano le informazioni provenienti dal nostro apparecchio telefonico (muscoli e organi vari) alla sede centrale (cervello), per cui i nostri messaggi si fermano all’altezza della zona danneggiata e non raggiungono la sede centrale. Nello stesso tempo i messaggi che partono dalla sede centrale (il cervello) verso il nostro apparecchio (muscoli ed organi) si arrestano per la maggior parte all’altezza di dove è avvenuto il guasto nei grossi cavi (midollo spinale) e solo pochi riescono ad oltrepassare la zona danneggiata. Le lesioni al midollo spinale di solito non si limitano al midollo, al contrario queste spesso provocano danni ai nervi spinali che si diramano dal midollo stesso. La lesione midollare traumatica può essere causata dall’allungamento del midollo nel momento in cui si ha lo spostamento delle vertebre, o da un danno al midollo causato dai frammenti della vertebra fratturata che si conficcano nel midollo stesso. La lesione midollare non traumatica invece può essere causata dalla pressione sul midollo spinale causata da cisti o tumori, e da una interruzione locale del flusso sanguigno. Gli effetti di una lesione traumatica continuano per diversi giorni dalla lesione iniziale: questo periodo è conosciuto come "shock spinale". Lo shock spinale può durare per circa sei settimane: esso è dovuto in parte al livido e all’edema che si forma sul midollo spinale (causato dallo schiacciamento del midollo tra le vertebre) ed in parte alla mancanza di ossigeno (causata dall’interruzione dell’erogazione del sangue al tessuto). Inoltre, ogni sanguinamento all’interno dell’area lesionata può provocare un ulteriore danno. Durante questo periodo di shock spinale, la capacità di inviare messaggi all’interno 24 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE del midollo viene meno e la perdita della funzionalità sotto la lesione può sembrare totale. Tuttavia, una volta che il gonfiore comincia a diminuire, alcune funzioni possono essere recuperate: infatti solo quando la fase di shock spinale è termina si può capire e valutare appieno il danno subito dal midollo spinale. Durante i primissimi giorni dopo la lesione, le cellule dei globuli bianchi viaggiano verso la zona colpita per rimuovere le scorie dalle cellule danneggiate, causando però spesso ulteriori danni. Inoltre, durante le prime settimane dalla lesione iniziale, il tessuto danneggiato viene ripulito da cellule specializzate. Queste lasciano una cavità riempita di fluido circondata da tessuto cicatriziale. Si instaura poi un meccanismo per cui alcune molecole bloccano la ricrescita di molti neuroni all’interno della cavità piena di fluido ed in questo modo agiscono come barriera per la riconnessione dei due lati del midollo spinale danneggiato. Questa serie di eventi negativi è stata esaminata nella speranza di trovare dei metodi per prevenirli e/o gestirli. Sono state inoltre attuate delle ricerche sulle forme di trattamento post shock spinale volte a migliorare la normale, ma spesso limitata, ripresa che si può avere dopo una lesione midollare. 2.3.1 Lesioni incomplete Con lesione incompleta si fa riferimento ad un danneggiamento parziale del midollo spinale: in questa situazione alcune funzioni motorie e sensoriali continuano ad essere attive. Persone con una lesione incompleta possono avere attività sensoriale ma non di movimento mentre altre, al contrario, possono avere attività motorie ma scarsa o nulla sensorialità. Infatti, i danni causati da una lesione midollare variano da persona a persona poiché varia il tipo di danno che si accumula nelle fibre nervose a seconda del tipo di lesione subita. Gli effetti di una lesione incompleta dipendono dall’area del midollo (parte anteriore, posteriore, laterale) che è stata danneggiata (Figura 2-6). Infatti la parte di midollo danneggiata dipende dalle forze di torsione o schiacciamento che sono state coinvolte nell’infortunio. Figura 2-6: Aree del midollo spinale I differenti tipi di lesioni incomplete possono causare sindromi specifiche: 25 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE 2.3.1.1 Sindrome del midollo anteriore É il risultato di un’inclinazione in avanti (iper-flessione) e di solito coinvolge le vertebre cervicali del collo. È di solito dovuta ad un incidente automobilistico, quando la testa è battuta in avanti in seguito all’impatto. Le lesioni provocate dall’inclinazione della testa si hanno anche quando questa è colpita da dietro, o quando la persona con la lesione cade, sbattendo la parte posteriore della testa. La violenta inclinazione del collo causa un grave spostamento in avanti delle vertebre, che comprimono la parte anteriore del midollo. La lesione che ciò provoca porta ad una perdita del controllo dei muscoli e ad una riduzione della capacità di sentire il dolore e la temperatura sotto il livello della lesione stessa. La sensazione del tatto, delle vibrazioni e la sensazione della posizione delle braccia non sono totalmente colpite, poiché queste funzioni attraversano la parte posteriore del midollo (Figura 2-7) Figura 2-7: Sindrome del midollo anteriore 2.3.1.2 Sindrome dell’arteria anteriore Questa sindrome è simile a quella del midollo anteriore ma è dovuta all’interruzione dell’erogazione del sangue alla parte anteriore del midollo. Questa situazione non intacca la parte posteriore del midollo, poiché ha un sistema di erogazione separato. La parte al di sotto della lesione subisce una perdita della funzione motoria volontaria e di quella sensoriale, ma la sensazione del tatto, delle vibrazioni e la posizione delle braccia, spesso non sono colpite (Figura 2-8). Figura 2-8: Sindrome dell'arteria anteriore 2.3.1.3 Sindrome del midollo posteriore L’allungamento innaturale del mento (iper-estensione), che può essere causato da una caduta sul mento o sul viso, comprime e danneggia la parte posteriore del midollo. Ciò provoca la perdita del senso del tatto, della posizione e della vibrazione al di 26 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE sotto della lesione. La forza dei muscoli, la sensazione del dolore e della temperatura non sono intaccati, ma poiché la normale conoscenza subconscia della posizione delle gambe è di solito persa, la persona affetta da questo infortunio potrebbe avere difficoltà nell’imparare nuovamente a camminare dopo il periodo di riabilitazione (Figura 2-9). Figura 2-9: Sindrome del midollo posteriore 2.3.1.4 Sindrome del midollo centrale Questa sindrome è dovuta ad una lesione parziale causata da un minimo allungamento del collo. Il danno è localizzato nella sezione centrale del midollo ed il modo in cui i neuroni sono disposti all’interno del midollo porta alla perdita della forza dei muscoli e della sensazione nelle braccia e nelle mani, con anche una parziale perdita della forza e della sensazione nella parte superiore dell’addome e del torace. La sensazione ed il movimento delle gambe e dei piedi potrebbe non risentirne, mentre rimangono attive le funzioni di vescica e intestino (Figura 2-10). Figura 2-10: Sindrome del midollo centrale 2.3.1.5 Sindrome di Brown-Séquard Questa sindrome può essere causata da un trauma, o da un piegamento forzato, che portano ad una lesione profonda su una parte del midollo. I neuroni sensoriali che trasmettono al cervello la sensazione del dolore e della temperatura, si incrociano all’interno del midollo in modo che possano viaggiare da una lato del corpo verso il cervello sul lato opposto del midollo. Di conseguenza, questo tipo di lesione va a colpire, nel lato in cui è localizzata, la forza dei muscoli ed il controllo, ma non la sensazione del dolore e della temperatura. Nell’altra parte del corpo è vero l’opposto, la forza dei muscoli non è colpita, ma il senso del dolore e la sensazione della temperatura è ridotta od assente (Figura 2-11) 27 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE Figura 2-11: Sindrome di Brown-Séquard 2.3.1.6 Sindromi del cono e della cauda equina Un danno alla colonna spinale sotto la vertebra T11 può causare un insieme di effetti. La lesione ai nervi nel cono midollare o nella cauda equina, al di sotto della lesione, porta alla perdita della forza dei muscoli e del loro controllo, ma mantiene una quantità variabile di sensazione. La perdita dei riflessi spinali, causata dalle lesioni di questo livello, può avere un grave effetto sulla vescica, sull’intestino e sulla funzione sessuale (Figura 2-12) Figura 2-12: Sindromi del cono e della cauda equina 2.3.1.7 Sindrome sacrale parziale Anche quando la maggior parte del midollo subisce un trauma o subisce la perdita dell’erogazione del sangue, alcuni piccoli vasi sanguigni possono rimanere intatti nel bordo più esterno del midollo. In questa sindrome la persona, sebbene paralizzata dalla vita in giù, mantiene alcune sensazioni provenienti dall’area sacrale del midollo (Figura 2-13). Figura 2-13: Sindrome sacrale parziale 28 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE 2.3.1.8 Emiplegia È un disordine in cui solo un lato del corpo è paralizzato. È definita come una paralisi che coinvolge almeno un braccio ed una gamba. Tale termine è usato talvolta per descrivere anche altre paralisi parziali. Le cause più comuni di un’emiplegia sono legate ai danni al cervello. In genere, una lesione al lato sinistro del cervello causa una emiplegia destra, mentre una lesione al lato destro, una emiplegia sinistra. Quando il danno alla spina dorsale è localizzato solo su un lato del midollo, normalmente lo stato emiplegico è la risultante dal trauma (Figura 2-14). Figura 2-14: Emiplegia 2.3.2 Lesioni complete Lesione completa è il termine che viene utilizzato per descrivere una lesione totale del midollo spinale. In questa situazione si ha una perdita totale, e di solito permanente, della capacità di inviare impulsi nervosi sensoriali e motori e quindi una completa, e di solito permanente, perdita di funzionalità sotto il livello della lesione. Ciò provoca una paraplegia od una tetraplegia completa. Una volta terminata la fase dello shock spinale, può essere valutato in maniera accurata l’impatto della lesione sulle funzioni sensoriali e motorie. La paralisi è un termine generico usato per descrivere la perdita delle funzioni sensoriali e motorie in seguito ad un danno al sistema nervoso. Conoscere il livello esatto della lesione è utile per predire quali parti del corpo saranno affette da paralisi e dalla perdita delle funzioni sensoriali. Il livello in cui la lesione è localizzata, determina la gravità degli effetti: più alta è la lesione nel midollo e maggiori saranno i danni. La gravità degli effetti della lesione varia anche dal tipo di lesione, ovvero se è una lesione completa od incompleta. Normalmente, dopo una lesione midollare, vengono eseguiti semplici esami per stabilire l’estensione del blocco motorio e sensoriale (Figura 2-5). 2.3.2.1 Paraplegia Questo termine descrive una paralisi totale o parziale che colpisce le gambe e spesso anche il tronco, ma non le braccia. L’estensione del danno al tronco dipende dal punto in cui si è avuta la lesione. Come è stato già anticipato più sopra, la paraplegia è il risultato di un danno al midollo dalla vertebra T1 a scendere. Le lesioni toraciche (T1-T12) colpiscono sia il torace che le gambe. Le lesioni lombari (L1-L5) provocano una paralisi al di sotto della linea della vita. Le lesioni al livello sacrale possono non provocare una paralisi agli arti ma gravano sui riflessi spinali. La paraplegia ha spesso degli effetti sull’intestino, sulla vescica e sulle funzioni sessuali. 29 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE 2.3.2.2 Tetraplegia Come già discusso a proposito del recupero funzionale, con questo termine si descrive una paralisi totale o parziale dal collo verso il basso, coinvolgendo i quattro arti ed il tronco. Questa condizione si presenta in seguito al danneggiamento del midollo spinale nella regione cervicale. Nella tetraplegia vengono gravemente colpite le funzioni di intestino, vescica e le funzioni sessuali. 2.3.2.3 Paralisi spastica e paralisi flaccida La paralisi può essere divisa in due categorie a seconda del tipo di danno che subisce il midollo: si parla di paralisi spastica e paralisi flaccida. Si ha paralisi spastica quando i riflessi spinali sono ancora funzionanti ma la supervisione di questi riflessi da parte del cervello non funziona. In questo caso la persona ha degli spasmi che sono delle contrazioni violente ed improvvise, o veloci movimenti, dei muscoli causati da reazioni a stimoli normali (in una persona senza lesione il cervello avrebbe dovuto inviare dei messaggi per prevenire questi spasmi, invece un danno al midollo impedisce ciò). Gli spasmi, se continuano, possono causare delle contratture (danni al muscolo e/o al tessuto circostante, che causano una deformità all’articolazione). In questo tipo di paralisi c’è anche una maggiore rigidità di alcuni muscoli. La paralisi flaccida si ha invece quando non sono attivi i riflessi spinali nella persona affetta da lesione midollare. In questa situazione si ha la perdita del tono muscolare negli arti inferiori, la perdita di tono della vescica e dell’intestino ed eventualmente l’atrofizzazione generale dei muscoli. Il danno al di sopra della regione sacrale di solito causa una paralisi spastica, mentre un danno nella regione sacrale causa spesso una paralisi flaccida. Consideriamo ora l’esempio di due persone che hanno subito una lesione midollare in due sedi diverse: una a livello cervicale e l’altra al tratto dorsale. 1) Persona con lesione midollare a livello del quarto segmento cervicale (C 4). Figura 2-15: Tetraplegia 30 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE La lesione midollare ha compromesso i collegamenti tra il cervello ed i centri nervosi del suo midollo cervicale, da cui prendono origine i nervi periferici che comandano i muscoli del braccio e della mano. La medesima lesione midollare impedisce all’individuo anche di alzarsi e di camminare in quanto ha causato anche l’interruzione delle lunghe vie nervose che collegano il cervello con i centri del midollo lombare e sacrale da cui partono i nervi che comandano i movimenti degli arti inferiori e del tronco. Questa persona ha una tetraplegia (Figura 2-15). 2) Soggetto con lesione midollare a livello del decimo segmento dorsale (D10). Figura 2-16: Paraplegia Le vie nervose che collegano il cervello con i centri del midollo cervicale da cui prendono origine i nervi spinali per le braccia e le mani sono integre, mentre sono interrotte quelle necessarie per il collegamento con i centri nervosi del midollo lombare e sacrale, da cui partono i nervi periferici che comandano i movimenti degli arti inferiori, e perciò l’individuo non è in grado né di alzarsi né di camminare. Questa persona ha una paraplegia (Figura 2-16). In altri termini, richiamandoci all’esempio iniziale della rete telefonica, possiamo così riassumere l’andamento delle cose: il midollo spinale si comporta come un cavo telefonico, spedisce messaggi al cervello e dal cervello a tutte le parti del nostro corpo. Il cervello è come un computer e mette in ordine tutti i messaggi. Quando si verifica una lesione midollare, tutte le strutture al di sopra della zona danneggiata continuano a lavorare come hanno sempre fatto. Al di sotto della lesione, le fibre nervose dopo una prima fase di quasi inattività (lo shock spinale), riprendono a lavorare ma in modo confuso, perché manca loro l’intervento regolatore ed organizzativo del cervello. Se la lesione midollare è grave e non si verificano delle modificazioni che consentano una sufficiente ripresa dei contatti tra la parte del midollo al di sotto della lesione ed il cervello, dopo due-tre mesi di inattività, il midollo si riorganizza per conto proprio e riprende a funzionare. Solo che questa ripresa, mancando la regolazione del cervello, è anormale e scatena, nella maggior parte dei casi, delle attività esagerate e fuori controllo. Ne sono esempio la spasticità, 31 LE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE l’eccessiva facilità alla contrazione della vescica e la disreflessia autonomica (ovvero la risposta anormale ad un problema che si sta verificando in una parte del corpo localizzata al di sotto del livello della lesione midollare; si manifesta quasi esclusivamente nei soggetti che hanno un livello di lesione neurologica da C2 a D6 di tipo completo). 32 Capitolo 3 AUSILI ED ADATTAMENTI 3.1 DEFINIZIONI E CONCETTI GENERALI Si può definire autonomia il recupero di un nuovo equilibrio, a fronte di una limitazione delle proprie risorse fisiche e delle abilità, nelle relazioni con sé (controllo sulla propria vita e sulle proprie scelte), nelle relazioni con l’ambiente (possibilità di muoversi liberamente nell’ambiente, di svolgervi le attività quotidiane conformemente alle proprie necessità, ruoli ed aspirazioni) e nelle relazioni con gli altri (libertà di scelta nelle modalità, nello stile e nell’intensità dei rapporti con altre persone). È possibile allora sintetizzare il problema nella seguente equazione: Ambiente accessibile + Ausili tecnici + Assistenza personale = Autonomia Questa equazione è certamente una semplificazione della realtà, essendovi infatti molti altri fattori che concorrono al raggiungimento dell’autonomia, ma serve a mettere in rilievo due dati rilevanti: il primo, che questi aspetti per così dire "tecnicoorganizzativi" hanno un’importanza fondamentale nella vita di una persona con disabilità (non è infrequente invece che vengano sottovalutati in quanto ritenuti residuali rispetto agli interventi di carattere più strettamente sanitario); il secondo, che accessibilità, ausili ed assistenza sono complementari ed alleati tra loro nel sostenere l’autonomia (mentre a volte si tende a considerare l’assistenza personale come alternativa all’ausilio, o l’ausilio come alternativa all’accessibilità e così via). Accessibilità ("design for all"), ausili ("assistive technologies") e assistenza personale ("personal assistance") costituiscono dunque un trinomio inscindibile e pertanto non si può pensare agli ausili senza considerare l’accessibilità e l’assistenza personale, e viceversa. Ogni persona, in relazione alla propria personalità, alle attività che è chiamata a svolgere ed al contesto in cui vive necessita di un determinato mix di questi tre elementi. Per accessibilità si intende sostanzialmente l’adattamento dell’ambiente alle persone che ne fruiscono. Essa va intesa come fruibilità generale dell’ambiente costruito, degli arredi, dei prodotti, delle tecnologie e dei servizi di uso generale: non dunque un adattamento personalizzato alle esigenze di una determinata persona disabile, ma di tutte le persone che operano in tale ambiente, comprese dunque sia le persone cosiddette "normodotate", che le persone con specifiche limitazioni motorie, sensoriali o cognitive. L’accessibilità è un prerequisito fondamentale, è il primo linguaggio che l’ambiente comunica alla persona: quando le forze fisiche decrescono o determinate abilità sono compromesse, nella percezione la prima cosa che emerge con evidenza non è tanto il deficit, quanto l’accoglienza o l’ostilità con cui l’ambiente circostante (architettonico, tecnologico, organizzativo) si manifesta. Per ausili, oggi detti anche tecnologie assistive, si intendono invece quegli strumenti che permettono l’adattamento individuale della persona all’ambiente: essi comprendono sia dispositivi finalizzati a superare certe barriere all’ accessibilità, sia dispositivi volti a compensare determinate limitazioni 33 AUSILI ED ADATTAMENTI funzionali ai fini di facilitare o rendere possibili determinate attività della vita quotidiana (si pensi alle carrozzine). Per assistenza personale intenderemo, infine, come dice il nome stesso, l’aiuto fisico da parte di altre persone nello svolgimento di determinate attività della vita quotidiana. In questo contesto parleremo di assistenza non nel senso di accudimento passivo, bensì di supporto alla vita indipendente. Il nuovo linguaggio dell’organizzazione Mondiale della Sanità (ICF, 2001) ha imposto una rivisitazione del concetto di ausilio, in un certo senso semplificandolo. Il modello ICF modifica radicalmente il concetto di disabilità. Essa non è più un attributo della persona bensì una situazione: quella particolare situazione, anche occasionale, nella quale qualsiasi individuo può trovarsi ogni qualvolta avverta un divario tra le proprie capacità ed i fattori ambientali, tale da porre restrizioni nella propria qualità di vita o nel pieno sviluppo delle proprie potenzialità. Esistono pertanto dei fattori contestuali ambientali che possono giocare a favore oppure contro la persona dando luogo, in rapporto alla suo stato di salute, ad una situazione di funzionamento oppure di disabilità. Nella lingua inglese si è preferito marcare il distacco dal modello precedente introducendo una parola diversa per indicare tale situazione ("disablement" anziché "disability"). L’ICF rende più facile il compito di spiegare il ruolo degli ausili, dell’accessibilità e dell’assistenza personale: rientrano infatti tra quei fattori contestuali ambientali che, se scelti ed organizzati in modo appropriato, possono concorrere a ridurre o ad eliminare la disabilità. Da qui la nuova definizione di ausilio dello standard internazionale ISO 9999, aggiornato nel 2007: “qualsiasi prodotto (inclusi dispositivi, apparecchiature, strumenti, sistemi tecnologici, software), di produzione specializzata o di comune commercio, atto a prevenire, compensare, tenere sotto controllo, alleviare o eliminare menomazioni limitazioni nelle attività o ostacoli alla partecipazione.” Questa definizione suggerisce altresì che rispetto all’obiettivo "strategico" della riabilitazione (riportare la persona a condizioni di "funzionamento"), gli ausili possono svolgere un ruolo fondamentale, ora a livello di "riparare" la persona (sostituire o sostenere una funzione, si pensi ad esempio ad una protesi), ora di farla funzionare nonostante la menomazione (migliorarne la performance in determinate attività), ora di riparare l’ambiente (ridurre o togliere barriere che impedirebbero l’attività o la renderebbero difficile). Le caratteristiche fisiche dell’ambiente di vita e le tecnologie in esso presenti, siano esse progettate per la generalità della popolazione ("mainstream") o per rispondere specificamente a determinate limitazioni funzionali ("assistive"), svolgono un ruolo di primo piano nell’aggravare o nell’alleviare una situazione di disabilità, a seconda di come sono state concepite, progettate e messe in opera. Nella classificazione ICF dei fattori contestuali ambientali, troviamo infatti poste sullo stesso piano sia le tecnologie "mainstream" che le tecnologie "assistive". In situazioni complesse può non bastare un singolo strumento tecnologico, può essere invece necessario un corredo di strumenti comprendente sia tecnologie di uso generale che tecnologie assistive, la cui composizione ed il cui assemblaggio varia caso per caso a seconda delle caratteristiche individuali della persona, delle attività che essa è destinata a svolgere e dal contesto fisico ed umano ove essa vive. Potremmo chiamare tale corredo, nel suo complesso, soluzione assistiva. Quest’ultima considerazione tocca una questione di studio molto importante che spesso viene alla luce quando si ponga il problema di inserire soluzioni assistive in protocolli clinici in regolamenti o normative: è 34 AUSILI ED ADATTAMENTI possibile individuare una relazione stabile e ripetibile tra una determinata soluzione assistiva ed una determinata patologia o stato clinico, in modo da poter definire su base diagnostica il campo di appropriatezza per ciascun ausilio? La letteratura è piuttosto concorde nel dare a questa domanda una risposta generalmente negativa. Dall’ICF si apprende infatti che la patologia o lo stato clinico sono solo uno dei determinanti della situazione di disabilità in cui la persona verrà a trovarsi nel suo particolare ambiente, a seconda dello stile di vita che assumerà in relazione alle sue necessità, motivazioni ed aspettative. Gli altri determinanti sono appunto il modello occupazionale proposto per quella determinata persona (dal quale discendono le attività) ed il contesto fisico, umano e sociale ove essa vive. La triade persona/attività/contesto quali parametri di valutazione per la scelta degli ausili è oggi condivisa in letteratura od è riproposta in modo simile, seppur con terminologia diversa: ad esempio sostenendo che una soluzione assistiva, per essere definita appropriata, deve realizzare i principi di competenza (svolgere efficacemente i compiti cui è preposta), contestualità (inserirsi sinergicamente nell’ambiente) e consonanza (essere aderente alle caratteristiche della persona). 