Articolo biografico su Joe Petrosino, tenente della polizia ucciso a

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Articolo biografico su Joe Petrosino, tenente della polizia ucciso a
Mirko Riazzoli
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Giuseppe Petrosino, poi americanizzato in Joe (il nome con cui divenne famoso), nacque in Italia
nel comune di Padula (Salerno) il 30 agosto 1860 da una famiglia di modeste condizioni. Il padre
Prospero era un sarto ma grazie alla sua professione riuscì a far studiare i suoi quattro figli maschi.
Nel 1873 emigrò con la famiglia, composta dai genitori, due sorelle e tre fratelli, a New York: qui
andò ad abitare in Mulberry Street, nel quartiere Little Italy. Qui
Giuseppe lavorò vendendo giornali e lucidando scarpe, seguendo
alla sera dei corsi per imparare la lingua inglese.
Nel 1877, Joe (come ormai si chiamava) prese la cittadinanza
americana, facendosi assumere l'anno dopo come spazzino
dall'amministrazione di New York. Venne assunto dal Dipartimento
di polizia, da cui dipendevano i servizi di pulizia cittadina. In
precedenza aveva già avuto contatti con la polizia, svolgendo
l'attività di informatore. Il 19 ottobre del 1883 riuscì ad arruolarsi
nella polizia cittadina, entrando a far parte del 23° Distretto e
ricevendo la placca n. 285.
Fu il primo poliziotto di origine italiana, dato che generalmente i
membri della polizia erano di origine irlandese o ebrea. Questo
elemento divenne rilevante con l'affluire di emigrati italiani, tra cui
vari malavitosi, essendo quasi l'unico a parlare italiano e a poter
capire la mentalità dei nuovi immigrati.
Svolse inizialmente l'attività di poliziotto di pattuglia sulla Tredicesima Avenue. Riuscì a fare
carriera e nel 1890 divenne detective, nel 1895 venne promosso sergente da Theodore Roosevelt
(1858-1919), allora assessore alla polizia e suo estimatore, e infine ottenne il grado di tenente nel
1905.
Grazie alla promozione a detective poté lasciare il servizio di pattuglia e dedicarsi all'attività di
investigazione contro la nuova criminalità che si stava diffondendo, chiamata Mano Nera (una
antenata della mafia italo-americana), e gestita da immigrati italiani. Questa organizzazione si
occupava del racket (pronuncia deformata della parola italiana ricatto) oltre a gestire l'espatrio degli
italiani verso gli Stati Uniti e il loro “inserimento” nel nuovo contesto sociale.
Per svolgere le sue indagini ricorse ad azioni da infiltrato, travestendosi e frequentando quindi le
zone malfamate. Si infiltrò ad esempio nell'organizzazione anarchica responsabile della morte del re
d'Italia Umberto I (1844-1900), riuscendo a scoprire l'intenzione di assassinare il presidente
americano William McKinley (1843-1901) durante una sua visita all'Esposizione Pan-Americana di
Buffalo. McKinley, informato attraverso i servizi segreti, ignorò l'avvertimento e fu effettivamente
ucciso il 6 settembre 1901 da Leon Czolgosz (1873-1901).
Nel 1900, quando l'anarchico italiano Gaetano Bresci uccise a Monza il re Umberto I, affermò che a
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Peterson, la città ove l'attentatore aveva vissuto e lavorato, centro di aggregazione di anarchici di
origine italiana, era nato il complotto che aveva portato al regicidio, ma non portò prove a suffragio,
infatti l'8 settembre l'Attorney General John W. Briggs comunicò all'ambasciatore italiano Fava che
non era stato trovato “alcun indizio sufficiente per collegare persone viventi negli Stati Uniti col
crimine, in modo tale da tenderle imputabili in virtù della legge.”
Nel 1903 risolse il caso forse più importante della sua carriera, il "delitto del barile", così chiamato
per il fatto che il cadavere di Benedetto Madonia (un malavitoso membro di una banda di falsari)
venne ritrovato dentro un barile fatto a pezzi il 14 aprile. Il delitto era da ricollegarsi al locale
“Stella d'Italia” frequentato dai malavitosi agli ordini di Vito Cascio Ferro (1862-1943), un
malavitoso siciliano.
Petrosino ottenne la collaborazione di Giuseppe Di Prima già carcerato a Sing Sing (una lettera
anonima aveva fornito la strada da seguire), fu questi che identificò i resti come quelli di suo
cognato, questo gli consentì, assieme ad altri indizi1, di continuare nelle indagini fino a procedere
personalmente all'arresto di Joe Morello (Giuseppe Pietro Morello detto "Piddu" 1867-1930),
proprietario del locale e membro della banda formata da nove uomini di origine italiana.
In seguito a queste sue operazioni ricevette il plauso della stampa, che riteneva che con le condanne
al processo la banda criminale fosse stata sgominata. Il boss Vito Cascio Ferro però, rilasciato su
cauzione, lasciò il paese e tornò in Sicilia, ove giunge il 28 settembre 1904.
Nel 1905, divenuto tenente, ottenne il comando della neo costituita Italian Legion (formata
formalmente il 20 gennaio), una squadra formata appositamente per combattere la criminalità
organizzata di origine italiana e composta di cinque membri tra cui il successore di Petrosino,
Michael Fiaschetti, 1886-1960).
Petrosino si occupò della Mano Nera anche in un'altra importante occasione, quando il tenore
Enrico Caruso (1873-1921), durante una tournée a New York, fu ricattato dai gangster sotto
minaccia di morte. Petrosino ottenne la collaborazione di Caruso per la cattura dei ricattatori.
Per lottare contro la Mano Nera in maniera veramente efficace comprese che si sarebbe dovuti
andare alla fonte del problema, in Italia, sia per scoprire lì quali fossero i vertici dell'organizzazione
e così colpirli, sia per trovare informazioni di prima mano mancando spesso la collaborazione delle
autorità italiane nel fornire informazioni sugli emigranti. Per queste ragioni il capo della polizia
newyorchese, Teddy Bingham (1858-1934), lo autorizzò a recarsi in missione a Palermo ed
esaminare i casellari giudiziari alla ricerca di dati compromettenti sugli affiliati alla Mano Nera2.
La missione, che doveva essere segreta, venne però compromessa dallo stesso Bingham, che lo
aveva confidato al New York Herald il 20 febbraio 1909 e anche al Araldo italiano, un quotidiano di
New York edito in lingua italiana per gli immigrati dal 1889 al 1921, che poco prima aveva scritto:
Il Petrosino si reca in Italia per studiarvi quei regolamenti di pubblica sicurezza. Si dice che a
Bologna si fermerà per avere cognizioni sulla criminologia, sulla pena di morte e sulle belle
mortadelle. A Firenze si tratterrà per osservare le carceri dell'antico Palazzo del Bargello e il fiasco
paesano. A Napoli per la camorra, la malavita e i maccheroni alle vongole. A Palermo per la mafia
e le squisite cassate alla siciliana. A Torino si fermerà per i barabba e i grissini. A Milano per la
teppa e la busecca. A Venezia per i terribili Piombi e la zucca barucca. A Roma poi per il Colosseo
e l'abbacchio. (Riva, 365 delitti uno al giorno, pag.117)
La morte
Il 9 febbraio 1909 si imbarcò, sotto il nome di Simone Velletri, sul piroscafo Duca di Genova, il 21
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Lo stesso tipo di sigari che fumava Morello erano stati ritrovati nel barile, sul pavimento del suo locale vi era
segatura, bucce di cipolla e sigari, lo stesso contenuto del barile che apparteneva ad una raffineria di zucchero che
aveva Morello come suo unico cliente siciliano.
Nel 1908 per la sua azione contro la malavita aveva ricevuto un orologio d'oro dal governo italiano.
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giunse a Genova e di lì si recò a Roma. Qui soggiornò nell'Hotel d'Inghilterra sotto un altro nome
falso, Guglielmo Simone, e prese contatto con il capo di gabinetto di Giolitti, Camillo Peano, e poi
il capo della polizia Francesco Leonardi (1840-1911). In seguito si reco a Padula, la città natale, ove
incontrò il fratello Michele che vi era tornato a vivere.
Infine giunse a Palermo il 28 febbraio alle sette del mattino, viaggiando su un postale proveniente
da Napoli. Giunto in città prese una stanza, la numero 16, nel lussuoso Hotel De France in Piazza
Marina, sotto il falso nome di Simone Valenti di Giudea. Aprì un conto presso la Banca
Commerciale e prese in affitto una macchina da scrivere Remington, forse per redigere le relazioni
e le schede sulle persone indagate.
Il 6 marzo prese contatto con le forze dell'ordine della città, incontrò il questore della città,
commendatore Baldassare Cedola, e il commissario della polizia giudiziaria Luigi Poli. Questo
incontro si rivelò però infruttuoso e gli ottenne solo l'offerta, da lui declinata, di avere una scorta
armata durante le sue indagini, come suggerito dal ministro Giovanni Giolitti (1842-1928). Dopo
questo incontro si recò al palazzo Pecoraino in piazza Castelnuovo dove incontrò il console
statunitense William A. Bishop. Nei giorni seguenti venne bloccato nel letto della sua stanza, in
seguito a una grave influenza, che durò quasi cinque giorni.