3.1.1 Classificazione degli ausili Il primo punto di riferimento per la classificazione degli ausili è lo standard ISO 9999, unico standard attualmente condiviso a livello internazionale, al quale si stanno adeguando pressoché tutti i cataloghi commerciali ed i sistemi di informazione nel settore. Nella sua versione più recente (ISO 9999:2007) che sta anche alla base del Portale Europeo di informazione sugli ausili EASTIN, la classificazione ISO prevede undici classi: • 04 ausili per terapia; • 05 ausili per addestramento di abilità; • 06 ortesi e protesi; • 09 ausili per la cura e la protezione personale; • 12 ausili per la mobilità personale; • 15 ausili per la cura della casa; • 18 mobilia ed adattamenti per la casa od altri edifici; • 22 ausili per comunicazione ed informazione; • 24 ausili per manovrare oggetti o dispositivi; • 27 adattamenti dell’ambiente, utensili e macchine; • 30 ausili per le attività di tempo libero. Ogni classe si suddivide a sua volta in sottoclassi (es. 18.30 "ausili per il superamento di barriere verticali") ed in divisioni (es. 18.30.12 "montascale mobili"). Per i dettagli si rimanda al portale internet Italiano sugli Ausili (www.portale.siva.it). Lo Standard precisa con chiarezza che si tratta di oggetti concepiti per uso individuale nella vita quotidiana, non di attrezzature utilizzate in contesto medico od ospedaliero (queste escono dal campo di interesse dell’ISO 9999). Secondo questo standard è la funzione, più che non la tipologia merceologica, a qualificare un dispositivo come ausilio: non è infatti rilevante sotto il profilo classificatorio che un ausilio esplichi la sua funzione attraverso tecnologie meccaniche piuttosto che 35 AUSILI ED ADATTAMENTI informatiche, o con semplici accorgimenti a basso contenuto tecnologico. Ciò significa che ogni classe ISO comprende una varietà estremamente disomogenea di prodotti e tecnologie, che va da semplici impugnature facilitate, a sofisticate apparecchiature elettromeccaniche (es. carrozzine elettroniche), domotiche (es. interfacce con comando a voce per controllare elettrodomestici e automatismi della casa) od informatiche (es. comunicatori). Se la classificazione ISO rappresenta lo standard, è però possibile, parallelamente ad essa, suddividere gli ausili in sette ampie tipologie, ciascuna delle quali caratterizzata da differenti ruoli negli attori coinvolti e, a volte, anche da circuiti diversi di mercato: • protesici: sono ausili che servono a compensare limitazioni funzionali restituendo la funzione lesa. Restituiscono una funzione assente; • ortesici: come per gli ausili protesici, in questo caso però compensano una funzione presente ma compromessa; • adattativi: servono a compensare limitazioni nell’attività consentendo di svolgerle. Pensiamo, ad esempio, ad una carrozzina elettronica; • ambientali: sono progettati per rimuovere barriere dell’ambiente, quali un montascale per superare una scalinata in carrozzina, od un software che consente ad un cieco di navigare con il computer nell’ambiente informatico; • assistenziali: sono progettati per rendere più sicuro e meno gravoso il compito della persona che assiste, quali un sollevatore che facilita il trasferimento dalla carrozzina al letto: ausili dunque non pensati per l’utente, ma per l’assistente (da cui la denominazione); • terapeutici: sostengono funzioni vitali (es. un ventilatore polmonare portatile) o prevengono l’insorgenza di complicanze secondarie (es. letti movimentabili in maniera autonoma o assistita); • cognitivi: una frontiera emergente della ricerca tecnologica è rappresentata infine da quegli ausili che facilitano l’autonomia in presenza di disturbi della memoria, dell’attenzione, dell’apprendimento. Ad esempio, agende portatili che in determinati orari o circostanze avvertono su cose da fare (es. assumere un determinato farmaco), o ricordando a voce la sequenza corretta con cui compiere determinate operazioni. Lo studio europeo EUSTAT ha descritto in quattro tappe il processo che sottende la scelta degli ausili. Esse sono: • l’identificazione di un bisogno; • la formulazione di un obiettivo; • la definizione di un progetto; • una serie di decisioni atte a realizzare quel progetto. Per essere autonoma in tale processo, la persona deve essere formata a capire i propri bisogni, a porre obiettivi, a trovare soluzioni ed a prendere decisioni non necessariamente da sola, ma potendo contare ove necessario sul consiglio di operatori. Va da sé che il primo passo, probabilmente il più complesso, è l’identificazione del bisogno: la disabilità spesso impegna l’utente ad affrontare bisogni sempre nuovi nel corso della vita, a capirne la natura e la priorità e ad elaborare strategie rispetto ad essi. Opportune checklist, come le schede EUSTAT 36 AUSILI ED ADATTAMENTI "Analisi delle attività" ed "Analisi della singola attività", possono essere molto utili in questa fase. EUSTAT ha anche identificato cinque strumenti utili a sostenere l’utente come protagonista di questo processo: • counselling (è una relazione di aiuto tra operatore e cliente, in cui il primo aiuta il secondo a chiarire i suoi bisogni, ad individuare le soluzioni possibili ed i conseguenti piani di azione); • addestramento (riguarda l’apprendimento delle competenze operative rispetto all’uso dell’ausilio); • formazione (riguarda l’acquisizione di una più ampia padronanza dell’argomento, della capacità di ragionamento e di soluzione dei problemi); • informazione (banche dati, da cataloghi o da mostre, ecc.); • sensibilizzazione. Ciascuno di essi ha un proprio ruolo e si caratterizza per l’accento che pone sul fatto di generare competenza tecnica piuttosto che iniziativa. Si definiscono educativi in senso stretto quei processi che hanno come obiettivo primario l’apprendimento, ossia l’addestramento e la formazione. 3.1.2 Mobilità e guida Con il termine "mobilità" si intende essenzialmente movimento, viaggio. Più di qualsiasi altra cosa, mobilità ed accessibilità determinano il grado di disabilità. È sorprendente, quindi, che la mobilità sia rappresentata principalmente da sedie a rotelle o supporti per il camminare, e che siano gli strumenti più importanti per la vita quotidiana per la maggior parte delle persone con una lesione al midollo. Con il termine "guida" si vuole fare riferimento alla guida di tutti i tipi di veicoli motorizzati oltre alle sedie a rotelle motorizzate ed ai veicoli come gli scooter. Infatti molte persone con lesione al midollo spinale sono in grado di guidare un’automobile ricorrendo a specifici ausili, sia per l’accesso all’automobile che per la guida vera e propria. Possono verificarsi delle difficoltà nel trasferimento dalla sedia a rotelle all’auto od a vani convertiti e viceversa. Spesso non si riceve assistenza veicolare prima di lasciare l’ospedale ed è quindi fortemente consigliato contattare un Centro di Mobilità. I Centri di Mobilità sono strutture che offrono ai disabili un aiuto concreto per risolvere i problemi relativi alla guida: in ogni centro il disabile può testare le proprie capacità motorie residue tramite speciali simulatori, prendere confidenza con i veicoli modificati e chiedere il parere di medici e fisioterapisti al fine di ottenere il certificato di idoneità alla guida. Il simulatore di guida è una sofisticata strumentazione elettronica che valuta le capacità motorie (relative sia agli arti superiori che inferiori) e visive del disabile e gli consente di prendere confidenza con le apparecchiature che utilizzerà poi sulla vettura. Tramite sensori, il computer testa la capacità di guida della persona e la sua forza nella progressione di accelerazione e di frenata. Gli strumenti a disposizione variano secondo le esigenze specifiche. 3.2 LA CARROZZINA Prima di passare alla trattazione degli ausili presenti sul mercato specifici per 37 AUSILI ED ADATTAMENTI l’accesso all’autoveicolo, è opportuno soffermarsi brevemente sull’ausilio più utilizzato dai tetraplegici e paraplegici per spostarsi e che costituisce il punto di partenza (salita) o di arrivo (discesa) dell’analisi del gesto compiuta. Se durante i mesi successivi alla lesione midollare la persona presenta un recupero di movimenti volontari agli arti inferiori, il soggetto sarà avviato alla riabilitazione del cammino. Ma se tale evoluzione non si verifica o se la riabilitazione al cammino non porta ai risultati attesi, la carrozzina resterà l’unico strumento utile alla persona mielolesa per spostarsi da sola. In quest’ultimo caso il paziente verrà sottoposto ad un allenamento specifico che lo dovrà rendere capace di: • effettuare una spinta della carrozzina sempre più efficace (cioè compiere percorsi più lunghi con maggior velocità e minor fatica); • superare gli ostacoli che si possono incontrare sia negli ambienti di casa che all’esterno di essa (scalini, marciapiedi, terreni con varia pendenza o con fondi di diversa natura, salita e discesa di scale, entrata ed uscita da un ascensore, ecc.) che, nonostante le normative vigenti sull’abbattimento delle barriere architettoniche, si incontrano ancora di frequente; • apprendere, quando il livello lesionale lo consente, le corrette modalità per trasferirsi dalla carrozzina al letto, alla vasca da bagno, all’automobile, ecc.. I criteri in base ai quali viene scelta una carrozzina sono legati alle caratteristiche ed alle necessità della singola persona ed all’offerta di questi ausili presente sul mercato. Per quanto riguarda le caratteristiche cliniche e la necessità della persona mielolesa, si considera: • la possibilità di controllo posturale del tronco, capacità di movimento residue agli arti superiori e tipologia delle attività della vita quotidiana da svolgere in autonomia al termine del percorso riabilitativo; • la presenza o meno di calcificazioni, retrazioni muscolari, spasticità, esiti di fratture, amputazioni che possono limitare i movimenti articolari; • le condizioni generali o, meglio, la conformazione della persona (magrezza, obesità, altezza, lunghezza degli arti, rischio di sviluppare ulcere da decubito, malattie cardiologiche o respiratorie); • le caratteristiche degli ambienti (interni ed esterni) dove la carrozzina sarà più utilizzata e le necessità di trasporto della stessa (automobile, scale, ascensori, ecc.); • la possibilità di ottenere la carrozzina da parte del Sistema Sanitario Nazionale o da altri Enti assistenziali. Le carrozzine presenti sul mercato si suddividono in due grandi famiglie a seconda del tipo di trazione: a spinta manuale od elettrica. La carrozzina a trazione elettrica è un mezzo tecnologicamente più complesso. È caratterizzato da una serie di comandi manuali (comando a cloche elettronico che consente una variazione continua della velocità e della direzione) o, all’occorrenza, mentonieri e nucali, che permettono, anche a pazienti con grave deficit di movimenti degli arti superiori, di poter mantenere un discreto grado di autonomia nello spazio interno e soprattutto in quello esterno. Sono carrozzine piuttosto costose, ma di facile utilizzo e dotate di meccanismi elettronici e meccanici affidabili. Funzionano con motore elettrico alimentato da un accumulatore ricaricabile. Il limite maggiore di queste carrozzine risiede nella difficoltà di gestirne i trasferimenti, per cui si rende necessario l’uso di 38 AUSILI ED ADATTAMENTI automezzi adattati. Infatti, l’ingombro ed i pesi elevati obbligano il soggetto tetraplegico a dei trasporti che richiedono l’assistenza di altre persone oppure a dotarsi di caravan oppure di automobili adattate che consentono una salita e una discesa pur rimanendo sempre seduti sulla carrozzina (con apposite rampe). La carrozzina elettrica è assolutamente necessaria per le persone con lesione del midollo cervicale compreso tra C1 e C5. Le carrozzine a spinta manuale si dividono in: • Carrozzina leggera (Figura 3-1): è la carrozzina destinata ad uso quotidiano, essa dispone di due ruote grandi posteriori dotate di freni e mancorrenti, due ruote piccole anteriori sostenute da forcelle piroettanti che consentono una facile e rapida direzionalità, braccioli estraibili con appoggia gomiti, pedane orientabili estraibili e regolabili in altezza ed in alcuni casi schienale reclinabile. Alcune sedie a rotelle possono avere il dispositivo monoguida per le persone che hanno l’uso di un solo braccio. Consente l’auto spinta con due mani sulle ruote posteriori. Permette un facile trasferimento laterale, un semplice controllo della direzione di spostamento e, con la presenza di accompagnatore, di superare ostacoli di una certa entità (ad esempio uno scalino con altezza superiore a 5-10 cm). È pieghevole, anche per consentire una facilità nei trasporti in auto. Per le persone con eccessivo peso corporeo o per coloro che sono costretti ad un utilizzo anche su fondi stradali accidentati, esiste una variante con telaio rinforzato o stabilizzante. Infine, il mercato offre un modello di carrozzina pieghevole definita "di transito" per consentire il passaggio attraverso aperture di dimensioni ridotte come quelle di alcuni ascensori. È una carrozzina, manovrabile solo dall’accompagnatore, facilmente pieghevole e smontabile, possiede quattro ruote di dimensione media poste in modo tale da ridurre l’ingombro in larghezza e talvolta anche in lunghezza. Figura 3-1: Carrozzina leggera per uso quotidiano • Carrozzina superleggera: Si tratta di carrozzine ad autospinta con due mani sulle ruote posteriori. Sono costruite in materiali compositi (carbonio e/o kevlar) o leghe superleggere ad altissima resistenza. In uso raggiungono un peso massimo di 13 kg. Il telaio può essere pieghevole o rigido. Il loro utilizzo è indicato per le persone che svolgono un’intensa attività esterna (in 39 AUSILI ED ADATTAMENTI • particolare di studio e lavoro). Carrozzina sportiva: Sono carrozzine costruite in leghe molto leggere e ridotte all’essenziale. Gli assetti, la posizione ed il numero delle ruote variano a seconda dello sport praticato. Peculiarità delle carrozzine per la pratica del tennis o del basket è la leggerezza, ottenuta tramite l’utilizzo di materiali leggeri (ad esempio il titanio) e con l’accorgimento di eliminare o ridurre ogni elemento superfluo quali spondine o schienali, al fine di ottenere grande libertà di movimento. Gli ausili destinati al tennis presentano ruote campanate dai 15 ai 20 gradi riducendo, in questo modo, l’angolo di abduzione delle spalle e l’altezza della sedia stessa, elementi che contribuiscono ad ottimizzare il movimento e ridurre l’energia muscolare. Le carrozzine per il basket hanno anch’esse schienale generalmente molto basso per consentire maggior raggio di movimento all’atleta. La posizione delle gambe è arretrata per proteggerle da eventuali urti. L’angolo di seduta tra sedile e schienale è leggermente chiuso e retroverso per evitare scivolamenti. La carrozzina da corsa presenta una serie di accorgimenti atti a renderla più idonea possibile allo scopo cui è prefissata: essere veloce, manovrabile e sicura. In generale essa presenta tre ruote, due posteriori, dotate di mancorrente, ed una anteriore, dotata di un particolare dispositivo che blocca la sterzata quando si affronta la curva, permettendo così all’atleta continuità di spinta e mantenimento della velocità. Fattore fondamentale per raggiungere ottime performance è la stabilità della carrozzina sia in andatura rettilinea sia nell’affrontare le curve. Il mantenimento dell’assetto ideale è ottenibile mediante accorgimenti tecnici e geometrici quali: regolazione della campanatura (angolo di camber, Figura 3-2), regolazione del passo e regolazione del baricentro del sistema atleta-ausilio. Il termine campanatura indica l’inclinazione che l’asse passante per la mezzeria della ruota assume rispetto alla perpendicolare al terreno; può assumere valore negativo, nullo e positivo. Scopo del valore negativo dell’angolo è di aumentare l’area di contatto in curva con l’intento di avvicinarsi alla situazione ideale che si avrebbe con pneumatico ortogonale al terreno. Naturalmente, aumentare troppo l’angolo di camber implicherebbe caricare eccessivamente le ruote posteriori con sollecitazioni notevoli ai loro mozzi. Un ulteriore vantaggio ottenibile dalla campanatura è riscontrabile nell’aumento della stabilità ottenuto grazie ad un aumento della distanza tra i punti di appoggio delle ruote posteriori. Infine, due ruote campanate permettono un più facile raggiungimento del mancorrente, riducendo l’angolo di abduzione delle spalle durante la spinta e con esso l’energia muscolare necessaria a contrastare il momento della gravità. Figura 3-2: Angolo di camber 40 AUSILI ED ADATTAMENTI Altro importante elemento che contribuisce alla stabilità della carrozzina è il "passo", ovvero la distanza tra il centro della ruota posteriore e quello della ruota anteriore; maggiore è la distanza tra le ruote e più l’assetto della carrozzina è stabile ma per contro risulterà meno maneggevole da condurre. Un aspetto molto importante del passo riguarda una sua diminuzione determinata dallo spostamento in avanti delle ruote posteriori: ciò comporta uno spostamento all’indietro del peso atletacarrozzina. Poiché l’attrito volvente è inversamente proporzionale al diametro della ruota, esso è necessariamente concentrato nelle ruote anteriori, le quali risultano caricate in modo minore rispetto alle posteriori con conseguente diminuzione della resistenza al rotolamento. Da queste analisi emerge come l’impostazione dell’assetto sia determinante in termini di propulsione e di sicurezza e, quindi, diventa fondamentale l’ubicazione del baricentro dell’intero sistema. Maggiore è l’inclinazione della carrozzina, più il baricentro è spostato all’indietro, di conseguenza la carrozzina diventa molto maneggevole ma perde in stabilità. 3.2.1 Materiali per la costruzione del telaio Fattore importante, sia in ambito sportivo sia nella vita quotidiana, è la leggerezza. I materiali possono essere più o meno nobili e di conseguenza più o meno leggeri. Il Nomenclatore Tariffario delle Protesi propone un peso massimo per la carrozzina ad autospinta con due mani sulle ruote posteriori che è di 13 kg. Sviluppo di tecniche costruttive ed evoluzioni nello studio di resistenza dei materiali hanno portato ad avere pesi medi più ridotti, circa 8 kg. L’acciaio è il primo materiale con cui sono stati costruiti i telai; a favore di questo materiale sono una elevata resistenza a fatica ed un carico di rottura superato solo da alcuni materiali compositi. È composto da una lega di ferro-carbonio con un aggiunta di altri elementi quali nichel, manganese, cromo, molibdeno, che ne modificano le caratteristiche meccaniche a seconda dell’utilizzo. Viene apprezzato per la sua estrema resistenza e di conseguenza i tubi hanno diametro ridotto; molto spesso si utilizzano tubi di alta gamma caratterizzati da spessori ad andamento variabile per consentire di togliere peso là dove la sezione non è particolarmente sollecitata. Il suo punto debole è la corrosione, quindi per ridurre tale problema si immergono le tubazioni in bagni protettivi che fissano sulla superficie particelle che lo isolano dall’azione dell’umidità. A differenza dell’acciaio, l’alluminio presenta proprietà meccaniche più modeste e quindi, per l’utilizzo, viene unito con altri componenti (silicio, magnesio, manganese, rame, zinco) formando leghe. Per indicare tali leghe si usa in campo ciclistico il sistema ASTM: ogni lega è caratterizzata da un codice di quattro numeri seguiti da una lettera ed un numero. Il primo numero indica il principale componente legante della lega, il secondo numero indica se è presente anche un secondo legante (0 per indicare assenza del secondo legante). La lettera indica il trattamento subito, o no, dalla lega. Il numero che segue indica la natura del trattamento termico (ad esempio T6 è il trattamento di tempra e rinvenimento). In campo ciclistico si utilizzano le leghe 5xxx ed in modo più diffuso le leghe 6xxx (alluminio-magnesio-silicio) e 7xxx (usate con l’aggiunta di Mg). Paragonando i moduli di Young (resistenza alla deformazione elastica) si nota che tocca i 210.000 N/mm2 nelle migliori leghe di acciaio e tale valore è circa il doppio di quello del titanio (105.000 N/mm2) ed il triplo dell’alluminio (70.000 N/mm2); di conseguenza, vantaggio dell’alluminio, rispetto all’acciaio, è una minore rigidità anche se l’introduzione delle tubazioni "oversize" per l’acciaio ha ridotto tale 41 AUSILI ED ADATTAMENTI aspetto. L’alluminio presenta, inoltre, una resistenza a fatica ridotta rispetto all’acciaio e quindi l’utilizzo provoca invecchiamento del telaio (l’alluminio risente nella sua struttura anche dell’applicazione di carichi minimi). Elemento che provoca diminuzione delle proprietà meccaniche dell’acciaio è la saldatura, poiché il riscaldamento ne modifica la struttura molecolare. Parlando di titanio ci si riferisce sempre non al materiale puro ma a delle leghe quali la 3Al-2.5V (3% di alluminio, dal 2.5% di vanadio e 94.5% di titanio puro) e la 6Al-4V (6% di alluminio, 4% vanadio e 90% di titanio puro). È un materiale di difficile lavorazione a causa dell’elevata possibilità di alterarne la struttura cristallina e quindi la resistenza. Risulta difficoltosa anche la saldatura a causa della presenza di metalli, come alluminio e titanio stesso, che reagiscono con l’atmosfera costringendo il costruttore a saldature in gas inerte quali la TIG (argon tungsteno ed elio). Ulteriore proprietà del titanio è la sua durata praticamente illimitata: non arrugginisce, non necessita di alcuna verniciatura e resiste ottimamente a fatica. La resistenza a fatica è circa il doppio rispetto a quella dell’acciaio, quindi permette la realizzazione di tubazioni sottili ed elastiche senza compromettere le proprietà meccaniche. Nota negativa è il prezzo. Tabella 3-1: E = modulo elastico; Rs = carico di snervamento; Rm = carico di rottura; P.Spc = peso specifico; A% = allungamento percentuale Un’ulteriore evoluzione nel campo dei materiali è costituita dai compositi, ovvero l’unione di due o più materiali al fine di ottenerne altri con prestazioni superiori. Questi materiali sono costituiti da fibre (60% in volume del composito), in ambito telaistico carbonio o Kevlar®, immerse in una matrice che funge da legante, con il compito, inoltre, di proteggere dagli agenti esterni e conferire al materiale maggiore duttilità. Le resine più utilizzate per i compositi sono le termoindurenti le quali, una volta polimerizzate, presentano una struttura tale che, per temperature superiori ad un certo limite, si degrada in maniera irreversibile (possono essere modellate una sola volta). Le fibre hanno il compito di sopportare il carico e possono trovarsi all’interno della matrice intrecciate in modo disordinato, oppure essere allineate secondo direzioni predefinite (tessuti). Per la realizzazione dei telai, quindi, non si parte da tubi ma da "pelli" composte da fibra, di carbonio o di kevlar, preimpregnate di resina, le quali vengono stese all’interno dello stampo ed in base allo spessore ed all’orientamento delle fibre, si possono determinare punto per punto le caratteristiche 42 AUSILI ED ADATTAMENTI di resistenza ed elasticità del telaio. Il materiale viene poi compresso in autoclave e scaldato, favorendo la catalizzazione della resina. 