Ripresosi, ricominciò la sua attività di indagine di cui informò solo il commissario Poli: perlustrò
sia la città che i dintorni, identificando vari esponenti della malavita che gli erano già noti. Si recò
poi anche a Caltanissetta per consultare gli archivi giudiziari, scoprendo così che le informazioni su
molti malavitosi erano scomparse.
Durante la sua permanenza in Sicilia scrisse una lettera diretta alla moglie (nell'aprile del 1907
Petrosino si era sposato nella chiesa di San Patrizio con Adelina Saulino, una donna di origini
italiane):
Carissima moglie, sono arrivato in Palermo, mi trovo tutto confuso e mi pare mille anni di
ritornare. Non mi piace affatto tutta l'Italia che poi quando ne vengo ti spiego. Dio, Dio che
miseria! Sono stato malato cinque giorni. C'era l'influenza e sono dovuto stare a Roma, ma adesso
mi sento bene. Dunque tutte le comunicazioni mandale alla Banca Commerciale di Palermo che
questa è la mia direzione. Saluta Angelina, Luigi. Bacia cugino Arturo come pure mio fratello
Antonio con la sua famiglia. Compare Carlucci e la sua famiglia. Saluta tua sorella e suo marito.
Alla mia cara Bambina e a te mille e mille abbracci. (Giornale di Sicilia, articolo di Massimo Di
Martino)
Venerdì 12 marzo 1909, dopo essere rimasto nella sua stanza dell'Hotel a causa della pioggia, verso
sera dopo il miglioramento del tempo uscì per recarsi al Caffè Oreto dove cenò. Qui venne
raggiunto da due persone che apparentemente conosceva e con le quali si diede appuntamento dopo
cena.
Uscito dal ristorante si diresse verso la chiesa di S. Giuseppe dei Miracoli, verso via Lungarini:
dopo un breve tratto di strada, alle ore 20.45, tre colpi di pistola in rapida successione e un quarto
sparato subito dopo (una pallottola al collo, due alle spalle, e una alla testa) suscitano il panico tra le
persone in attesa del tram al capolinea di piazza Marina e causano un generale e naturale fuggi
fuggi.
Solamente un giovane marinaio di Ancona appena sceso dalla Regia Nave Calabria della Marina
Militare, Alberto Cardella, si recò al luogo di origine degli spari, verso il giardino Garibaldi, dove
nel centro della piazza trovò Petrosino morto e vide due persone fuggire.
Il console americano a Palermo, avuta la notizia, telegrafò subito al suo governo: Petrosino ucciso a
revolverate nel centro della città questa sera. Il questore Ceola si recò a sua volta sul luogo del
delitto, abbandonando l'opera che stava vedendo al teatro Biondo.
Il console americano poi comunicò una ricostruzione più dettagliata dell'accaduto al Police
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Commissioner di New York:
Petrosino si è registrato sotto il nome di Guglielmo De Simoni all'Hotel de France in Palermo. Il
12 marzo 1909 era in piedi presso il piedistallo della statua di Garibaldi in piazza Marina, in attesa
di un tram, quando due uomini gli spararono contro quattro colpi. Tre lo raggiunsero, e la morte fu
istantanea. Fu colpito sul lato destro della schiena, attraverso entrambi i polmoni e alla tempia
sinistra. Petrosino era disarmato. Una rivoltella Smith e Wesson fu rinvenuta nel suo bagaglio
all'albergo. Nei pressi della scena del delitto fu rinvenuta una grossa rivoltella con un proiettile
mancante nel tamburo. (Dickie, Cosa nostra, pag.204)
Sul corpo del defunto vennero trovati solo: un orologio d'oro attaccato a una catena d'oro, un
biglietto con scritto a penna un numero, 6824; un libretto di assegni della Banca Commerciale;
alcune banconote (una da 50 lire e quattro da 5 lire); la placca da detective della polizia; alcune
buste indirizzate al sindaco della città Gennauro Bladier, al commissario Polio, al delegato di
pubblica sicurezza e al capo dei vigili urbani; 30 biglietti da visita (con scritto "Giuseppe Petrosino,
luogotenente di Polizia, città di New York, Usa"); la lettera di presentazione del capo della polizia;
un'annotazione su Don Vito Cascio Ferro; una cartolina per la moglie con scritto “Un bacio a te e
alla mia bambina che ha compiuto tre mesi lontana dal suo papà”.