3.3 ADATTAMENTI COMPLEMENTARI ALLA GUIDA PRESENTI SUL MERCATO Passiamo ora in rassegna gli ausili per la salita e la discesa dall’autoveicolo che le varie aziende produttrici mettono a disposizione. Si concentra l’attenzione su quegli ausili progettati per favorire il trasferimento da carrozzina a sedile d’auto che comportino, per la loro installazione, un intervento il meno "invasivo" possibile per l’autoveicolo, nell’ottica di evitare delle modifiche strutturali irreversibili, ottenendo così una riduzione dei costi di installazione ed il mantenimento del valore commerciale del veicolo in caso di vendita prima della fine del suo ciclo di vita. Non verranno quindi di proposito considerati, ad esempio, i cosiddetti sistemi "up & go" ovvero quegli adattamenti che permettono la salita direttamente in carrozzina (solitamente elettrica), che richiedono, per la loro installazione, mezzi specifici come minivan o pullmini e l’installazione di rampe motorizzate. 3.3.1 Maniglia rimovibile Offre un supporto ed una presa per coloro che necessitano di un appoggio durante la salita e la discesa dall’auto. È sufficiente inserirla nel nasone dell’autovettura, impugnarla saldamente e scaricare il proprio peso su di essa (Figura 3-3). Figura 3-3: Maniglia Handybar® (Kiwi®) 43 AUSILI ED ADATTAMENTI 3.3.2 Ribaltina manuale od elettrica È stata progettata per creare un ponte di collegamento tra sedile dell’autovettura e carrozzina, facilitando la salita e la discesa. Possono essere applicate su vetture a tre o cinque porte, sia dal lato guida sia dal lato passeggero, senza alterane la struttura generale e senza dover sostituire il sedile. La ribaltina manuale (Figura 3-4) è disponibile in due versioni: il modello sfilabile, in cui il piano della ribaltina deve essere sfilato durante il tragitto o posizionato in posizione verticale accanto al sedile, e quello a scomparsa, dove il piano viene posizionato attraverso una rotazione di 90° sul proprio asse, dietro al montante. Tale ausilio si rende necessario in quei casi in cui la larghezza del montante laterale dell’autovettura risulta particolarmente elevata. Figura 3-4: Ribaltina manuale (Kiwi®) 44 AUSILI ED ADATTAMENTI La ribaltina elettrica (Figura 3-5) è indicata per la salita su veicoli, come fuoristrada e monovolumi, in cui i sedili sono alti da terra: l’utilizzatore si sposta dalla carrozzina al piano della ribaltina e questo, per mezzo di un motore elettrico, sale al livello del sedile consentendone l’accesso. Figura 3-5: Ribaltina elettrica (Kiwi®) Viene anche detta verticalizzatore in quanto può permettere il passaggio da posizione seduta a posizione eretta (Figura 3-6). Figura 3-6: Verticalizatore Il movimento di salita o di discesa è controllato da una pulsantiera o da un interruttore. È dotata di un sistema di sicurezza che ne impedisce il funzionamento quando la porta in corrispondenza della quale è stata installata è chiusa. Si arresta automaticamente quando il piano è giunto alla fine della sua corsa o se un oggetto si interponesse in essa. Entrambi i tipi di ribaltina hanno una portata di 150 kg. 3.3.3 Piastra girevole con avanzamento Dispositivo costituito da una piastra girevole installata tra il sedile originale ed il pianale del veicolo, utilizzando gli attacchi originali. Permette di far ruotare e fuoriuscire il sedile per agevolare l’accesso al veicolo. Il movimento di rotazione si effettua senza sforzo. Mantiene le guide di scorrimento e, nella maggior parte dei casi, anche il sedile originale del veicolo. È consigliabile l’installazione su vetture a tre porte od a cinque porte con dimensioni della portiera ampie (Figura 3-7). 45 AUSILI ED ADATTAMENTI Figura 3-7: Piastra girevole con avanzamento (Handytech®) 3.3.4 Piastra girevole elettrica Permette la salita e la discesa elettrificate, la rotazione del sedile manuale e lo scorrimento manuale od elettrico del sedile. È installabile sul lato destro centrale od anteriore ed è consigliata per monovolumi, S.U.V. e fuoristrada. Ha una capacità di sollevamento di circa 110 kg ed in alcuni casi vi è la necessità di ricorrere ad un sedile ribassato anatomico. Il sistema richiede lo scollegamento dell’airbag presente sul sedile e dei sensori che lo collegano (Figura 3-8). Figura 3-8: Piastra girevole elettrica (Handytech®) 46 AUSILI ED ADATTAMENTI 3.3.5 Gruetta solleva persone È un dispositivo costituito da un braccio snodato di sollevamento e da una imbragatura (a misura variabile) che consente di sollevare e spostare una persona dalla carrozzina al sedile del veicolo. Funziona elettricamente e può essere azionato direttamente dal portatore di handicap o dall’accompagnatore. È installabile sul lato guida o passeggero; è smontabile e trasferibile su qualsiasi altro veicolo o nella propria abitazione. Durante la guida può rimanere montato sulla propria staffa oppure essere facilmente smontato (senza l’utilizzo di attrezzi) e sistemato nel bagagliaio. È munito di sistema di sicurezza antischiacciamento. L’utilizzazione del sollevatore con kit base mobile permette di effettuare i trasferimenti in differenti ambienti o zone della casa. Il kit è smontabile e facilmente trasportabile in auto. Inoltre, a richiesta, può essere fornita una serie di staffe murali più un trasformatore per utilizzarlo nell’ambito dell’abitazione. Ha capacità di sollevamento di kg 110 (Figura 3-9). Figura 3-9: Gruetta solleva persone (Handytech®) 3.3.6 Carrozzina autotraslante Tale ausilio può essere installato in combinazione con la piastra girevole (sia manuale che elettrica) a seconda del tipo di autovettura. È costituito da una base per carrozzina manuale e da un sedile anatomico ribassato (Figura 3-13) che viene usato sia all’interno che all’esterno della vettura. Attraverso una serie di semplici operazioni manuali è possibile far scorrere il sedile, con il passeggero seduto sopra di esso, dalla base della carrozzina in vettura fino a raggiungere la posizione del passeggero e viceversa, utilizzando una piastra meccanica con un’apposita slitta. È 47 AUSILI ED ADATTAMENTI quindi possibile stare sempre seduti sullo stesso sedile, sia all’interno della vettura che all’esterno. Può essere installato su vetture a 3 porte e su monovolumi (con portiere scorrevoli). Figura 3-10: Rotazione della piastra fino alla fuoriuscita dall'abitacolo (Carony®, AutoAdapt®) Figura 3-11: Aggancio della base della carrozzina alla piastra girevole ed ingresso sedile (Carony®, AutoAdapt®) Figura 3-12: Sganciamento della base della carrozzina dalla piastra girevole e rotazione del sedile all'interno dell'abitacolo(Carony®, AutoAdapt®) 48 AUSILI ED ADATTAMENTI Figura 3-13: Sedile anatomico ribassato (BEV-SEAT® AutoAdapt®) La base della carrozzina può essere alzata od abbassata di 11,5 cm per raggiungere il livello della piastra girevole installata in auto o per raggiungere punti particolarmente alti in casa (Carony 24”, 12” e Carony Kids). Se questa opzione non è necessaria, è disponibile una versione con base fissa (Carony Fixed). Tabella 3-2: Dati tecnici Carony® AutoAdapt® 3.4 CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA SCELTA DELL’AUSILIO Come si è potuto osservare da questa breve rassegna, molti sono i fattori da tenere in considerazione per la scelta dell’ausilio e sarebbe consigliabile, per una persona disabile che presenta esigenze specifiche in funzione della disabilità e delle capacità residue, variabili da caso a caso, la consultazione di uno o più installatori prima dell’acquisto di una nuova autovettura, dal momento che non su tutte le autovetture è possibile installare lo stesso ausilio od apportare le medesime modifiche (come, ad esempio, la modifica delle cerniere delle portiere per permettere un angolo di apertura maggiore). Riassumendo, i principali fattori di cui tener conto sono: • l’altezza da terra di autovettura e sedile; 49 AUSILI ED ADATTAMENTI • la larghezza del montante laterale (e conseguente distanza del sedile dalla carrozzina); • la forma e l’inclinazione del montante laterale; • il numero delle portiere (essendo ovviamente la larghezza del foro d’entrata maggiore nel caso di vettura a tre porte). Le varie case produttrici od i rivenditori di ausili forniscono agli installatori delle apposite tabelle nelle quali, in funzione dell’ausilio da installare e del modello di autovettura, viene data una votazione (basata sull’esperienza) sulla bontà e facilità di montaggio (Tabella 3-3) e si specificano le misurazioni da effettuare per l’installazione (Figura 3-14). Tabella 3-3: Catalogazione autovetture in funzione dell’ausilio da installare (Mobility-trend®) 50 AUSILI ED ADATTAMENTI Figura 3-14: Misure da rilevare per l’installazione (Mobility-trend®) 3.5 ALCUNI SISTEMI BREVETTATI Vediamo ora alcuni brevetti da cui gli ausili presenti attualmente in commercio hanno tratto origine: 3.5.1 Apparato per la movimentazione di una carrozzina verso l’interno e l’esterno di un’automobile [Lanier J., 1985] L’apparecchio comprende un supporto per sedia a rotelle fissato al tetto interno dell’automobile, posteriormente al sedile del conducente. Il supporto può essere mosso generalmente di lato verso l’interno e verso l’esterno dell’automobile quando la porta del guidatore è aperta e presenta degli strumenti alla sua estremità esterna per l’aggancio ed il sollevamento della sedia a rotelle. Quando la persona disabile si avvicina all’automobile in sedia a rotelle, apre la porta del conducente, avvicina la carrozzina all’auto e posiziona se stesso sul sedile del conducente. Successivamente, egli utilizza appositi comandi sul cruscotto per estendere lateralmente verso l’esterno 51 AUSILI ED ADATTAMENTI dell’auto il supporto per la sedia a rotelle. I mezzi di sollevamento all’estremità del supporto sono quindi collegati alla sedia a rotelle ed i comandi sul cruscotto sono nuovamente azionati per spostare i mezzi di sollevamento verso l’alto, piegando e sollevando la sedia a rotelle, e poi per spostare il supporto lateralmente all’interno per caricare la carrozzina nella parte posteriore dell’automobile, dietro al guidatore. Figura 3-15: Movimentazione carrozzina Figura 3-16: Imbarco carrozzina 3.5.2 Apparato per il trasferimento di disabili [Sumrall J.L., 1992] È un dispositivo mobile di carico e di sollevamento per portatori di handicap, con ruote montate su di una base a forma di U. Un paio di barre di sollevamento formano una forcella di sostegno (montata ad angolo retto sulla base) e sono sollevabili verticalmente dalla base. La forcella di sostegno è sollevata od abbassata con una manovella meccanica. Un cuscino imbottito usato sotto la persona disabile sulla sedia a rotelle o sul sedile dell’automobile è collegato alla forcella sollevatrice con cinghie che l’agganciano alla barra di sollevamento. La forcella prevede un ulteriore sostegno alla persona disabile che deve essere posizionato a livello del torace. L’intero apparato è assemblato con componenti impilati, che sono tenuti insieme dalla gravità, e possono essere facilmente montati e smontati per favorire la movimentazione ed il deposito. Figura 3-17: Dispositivo di carico 52 AUSILI ED ADATTAMENTI 3.5.3 Sedile d’automobile per disabili [Zalewski W., 1992] Il sedile comprende un cuscino fisso più lontano dalla portiera ed un cuscino di trasporto accanto alla portiera. Il componente mobile è limitato nel movimento da una guida a cremagliera tra una posizione retratta ed una posizione estesa. Il componente mobile, quando si trova in posizione estesa, si trova sotto e verso l’esterno rispetto la sua posizione retratta. Il cuscino mobile è controllato da un sistema operativo che include un attuatore manuale per la movimentazione tra la posizione retratta e la posizione estesa ed è sotto costante controllo manuale. L’attuatore è accessibile per un costante controllo manuale su di un manubrio che si muove con il cuscino di trasporto. Figura 3-18: Sedile per disabili 3.5.4 Sedia a rotelle smontabile [Chung Tien-Tung, Su Yun-Chin, Huang Chun-Shuo, 2007] La sedia a rotelle è composto da un sedile, da un telaio per la ruota destra e da un telaio per la ruota sinistra (Figura 3-19). Figura 3-19: Sedia a rotelle smontabile 53 AUSILI ED ADATTAMENTI Il sedile è composto da un telaio e dal cuscino. Due alberi cavi ed un dado di fissaggio sono installati a sinistra ed a destra del telaio del sedile rispettivamente. Due alberi di posizionamento ed un bullone di fissaggio sono disposti sulle ruote di destra e di sinistra rispettivamente. Gli alberi di posizionamento sui telai delle ruote vengono inseriti negli alberi cavi nel telaio del sedile e le viti vengono avvitate nei dadi. 3.5.5 Autoveicolo adattato per guidatori disabili [Todd R.E., 1984] Un’automobile è stata adattata per consentire ad una persona disabile un veloce ingresso ed uscita dal veicolo, da o verso la sua sedia a rotelle, ed anche per consentire l’imbarco della sedia a rotelle piegata a bordo del veicolo. L’adattamento consiste nell’installazione di un sedile che può essere spostato da una posizione normale, all’interno del veicolo, ad una posizione traslata lateralmente verso l’esterno del veicolo, grazie al quale la persona disabile può facilmente spostarsi dalla sua sedia a rotelle al sedile e viceversa. È compresa anche la fornitura di mezzi di immagazzinamento sul lato interno della porta adiacente al sedile, grazie ai quali la sedia a rotelle piegata può essere posizionata e fissata tra la porta ed il sedile. Figura 3-20: Scorrimento del sedile verso l'esterno Figura 3-21: Imbarco carrozzina sulla portiera 54 AUSILI ED ADATTAMENTI 3.5.6 Meccanismo di rotazione per sedile d’automobile [Chung Tien-Tung, Shen Hsiu-Chu, 2006] Comprende una base per il sedile, una piastra scorrevole, una piastra rotante, una piastra elettrica, un asse che definisce un asse di rotazione ed un perno cilindrico. La piastra scorrevole è collocata all’interno dell’auto, consentendo all’estremità superiore del perno cilindrico di essere posizionata all’uscita della guida elettrica, permettendo inoltre la rotazione fuori dalla porta dell’auto e facendo scorrere il perno cilindrico nella guida elettrica. Grazie al percorso definito dalla guida elettrica, che caratterizza il moto del perno cilindrico, la piastra rotante non solo ruota sull’asse, ma guida anche l’asse in avanti. Dopo aver applicato un adeguato grado di moto, la piastra rotante fuoriesce di una piccola quantità dall’auto, mentre un movimento opposto permette alla piastra rotante di ritornare al punto iniziale. Figura 3-22: Meccanismo di rotazione per sedile d’automobile 3.5.7 Sedile girevole per autoveicolo [Yundt N.K., KinKaid D., 2000] Il sedile girevole comprende una parte interna rotante ed una parte fissa esterna che circonda la parte interna. Preferibilmente, la parte interna è leggermente più alta della parte esterna circostante tanto quanto basta per permettere la rotazione libera della parte centrale. 55 AUSILI ED ADATTAMENTI Figura 3-23: Sedile girevole 3.5.8 Trasporto di disabili o di persone invalide [Southward L.B., Simpson C.J., Tumbridge C.R., 1979] Si riferisce ad un mezzo di trasporto per disabili o persone invalide e comprende un sedile che può essere agganciato ad una base dotata di ruote ed essere quindi usato come una sedia a rotelle, oppure essere agganciato ad una base di supporto su un’automobile, per essere usato come un sedile d’auto (Figura 3-24). Figura 3-24: Sistema di trasporto per disabili 56 AUSILI ED ADATTAMENTI La base con ruote è staccabile e ripiegabile per l’imbarco ed il trasporto ed il veicolo è provvisto di un supporto rigido con parti mobili che si fissano al sedile, per permettere l’ingresso e l’uscita dall’automobile del sedile e della persona seduta su di esso quando il sedile è staccato dalla base con ruote. 3.6 ALCUNE RICERCHE E STUDI La maggior parte degli ausili visti sin qui si prestano all’utilizzo essenzialmente di persone che hanno una buona capacità residua di tronco ed arti superiori (paraplegici). Nel caso tale capacità residua non sia presente, ovvero per i tetraplegici, l’accesso all’autoveicolo è subordinato ad un aiuto da parte di un’altra persona (essi devono essere letteralmente spostati di peso dalla carrozzina al sedile dell’auto; in questa fase, umiliante e talvolta pericolosa, sono completamente dipendenti dall’accompagnatore e perdono gran parte della conseguita autonomia), oppure richiede mezzi specifici profondamente modificati ed adattati (con conseguente aumento dei costi). Vale la pena qui di segnalare due studi compiuti dai ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università degli studi di Brescia [Cambiaghi et al., 2002], che hanno come obiettivo quello di permettere al disabile tetraplegico di entrare ed uscire da un automezzo seduto sulla propria carrozzina in maniera autonoma e sicura. Il primo progetto, denominato TeDriS, riguarda lo studio di un servo-meccanismo atto ad "agganciare" la carrozzina e trasferirla, con la persona, al posto guida od al posto passeggero anteriore di un’auto monovolume in commercio (Megan Scenic di Renault®) ponendo così al centro dell’attenzione gli interventi da operarsi sull’assetto della carrozzina e lasciando di fatto inalterata l’autovettura. Alle difficoltà intrinseche del passaggio in autovettura (ingombri, accessibilità "anello porta", spazi interni che limitano la mobilità, ecc.), va aggiunto il fatto che la massima autonomia e comfort per il disabile tetraplegico si verifica quando lo stesso si trova sulla propria carrozzina. Lo studio, dopo aver affrontato e risolto i principali problemi funzionali in modo innovativo, sfruttando tecniche di simulazione tridimensionale (che hanno consentito di by-passare una fase di costruzione di modelli fisici, solitamente lunga ed onerosa, Figura 3-25), è proseguito con la prima stesura del progetto esecutivo del servomeccanismo e della carrozzina, nonché con la definizione delle modalità operative di impiego del dispositivo. Figura 3-25: Immagini dal simulatore 3D, soluzione servoassistita [Cambiaghi et al., 2002] 57 AUSILI ED ADATTAMENTI Sono state quindi eseguite delle simulazioni di traiettorie di ingresso, predisposti modelli numerici per l’analisi strutturale della carrozzina in condizioni di carico differenti da quelle tipiche e verifiche delle parti critiche del servomeccanismo di sollevamento e dell’interfaccia con la carrozzina. Il sistema, costituito essenzialmente da un sollevatore meccanico (Figura 3-26) che realizza una opportuna traiettoria e da una carrozzina modificata, sembra rispondere pienamente alle specifiche prefissate e, stanti le esaustive e severe verifiche sul modello virtuale, è apparso realizzabile e funzionante. L’Università di Brescia ha proceduto alla copertura brevettuale dello stesso. Figura 3-26: Servomeccanismo sollevatore [Cambiaghi et al., 2002] Figura 3-27: Sequenza d’ingresso al posto guida [Cambiaghi et al., 2002] Gli unici interventi, peraltro reversibili, al telaio del veicolo sono: l’aumento dell’angolo di apertura della portiera e la motorizzazione dell’apertura della portiera (solo versione guidatore). Tale soluzione, già nella versione prototipo, costa meno delle attuali soluzioni, che tentano, senza riuscirvi, di effettuare lo stesso tipo di servizio. A fianco del progetto TeDris, che si propone di risolvere il problema utilizzando una vettura commerciale con modifiche modeste e reversibili, allo scopo di ottenere evidenti vantaggi di economia ed affidabilità, si è voluto esplorare anche l’ipotesi di un veicolo progettato appositamente, ovviamente puntando su una soluzione meno 58 AUSILI ED ADATTAMENTI complessa rispetto ad una vettura tradizionale. Allo scopo sono stati posti dei vincoli progettuali complementari rispetto ai precedenti: • carrozzina di tipo qualsiasi; • dispositivo di caricamento estremamente semplice, possibilmente assente; • vettura da costruire intorno all’interfaccia uomo-macchina (accesso, ancoraggio, controllo del mezzo). La soluzione che ne è derivata, denominata progetto MarGO, è anch’essa complementare: il veicolo è adatto a spostamenti brevi con frequenti soste (si è sfruttata la normativa meno vincolante in termini di omologazione che regolamenta i veicoli con propulsore aventi potenza fino a 4 kW). Figura 3-28: Sequenza d'accesso progetto MarGo [Cambiaghi et al., 2002] Il sistema di accesso e di ancoraggio è costituito dai seguenti elementi: • una barra : è un profilato tubolare a forma di "U". La barra ha due scopi: occupare area parcheggio nella zona retrostante per evitare che qualcuno parcheggi troppo vicino; proteggere il guidatore in carrozzina durante le fasi di salita e discesa in cui è più vulnerabile; • una pedana/pavimento abbassabile: il disabile può avere difficoltà a superare (a forza di braccia) il dislivello dal piano terra al pianale del veicolo. Per ovviare a questo problema è stato disegnato un meccanismo che consente di abbassare una porzione del pianale fino al livello dal suolo: la carrozzina vi sale e poi il piano si rialza fungendo da sollevatore (Figura 3-29); Figura 3-29: Pedana abbassabile [Cambiaghi et al., 2002] 59 AUSILI ED ADATTAMENTI • • • • 60 la motorizzazione del portellone: questo componente è necessario perché per il guidatore in carrozzina è praticamente impossibile chiudere autonomamente il portellone; cinture autobloccanti: sono normali cinture di sicurezza, del tipo presente su tutte le vetture commerciali; l’accesso da dietro consente di lasciarle permanentemente allacciate; il blocco per la carrozzina: il bloccaggio della carrozzina viene realizzato nella fase di salita della pedana/pavimento abbassabile; un appoggiatesta: è fissato al portellone. Capitolo 4 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO 4.1 INTRODUZIONE Lo studio multifattoriale del movimento umano rappresenta un campo in recente e rapida espansione grazie allo sviluppo tecnologico che ha portato alla costruzione di nuovi strumenti più sofisticati. Essi permettono di affrontare il tema avendo a disposizione un più ampio set di misure e di parametri che descrivono la funzionalità e le performance del movimento. Parallelamente devono essere sviluppate opportune metodologie e modelli per una completa analisi dei fenomeni misurati. Il movimento è un modo dell’uomo di rapportarsi con lo spazio circostante: è la realizzazione ciclica o transiente di uno specifico compito. Inoltre, molteplici movimenti, soprattutto a livello involontario (ad esempio la respirazione o la contrazione del muscolo cardiaco), sono alla base di funzioni vitali dell’organismo. È possibile, infatti, classificare i movimenti in due classi: volontari ed involontari. In particolare, il movimento umano volontario rappresenta il prodotto di una complessa elaborazione da parte del sistema nervoso centrale, il quale genera una serie di comandi che vengono inviati al sistema effettore lungo le vie efferenti del sistema nervoso periferico. Il sistema effettore è costituito dall’apparato muscolo-scheletrico, comprendendo anche i tendini ed i legamenti presenti nelle diverse articolazioni. Non deve essere dimenticato anche il ruolo fondamentale del sistema sensoriale, il quale fornisce al sistema nervoso centrale le informazioni riguardanti lo stato del sistema biomeccanico nel suo complesso (integrazione sensori-motoria). Il movimento volontario differisce dal movimento riflesso (o automatico) per diversi aspetti. In primo luogo, il movimento volontario è finalizzato all’ottenimento di un risultato intenzionale. Il sistema motorio può utilizzare diverse strategie per raggiungere lo stesso scopo. Alcuni autori definiscono questa flessibilità "equivalenza motoria" della strategia [Pedotti et al., l989]. In secondo luogo, l’esecuzione di un movimento volontario migliora con l’esperienza e l’apprendimento. La contrazione muscolare coinvolta durante la ripetizione di movimenti diventa più efficiente, il livello di attività muscolare ed i tempi di esecuzione del movimento diminuiscono. Il livello esecutivo comprende gli attuatori muscolari che, agendo sul sistema meccanico costituito dal complesso scheletrico, consentono la realizzazione del movimento secondo modalità derivanti dalle caratteristiche del comando nervoso proveniente dai centri nervosi superiori. Un complesso insieme di recettori (gli organi tendinei del Golgi, i fusi muscolari ed i sistemi sensoriali) consente il controllo del movimento secondo una modalità ad anello chiuso (Figura 4-1). La biomeccanica rappresenta l’applicazione dell’approccio classico delle leggi della meccanica allo studio di sistemi aventi la caratteristica specifica di essere vivi o di appartenere ad "organismi viventi". 61 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Figura 4-1: Organizzazione ad anello chiuso del movimento volontario Dal punto di vista meccanico, il sistema corpo umano, che integra una catena articolata (il sistema scheletrico), il sistema effettore (i muscoli), ed il sistema di controllo (il sistema nervoso centrale e periferico), presenta le seguenti caratteristiche: • ha un numero ridondante di gradi di libertà, ovvero è un sistema che può permettere l’esecuzione di uno stesso gesto attraverso un numero infinito di soluzioni cinematiche differenti fra loro; questa è la caratteristica che identifica la proprietà dell’equivalenza motoria delle diverse strategie di movimento; • è un sistema non lineare; • è un sistema tempo-variante, con costanti di tempo diverse e correlate, ad esempio, all’età (che determina una lenta variazione delle caratteristiche del sistema), alla patologia (progressiva o di origine traumatica), all’apprendimento, all’allenamento ed all’affaticamento (che agisce nel breve termine); • è un sistema sensorizzato e retroazionato, ovvero che realizza l’integrazione sensori-motoria per il controllo del movimento; i sensori sono le specifiche strutture anatomiche dislocate nei diversi distretti del sistema biomeccanico. Il fattore antropometrico rappresenta un altro importante parametro che influenza la determinazione del movimento e che si va a sommare alle caratteristiche che descrivono le condizioni del sistema muscolo-scheletrico (in termini di abilità del controllo, stato di affaticamento, e presenza di fattori patologici, ovvero i fattori che determinano la tempo-varianza del sistema). L’antropometria, ovvero l’insieme delle misure lineari del corpo umano, consente di definire un modello "interno", propiocettivo, del corpo ed in funzione di questo influenza l’ampiezza angolare del movimento articolare per la realizzazione del compito motorio richiesto. Inoltre, la singola realizzazione di un movimento è caratterizzata da una variabilità intra-individuale con caratteristiche stocastiche, ovvero un movimento non viene mai replicato perfettamente uguale a se stesso da parte del medesimo individuo pur in situazioni costanti [Rabuffetti et al., 1995]. La variabilità inter-individuale, invece, che si traduce nella possibilità di adottare diverse strategie motorie per uno stesso gesto da parte di soggetti differenti, è 62 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO espressione sia della ridondanza del sistema biomeccanico sia delle diversità o peculiarità individuali delle modalità di organizzazione del movimento e dello stato del sistema [Pedotti e Crenna, 1990; Rabuffetti et al., 1996]. Infine, sulla determinazione del movimento, agiscono i vincoli: essi possono essere classificati in due categorie: vincoli interni e vincoli esterni [Andreoni et al., 1997]. I vincoli interni sono costituiti da strutture anatomiche che limitano il movimento: appartengono a tale classe i legamenti delle articolazioni nonché le coppie di muscoli agonisti-antagonisti, o strutture ossee delle articolazioni (ad esempio le faccette articolari delle vertebre); tali elementi permettono il movimento solo in determinati intervalli articolari (Range of Motion). I vincoli esterni sono elementi dell’ambiente in cui si svolge il movimento e che rappresentano ostacoli a questo. 4.2 LO STUDIO DEL BIOMECCANICO MOVIMENTO E L’APPROCCIO Lo studio del movimento si fonda sulla determinazione delle sue variabili cinematiche, dinamiche, fisiologiche ed anatomiche. L’analisi biomeccanica rappresenta un approccio possibile per la quantificazione di variabili associate alla funzione motoria, alla fisiologia del movimento ed all’anatomia del sistema motorio: essa richiede una fase sperimentale di misura che viene eseguita direttamente sul soggetto in esame, ed una fase di elaborazione del dato sperimentale attraverso la definizione e l’applicazione di opportuni modelli per l’estrazione di variabili e parametri descrittivi di movimento che non sono direttamente misurabili [Biondi, 1984]. Il protocollo sperimentale di misura deve essere definito in funzione di alcune caratteristiche generali: • in primo luogo, nell’ambito dello studio del movimento umano è da privilegiarsi la scelta di una misura di tipo non invasivo (in senso più ampio rispetto al significato utilizzato in medicina) e priva di artefatti od interferenze con fattori esterni che modifichino le caratteristiche del moto; con ciò si intende che la misura non deve alterare artificiosamente l’esecuzione del movimento inficiandone la significatività o la naturalità; • la registrazione può essere continua nel tempo durante l’esecuzione del movimento, oppure segmentata sulla base dell’occorrenza di specifici eventi di carattere fisiologico piuttosto che funzionale; • il protocollo sperimentale può concentrarsi su singoli aspetti del movimento oppure integrare la misura di grandezze diverse e di diversa natura (analisi multifattoriale); • in ogni caso il protocollo sperimentale deve essere riproducibile e garantire la ripetibilità della misura. Le fasi per la determinazione di un protocollo di analisi sono: • identificazione e definizione dello specifico compito richiesto (movimento semplice o complesso, isolato o ciclico, di interazione con l’ambiente od oggetti o che prevede l’utilizzo di ausili); • individuazione delle grandezze fisiche che quantificano l’oggetto di interesse; • definizione del setup sperimentale per l’analisi del movimento, ovvero la 63 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO migliore disposizione dei sensori e dei sistemi di misura per la rilevazione delle grandezze di interesse; • definizione del paradigma sperimentale, ovvero dell’attività sperimentale da eseguirsi durante l’esame del soggetto, mediante l’identificazione dei parametri ambientali variabili, delle perturbazioni da apportare in sequenza al protocollo, nonché dell’utilizzo di eventuali ausili alternativi; • definizione del modello associato alle variabili, per il loro calcolo e la loro interpretazione anatomo-funzionale (ad esempio il modello per il calcolo di angoli anatomici). I protocolli sperimentali possono presentare una oggettiva semplicità, che implica una relativa facilità di impiego ed una certa velocità per l’acquisizione, l’elaborazione e la rappresentazione dei dati, caratteristiche che possono portare anche ad una rapida e, per certi versi, facile interpretazione dei dati stessi. In questo caso, non viene richiesta una particolare abilità dell’operatore che esegue la misura, viene ridotto il coinvolgimento del paziente nell’attività di acquisizione dei dati in termini di tempo e di impegno psicofisico, i risultati sono rapidamente a disposizione e ciò consente una immediata interpretazione e decisione diagnostico-riabilitativa. D’altro canto, i dati così ottenibili potrebbero non garantire una completa descrizione del fenomeno di interesse ed oggetto dell’analisi. Si deve perciò ricorrere a protocolli più complessi. In questa eventualità, la completezza e la multifattorialità dell’analisi consente una più precisa ed approfondita analisi a discapito dei tempi di acquisizione, elaborazione ed interpretazione dei dati che risultano essere più dilatati e richiedono la presenza di operatori esperti sia per la fase di misura che di discussione dei risultati. 4.3 MISURE SPERIMENTALI PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Come si è visto, il movimento si compone di diversi fattori: cinematici, dinamici, elettromiografici. L’analisi del movimento può contemplare la misura di tutte queste variabili, in funzione degli strumenti di cui si dispone. 4.3.1 Misure cinematiche Per analisi quantitativa della cinematica si intende il rilievo e l’elaborazione numerica delle grandezze che definiscono il movimento dello spazio dei segmenti corporei. Esistono diversi strumenti che permettono la rilevazione di grandezze cinematiche ma sicuramente il ruolo di maggior importanza è assolto dai sistemi optoelettronici che registrano le coordinate spaziali di particolari oggetti, detti marcatori, mediante l’elaborazione in tempo reale delle immagini provenienti da un sistema di telecamere. I marcatori vengono disposti in selezionati punti anatomici del corpo in modo da poter essere rilevati e che siano significativi ai fini dell’analisi. L’applicazione di algoritmi di stereofotogrammetria rende possibile il calcolo delle coordinate tridimensionali partendo dal dato 2D di almeno una coppia di telecamere opportunamente orientate e calibrate sul campo di ripresa. Tra i sistemi basati su tale metodologia, un ruolo di preminenza è assunto dal sistema ELITE (Elaboratore di Immagine Televisive), sviluppato nei primi anni ‘80 presso il Centro di Bioingegneria di Milano [Ferrigno e Pedotti, 1985; Pedotti et al., 1990; Ferrigno et 64 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO al., l990]. Il dato ottenuto da ELITE consiste nella traiettoria nello spazio tridimensionale di marcatori riconosciuti automaticamente dal sistema e posizionati su punti anatomici significativi. Tali marcatori sono sfere o semisfere di plastica ricoperte di carta catarifrangente ed aventi il diametro variabile da pochi millimetri ad 1-2 centimetri in funzione della dimensione del campo di ripresa (che è variabile dalla decina di centimetri a diversi metri) e dell’applicazione (movimento in esame e distretti anatomici interessati). Sono marcatori di tipo passivo, che cioè utilizzano una sorgente di energia esterna per la loro rilevazione: nel caso specifico tali marcatori riflettono l’energia luminosa nel campo dell’infrarosso ed emessa da corone di LED (flash) la cui accensione viene opportunamente sincronizzata con il tempo di campionamento del sensore. I sensori del sistema sono un set di telecamere con sensori allo stato solido del tipo a scorrimento di carica (CCD) con frequenza di campionamento di 100 Hz (o superiori) e che sono sensibili alle frequenze elettromagnetiche dell’infrarosso. Tale frequenza di campionamento garantisce la corretta acquisizione dei dati relativi al movimento umano, il cui contenuto in frequenza è nell’ordine della decina di Hz (più alto nel caso di gesto sportivo). Il flash infrarosso è posto in corrispondenza dell’obiettivo e sincronizzato con l’otturatore elettronico delle telecamere stesse, e garantisce che i riflessi che provengono dai marcatori siano caratterizzati da un livello di luminosità elevato. L’utilizzo di marcatori passivi è di particolare importanza per l’analisi di movimenti naturali dell’uomo, in quanto marcatori attivi comporterebbero la presenza di ingombri (fili) che potrebbero alterare la naturalezza del movimento. Inoltre, l’interferenza con i movimenti del soggetto risulta essere trascurabile grazie alle loro ridotte dimensioni. Essi vengono fissati sulla pelle del soggetto con nastro biadesivo biocompatile nei punti anatomici opportuni per l’analisi da eseguire. La forma sferica dei marcatori conferisce alcuni ulteriori vantaggi quali l’invarianza dell’immagine e la conservazione della simmetria dello stesso per rotazioni del marcatore rispetto alle telecamere. Da un punto di vista operativo, l’utilizzo del sistema ELITE necessita di una fase preliminare di calibrazione. Tale operazione utilizza un oggetto tridimensionale con una distribuzione spaziale di marcatori disposti a distanze reciproche fisse e note, e consente di ottenere i coefficienti del sistema di riferimento delle telecamere rispetto a quello del laboratorio ed i coefficienti di distorsione associati all’ottica delle telecamere. Questi coefficienti sono fondamentali per l’applicazione delle tecniche stereofotogrammetriche di ricostruzione della posizione dei marcatori. Il primo step nel processo di misura della posizione dei marcatori consiste nel riconoscimento della presenza di un marcatore nel campo di ripresa della singola telecamera. Un algoritmo implementato nell’hardware riconosce come marcatori soltanto aree di luminosità elevata la cui forma sia correlabile alla maschera sferica predeterminata e memorizzata nel sistema. Il riconoscimento della forma del marcatore non classifica come marcatori aree dotate di luminosità elevata ma la cui forma non corrisponde a quella attesa, impedendo l’interferenza da parte di sorgenti luminose spurie e consentendo l’utilizzo del sistema all’aperto in presenza di luce naturale e non controllata come in laboratorio. Le coordinate bidimensionali del baricentro dell’area riconosciuta sono assunte come coordinate del marcatore nel sistema di riferimento bidimensionale della telecamera. Questo step di elaborazione è realizzato via hardware in tempo reale, per tutte le telecamere del sistema. La ricostruzione della 65 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO posizione di ogni singolo marcatore richiede che lo stesso sia visibile da almeno due telecamere: la posizione delle singole telecamere in riferimento ad un sistema di riferimento assoluto permette di applicare equazioni stereofotogrammetriche ed ottenere le coordinate del punto stesso nel sistema di riferimento assoluto. La precisione sperimentale del sistema è 1/3000 delle dimensioni del campo di ripresa: ipotizzando un volume calibrato, ovvero uno spazio in cui è possibile la rilevazione di marcatori da parte delle telecamere, di 1 m di lato, la posizione di un punto è ottenuta con uno scarto inferiore ai 0,4 mm. Un altro sistema optocinetico è il sistema ACMOTION, realizzato presso l’Università degli Studi di Udine, di cui si parlerà esaurientemente più avanti essendo stato il sistema adottato per l’analisi del movimento umano sviluppata nel presente studio. Ulteriori strumenti che consentono misure di grandezze cinematiche sono gli accelerometri e gli elettrogoniometri. Entrambi sono strumenti che forniscono in uscita un segnale elettrico analogico. Gli accelerometri sono degli strumenti che permettono di misurare una eventuale accelerazione cui è sottoposto il corpo a cui viene applicato. Sono costituiti da sistemi vibranti a cui vengono applicati trasduttori di spostamento. Il tipo di trasduttore impiegato determina le caratteristiche, il principio di funzionamento e la classificazione degli accelerometri. Su tale base si distinguono infatti accelerometri piezoresistivi, piezoelettrici, induttivi e ad estensimetri. Gli elettrogoniometri sono dispositivi che consentono di misurare lo spostamento relativo tra due corpi (in genere vicini e connessi) nello spazio. Esistono anche in questo caso diverse tipologie di elettrogoniometri sia in base al principio di funzionamento del trasduttore impiegato che alle grandezze misurate: sono a disposizione strumenti in grado di rilevare un solo grado di libertà (ovvero una singola rotazione tra i due segmenti interessati) oppure tutti e 6 i gradi di libertà (3 traslazionali e 3 rotazionali) che definiscono la posizione del segmento distale rispetto a quello prossimale. 4.3.2 Misure dinamiche La dinamica articolare è descritta dal momento e dalla potenza meccaniche risultanti in corrispondenza della singola articolazione, interpretabili come risultanti dell’azione dei muscoli e, in alcune fasi, delle strutture legamentose, che equilibrano le componenti dinamiche esterne di ordine gravitazionale ed inerziale. La stima di tali variabili rappresenta il problema dinamico inverso, problema classico della meccanica, che, data la cinematica di un sistema, caratterizzato nei suoi parametri inerziali (masse, posizioni dei baricentri, assi principali di inerzia, momenti principali di inerzia), calcola il sistema dinamico che la determina in relazione alle forze esterne ed alle reazioni vincolari agenti e misurate. I dispositivi che consentono la misura delle reazioni vincolari al terreno R, ovvero delle tre componenti di forza Rx, Ry, e Rz e del momento torcente M, sono le piattaforme dinamometriche (dette anche piattaforme di forza). Esse sono costituite da un piano rigido rettangolare sostenuto in quattro punti (generalmente in prossimità dei quattro vertici) e dove vengono posti gli elementi di trasduzione del segnale [Santambrogio et al., 1996]. I trasduttori generalmente utilizzati sono celle di carico piezoelettriche o ad estensimetri, che convertono in un segnale elettrico la grandezza meccanica forza (Figura 4-2). 66 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Figura 4-2: Piattaforma dinamometrica 4.3.3 Elettromiografia L’elettromiografia (EMG) è l’analisi della funzione muscolare mediante la rilevazione del segnale elettrico correlato alla contrazione muscolare. Essa può riguardare sia lo studio del potenziale d’azione che viene originato a livello della singola unità motoria, oppure, più generalmente e più comunemente usata, a livello dell’intero muscolo. Il segnale elettrico che viene registrato, viene elaborato sia nel dominio del tempo che delle frequenze per la correlazione delle grandezze ad esso associate con i parametri cinematici e dinamici del movimento (presenza/assenza di attività muscolare, stima della forza espressa dal muscolo durante la contrazione, livello di affaticamento e correlazione con la frequenza del segnale EMG, eventuali situazioni patologiche). L’elettromiografia permette di registrare l’attività elettrica muscolare durante la contrazione volontaria. In sintesi, il reclutamento dei gruppi muscolari avviene attraverso la stimolazione elettrica delle fibre da parte del sistema nervoso centrale. La sinapsi tra il motoneurone e la fibra muscolare presenta una regione specializzata della membrana muscolare chiamata placca motrice. La stimolazione dell’assone motore determina la liberazione di acetilcolina (ACh) che fa insorgere un potenziale sinaptico eccitatorio chiamato potenziale di placca. Questo, a riposo, è negativo ma grazie al rilascio del neurotrasmettitore passa a valori positivi consentendo un passaggio di corrente determinato da un flusso ionico (Figura 4-3). Tale flusso di corrente può essere studiato tramite la legge di Ohm: (4.1) I EPSP = g EPSP ⋅ (Vm − E EPSP ) dove gEPSP rappresenta la conduttanza dei canali sinaptici, Vm è il potenziale di membrana e EEPSP è il potenziale di equilibrio del potenziale sinaptico eccitatorio. Tale corrente è realizzata dagli ioni sodio e potassio, dove i primi entrano nella cellula mentre i secondi escono. Durante la diffusione del potenziale d’azione, ciascuna placca motrice si comporta come un amplificatore che trasforma una depolarizzazione, se questa supera un valore di soglia pari a 4-5 volte quello che occorre per aprire un canale Na+, in un impulso di depolarizzazione di circa 100 mV in 1 ms. Quando si registra il segnale elettromiografico non si esamina la contrazione meccanica del muscolo ma solo l’evento che ne è la causa. 