La notizia pervenne tramite telex alla stampa americana (Associated Press) a Manhattan alle 4:15
del 13 marzo con il seguente testo:
Iersera nella centrale Piazza Marina di Palermo è stato assassinato a revolverate il luogotenente di
polizia americano Giuseppe Petrosino, che trovavasi in quella città per compiere un'inchiesta sulla
ramificazione in Sicilia della Mano Nera per conto del Commissariato di Polizia di New York.
(Giornale di Sicilia, articolo di Massimo Di Martino)
La notizia era stata anche annunciata, in via ufficiale, dal console americano con il seguente
telegramma: “Palermo, Italy Petrosino shot. instantly killed in heart of city this evening. assassin
unknown. dies a martyr. Bishop, Consul”.
La notizia originariamente venne presa con diffidenza dai giornalisti statunitensi, ritenendola come
un tentativo di aumentare le vendite facendo scalpore, e solo in seguito venne presa per vera.
Il governo italiano mise a disposizione la somma di 10.000 lire per chi avesse fornito elementi utili
a identificare i suoi assassini, ma senza alcun successo.
La salma, imbalsamata dal professor Giacinto Vetere il 18 marzo, partì per gli New York il 12, sul
piroscafo Slavonia, e giunse a destinazione il 9 aprile. Il 12 aprile si svolsero i funerali ai quali circa
200.000 persone parteciparono, un numero fino ad allora mai raggiunto da alcun funerale in
America.
Molto probabilmente il responsabile della sua uccisione è stato il boss di Bisacquino (Palermo) Vito
Cascio Ferro, il cui nome era in cima ad una "lista di criminali" redatta da Petrosino e trovata nella
sua stanza d'albergo il giorno della morte. Si sospettò anche l'esistenza di un collegamento tra la
morte di Petrosino e alcuni personaggi malavitosi appartenenti alla cosca newyorchese di Giuseppe
"Piddu" Morello, noti per il loro presunto legame al caso del "corpo nel barile". Due uomini di
questa cosca erano infatti ritornati in Sicilia nello stesso periodo del viaggio di Petrosino,
rimanendo in contatto con il boss di New York. Cascio Ferro venne anche arrestato a causa dei
sospetti ma poi rilasciato, il 16 novembre.
Un'altra ipotesi è che Morello e Giuseppe Fontana (emigrato in America dopo l'assoluzione per
l'omicidio di Emanuele Notarbartolo (1834-1893), che aveva denunciato la corruzione del Banco di
Sicilia, e lì aggregatosi alla banda di Giuseppe Morello) si siano rivolti a Vito Cascio Ferro affinché
organizzasse l'omicidio del poliziotto. Quando Cascio Ferro venne arrestato, il 13 marzo, gli fu
trovata addosso una fotografia di Petrosino. Il malavitoso aveva però un alibi fornitogli da un suo
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amico, il barone Domenico De Michele Ferrantelli deputato di Bivona (Agrigento), che sostenne di
aver ospitato il sospettato dal 6 al 13 marzo. Il boss venne arrestato solo durante il fascismo e
condannato all'ergastolo per un omicidio il 27 giugno 1930 dalla Corte d'Assise di Agrigento.
Intervistato in prigione, il boss dichiarò di aver ucciso un solo uomo in tutta la sua vita e disse di
averlo fatto in modo disinteressato.
La magistratura, con la sentenza della Seconda Sezione della Corte d'Assise d'Appello di Palermo
emessa il 22 luglio 1911 chiuse il caso assolvendo per insufficienza di prove gli imputati.
Post mortem
Per il suo sacrificio Petrosino ricevette la medaglia d'oro al Merito Civile alla memoria, conferita il
9 aprile 2008 con la seguente motivazione:
Poliziotto coraggioso e determinato, impegnato in una difficile missione per scoprire i legami tra
mafia siciliana e quella di New York, veniva trucidato con quattro colpi di pistola esplosigli alle
spalle da un ignoto sicario in un vile agguato. Fulgido esempio di elette virtù civiche ed elevato
spirito di servizio, spinti sino all'estremo sacrificio.
Petrosino è stato il soggetto ispiratore di alcuni film, il più vecchio dei quali è The Adventures of
Lieutenant Petrosino diretto da Sidney M. Goldin, risalente ben al 1912, a dimostrazione
dell'importanza del personaggio per la collettività già all'epoca. Tale film fu preceduto solo dal corto
documentaristico Gli imponenti funerali del poliziotto americano G. Petrosino risalente al 1909.