67 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Figura 4-3: Sinapsi tra motoneurone e fibra muscolare Si possono distinguere due gruppi diversi di segnale elettromiografico: il segnale prelevato in superficie e quello registrato in profondità: • nell’elettromiografia di profondità il segnale elettrico muscolare viene prelevato tramite elettrodi ad ago di vari tipi. Tale tipo di elettromiografia è utilizzata prevalentemente a fini diagnostici ed è in grado di fornire informazioni accurate sul funzionamento delle singole unità motorie data la precisione con cui l’elettrodo sottocutaneo riesce a captare il segnale emesso. Il segnale prelevato ha ampiezze che variano dai 20 ai 2000 µV e frequenze comprese tra i 6 ed i 30 Hz; • il segnale elettromiografico di superficie rappresenta la sovrapposizione dei potenziali d’azione delle unità motorie che si attivano nel muscolo; quando si parla di sovrapposizione, nel caso di segnale elettromiografico volontario, la si deve intendere in termini di potenza. A causa dell’attivazione asincrona delle unità motorie, il segnale elettromiografico volontario deve essere considerato come un processo casuale, stocastico. Lo spettro di potenza può essere valutato con errori di stima e risoluzione dipendenti dall’algoritmo utilizzato e dal periodo di osservazione. Se l’attività muscolare è conseguente a stimolazione elettrica del fascio nervoso che innerva il muscolo, dei punti motori o delle fibre muscolari, la statistica di attivazione di ogni unità motoria è identica per tutte le fibre muscolari, le quali pertanto vengono attivate in modo sincrono. In questo caso, per sovrapposizione si deve intendere la somma in ampiezza. Il segnale elettromiografico prodotto da stimolazione elettrica, ha l’aspetto di un segnale periodico: lo spettro di potenza del segnale è costituito dalle righe spettrali equispaziate, dove la distanza tra le righe è pari alla frequenza di ripetizione del segnale. Lo studio del segnale 68 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO elettromiografico per contrazioni stimolate elettricamente si è dimostrato particolarmente interessante in quanto prescinde dalla volontà o dalla possibilità di collaborazione del soggetto testato e consente sia di studiare il comportamento del muscolo fissandone in modo preciso la frequenza di attivazione, sia di ottenere un segnale dotato di caratteristiche particolarmente favorevoli all’applicazione di analisi spettrale. Gli elettrodi di superficie sono delle piccole placchette di argento o di acciaio inossidabile che vengono poste sopra il muscolo grazie ad un supporto adesivo. Un tipo di elettrodo molto comune è quello di Argento-Cloruro di argento (Ag-AgCl), costituito da un disco concavo dotato di una piccola apertura al centro attraverso la quale è possibile inserire una pasta conduttrice. 4.4 ANALISI MEDIANTE MODELLI BIOMECCANICI La biomeccanica affronta lo studio dell’interazione uomo-ambiente tramite lo sviluppo di opportuni modelli (dell’uomo e dell’ambiente in cui esso opera). Il modello è un tentativo di interpretare la realtà. Nel caso del movimento umano, il modello interpreta la complessità dei fenomeni meccanici che avvengono nel sistema attraverso l’analisi dei gradi di libertà che lo contraddistinguono. Nel caso dell’analisi del movimento, il modello biomeccanico dell’uomo, senza prendere in considerazione i dettagli della struttura anatomica ed i meccanismi fisiologici dell’apparato motorio, rappresenta una copia semplificata dell’uomo, sulla quale si possono studiare le caratteristiche del moto. Tale semplificazione, però, non deve compromettere la possibilità e la capacità interpretativa della realtà stessa da parte del modello. Questo significa che esso deve comunque permettere una esauriente e precisa descrizione del sistema o fenomeno oggetto dello studio (il movimento umano in questo caso) e non alterarne artificiosamente le caratteristiche osservate nella realtà. A ciò si associa anche il concetto di applicabilità del modello, ovvero il suo possibile utilizzo in un protocollo sperimentale fattibile con le tecnologie a disposizione e che misuri efficacemente e con precisione il movimento. Il principale vantaggio dell’utilizzo di modelli consiste nella possibilità del calcolo di variabili e parametri che consentano una descrizione quantitativa di un fenomeno o di un sistema, superando i limiti di un’analisi solamente di tipo qualitativo. Per far questo essi devono contenere le variabili fondamentali per l’indagine. Il calcolo delle grandezze cinematiche primitive (spostamenti) e derivate (velocità ed accelerazioni) dei vari segmenti corporei durante il movimento, implica l’utilizzo di un modello biomeccanico. Analogamente, gli aspetti energetici ed il calcolo di grandezze derivate dalla cinematica o dalla cinetica del corpo umano (ad esempio centro di massa corporeo) sono quantificabili grazie a modelli specifici di carattere antropometrico che vengono affiancati al modello biomeccanico e lo vanno ad integrare. In questo senso il modello è solo uno strumento della ricerca e non un fine ultimo della ricerca stessa. In conclusione, la disponibilità di un modello biomeccanico del sistema uomo consente l’analisi modellistica di certe funzionalità dell’organismo umano, come ad esempio le funzionalità motorie. Questo permette una quantificazione di aspetti più astratti legati all’esecuzione del movimento ed alla sua interazione con l’ambiente circostante, nonché delle modificazioni che i diversi fattori inducono sul movimento medesimo. Il modello del task motorio deve 69 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO provvedere una definizione univoca e significativa degli istanti di inizio e fine del movimento. Ciò è soprattutto vero nel caso in cui il movimento considerato è transiente e non ciclico. Un fenomeno transiente è infatti caratterizzato da una indeterminazione dell’inizio e della fine, che spesso sono definiti in termini tanto arbitrari quanto, peraltro, accettabili. Il modello dell’ambiente è rappresentato dalla geometria dello spazio in cui il movimento viene eseguito e vuole permettere la quantificazione dell’interazione tra il soggetto e l’ambiente. Tale modellizzazione è realizzata mediante l’identificazione di un set di elementi geometrici, caratteristici e influenzanti l’esecuzione del movimento attraverso vincoli matematici, cioè piani, segmenti e punti non penetrabili. Tali elementi sono valutati con la stessa metodologia di analisi cinematica: marcatori passivi sono posizionati in punti univocamente identificabili e acquisiti. La scelta del set di punti da acquisire è arbitraria e passibile di incrementi di precisione qualora si incrementi il numero di punti da acquisire, soprattutto per quegli elementi che sono caratterizzati da profili curvilinei. 4.4.1 Modello a segmenti rigidi del corpo umano Il movimento umano è un movimento segmentario, ovvero che si realizza mediante il moto relativo di segmenti corporei rispetto ad altri o di segmenti corporei rispetto all’ambiente. Per il suo studio, in genere, viene adottato un modello biomeccanico a corpi rigidi (cui corrispondono i vari distretti anatomici) collegati tra di loro da cerniere ideali [Biondi, 1997]. Sotto tale ipotesi, il movimento del corpo viene interpretato come il movimento dei segmenti scheletrici componenti il sistema ed il sistema stesso è rappresentato da una serie di catene cinematiche connesse [Fioretti et al., 1987]. Lo sviluppo del modello biomeccanico prevede le seguenti fasi: • la schematizzazione del corpo come sistema di segmenti rigidi e l’identificazione dei punti anatomici necessari a descrivere i gradi di libertà dei suddetti segmenti; • l’integrazione dei dati precedenti con parametri antropometrici; • la stima della posizione dei punti interni corrispondenti ai punti anatomici esternamente marcati; • la definizione delle variabili associate al modello, cioè i centri di massa parziali e totale e gli angoli. Il primo passo da compiere è quindi costituito dalla scelta di quali e quanti segmenti corporei devono essere considerati per la stesura di un modello rappresentativo del sistema uomo. Ad esempio, il corpo umano può essere modellizzato come un insieme di 16 segmenti anatomici funzionalmente identificabili. Essi sono: • la testa; • le braccia; • gli avambracci; • le mani; • le cosce; • le gambe; 70 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO • i piedi; • la parte superiore del tronco (torace); • la parte media del tronco (addome); • la parte inferiore del tronco (bacino). I segmenti sono considerati rigidi, ovvero le loro caratteristiche geometrico-inerziali sono costanti, caratterizzati da 6 gradi di libertà ciascuno (sistema di corpi liberi) e con caratteristiche inerziali a parametri concentrati, ovvero la massa è concentrata nel baricentro del segmento stesso [Finzi, 1989]. L’identificazione di una serie di punti riscontrabili sulla superficie esterna del corpo deve essere compatibile con tale modellizzazione. La posizione di un segmento può essere identificata mediante la misura dalla posizione di punti ad esso appartenenti. La scelta di un numero più o meno alto di marcatori da utilizzare deve rappresentare un punto di equilibrio tra le esigenze contrastanti rappresentate dalla completezza e dall’invasività e dalla difficoltà tecnica della misura (rilevabilità dei punti da parte del sistema di misura). Una rappresentazione ulteriormente semplificata del modello a corpi rigidi è rappresentata dal modello a segmenti rigidi (Figura 4-4). Figura 4-4: Modello cinematico a segmenti rigidi In questo caso, ogni corpo rigido viene sostituito dal segmento congiungente le adiacenti articolazioni distale e prossimale [Winter, 1990]. La modellazione a segmenti rigidi riduce il problema dell’analisi del movimento umano all’analisi della cinematica di un insieme di punti corrispondenti agli estremi dei segmenti rigidi corrispondenti ai segmenti corporei. Anatomicamente, tali punti corrispondono ai centri articolari. In tale modello si adottano cerniere sferiche per le spalle, le anche, fra dodicesima vertebra toracica e prima sacrale e fra settima vertebra cervicale e prima toracica, mentre si ricorre a cerniere assiali per gomiti e ginocchia. Poiché le posizioni dei centri delle articolazioni tra segmenti corporei consecutivi sono costituite da punti interni al corpo non direttamente misurabili, è necessario introdurre una metodologia di stima delle posizioni di tali punti [Drillis e Contini, 1966]. Da un punto di vista metodologico, la ricostruzione delle posizioni dei centri 71 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO articolari consiste in una misurazione indiretta delle loro posizioni tramite la misura della cinematica di altri punti (accessibili alla misura senza metodi invasivi, ovvero punti di repere sulla superficie corporea, Figura 4-5). Figura 4-5: Sistema di rilevamento antropometrico [Grieco e Masali, 1972] Il problema si riduce quindi in primo luogo nella scelta del numero e della posizione dei punti esterni da misurare per tale scopo e, in secondo luogo, nella conoscenza della relazione spaziale geometrica tra i punti misurati ed i punti di interesse, cioè i centri articolari e quelli di massa dei rispettivi distretti anatomici (modello antropometrico). 4.5 DEFINIZIONE E CALCOLO DEL CENTRO DI MASSA CORPOREO Il modello antropometrico consente anche la determinazione dei baricentri dei singoli distretti anatomici e globale. La posizione dei centri di massa dei singoli segmenti è, secondo la totalità della letteratura, situata sull’asse longitudinale del segmento, a distanze costanti dalle due estremità (Figura 4-4). Dato un sistema, si definisce centro di massa (COM) del sistema un punto sul quale l’azione di una forza pari alla somma delle forze esterne applicate al sistema (risultante) produrrebbe un’accelerazione proporzionale alla massa totale del sistema [Robertson, 1997]. Per tale motivo, il COM di un sistema può essere rappresentativo del movimento di traslazione del sistema. Il COM non rappresenta una proprietà del sistema in quanto immerso in un campo di forze, ma piuttosto rappresenta una proprietà intrinseca del sistema, legata alla modalità di distribuzione delle masse costituenti il sistema stesso. Nel caso in cui il sistema sia immerso in campo gravitazionale, il COM coincide con il centro di applicazione delle forze gravitazionali (centro di gravità) agenti sulla distribuzione di massa del sistema [Cincera, 1997]. 72 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Per un sistema di corpi rigidi (quale il modello biomeccanico sviluppato), di cui si conoscano le posizioni dei relativi centri di massa, è possibile il calcolo del centro di massa totale avendo a disposizione la massa dei singoli corpi [Nigg e Herzog, 1994]. Le masse, invece, devono essere stimate mediante equazioni di regressione che tengano conto, in primo luogo, della massa totale del soggetto, e mediante dei fattori correttivi, anche dell’altezza. Tali equazioni sono state riprese dal lavoro di Zatsiorsky, già utilizzato nella definizione delle posizioni dei centri di massa locali. Il calcolo della posizione del COM avviene secondo la formula classica per sistemi di corpi rigidi: r n r (4.2) COM totale = ∑ m ⋅ COM i =1 i i n ∑m i =1 i Nella quale: r • COM totale è il centro di massa del sistema; • • n è il numero di corpi rigidi costituenti il sistema; mi è la massa dell’i-esimo corpo costituente il sistema; • ∑m n i =1 • i = M è la massa totale del sistema; r COM i è il centro di massa dell’i-esimo corpo costituente il sistema. L’applicazione di tale relazione per il calcolo del COM del corpo umano riduce il problema alla determinazione delle caratteristiche inerziali di ciascun segmento corporeo [Zatsiorsky e Seluyanov, 1983; Pearsal et al., 1996], ovvero: • determinazione delle masse di ciascun segmento corporeo; • determinazione del centro di massa di ciascun segmento corporeo. Il calcolo di tali parametri è stato realizzato da Zatsiorsky e Seluyanov attraverso analisi diretta su cadavere [Zatsiorsky e Seluyanov, 1983]. In tali studi è stata presa in considerazione un’ampia casistica di morfologie corporee (relativamente all’altezza ed al peso della popolazione), che ha permesso di definire delle equazioni di regressione, per la determinazione delle masse di ciascun segmento corporeo, e di tabelle numeriche, per la determinazione dei rispettivi centri di massa. Le tabelle forniscono degli indici che, unitamente a misure antropometriche rilevate direttamente sul soggetto, consentono la determinazione indiretta dei centri di massa in funzione della posizione di punti di repere esterni. Relativamente al calcolo delle masse, l’equazione di regressione si presenta nella forma: (4.3) M segmento = k1 + k 2 ⋅ MassaCorporea + k 3 ⋅ AltezzaCorporea Dove k1 , k2 e k3 sono delle costanti dipendenti dal segmento considerato. Il risultato a cui si perviene è illustrato in Figura 4-6: 73 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Figura 4-6: Pesi e disposizioni dei baricentri dei singoli segmenti corporei 4.6 DEFINIZIONE DI ANGOLO ANATOMICO ED ARTICOLARE Come già accennato, ciascun segmento del modello biomeccanico viene supposto essere un corpo rigido; pertanto esso risulta essere caratterizzato da sei gradi di libertà (tre traslazionali e tre rotazionali). In questo caso, per la determinazione dello stato di moto di ciascun segmento corporeo è indispensabile conoscere le funzioni temporali associate a sei parametri che rappresentano i gradi di libertà del corpo. Il modello del corpo umano presentato è meccanicamente rappresentato da un insieme di catene cinematiche connesse. La presenza di una connessione tra due segmenti anatomici adiacenti consente la riduzione dei tre gradi di libertà traslazionali del segmento distale rispetto a quello prossimale per i due distretti anatomici interessati dalla connessione (che viene quindi considerata un vincolo sul segmento adiacente). Inoltre, la natura e la morfologia della connessione tra due segmenti corporei adiacenti, può non permettere tutti e tre i gradi di libertà rotazionali del sistema costituito dai due segmenti. Ad esempio, nel caso del corpo umano, tale situazione si verifica in corrispondenza dell’articolazione del ginocchio che, in prima approssimazione, consente un solo grado di libertà rotazionale (flesso-estensione) relativo tra i segmenti corporei di coscia e gamba. Queste considerazioni rendono possibile la semplificazione del protocollo sperimentale grazie alla riduzione del modello biomeccanico adottato per l’analisi. La modellazione biomeccanica dell’uomo come insieme di corpi rigidi collegati da cerniere, consente la definizione di angoli anatomicamente significativi secondo le 74 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO regole della geometria spaziale. Tale definizione degli angoli che descrivono la cinematica, si basa sull’identificazione di assi e/o sistemi di riferimento relativi ai segmenti e caratterizzati da significatività anatomica. La possibilità di associare un sistema di riferimento a ciascun segmento corporeo consente infatti di interpretare le variazioni di orientamento reciproco tra due segmenti corporei come variazioni delle orientazioni tra i due sistemi di riferimento rigidamente connessi con i segmenti stessi. Considerati i gradi di libertà associati allo snodo ideale sferico con cui è stata modellata l’articolazione, la determinazione delle orientazioni relative tra due segmenti corporei adiacenti consiste nella determinazione di tre angoli corrispondenti alla proiezione dell’angolo spaziale su tre piani tra di loro perpendicolari. La convenzione per la scelta di questi tre piani è ovviamente arbitraria. Una delle possibili convenzioni, frequentemente adottata nell’analisi biomeccanica di posture o movimenti, è quella che consente un’interpretazione funzionale dei risultati. Essa si basa su un sistema di riferimento anatomico che adotta i seguenti piani (Figura 4-7): • piano sagittale, corrispondente al piano che divide il corpo in parte destra e sinistra, simmetriche tra di loro; • piano frontale, corrispondente al piano che divide il corpo in parte anteriore e in parte posteriore, passante per il centro di massa corporeo quando il corpo si trovi in posizione eretta; • piano trasversale, corrispondente al piano che divide il corpo in parte craniale ed in parte caudale, passante per il centro di massa corporeo quando il corpo si trovi in posizione eretta e perpendicolare ai due precedenti [Boccardi e Lissoni, 1982; Winter, 1990]. Figura 4-7: Sistema di piani perpendicolari utilizzato per la definizione dei piani di movimento di ciascuna articolazione [Winter, 1990] Tali piani consentono la definizione degli angoli anatomici in modo funzionale, cioè legati alla effettiva posizione reciproca dei segmenti corporei piuttosto che ad un loro orientamento assoluto nello spazio. Le seguenti convenzioni possono essere adottate per la definizione degli angoli: 75 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO • relativamente a variazioni di angolo sul piano sagittale, si è in presenza di flessione quando il movimento relativo tra due segmenti adiacenti corrisponde ad un avvicinamento degli stessi, di estensione quando il movimento tende viceversa ad allontanarli; • relativamente a variazioni di angolo sul piano frontale, si è in presenza di abduzione quando il segmento corporeo tende ad allontanarsi dal piano sagittale, di adduzione quando viceversa tende ad avvicinarsi; per i segmenti posti sull’asse mediano i termini abduzione e adduzione vengono sostituiti con flessione laterale destra e sinistra; • relativamente a variazioni di angolo sul piano trasversale, si è in presenza di rotazione esterna quando il segmento corporeo tende a ruotare verso l’esterno del corpo, di rotazione interna quando viceversa tende a ruotare verso l’interno del corpo; per i segmenti posti sull’asse mediano si parla invece di rotazione destra e sinistra. La definizione degli angoli articolari richiede la definizione di sistemi di riferimento rigidamente collegati a ciascun segmento corporeo, la scelta di una posizione arbitraria di orientamento di segmenti adiacenti per la definizione di un valore di riferimento (scelta dello zero) ed il calcolo della proiezione dell’angolo spaziale tra i due segmenti adiacenti sui piani sagittale, frontale e trasversale [Winter, 1990] tramite formule di trasformazione di due sistemi di riferimento [Craig, 1989; Grood e Suntay, 1983; Legnani et al., 1996]. Come utilizzato nella robotica [Craig, 1989], la descrizione della posizione e dell’orientamento nello spazio di un corpo rigido rispetto ad un sistema di riferimento assoluto può essere esemplificata nella determinazione di una trasformazione matriciale dal sistema di riferimento assoluto ad un sistema di riferimento relativo rigidamente connesso al segmento rigido. La trasformazione delle coordinate dal sistema di riferimento assoluto A al sistema di riferimento relativo B: {A} ⇒ {B} avviene secondo la relazione: (4.4) P B = P A • RBA Dove: • {A} rappresenta il sistema di riferimento assoluto; • {B} rappresenta il sistema di riferimento relativo; • P A è il vettore posizione del punto P definito rispetto al sistema di riferimento assoluto; • P B è il vettore posizione del punto P definito rispetto al sistema di riferimento relativo; • RBA è la matrice quadrata (3x3) di rotazione, che definisce i parametri di rotazione degli assi del sistema di riferimento relativo rigidamente collegato al corpo rigido rispetto agli assi del sistema di riferimento assoluti: r11 RBA = r21 r31 76 r12 r22 r32 r13 r23 r33 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Gli elementi rij della matrice di rotazione rappresentano i coseni direttori degli assi del sistema di riferimento relativo rispetto al sistema di riferimento assoluto. Le relazioni di dipendenza lineare tra i coseni direttori di una direzione e la mutua ortogonalità degli assi del sistema di riferimento relativo, consentono di concludere che la matrice di rotazione è costituita da tre elementi indipendenti, associabili a tre parametri, arbitrariamente definibili, come ad esempio gli angoli di Eulero (l’angolo di precessione φ, l’angolo di nutazione θ e l’angolo di rotazione propria ψ , Figura 4-8). Tali angoli definiscono una sequenza di tre rotazioni che consentono di sovrapporre in direzione e verso gli assi del sistema di riferimento relativo agli assi del sistema di riferimento assoluto. Figura 4-8: Angoli di Eulero Un secondo tipo di approccio è quello che utilizza gli angoli proiettivi, che cioè vengono calcolati in riferimento al sistema dei piani anatomici prima definito. 