Al 1960 risale il film Pagare o morire (Pay or Die) diretto da Richard Wilson: qui il poliziotto era
interpretato da Ernest Borgnine. Alla figura di Petrosino è stato dedicato anche uno sceneggiato
televisivo in 5 puntate, in cui era il poliziotto era interpretato dall'attore Adolfo Celi, prodotto dalla
RAI nel 1972 e intitolato Joe Petrosino (regista Daniele D'Anza).
Sempre la RAI nel 2006 ha trasmesso una miniserie di 2 puntate dal titolo Joe Petrosino - Un eroe
italiano, interpretato dall'attore Giuseppe Fiorello, regista Alfredo Peyretti. Nello stesso anno la
RAI ha co-prodotto un documentario dal titolo Joe Petrosino: A Shot in the Dark con la regia di
Antonello Padovano.
A Petrosino è stata anche dedicata una puntata del programma La storia siamo noi, trasmessa il 15
febbraio
2008,
visibile
sul
sito
della
trasmissione
all'indirizzo
web
http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=385.
La sua memoria è tenuta viva da un'associazione internazionale a lui dedicata (Associazione
Internazionale "Joe Petrosino"), che si occupa anche della sua casa natale a Padua, tramuta in casamuseo grazie all'interessamento del comune di Padula e della Regione Campania in seguito alla
morte, avvenuta nel 1997, della nipote di Joe Petrosino, Gilda Petrosino, la quale l'aveva conservata
con i vecchi arredi.
Il 12 marzo 2009, in occasione del centenario della morte, a Palermo è stata scoperta una statua a lui
dedicata nei Giardini Garibaldi di Piazza Marina dove avvenne l’assassinio. Nel 2011 a Bisacquino
(Palermo), paese del boss della mafia Vito Cascio Ferro, l'11 marzo è stata intitolata una strada alla
memoria di Giuseppe Petrosino-detective, mentre il 12 marzo è stata inaugurata una statua di Joe
Petrosino, eseguita dallo scultore Giacomo Rizzo, all'Hotel De France di Palermo.
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Bibliografia
http://www.imdb.com/title/tt1370749/ Joe Petrosino: A Shot in the Dark
http://www.imdb.com/title/tt0493187/ Joe Petrosino
http://www.imdb.com/title/tt1606758/ Funeral of Joe Petrosino, in Marino, Italy
http://www.imdb.com/title/tt0001998/ The Adventures of Lieutenant Petrosino
http://www.imdb.com/title/tt0054164/ Pagare o morire
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-ad491416-728e-4909-98d2-18a4f109150f.html?p=0
Joe
Petrosino - Un eroe italiano
http://www.cittanuove-corleone.it/La%20Sicilia,%20Vito%20Cascio%20Ferro,%20da%20rivoluzionario%20a%20boss
%2027.02.2005%20pa03.pdf Don Vito, da rivoluzionario a boss, La Sicilia, 27 febbraio 2005, pag. 33
http://www.joepetrosino.org/ Sito dell'Associazione Internazionale "Joe Petrosino"
http://www.salernonotizie.net/palermo-s%E2%80%99intitola-strada-a-joe-petrosino-nella-citta-del-suo-presuntoassassino-presente-anche-la-provincia-di-salerno.html Palermo; s’intitola strada a Joe Petrosino nella città del suo
presunto assassino; presente anche la Provincia di Salerno
http://www.flaccovio.com/press/petrosino_ucciso.pdf Joe Petrosino, quello "sbirro" curioso massacrato da 4 colpi a
piazza Marina, Giornale di Sicilia, Massimo Di Martino
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/01/08/era-una-volta-piazza-marina-libro.html C'era una
volta a piazza Marina libro e film raccontano il tenente, La Repubblica, 8 gennaio 2005, pag. 9, sezione: Palermo,
Mario Di Caro
http://www.mikedash.com/books/first-family/ff-extract The Barrel Mystery
Dash Mike, The First Family: Terror, Extortion and the Birth of the American Mafia, London, Random House, 2009
Dickie John, Cosa nostra Storia della mafia siciliana, Roma-Bari, Laterza, 2005
Marino Giuseppe Carlo, I padrini: da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano, da Calogero Vizzini a Stefano Bontate, fatti,
segreti e testimonianze di Cosa Nostra attraverso le sconcertanti biografie dei suoi protagonisti, Roma, Newton, 2006
Marino Giuseppe Carlo, Storia della mafia, Roma, Newton, 2006
Petacco Arrigo, Joe Petrosino, Milano, Arnoldo Mondadori, 1972
Petacco Arrigo, L'anarchico che venne dall'America: storia di Gaetano Bresci e del complotto per uccidere Umberto,
Milano, Arnoldo Mondadori, 2000
Riva Alessandro, 365 delitti uno al giorno, Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 1998
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