4.7 MODELLAZIONE DEL MOVIMENTO: ISTANTI DI INIZIO E DI FINE DELL’ATTO MOTORIO L’analisi di un atto motorio richiede una univoca definizione del gesto, del suo sviluppo temporale, inteso come istanti di inizio e fine. L’identificazione di un istante iniziale o finale, presuppone che si abbia a priori la definizione di un evento associato all’inizio, o fine, del movimento. Tale evento può essere di natura fisiologica (ad esempio l’inizio di una attività elettrica in occasione della contrazione muscolare) così come di natura funzionale, oppure l’occorrenza di un particolare movimento, anche locale. L’identificazione di un evento fisiologico, rappresenta una definizione più aderente alla reale effettuazione del movimento che non quanto possibile con la seconda ipotesi. Esistono, però, notevoli differenze in ordine di complessità di rilevazione ed anche di definizione precisa di quale evento dia inizio al movimento. Per applicazioni in cui è accettabile una certa di arbitrarietà, a fronte di una rilevante precisione e ripetibilità della misura, è opportuno identificare un evento funzionale, ad esempio di tipo cinematico. In un movimento ciclico, come il cammino, l’evento di inizio coincide con la fine ed è per sua natura arbitrario. In un movimento transiente, tali eventi devono delimitare la fase funzionalmente importante se non l’inizio e la fine veri dell’atto motorio stesso. Allo stesso modo, qualora un movimento sia relativamente stereotipato, ad esempio per il cammino, 77 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO tale evento può riguardare un settore anche limitato dell’intero sistema in esame: nel cammino tali eventi sono associati a movimenti del piede [Pedotti, 1977; Pedotti e Frigo, 1992]. Quando il movimento non sia stereotipato, l’analisi di una o più variabili cinematica permette di evitare situazioni di indeterminazione. Ad esempio, nel caso considerato di accessibilità al veicolo, per un soggetto normodotato, la fase motoria ha inizio e fine con la massima e la minima quota verticale del centro di massa per la fase di ingresso, viceversa per la fase d’uscita. 4.8 IL SISTEMA ACMOTION 4.8.1 Generalità’ Il sistema ACMOTION è un sistema optocinetico realizzato in collaborazione col laboratorio di meccanica funzionale dell’ospedale Gervasutta di Udine. Si tratta di un software sviluppato in ambiente Matlab® per la comparazione e l’analisi di sequenze di fotogrammi sia per l’analisi stereofotogrammetrica, sia per l’analisi di movimenti svolti su un piano (2D). Nel caso in esame è stata utilizzata una fotocamera digitale Panasonic® Lumix DMCFX01, in grado di registrare filmati con una frequenza di campionamento di 30 frame/secondo (con risoluzione 640×480 pixel). L’acquisizione delle immagini, nel caso piano, deve avvenire con la fotocamera posta su di un piano normale rispetto al piano del moto; ciò risulta necessario per non alterare le proporzioni fra i membri interessati nel movimento che si vuole analizzare. La successiva scomposizione del filmato nei frame costituenti, è stata eseguita tramite il software QuickTime™ PRO (Apple Inc.), che permette di salvare i fotogrammi come immagini bitmap (estensione *.bmp). La principale differenza rispetto ad apparati più sofisticati, consiste nell’uso di marker costituiti da semplici sfere di polistirolo colorato. Le altre tecnologie si avvalgono della facoltà, da parte delle telecamere, di percepire, con tecniche complesse e delicate, spettri luminosi invisibili all’occhio umano. Questo sistema si avvale invece dello stesso principio con cui il cervello riesce ad elaborare le informazioni inviategli dall’occhio e che gli consente di distinguere i vari oggetti: il colore. Grazie alla tecnologia digitale è infatti possibile rappresentare l’immagine come un’insieme di pixel, a ciascuno dei quali è assegnata una tonalità di colore data dalla combinazione di tre canali secondo il modello RGB. Dipingendo così i marker di un colore particolarmente "brillante" e dotando il sistema di una serie di filtri, è stato possibile metterlo in grado di distinguere i punti desiderati. Durante l’elaborazione della prova l’operatore deve selezionare manualmente un pixel del colore desiderato, zoomando un frame a scelta. In base a questa scelta vengono riconosciuti una serie di punti che di solito è insufficiente per rappresentare i marker nella loro interezza. Viene dunque richiesto di immettere un range per ciascuno dei tre canali (rosso, verde, blu) in maniera da ampliare il numero dei pixel riconosciuti (Figura 4-9). Un corretto settaggio del range consente di individuare in maniera soddisfacente il marker in tutti i frame. Tale procedura consente di utilizzare marker di qualunque colore, anche se sono preferibili tonalità di colori vicine ai fondamentali, purché questo si distingua sufficientemente dallo "sfondo". La capacità di riconoscere il marker in base al colore, rende possibile lo svolgimento di acquisizioni optocinetiche in ambienti anche non controllati, dove un normale 78 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO sistema avrebbe problemi a causa dei riflessi o di un’illuminazione non appropriata. Inoltre, vi è la possibilità di eseguire manualmente il riconoscimento dei marcatori in quei frame dove il riconoscimento automatico non abbia avuto buon esito. Figura 4-9: Visualizzazione dei pixel aventi il colore impostato nel range di tolleranza, espresso dai tre valori del pannello a destra (Taratura del rosso, del blu e del verde) Bisogna anche considerare la scarsa versatilità dei programmi di analisi dei sistemi commerciali, i quali sono realizzati per un protocollo specifico, ad esempio lo studio del cammino, e non possono dunque essere utilizzati per altre prove. Viene dunque meno la possibilità di poter eseguire analisi su prove diverse da quelle garantite dal software, a meno di non sviluppare appositi algoritmi che possano trattare i file di testo ottenibili da tali sistemi. Un sistema optocinetico commerciale, inoltre, anche se composto da sole due telecamere, richiede tempi di calibratura piuttosto lunghi prima di poter effettuare la prova. L’utilizzo di ACMOTION consente invece di poter separare il momento dell’acquisizione, che avviene solo tramite il posizionamento della/e fotocamera/e (in base alle esigenze), più una breve acquisizione per la calibrazione, dal momento dell’elaborazione. Naturalmente il riconoscimento delle coordinate del marker risulta più impreciso, poiché non tutti i pixel del marker vengono riconosciuti come appartenenti al range dei tre canali di colore impostato. In questa maniera il baricentro del marker viene calcolato su un gruppo di pixel che non presenta una forma circolare. Oltre agli errori insiti nell’analisi optocinetica, viene dunque sovrapposto l’errore nel riconoscimento del marker. Tuttavia, la possibilità offerta da ACMOTION di svolgere prove in ambienti non controllati, di poter effettuare un’analisi monoplanare e di poter gestire i dati 79 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO optocinetici, lo ha fatto preferire per eseguire lo studio di interesse. Come già detto, la capacità del sistema di riconoscimento dei marker è ottenuta mediante l’analisi in formato digitale di una serie di frame. Ciascun frame rappresenta l’immagine della scena relativa ad un istante fissato. Poiché le immagini sono in formato digitale, esse sono il risultato di un insieme di punti, od entità fondamentali, detti pixel. Tali punti sono organizzati secondo una struttura di tipo matriciale, dove ogni pixel è univocamente determinato dalla sua posizione a seconda della riga e della colonna di appartenenza, all’interno dell’immagine stessa. Ciascun pixel risulta in pratica un quadrato il quale, affiancato agli altri in maniera ordinata, ricompone l’immagine. Ogni pixel deve essere caratterizzato da un colore che deve essere identificato quantitativamente tramite uno dei modelli di colore disponibili. L’immagine digitale si basa dunque sul concetto di rasterizzazione, ovvero la suddivisione mediante la scomposizione in pixel, più la rappresentazione cromatica di ciascuno degli stessi. La risoluzione digitale viene comunemente indicata tramite le dimensioni della griglia (ad esempio 640×480) più la bit depth, ovvero la quantità di bit disponibili per la rappresentazione cromatica di ciascun pixel. Un’immagine in bianco e nero può essere rappresentata da un solo bit, poiché il nero viene rappresentato tramite il valore 0 ed il bianco tramite il valore 1. La rappresentazione tramite scale di grigio avviene con l’utilizzo di 8 bit, attraverso i quali si possono avere 28=256 sfumature di grigio. La rappresentazione a colori è solo un’estensione del concetto espresso relativamente alla scala dei grigi, infatti ciascun colore può essere rappresentato dalla somma di più canali fondamentali, la composizione dei quali permette la ricostruzione del colore. Ciascuno dei tre canali può essere rappresentato con un valore da 0 a 256 utilizzando dunque 8 bit, pertanto con n canali, si avrà la necessità di nx8 bit per la rappresentazione cromatica del pixel. Tabella 4-1: Confronto fra vari metodi di rappresentazione del colore Tipo di rappresentazione Bianco e nero Scala di grigio Bicromia Colore RGB Colore CMYK Bit depth 1 bit 8 bit 8 bit 24 bit 32 bit Numero massimo colori 2 256 256 16.777.216 16.777.216 I canali colore fondamentali usati per la codifica variano a seconda del modello di colore: il modello CMYK utilizza quattro canali (ciano C, magenta M, giallo Y e nero K). Altro modello spesso utilizzato è l’HSB (tonalità H, saturazione S, luminosità B) e le varianti HLS e VHS. In breve si può dire che la tonalità è il valore che distingue il colore all’interno dello spettro luminoso, la saturazione indica la presenza di purezza come assenza di bianco, mentre la luminosità è la brillantezza dei pixel più chiari rispetto a quelli più scuri. Il modello di colore utilizzato in ACMOTION è l’RGB, nel quale il colore di un pixel è ricostruito tramite la sovrapposizione dei tre canali dei colori fondamentali: 80 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO verde, rosso e blu. Di ciascun canale viene fornito un valore relativo all’intensità ed il colore viene ricostruito in maniera additiva sommando i tre canali. Il modello RGB rappresenta dunque un pixel tramite una terna di valori, ciascuno dei quali varia in un range da 0 a 256. In questa maniera è possibile dunque confrontare il colore dei pixel tramite la terna di valori e stabilire un range di tolleranza per ciascuno di essi. Nello specifico, l’operatore per settare i valori apre un frame a scelta e, zoomando su di un marker, ne stabilisce il colore cliccando su uno dei pixel appartenenti allo stesso. Scelta così la terna di partenza, si può inserire il range di tolleranza per ciascun canale in maniera da comprendere anche i colori simili a quello di partenza. Infatti l’immagine del marker non avrà pixel dello stesso colore ma presenterà tonalità simili, poiché saranno presenti ombreggiature o imperfezioni sulla superficie. L’operatore può anche visualizzare il risultato tramite una schermata dove sono presenti solo i pixel riconosciuti (attraverso il comando "Visualizza le macchie di colore", Figura 4-9). Il procedimento è iterativo e, se i valori di tolleranza o la scelta del pixel iniziale non portano ad un risultato soddisfacente, l’operatore può cambiare il settaggio per evidenziare più pixel. 4.8.2 Il riconoscimento dei marker ACMOTION implementa due funzioni differenti per poter stabilire se un insieme di punti appartiene ad uno stesso marker od a marker separati, entrambe si basano su un unico principio che è la distanza reciproca di due punti. Fissata la distanza minima tra due punti in un frame, si può stabilire infatti il limite dmax al di sotto del quale due pixel vengono considerati come appartenenti allo stesso marker. Tale parametro discriminante è valutato cliccando sui due marker più vicini direttamente sullo schermo. Come detto, vi sono due diverse routine che corrispondono all’analisi del moto localizzato e non, dove con moto localizzato si intende quel moto dove tutto il gesto viene compiuto in uno spazio ristretto (come, ad esempio, la salita su di un autoveicolo). Il cammino, per contro, può rientrare nella categoria dei moti non localizzati poiché il gesto non è confinabile in uno spazio chiuso. In questi casi il software memorizza le coordinate dei punti (relativi allo schermo) su una matrice e ne calcola la distanza reciproca confrontandola con la dmax. Se la distanza fra due punti risulta inferiore a tale parametro, significa che i due punti appartengono allo stesso marcatore. Nel caso di moto localizzato viene eseguita la verifica della distanza di tutti i pixel rispetto al primo ritrovato. In questa maniera si ricostruisce un marcatore e il procedimento riprende (senza analizzare i pixel già trattati) per l’individuazione del marcatore successivo. Riconosciuti tutti i marcatori tramite il ritrovamento dei pixel a loro appartenenti, si procede all’analisi delle coordinate di ciascun marker. Per calcolare la posizione del baricentro del marker viene eseguita la media aritmetica delle coordinate di ciascun pixel appartenente al marker stesso. Tale procedimento comporta però un errore rilevante, poiché la posizione del marker viene definita dal baricentro dei pixel riconosciuti in base al colore, ma l’insieme dei pixel usati non comprende la totalità di quelli dell’immagine del marker. 81 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Di conseguenza il baricentro del marcatore viene calcolato erroneamente rispetto alle sue coordinate reali poiché non viene implementata la funzione di forma usata invece nei sistemi optoelettronici commerciali. Tale errore si propagherà, amplificandosi, nel calcolo delle velocità e delle accelerazioni con la derivazione nel tempo della posizione. Figura 4-10: Velocità ed accelerazioni. L'errore dato dal non perfetto riconoscimento del baricentro del marker si traduce in un rumore sovrapposto all’andamento della traiettoria nel tempo. Tale rumore viene amplificato nel calcolo delle velocità (a sinistra) e delle accelerazioni (a destra) Calcolate le coordinate dei marker in tutti i frame, il sistema ACMOTION procede al riconoscimento fra i frame successivi dello stesso marker tramite il Tracking. Esso viene realizzato in modo da calcolare la traiettoria in maniera approssimata di un marker a partire dagli istanti in cui il marcatore è già stato "trackato” e riconoscendo il marker che più si avvicina a tale traiettoria. Anche qui il procedimento risulta estremamente semplificato e può capitare che il procedimento automatico non abbia buon esito, scambiando i marker nei frame ove le rispettive traiettorie si incrocino. Tale problema è comunque comune agli apparati più sofisticati dove i filtri per il tracking, pur risultando estremamente complessi (sistema ELITE), non sempre sono in grado di gestire un gran numero di marcatori. Il parametro fondamentale per evitare tali problematiche risulta la frequenza di acquisizione della fotocamera. Minore è il tempo che intercorre tra due frame successivi, più vicino si troverà il marker alla posizione assunta precedentemente e le traiettorie risulteranno più "pulite". ACMOTION lavora con frequenze a 30 Hz che risultano adeguate per movimenti relativamente lenti ed uniformi. Per rimediare ai problemi che possono sorgere sia nel riconoscimento dei marcatori, sia nel processo di trackaggio, è possibile effettuare la correzione con la ricerca manuale. Essa consente di poter correggere gli eventuali errori dati dal processo di elaborazione automatica o di poter analizzare tutti i frame in maniera manuale, cliccando frame per frame la posizione dei marcatori secondo la topologia del protocollo. Tramite la ricerca manuale si può inoltre determinare la posizione dei marcatori che in alcuni frame possono essere nascosti al campo visivo della telecamera. La possibilità di riparare ai problemi esposti in maniera diretta, andando a modificare i frame dove si sia riscontrato un errore, è una potenzialità che i normali sistemi 82 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO optoelettronici non posseggono e, insieme alla minore sensibilità ai problemi dei riflessi e della rigidità del protocollo di posizionamento dei marker, ha permesso lo svolgimento di prove prima non effettuate. 4.8.3 L’analisi bidimensionale e tridimensionale ACMOTION è in grado di svolgere prove optocinetiche sia monoplanari che tridimensionali. Nel primo caso è possibile analizzare in maniera semplificata alcuni gesti che si svolgono in maniera planare andando a riprendere l’evento in modo che il piano in esame risulti perpendicolare all’asse focale della telecamera. Naturalmente, nel caso di analisi bidimensionale, i segmenti possono essere rappresentati tramite due soli marker. Inoltre, poiché ACMOTION non possiede alcun algoritmo per il ritrovamento dei centri di istantanea rotazione, è necessario andare ad individuare le articolazioni corporee con i marker, posizionando questi ultimi secondo i principi dell’anatomia per individuare a monte le cerniere attorno alle quali ruoteranno i segmenti rigidi. Nel caso di analisi tridimensionale è necessaria l’acquisizione di un breve filmato per poter eseguire la calibrazione del sistema. Di seguito verranno esposte le possibili analisi che si possono operare nel caso bidimensionale di nostro interesse. 4.8.3.1 Ricostruzione topologica La topologia è il concetto su cui si basa la gestione dell’allocazione dei marker rintracciati. In particolare una corretta ricostruzione topologica permette di identificare l’ordine logico dei marcatori in maniera da identificare i segmenti corporei in maniera corretta. Infatti, fissata la topologia durante tutti i frame in maniera corretta, è possibile definire l’i-esimo segmento come il segmento identificato dai marker i e i+1. In tale maniera non è necessario procedere ad un procedimento di "labellizzazione" poiché i segmenti sono già identificati dalla topologia dei marker. Inoltre, l’identificazione di ciascun segmento come "l’asta" compresa fra due marcatori successivi, permette di poter generalizzare l’analisi a più prove diverse fra loro senza la necessità di un software dedicato ad un solo tipo di gesto. Naturalmente il concetto di ricostruzione topologica risulta strettamente legato al procedimento di tracking: determinato infatti l’ordine logico dei marcatori nel primo frame, il procedimento di tracking permette di ricostruire automaticamente l’ordine dei marcatori nei frame successivi. In questa maniera saranno correttamente riconosciuti anche i segmenti lungo tutta la durata del movimento. 4.8.3.2 Scalatura Dopo aver acquisito il filmato, è necessario introdurre il fattore di scala per passare dalle coordinate locali dei marker, espresse in pixel, alle coordinate spaziali espresse invece in centimetri. Finora infatti tutti i marker sono stati trattati come insieme di pixel di cui si è calcolato il baricentro nelle coordinate relative al piano di ripresa della telecamera. Tutte le distanze sono dunque state espresse in pixel. Per passare ai centimetri, e perciò alle coordinate spaziali, alla fine dell’acquisizione è necessario inserire la lunghezza della distanza del primo segmento determinato dai marker 1 e 2 (il software richiede espressamente: "Inserisci la lunghezza del primo 83 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO membro in cm"). Per passare da coordinate locali a coordinate globali basterà moltiplicare tutte le coordinate per il fattore f dato da: (4.5) f = [(x − x ) 2 1 2 l1 + ( y1 − y 2 ) 2 ] dove l1 è la lunghezza (in cm) del primo segmento richiesta alla fine del trackaggio, mentre al denominatore viene calcolata la stessa lunghezza in pixel a partire dalle coordinate locali dei due marcatori. 4.8.3.3 Correzione dei punti L’acquisizione automatica delle coordinate dei marker è spesso imperfetta, in analogia a quanto succede anche con i sistemi optocinetici più sofisticati. Il problema più comune infatti risulta una imperfezione nel calcolo del baricentro del marker dovuta, come si è già detto, al mancato riconoscimento di tutti i pixel appartenenti all’immagine del marcatore stesso. Tale problema, il più delle volte, non risulta percepibile poiché comporta uno spostamento del marker di pochi millimetri rispetto al baricentro della sua immagine, né vi è possibilità di andare a correggere tale errore manualmente senza il rischio di commetterne uno di ordine confrontabile o addirittura superiore ad esso. Oltre a questa tipologia di problemi, esistono tutta una serie di imperfezioni nella ricostruzione del gesto che assumono, invece, proporzioni ben maggiori ma che possono essere corrette facilmente. In particolare gli errori che si manifestano possono essere: 1. associazione di due marker diversi come unico, data dalla distanza ravvicinata raggiunta in un determinato istante; 2. errata ricostruzione topologica dei marcatori dovuta ad un errore di trackaggio; 3. mancato o erroneo riconoscimento del marker; 4. impossibilità di ricostruire un marcatore che viene nascosto alla vista della telecamera. Tali errori sono comuni a tutti gli apparati optocinetici ed ogni sistema ha sviluppato dei metodi diversi per risolvere tali problematiche. Nessun sistema consente però, con l’eccezione di ACMOTION, di andare a correggere tali problemi in maniera interattiva. Aprendo il frame in cui si è verificato l’errore, è possibile infatti procedere all’acquisizione manuale delle coordinate dei marker andando a cliccare sui punti desiderati nell’ordine giusto. Il procedimento di correzione manuale può risultare laborioso ma permette di rimediare a questi problemi che risultano il più delle volte insormontabili nell’utilizzo dei sistemi optoelettronici commerciali. 4.8.3.4 Stick Diagram e visualizzazione del filmato Con questa funzione è possibile visualizzare tutte le posizioni assunte dai segmenti durante il moto tramite la visualizzazione sovrapposta delle configurazioni. Tale analisi risulta di carattere estremamente qualitativo ma permette una prima 84 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO veloce valutazione degli aspetti salienti del gesto (Figura 4-11). Figura 4-11: Stick Diagram Della stessa natura risulta la visualizzazione del filmato, con la quale viene visualizzato frame per frame la posizione dei marker e dei segmenti (Figura 4-12). Figura 4-12: Visualizzazione di un frame del filmato ricostruito da ACMOTION Tale analisi può inoltre essere usata subito dopo il tracking per valutare se e dove vi siano stati problemi nella ricostruzione del gesto. 85 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO 4.8.3.5 Traiettoria dei marker Con tale funzione di ACMOTION è possibile visualizzare la traiettoria di ciascun marker (Figura 4-13). Figura 4-13: Traiettoria di un singolo marker Tale analisi è estremamente utile per valutare alcuni aspetti salienti del moto, quali la regolarità. L’accesso all’autoveicolo è un gesto che chi è abituato a svolgere ha imparato ad ottimizzare. Ciascuno sviluppa delle strategie motorie proprie per poter compiere il gesto nella maniera che a lui pare più conveniente. Anche nel caso di un soggetto patologico, quale può essere un para o tetraplegico, è necessario valutare che livello di recupero di funzionalità vi è stata dell’arto superiore nei vari gesti. Un parametro di questo recupero può essere dato dalla regolarità con la quale viene compiuto il gesto, che indica appunto lo sviluppo e l’ottimizzazione intrinseca di una strategia motoria. L’analisi delle traiettorie consente anche di poter valutare la bontà di tali strategie in maniera da poterle correggere là dove vi siano dei problemi individuati dal medico. Oltre alla semplice visualizzazione della traiettoria del punto nel piano, è possibile "svolgere" il moto nel tempo, ottenendo così una visione tridimensionale che permette di poter visualizzare il frame relativo ad una posizione assunta dal marker (Figura 4-14). Infine, è possibile calcolare lo scostamento massimo di ciascun punto in maniera da visualizzare il valore massimo e minimo assunto da ciascuna coordinata ed il valor medio calcolato tramite una media algebrica. 86 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Figura 4-14: Svolgimento della traiettoria del marker lungo l’asse del tempo 4.8.3.6 Analisi degli angoli Con questa funzione è possibile svolgere un’analisi in perfetta analogia a quanto illustrato relativamente ai sistemi optoelettronici commerciali. Inoltre, con ACMOTION, è possibile visualizzare l’andamento angolare assoluto di ciascun segmento. L’analisi degli angoli è dunque gestita da due funzioni diverse chiamate: 1. "Angolo di un membro"; 2. "Angolo fra due membri". La prima di queste consente la visualizzazione nel tempo dell’inclinazione assunta dal membro durante il gesto rispetto all’asse delle ascisse. Tale analisi è svolta dall’operatore atan2 con il quale è possibile ritrovare l’angolo a partire dalle coordinate dei due marcatori che identificano il segmento: Y −Y (4.6) α i = arctan 2 i +1 i X i +1 − X i L’utilizzo dell’operatore atan avrebbe causato problemi di segno ma atan2 è in grado di ricostruire il segno dell’angolo a partire dallo studio dei segni dell’argomento. Rimane il problema del moto di un segmento che oltrepassi il valore critico di 180°. In tal caso tale segmento passerà da valori di –180° a +180° o viceversa, a seconda del segno della velocità angolare. 87 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Figura 4-15: Angolo assoluto di un membro La funzione "Angolo fra due membri" consente invece di poter visualizzare l’andamento dell’angolo relativo fra due membri contigui. Tale funzione è svolta implementando il teorema del coseno. Se a, b e c sono i lati del triangolo, in cui a e b sono i segmenti in esame e α è l’angolo opposto a c, ovvero l’angolo relativo fra i segmenti, risulta: (4.7) c 2 = a 2 + b 2 − ab cos(α ) Esplicitando α si ottiene: (4.8) α = arccos a2 + b2 − c2 ab che permette di calcolare l’angolo relativo fra i segmenti in tutti i frame. Si svolge un’analisi bidimensionale ma ciò è necessario per poter visualizzare gli angoli di un qualunque sistema di segmenti in moto. L’analisi tridimensionale richiederebbe infatti la definizione di un sistema di riferimento locale per ciascuna giuntura, in maniera da poter identificare gli angoli in ragione del sistema di riferimento stabilito. Tale procedura risulta estremamente complicata e necessita dunque di un software dedicato che non può generalizzare l’analisi a un tipo di prova al di fuori del protocollo per il quale il software è stato progettato. L’analisi bidimensionale, invece, permette il trattamento dei dati in maniera estremamente semplice, consentendo un’analisi di qualunque prova purché il moto sia il più planare possibile. 88 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO Figura 4-16: Angolo relativo tra due membri 4.8.3.7 Analisi di velocità e accelerazioni Il calcolo delle velocità e delle accelerazioni è fondamentale per un sistema optocinetico. Solitamente i software commerciali svolgono tale analisi ma non forniscono i risultati intermedi. La cinematica dell’evento è dunque fondamentale per la ricostruzione delle forze in gioco, ma può fornire già da se un efficiente metodo per l’analisi del gesto. Il calcolo delle velocità e delle accelerazioni comportano naturalmente un processo di derivazione dei dati optocinetici, a meno di non poter ottenere misure dirette grazie all’uso di accelerometri. ACMOTION consente di poter compiere due analisi diverse, sia per il calcolo delle velocità che delle accelerazioni, a seconda che si voglia analizzare un moto di traslazione od un moto di rotazione. In particolare il primo consente l’analisi delle velocità e delle accelerazioni relativamente a un marker mentre il secondo valuta le velocità e le accelerazioni angolari di un segmento. Tutti i processi di derivazione implementati si basano su un calcolo delle derivate desiderate tramite un metodo alle differenze finite. Risulta così: (4.9) v = ds ∆s ≈ dt ∆t (4.10) a = dv ∆v ≈ dt ∆t per il moto di traslazione del marker, mentre per la rotazione di un segmento: 89 TECNICHE PER L’ANALISI DEL MOVIMENTO (4.11) ω = dθ ∆θ ≈ ∆t dt (4.12) α = dω ∆ω = dt ∆t con naturale significato delle grandezze espresse. Naturalmente ∆t risulta l’inverso della frequenza di acquisizione della fotocamera, ovvero 0,033 s (30 Hz). Figura 4-17: Velocità ed accelerazione angolare: è visibile come il rumore dato dal cattivo riconoscimento del baricentro del marker venga amplificato nel processo di derivazione Il maggiore problema risulta il fenomeno di amplificazione del rumore nel processo di derivazione (Figura 4-17). 90 Capitolo 5 ANALISI DEL TRASFERIMENTO 5.1 GENERALITÀ Anche se raggiungere un livello ottimale di indipendenza durante il trasferimento da carrozzina a sedile d’autoveicolo è un punto cruciale per individui con lesioni al midollo spinale, ben poco è noto dei requisiti cinematici di questa attività funzionale. Mediamente un individuo mieloleso compie dai 14 ai 18 trasferimenti di seduta al giorno [Gagnon et al., 2008] e, spesso, incontra molte differenze tra la superficie di partenza e quella di destinazione. Fisioterapisti e terapisti occupazionali spesso si concentrano, specialmente durante il periodo iniziale di riabilitazione, sullo sviluppo dell’abilità di compiere il trasferimento con il minimo o nessun tipo di assistenza. 5.2 IL TRASFERIMENTO E LE SUE FASI Nel seguito si riprendono alcune considerazioni dello studio eseguito da Gagnon et al. (2008) che è servito come punto di partenza e riferimento per le analisi svolte. In tale studio viene esaminato, tramite indagine optocinetica, il trasferimento di dieci soggetti con lesioni al midollo spinale da una seduta di partenza, posta ad un’altezza di 50 cm (corrispondente al piano di seduta di una normale carrozzina), verso una seduta posta rispettivamente alla stessa altezza di quella di partenza, ad un’altezza inferiore (40 cm) ed infine ad un’altezza superiore (60 cm). Per ulteriori dettagli si rimanda alla pubblicazione sopra citata. Presentando il caso di soggetti tetraplegici problematiche maggiori, come già illustrato nei capitoli precedenti, nel seguito della trattazione considereremo il trasferimento di soggetti paraplegici che hanno mantenuto una buona capacità residua del tronco e degli arti superiori. Tuttavia, nel corso dell’attività sperimentale, sono stati acquisiti dati anche per alcuni soggetti tetraplegici, che però devono essere considerati come dei casi particolari. All’inizio del trasferimento, il soggetto cerca di avvicinarsi quanto più possibile al sedile dell’autoveicolo e si posiziona lateralmente ad esso. Avanza con il corpo, rimanendo seduto sulla carrozzina (preventivamente bloccata), fino al bordo anteriore di quest’ultima e da questo punto, dall’analisi dei casi considerati e dei filmati acquisiti, possono venir impiegate principalmente due diverse tecniche: • Appoggia i piedi sul terreno (Figura 5-1) o li lascia sulle pedane della carrozzina, posizionando le mani su superfici d’appoggio stabili sull’autoveicolo e preparandosi così per il trasferimento vero e proprio. Con questa tecnica viene introdotto nell’abitacolo prima il tronco e poi gli arti inferiori (Figura 5-2). In tale modo il peso corporeo viene scaricato, attraverso gli arti inferiori, verso il terreno. • Introduce prima le gambe e poi il tronco, caricando, in tale modo, l’intero peso sulle articolazioni superiori che risultano ovviamente più sollecitate rispetto al 91 ANALISI DEL TRASFERIMENTO caso precedente (Figura 5-3). Figura 5-1: Fasi di caricamento sugli arti inferiori e di alzata Figura 5-2: Fasi di rotazione e salita Figura 5-3: Introduzione degli arti inferiori e successivamente del tronco 92 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Tale classificazione risulta tuttavia solo indicativa, variando le diverse tecniche da soggetto a soggetto, in funzione di capacità residua (in particolare della capacità di raggiungere la stazione eretta o meno), allenamento ed età. Un discorso a parte va poi fatto per i tipi di presa con le mani che si sono osservati nei casi esaminati. La mano che viene posizionata per prima sull’autoveicolo (mano destra nel caso del lato guida), viene chiamata nel seguito mano d’appoggio (leading upper extremity), mentre la mano che poggia sulla carrozzina è denominata mano di spinta (trailing upper extremity). I tipi di presa della mano d’appoggio possono essere in basso, direttamente sul sedile dell’autoveicolo, od in alto. In quest’ultimo caso la presa può avvenire o sulle maniglie interne fissate sul montante (se presenti, a seconda del veicolo) oppure direttamente sul montante esterno (Figura 5-4). Figura 5-4: Presa sul montante esterno Da questa posizione iniziale, in genere, la testa e le spalle vengono spostate in avanti e ruotate leggermente verso l’esterno del veicolo, mentre contemporaneamente si introduce la parte inferiore del tronco che ruota dalla parte opposta rispetto al capo. Una volta raggiunto il sedile, il carico sostenuto dagli arti superiori rapidamente diminuisce in quanto la maggior parte del peso corporeo è spostato verso i glutei (Figura 5-3). Da quanto sopra esposto, possiamo per semplicità suddividere ogni trasferimento in tre fasi (Gagnon et al., 2008, Figura 5-5): a) Pre-alzata (pre-lift). b) Alzata e rotazione (lift and pivot). c) Seduta (post lift). 93 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Figura 5-5: Fasi del trasferimento [Gagnon et al., 2008] La fase durante la quale i glutei non sostengono il peso (fase di ascensione) è la più impegnativa per entrambi gli arti superiori. In questa fase infatti essi devono sostenere contemporaneamente la maggior parte del peso del corpo, ovvero del contributo dovuto agli spostamenti di testa, tronco ed estremità inferiori. Inoltre, a loro è demandato il compito di assicurare la stabilità dinamica posturale. La combinazione di tutti questi fattori possono spiegare il motivo della frequente insorgenza di dolori alle spalle legati appunto all’attività di trasferimento. Anche nel caso di soggetto sano l’accessibilità al veicolo può essere suddivisa in 3 fasi distinte: a) Preparazione all’ingresso mediante l’introduzione nell’abitacolo dell’arto inferiore destro (lato guida); l’arto inferiore sinistro assume così la funzione portante di supporto del corpo. Il centro di gravità totale del corpo è soggetto ad un innalzamento verticale causato dal sollevamento della gamba e della coscia sinistra. b) Abbassamento e traslazione del centro di massa del corpo mediante flessione del tronco rispetto all’anca e flessione delle ginocchia, in particolare di quello sinistro che svolge la funzione di supporto del corpo e che con la gamba destra controlla la caduta sul sedile. Questa fase termina con l’appoggio sul sedile. c) Conclusione del movimento con l’estensione del tronco a raggiungere una posizione di appoggio sullo schienale e con l’introduzione dell’arto inferiore sinistro nell’abitacolo; il recupero della gamba sinistra con la sua introduzione nell’abitacolo produce un movimento verso l’alto e diretto all’interno del veicolo del centro di massa totale. Tali considerazioni sono state fatte poiché gli spazi disponibili per eseguire tale gesto (angolo di apertura , spazio "anello porta", ecc.), nel caso di individuo sano e di soggetto mieloleso risultano equipollenti e pertanto è ragionevole fare un raffronto, almeno qualitativo, tra i due casi. 94 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Nel caso di individui con lesioni al midollo spinale, gli aspetti esaminati (ovvero le differenti altezze della seduta di destinazione rispetto a quella di partenza) e le considerazioni fatte nella pubblicazione sopra indicata, possono valere anche nel nostro caso. Infatti, nonostante al giorno d’oggi su quasi tutti i modelli di autoveicoli presenti sul mercato si possa regolare abbastanza agevolmente ed in un range relativamente ampio l’altezza del sedile, non sempre le due superfici risultano alla stessa altezza e ciò, da quanto emerso dalle interviste fatte ai soggetti esaminati, è risultato essere un problema (che può portare anche alla necessità di sostituzione del veicolo o di cambiamento di tipologia dello stesso), soprattutto con l’avanzare dell’età o con un peggioramento della patologia. Nello studio eseguito da Gagnon, sono stati considerati dei soggetti ad almeno 2 anni dal trauma, capaci di effettuare il trasferimento autonomamente (non vi è presente cioè nessun tipo di assistenza fisica o tecnica), che utilizzano quotidianamente questo tipo di trasferimento e con nessun segno e sintomo di menomazioni muscoloscheletriche al tronco ed agli arti superiori che possano alterare l’abilità al trasferimento. I soggetti interessati hanno usato le loro normali tecniche di trasferimento, specialmente in termini di ampiezza dei movimenti e velocità. Eseguendo un’analisi optocinetica e registrando le forze verticali con dei trasduttori di forza montati sotto i sedili strumentati, è stato determinato l’inizio e la fine della fase di alzata e rotazione del trasferimento. Le posizioni dei marcatori sono state convalidate dalla verifica degli spostamenti iniziale e finale del centro di massa del bacino. L’inizio della fase di pre-alzata è stato determinato dall’inizio della fase di accelerazione dei segmenti della testa e del tronco, che hanno preceduto la fase di alzata e rotazione; la fine della fase di seduta è confermata dalla fine della decelerazione di questi due segmenti. Lo spostamento angolare ed i dati di velocità sono stati tempo-normalizzati su 100 punti rilevati per fase, per un totale di 300 punti rilevati per il trasferimento completo. Le curve medie per ogni partecipante sono state ottenute da una serie di tre prove di trasferimento. Le curve medie globali sono state poi calcolate facendo la media di tutte le medie individuali per un determinato trasferimento. Lo spostamento angolare ed i profili di velocità sono stati documentati per il tronco e per le articolazioni di spalla, gomito e polso in tutte le fasi di trasferimento e per tutti i trasferimenti effettuati (Figura 5-6 e Figura 5-7). Anche se si sono osservati spostamenti e velocità angolari simili per le tre altezze considerate, sono risultate delle differenze nelle ampiezze. La maggior parte dei più ampi e più veloci movimenti si osservano durante la fase di alzata e rotazione del trasferimento, come previsto. In media, la durata totale dei trasferimenti è stata di 2,8 s, 2,6 s e 2,7 s rispettivamente per sedile posto a 40, 50 e 60 cm. I corrispondenti valori di durata per la sola fase di alzata e rotazione sono stati: 1,2 s, 1,0 s e 1,3 s. All’inizio del trasferimento si osserva una flessione ed un’abduzione della spalla, una leggera flessione del gomito ed un’estensione del polso dal lato dell’arto d’appoggio (leading U/E), mentre il lato dell’arto di spinta (trailing U/E) è caratterizzato da una posizione quasi neutrale della spalla, da una flessione del gomito e da un’estensione del polso. Il tronco, in questo momento, è mantenuto in una posizione flessa. Da questa posizione iniziale, la flessione del tronco raggiunge poi il suo picco di velocità intorno alla fase di sollevamento e da il via all’estensione della spalla, alla flessione del gomito e all’estensione del polso dell’arto d’appoggio. 95 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Figura 5-6: Grafici degli spostamenti angolari medi tempo-normalizzati per tronco e arti superiori per seduta fissata a tre diverse altezze. Le fasi di prealzata, alzata e rotazione e seduta sono indicate con linee verticali tratteggiate [Gagnon et al., 2008]. Dal lato dell’arto di spinta, la spalla mantiene una posizione quasi neutra, il gomito aumenta la flessione ed il polso raggiunge una posizione estrema di estensione. Una volta avviata la fase di sollevamento, la flessione del tronco continua con velocità progressivamente decrescente, mentre la spalla dell’arto di spinta subisce una flessione ed un’abduzione. Durante questa fase, sul lato d’appoggio, la spalla è soggetta ad un’abduzione. Dopo il raggiungimento di elevati valori di flessione nella fase iniziale di sollevamento, il gomito dell’arto d’appoggio continua nella sua fase di flessione, mentre quello dell’arto di spinta cambia direzione e si estende verso la fine della fase di ascensione. Si noti che sostanziali estensioni bilaterali del polso sono presenti in tutto il trasferimento. Alla fine del trasferimento (fase di seduta), il tronco ritorna quasi alla sua posizione iniziale ed in ciò è agevolato soprattutto dalla flessione della spalla e dall’estensione del gomito del lato dell’arto di spinta. 96 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Figura 5-7: Grafici delle velocità angolari medie tempo-normalizzate per tronco e arti superiori per seduta fissata a tre diverse altezze. Le fasi di pre-alzata, alzata e rotazione e seduta sono indicate con linee verticali tratteggiate [Gagnon et al., 2008]. Nel seguito si riportano alcuni dati relativi al tronco (Tabella 5-1). Per le altre articolazioni interessate si rimanda al già più volte citato studio. Tabella 5-1: Spostamento angolare e velocità angolare del tronco [Gagnon et al., 2008] A l t e zza s e d u t a S p o s t am e nt o a n g ol a re ( °) Massimo M i ni m o Escursione V e l o ci t à a n g o l a r e ( ° / s e c ) Massima M i ni m a 40 cm 50 cm 60 cm 68 47 21 68 50 18 71,2 46,9 24,3 56 -8 7 50 -6 7 56,7 -5 7 , 3 97 ANALISI DEL TRASFERIMENTO 5.3 RISULTATI OPTOCINETICI E CINEMATICI 5.3.1 Metodologia sperimentale adottata L’analisi sperimentale ha riguardato dieci soggetti disabili. Come indagine preliminare, per inquadrare meglio il problema, sono state poste ai volontari una serie di domande pertinenti l’azione motoria in esame e si sono eseguite delle misurazioni antropometriche su di loro stessi ed altre misurazioni sugli autoveicoli usati per le prove. I risultati di questa indagine sono sinteticamente riportati in Tabella 5-2. Non fornendo le case costruttrici, se non in rari casi, certi tipi di informazioni, e non essendoci in letteratura studi analoghi, si sono individuate, sugli autoveicoli, le distanze di particolare interesse e le quote riguardanti l’"anello porta", al netto di tutti gli ingombri presenti, in modo tale da conoscere l’effettivo spazio a disposizione per il trasferimento. Per far ciò si è preso spunto da quanto gli allestitori hanno a loro disposizione per la rilevazione di misure per l’installazione degli ausili (Figura 3-14). Per l’analisi sperimentale si sono innanzitutto acquisiti i filmati di salita e discesa dall’autoveicolo di ogni disabile opportunamente strumentato, per un numero di dieci volte ciascuno. Ogni volontario ha eseguito la prova sul veicolo che usa quotidianamente per spostarsi ed è stato invitato ad adottare la propria personale tecnica di salita/discesa. Tali filmati sono stati poi elaborati con il sistema ACMOTION che ci ha permesso di analizzare la cinematica dell’azione (Figura 5-8). Figura 5-8: Schermata di acquisizione di ACMOTION Come si può osservare dalla Figura 5-8, il software a nostra disposizione si suddivide principalmente in due parti: la schermata di acquisizione vera e propria, nella quale compare il primo frame del filmato, e, sulla destra, la finestra di settaggio che permette di indicare il numero di frame e di marker e di eseguire la taratura del colore ed il tracking dei marker stessi. 98 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Tabella 5-2: Misure rilevate sui volontari e loro autoveicoli 99 ANALISI DEL TRASFERIMENTO 5.3.2 Risultati sperimentali Oltre ai filmati riguardanti i dieci volontari disabili, sono stati acquisiti filmati per dieci soggetti normodotati invitati a svolgere i medesimi gesti (salita e discesa da autoveicolo). Nel seguito vengono illustrati alcuni dei risultati forniti da ACMOTION (Figura 5-9, Figura 5-10, Figura 5-11, Figura 5-12, Figura 5-13). Traiettoria spalla Traiettoria gomito Traiettoria polso Figura 5-9: Traiettoria dei tre marker del braccio di un soggetto normodotato durante la fase di salita (lato guida) Traiettoria spalla Traiettoria gomito Traiettoria polso Figura 5-10: Traiettoria dei tre marker del braccio di un soggetto disabile durante la fase di salita (lato guida) 100 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Istante iniziale Istante finale Figura 5-11: Stick Diagram del tronco di un soggetto normodotato durante la fase di salita (lato guida) Istante finale Istante iniziale Figura 5-12: Stick Diagram del tronco di un soggetto disabile che adotta la prima strategia di salita descritta (lato guida) 101 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Istante finale Istante iniziale Figura 5-13: Stick Diagram del tronco di un soggetto disabile che adotta la seconda strategia di salita descritta (lato guida) Dai grafici sopra riportati si può subito fare un raffronto, seppur solo qualitativo, tra i diversi casi. In particolare, è possibile osservare le traiettorie dei vari punti articolari (in corrispondenza dei quali sono stati posizionati i marker) e, dagli Stick Diagram, si può ottenere una prima stima degli ingombri spaziali richiesti dal gesto. Come già affermato nel primo paragrafo, gli spazi disponibili per eseguire il trasferimento, nel caso di soggetto normodotato e di disabile, sono equiparabili ma cambiano invece le velocità, ovvero è diversa la cinematica del gesto pur raggiungendo, nei due casi, la stessa posizione finale (il sedile dell’autoveicolo). Nel seguito quindi riportiamo, a titolo d’esempio, gli andamenti (opportunamente filtrati) delle velocità angolari nel caso di due soggetti disabili (Figura 5-15, Figura 5-16) e di un normodotato (Figura 5-17). Si osservi che la convenzione per la misurazione degli angoli adottata in ACMOTION (Figura 5-14) risulta opposta a quella usata in Figura 5-6 ed in Figura 5-7 [Gagnon et al., 2008]. Flessione - Estensione + Figura 5-14: Convenzione per gli angoli adottata in ACMOTION 102 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Estensione Flessione Figura 5-15: Velocità angolare del tronco durante la fase di salita nel caso del soggetto disabile numero 9 (lato guida) Estensione Flessione Figura 5-16: Velocità angolare del tronco durante la fase di salita nel caso del soggetto disabile numero 10 (lato guida) 103 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Estensione Flessione Figura 5-17: Velocità angolare del tronco durante la fase di salita nel caso di soggetto normodotato (lato guida) Le linee verticali tratteggiate distinguono, indicativamente, le tre fasi in cui è stato scomposto il gesto. Nel caso di persona normodotata si può intuire come, ad una prima fase durante la quale si ha una lieve estensione in avanti, segue un’estensione maggiore che corrisponde all’introduzione nell’abitacolo della gamba destra, all’abbassamento del capo ed all’introduzione del tronco. Segue, infine, una flessione del tronco verso lo schienale del sedile per tornare in una posizione pressoché verticale. Da un’analisi comparativa dei grafici si può intuire il "degrado" del gesto nel caso di individui paraplegici. I risultati ottenuti dalle prove sui soggetti normodotati, non hanno messo in evidenza significative differenze tra di loro in termini di ampiezze degli angoli e di velocità angolari. Pertanto, nel prosieguo della trattazione, verrà riportato solo un valore medio delle loro velocità angolari. Tale ragionamento non vale invece nel caso di soggetti disabili, in quanto il gesto è fortemente influenzato dalla patologia presente e dalle conseguenti capacità residue. In Tabella 5-3 vengono riportate le velocità angolari massime e minime del busto, le durate medie in secondi del gesto e l’eventuale presenza di pause durante lo stesso. Tali pause sono individuabili anche nei grafici sopra riportati, e corrispondono a quei punti nei quali il valore oscilla attorno allo zero. Tali oscillazioni, così come altri picchi presenti nei grafici, sono causate dagli errori di riconoscimento dell’esatta posizione del baricentro dei marker da parte di ACMOTION, errori che vengono ulteriormente amplificati in seguito al processo di derivazione attuato per ottenere velocità ed accelerazioni. Eventuali velocità più elevate riscontrate nel caso di soggetti disabili rispetto alla media dei soggetti normodotati, sono imputabili alla presenza di movimenti più bruschi e discontinui causati dal parziale od assente controllo della muscolatura. 104 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Tabella 5-3: Velocità angolari, durate e pause del gesto Soggetto 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Media n o r m o d ot at i V e l o ci t à max e s t e ns i o ne (°/s) 48 38 26 24 34 48 28 40 74 52 52 V e l o ci t à max f l es s i o n e (°/s) 21 55 37 38 38 62 23 70 39 66 55 Durata d e l g es t o (s) P a us e (S/N) 11 10 5 7 14 19 22 4 8 12 2 S S N S S S S N S S N L’osservazione sulla presenza o meno di pause può rivelarsi utile per comprendere se vi è stata continuità o discontinuità nel gesto e, quindi, se il trasferimento è stato eseguito in apnea oppure no. Da tale osservazione si può cercare di comprendere quale tipologia di fibre muscolari viene chiamata in causa in base a considerazioni di carattere energetico. Nei muscoli scheletrici del corpo umano, infatti, si riconoscono tre tipi di fibra muscolare: 1. Le fibre veloci, così chiamate perché possono iniziare a contrarsi rapidamente (in 0,01 s o meno) in risposta ad una stimolazione. Hanno diametro elevato e, nel caso in cui queste fibre siano la maggioranza, vengono prodotte contrazioni di potenza elevata. Sono rapidamente affaticabili, perché utilizzano ATP (adenosintrifosfato) in grande quantità e sono supportate da metabolismo di tipo anaerobico. 2. Le fibre lente hanno un diametro all’incirca pari alla metà di quello delle fibre veloci ed un tempo di inizio contrazione tre volte maggiore. Esse sono specializzate nel poter lavorare per periodi molto lunghi, e si affaticano molto tempo dopo rispetto alle veloci a pari attività. La loro principale caratteristica è una rete molto estesa di capillari che garantisce un consistente rifornimento di ossigeno. Inoltre contengono il pigmento rosso della mioglobina. Questa proteina globulare ha la medesima struttura della più famosa emoglobina, portatrice di ossigeno nel sangue, e ne ricopia, inoltre, la funzione non in termini di trasporto ma di stoccaggio. La conseguenza diretta di queste due proprietà è il loro metabolismo prevalentemente aerobico garantito anche nella fibra in condizioni di riposo. 3. Le fibre intermedie hanno proprietà che le collocano a metà strada tra le due precedenti tipologie di materia contrattile. All’apparenza risultano molto simili alle fibre veloci, perché contengono piccole quantità di mioglobina ed 105 ANALISI DEL TRASFERIMENTO hanno sezioni abbastanza grandi. Allo stesso tempo sono rifornite da una fitta rete di capillari e sono molto più resistenti alla fatica delle fibre veloci. I diversi motoneuroni vanno a comandare la contrazione di insiemi di fibre di uno stesso muscolo, detti unità motrici. I motoneuroni vengono reclutati secondo un determinato ordine sulla base del diametro dei loro assoni. Poiché le dimensioni dei corpi cellulari variano in rapporto al diametro degli assoni stessi, i neuroni con corpi cellulari più piccoli sono reclutati per primi, e con segnali più deboli data la loro soglia di attivazione più bassa. Mano a mano che l’ampiezza dei segnali sinaptici aumenta, vengono reclutati progressivamente motoneuroni più grandi, seguendo il principio della dimensione. In base a tale principio, i segnali più deboli reclutano le unità lente che generano le forze minori e sono più resistenti alla fatica; successivamente vengono reclutate le unità rapide e resistenti alla fatica e infine quelle rapide e suscettibili alla fatica. Questo tipo di reclutamento consente una modulazione della forza in modo che questa venga erogata senza oscillazioni e con intensità corrispondente al carico; inoltre esso permette un utilizzo parziale a rotazione delle unità motrici quando non è richiesto lo sforzo massimo, in modo che le unità che non lavorano possano riposare evitando la precoce comparsa di fatica. Da quanto appena detto, per attività di bassa intensità saranno reclutate di preferenza le fibre lente aerobiche (poco affaticabili); all’aumentare dell’intensità dello sforzo vengono reclutate dapprima le fibre intermedie (mediamente affaticabili) e successivamente quelle veloci anaerobiche (molto affaticabili). Premettendo che articolazioni e muscolatura coinvolte nel trasferimento sono diverse sia tra un soggetto sano ed uno disabile che tra un disabile e l’altro, a seconda della tipologia di disabilità, da un’analisi dei tempi e delle pause (Tabella 5-3), si può supporre che nel caso di soggetto sano, lo sforzo risulti fluido e poco intenso e di conseguenza vengano attivate poche fibre lente. Nel caso di un disabile invece, soprattutto in funzione della particolare patologia presente che può far dilatare i tempi e l’intensità dello sforzo, che è interamente compiuto dagli arti superiori, possono entrare in azione anche le altre fibre. Tale analisi, tuttavia, è solo qualitativa e meriterebbe un approfondimento con strumentazione specifica. 5.4 CONSIDERAZIONI Una volta inquadrato il problema, è necessario valutare i singoli casi, in funzione della capacità residua presente. Tale capacità residua si pone fra due estremi: • un minimo controllo del capo (caso che non può essere preso in considerazione in questo studio, dal momento che necessita di assistenza ed ausili specifici ed importanti in quanto il soggetto non è autonomo); • capacità di raggiungere la stazione eretta caricando il proprio peso sugli arti inferiori. Per ogni singolo caso che si va a considerare, pur nella sua specificità, valgono tre aspetti generali: 1. la capacità residua dell’individuo, per l’appunto; 2. l’ausilio disponibile; 3. la tipologia di vettura. 106 ANALISI DEL TRASFERIMENTO Questi tre aspetti sono tra loro interconnessi: ad esempio il tipo di vettura influenza l’ausilio che si può installare, ausilio che a sua volta deve essere scelto in funzione della capacità residua del disabile (Figura 5-18). Figura 5-18: Interdipendenza tra capacità residua, ausilio e tipologia di vettura In taluni casi infatti, a causa di una particolare caratteristica costruttiva del veicolo, l’ausilio si rende praticamente necessario. Un esempio di ciò, emerso in sede di intervista ad un volontario, è rappresentato dall’adozione di ribaltina di raccordo tra carrozzina e sedile d’autoveicolo per il modello Golf Plus della Volkswagen®, a causa dell’elevata estensione in larghezza del montante laterale e del bordo inferiore d’accesso (Figura 5-19), che allontana i due piani d’appoggio. Figura 5-19: Larghezza del bordo inferiore d'accesso per Volkswagen® Golf Plus Si evidenzia tuttavia che, a causa dell’ aumento di severità richiesto dalle norme di sicurezza in fatto di crash-test, si è osservato, negli anni, una progressiva maggiorazione della sezione dei montanti laterali, che quindi va ad ostacolare quella che sarebbe la situazione ottimale per l’accesso all’autoveicolo di un disabile. La 107 ANALISI DEL TRASFERIMENTO distanza tra sedile e carrozzina rappresenta infatti il principale limite. Nel seguito vengono elencate le altre caratteristiche, a volte vincolanti come nel caso dell’esempio appena fatto, che devono essere prese in esame e che possono fungere da linee guida per la scelta di un autoveicolo da parte di un soggetto disabile (alcune delle quali vengono riprese direttamente dal paragrafo 3.4): • Il numero di portiere: è preferibile un’autovettura a tre porte in modo tale da avere una maggiore larghezza dell’anello porta. Spesso viene preferito un modello station-wagon per altre esigenze di spazio, come, ad esempio, il recupero e l’imbarco della carrozzina. • L’entità dello spazio aereo presente tra sedile e bordo superiore d’accesso. Tale fattore è importante per due motivi: 1. ai fini del trasferimento vero e proprio per avere una maggiore superficie laterale a disposizione (soprattutto nel caso di persone dotate di un’elevata statura); 2. per il recupero della carrozzina (molti infatti adottano una carrozzina pieghevole, con ruote sganciabili, che viene fatta passare sopra le gambe e stivata sul sedile del passeggero). • L’altezza del sedile da terra. Nei casi in cui non è possibile raggiungere la stazione eretta, tale altezza risulta ottimale se pari a 50 cm ovvero pari all’altezza del piano di seduta della carrozzina. Nei casi invece in cui l’individuo è in grado di reggersi in piedi, solitamente viene scelta un’altezza del sedile più elevata od un’auto dotata di maggiore altezza da terra. In entrambi i casi il sedile facilita l’accesso quanto più la sua seduta risulta piatta e larga. • La presenza, anche tra gli optional, di memorie di posizione elettriche per il sedile. Ciò facilita il raggiungimento dell’assetto "da viaggio" o "da guida". In parecchi casi infatti, per avere maggiore spazio a disposizione durante la fase di salita/discesa, il disabile arretra del tutto il sedile ed è quindi poi costretto a riposizionarlo al livello desiderato. • L’ampiezza dell’angolo di apertura della portiera. Tale parametro risulta significativo per facilitare l’accostamento al sedile e successivamente permettere l’allineamento del fronte della carrozzina con il fronte del sedile stesso. Indicativamente, più l’individuo è alto e più l’angolo dovrebbe essere maggiore in quanto, con l’altezza, aumenta la necessità di spazio di manovra. L’angolo di apertura della portiera è ad ogni modo, salvo qualche rara eccezione, modificabile. • L’esistenza di una maniglia interna (fissata sul montante anteriore o sul tetto) che permetta una presa sicura e garantisca la stabilità degli appoggi. Può essere montata in tutti i veicoli ma non sempre viene progettata o fissata in modo tale da poter reggere l’intero peso di una persona per un numero di cicli salita-discesa piuttosto elevato. Non sono pertanto infrequenti distacchi di tale componente. • La profondità del pozzetto interno davanti al sedile, infine, rappresenta un ulteriore ostacolo in quanto il disabile, che non ha più il controllo degli arti inferiori, è costretto a sollevare le gambe di peso con la forza delle braccia per poterle fare entrare nell’abitacolo. Tali osservazioni sono frutto dell’attività sperimentale, dello studio degli spazi 108 ANALISI DEL TRASFERIMENTO disponibili nell’autoveicolo, delle interviste fatte ai volontari e delle visite presso rivenditori ed installatori. Molte delle considerazioni fatte valgono anche per persone normodotate, come si può ben intuire. 109 Capitolo 6 CONCLUSIONI Con questa tesi è stato affrontato, dal punto di vista biomeccanico, il problema della movimentazione di un disabile da carrozzina a sedile d’autoveicolo. I risultati ottenuti sono stati: • Una prima indagine sulle caratteristiche, gli usi, le abitudini e le difficoltà dei disabili alle prese con l’accesso e l’utilizzo del veicolo e sugli ausili esistenti progettati per facilitare tale azione. Questa indagine si può considerare "embrionale", potrebbe cioè essere facilmente estesa ad un numero maggiore di soggetti, magari a livello regionale o addirittura nazionale, per arrivare a definire le caratteristiche tipiche del disabile alla guida o che fa un uso quotidiano dell’auto come passeggero. • L’istituzione di un protocollo sperimentale per la valutazione dell’azione motoria, da adottare come standard in future ricerche. • Un’indagine sperimentale che ha permesso di scomporre l’azione motoria in una successione di atti motori elementari, che si susseguono nel tempo in maniera più o meno fluida a seconda delle capacità residue del soggetto. La suddivisione del gesto consente di individuare la sede di eventuali criticità e può permettere di orientare la scelta del corretto ausilio o del trattamento riabilitativo più efficace per poter svolgere tale azione. • La valutazione della bontà del software ACMOTION, programma già impiegato in numerosi studi di biomeccanica del gesto. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di tentare di costruire un sistema di "ottimo" (inteso in senso controllistico, non potendo esistere una soluzione valida in generale visto l’elevato numero di variabili soggettive in gioco e della complessità del problema) sulla base del trinomio: capacità residua del soggetto-tipologia di vetturaausilio disponibile. Le premesse per poter far ciò sono state: a) La verifica della possibilità di ottenere, attraverso l’analisi cinematica, uno o più denominatori comuni del problema. b) L’acquisizione, attraverso lo studio cinematico, delle traiettorie di alcuni punti di repere e, grazie a tali rilievi, la possibilità di definire la velocità di esecuzione del gesto. Infatti, possiamo affermare che, dal punto di vista cinematico, i vari soggetti presentano delle diverse ampiezze dei gradi di libertà che differiscono da caso a caso (ciò si verifica anche per i soggetti normodotati) e, quindi, risulta importante cercare di capire come poter sfruttare al meglio tali gradi di libertà. Ovvero, considerando il singolo soggetto, capire quali sono le ampiezze dei suoi gradi di libertà ed in base a ciò cercare di indirizzarlo verso una certa tipologia di veicolo o di ausilio. c) L’analisi dell’esecuzione degli stessi gesti da parte di individui normalmente abili, per avere un termine di paragone. Non si è purtroppo avuta la possibilità di effettuare più prove con lo stesso soggetto 111 CONCLUSIONI disabile su veicoli diversi tra loro (un aspetto che meriterebbe un approfondimento a parte), dal momento che ogni soggetto ha già ottimizzato la procedura di accesso per il particolare mezzo che utilizza quotidianamente e si è quindi preferito non sottoporlo ad altri tipi di prova che avrebbero comportato, da parte sua, il dover affrontare nuove tipologie di problemi e conseguenti specifiche tecniche di soluzione in funzione della particolare disfunzione presente. L’obbiettivo che ci si è prefissi, come si può ben capire da quanto sopra esposto, non può essere l’ottenimento di una soluzione immediata, quanto, piuttosto, verificare se gli strumenti a nostra disposizione ci consentono di affrontare in modo adeguato tale tipologia di problemi e capire quali altri tipi di strumenti utilizzare per poter essere di utilità a persone che presentano particolari esigenze. Da un confronto tra i dati acquisiti e quelli reperiti in letteratura, possiamo verificare che i valori ottenuti sono attendibili. Si può quindi affermare che l’analisi compiuta è stata una buona analisi. Ciò tenuto in considerazione innanzitutto del fatto che le prove dello studio di riferimento sono state eseguite in laboratorio (e quindi in condizioni controllate, ad esempio di luminosità, ecc.), adottando un sistema optocinetico molto più sofisticato di quello a nostra disposizione. Esso infatti utilizzava 40 marker ed un sistema di telecamere in grado di campionare le immagini ad una frequenza di 60 Hz (doppia rispetto a quella da noi impiegata) e di svolgere uno studio tridimensionale e non planare del fenomeno. Inoltre, in tale studio veniva esaminato il trasferimento di un disabile tra due normali sedie, caso non del tutto equivalente al nostro che presenta caratteristiche specifiche, rappresentate dai vari ingombri che ritroviamo in un normale autoveicolo (presenza della portiera, larghezza ed altezza dell’anello porta fissate, ecc.), che sono vincoli esterni aggiuntivi. Come già più volte detto nel corso della trattazione, il problema principale con ACMOTION (e comune ad altri sistemi optocinetici) è risultato il non perfetto riconoscimento del baricentro del marker. Tale errore viene notevolmente amplificato nel processo di derivazione attuato per ottenere velocità ed accelerazioni. Il problema può essere in parte attenuato filtrando opportunamente il segnale (in tale tipo di analisi applicare un filtro passa-basso è la norma, a causa del rumore di fondo sempre presente). Il maggiore vantaggio di ACMOTION è dato dalla possibilità di effettuare l’analisi in modalità completamente "off-line", richiedendo poche e semplici attrezzature per l’acquisizione dei movimenti "sul campo". Nel corso dello studio, si sono riscontrate altre difficoltà in quanto la salita/discesa dall’auto rappresenta un’azione transiente. Si differenzia, ad esempio, da un movimento periodico come può essere la pedalata. Di conseguenza, definire un inizio ed una fine del movimento è spesso una scelta arbitraria (come discusso nel paragrafo 4.7). Si è prestata quindi particolare attenzione alla scelta dell’istante iniziale (soggetto già predisposto sul fronte della carrozzina e pronto al trasferimento vero e proprio) e finale (volontario sul sedile dell’auto) dell’acquisizione dei vari filmati ma si è riscontrato comunque un certo grado di indeterminazione di tali istanti, al variare dei soggetti e delle rispettive tecniche di trasferimento adottate. Inoltre, l’azione non è planare: una sua ricostruzione bidimensionale fa perciò inevitabilmente perdere alcune informazioni sul gesto. Comunque, con una ricostruzione tridimensionale, ci sarebbero stati problemi di copertura dei marker durante il moto e problemi relativi al posizionamento delle due telecamere 112 CONCLUSIONI (verosimilmente la ripresa di una delle due sarebbe stata oscurata dalla portiera dell’auto). Quanto fin qui osservato, ci ha permesso, grazie all’attività sperimentale, di gettare le basi e di identificare i vari fattori di quello che si è rivelato un problema che presenta una notevole complessità e che non era stato ancora affrontato nel modo dovuto. Per poter sviluppare ed approfondire tale problematica ed avvicinarsi ad una sua soluzione, si propone in futuro di affiancare, all’analisi optocinetica, un’indagine su: • battito cardiaco; • ventilazione polmonare; • muscolatura ed articolazioni coinvolte nel gesto (spalla, gomito, polso); in modo tale da poter impostare uno studio del rendimento massimo del gesto nello spazio dell’autoveicolo. 113 RINGRAZIAMENTI Desidero innanzitutto ringraziare Sergio Raimondo, Giovanni De Piero, Giampiero Licinio, Claudio e tutti i volontari che si sono sempre contraddistinti per la massima disponibilità e pazienza. Voglio inoltre ringraziare il prof Paolo Pascolo, il signor Mario Corubolo, e l’ing. Rubens Rossi. Ringrazio in modo particolare l’ing. Paolo Ragogna per il suo aiuto durante questi mesi. Ringrazio Davide per avermi aiutato a superare (almeno in parte) il mio personale rapporto conflittuale con l’intero pacchetto Office della Microsoft®. Ringrazio tutti i miei amici, quelli che vedo ogni settimana e quelli che vedo ogni sei mesi (quando va bene); i primi per la sopportazione dimostratami in tutti questi anni ed i secondi perché, nonostante le distanze geografiche ed il passare del tempo, riescono a mantenere viva la nostra amicizia anche solo con una parola: fortunatamente non tutto passa e non tutto cambia. Infine, ringrazio mia madre Elena che ha permesso tutto ciò e che ha sempre dimostrato tanta (fin troppa) pazienza in tutti questi anni. 115 BIBLIOGRAFIA 1. Andreoni G., Rabuffetti M., Pedotti A., “Biomechanical method for the ergonomic evaluation of the entry-exit movements to a car or to a virtual prototype”, Proc. 4.th International Conference and Exhibition on Comfort in the Automotive Industry: recent developments and achievements, Bologna, 6-7 Ottobre 1997, pp. 309-317. 2. Andrich R., Concetti generali sugli ausili. Polo Tecnologico Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, Milano. 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