Maurizio Duce Castellazzo CHE COS`È LA MONARCHIA?

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Maurizio Duce Castellazzo CHE COS`È LA MONARCHIA?
Maurizio Duce Castellazzo
CHE COS’È LA MONARCHIA?
Breve riflessione filosofica
sui concetti di legge, Stato e costituzione.
Copyright© 2007 UNI Service – Trento
Prima edizione: novembre 2007 – Printed in Italy
ISBN 978-88-6178-073-6
In copertina: Nanchino, la “via sacra”,
nel contesto del sepolcro del primo imperatore Ming.
Foto scattata dall’autore
«Egli ama il diritto e la giustizia»
[Salmo 32]
a S.A.R.
La Principessa
Maria Gabriella di Savoia
Prefazione
«Il nostro dovere non consiste nella mera preservazione del potere politico, ma nel preservare pace e libertà»1.
Il presidente John Fitzgerald Kennedy non ebbe il tempo di
pronunciare queste parole: venne ucciso poche ore prima.
In verità, iniziare un libro di filosofia del diritto su un tema
come quello della monarchia, citando uno dei più grandi presidenti americani, forse il più grande, potrebbe sembrare una
stravaganza; d’altra parte, è stato detto che mai come di fronte
ai Kennedy gli Stati Uniti si sono trovati vicini alla costituzione
di una monarchia. Certo è che il messaggio che egli ci ha lasciato travalica i confini americani, così come quelli della sua
epoca, sicché anche riguardo ad una riflessione come questa,
che vuole mettere in dialogo soprattutto la forma monarchica
parlamentare con quella repubblicana parlamentare – confrontandola, solo en passant, con quella presidenziale – la citazione
che abbiamo inserito ci è di non poco aiuto: essa vuole ricordarci che il compito di ogni buona politica non dovrebbe essere solo quello di mantenere inalterato il potere della classe dirigente, ma, semmai, quello di favorire il buon governo, per esempio attraverso meccanismi che rendano possibile, direi perfino agevole, l’alternanza alla guida del Paese. Sappiamo tutti
che così non è stato nell’Italia della cosiddetta prima repubblica, e, secondo molti, non è del tutto vero neppure oggi. Dal
mio punto di vista, non si tratta di un fatto casuale, ma di un
deficit strutturale della forma repubblicana – e segnatamente
1 «Our duty is not merely the preservation of political power but the preservation of peace and freedom». [President John Fitzgerald Kennedy, Undelivered Remarks to the Texas State Democratic Committee in the Municipal Auditorium in Austin, 11/22/63 – mia traduzione].
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di quella repubblicana parlamentare. Si tratterebbe, insomma,
di una degenerazione politica che trova il suo humus sostanziale
proprio nel peculiare assetto costituzionale che caratterizza la
nostra forma di Stato. Non sarebbe tanto un problema di uomini, dunque, ma una questione di forme.
Va detto, però, che il problema di cui ci stiamo per occupare, ossia quello relativo a quale possa essere la migliore forma
di governo o il più stabile ed efficace assetto istituzionale per
un paese democratico, ha già affascinato schiere di eccellenti
filosofi, sicché non può che essere giustamente considerata
presuntuosa, da parte mia, l’idea di aggiungervi anche solo
qualcosa; essendo però caduta, almeno qui da noi in Italia, in
così grave – e, secondo me ingiustificato – discredito la forma
monarchica, di cui intendo trattare in modo particolare, vorrei
provare ad offrire un ulteriore contributo, nel tentativo di risollevarne l’immagine agli occhi dei miei quattro lettori… La
gran parte delle persone, infatti, qui in Italia, oggi è portata a
ritenere che la monarchia non sia che un anacronistico retaggio del passato, dimenticando che, proprio vicino a noi, in
Spagna, abbiamo assistito ad una recente restaurazione monarchica, successiva ad una dittatura assai simile al fascismo, restaurazione in seguito alla quale quel Paese ha compiuto formidabili passi in avanti, al punto di pesare manifestamente
quasi quanto l’Italia nel consesso internazionale, a fronte di
una popolazione inferiore del 30%.
La tesi di questo libro è che la monarchia sia necessaria per
garantire la massima stabilità e il più perfetto nitore ad un assetto democratico parlamentare, mentre, probabilmente, risulta
forma più equilibrata anche di quella repubblicana presidenziale, ove manca un vero e proprio Capo dello Stato che si possa
collocare super partes rispetto agli schieramenti politici.
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Anche nelle repubbliche parlamentari, del resto, il problema
di un capo dello Stato davvero neutrale si pone comunque, nel
momento in cui egli viene eletto dai rappresentanti del popolo
che, naturalmente, risulteranno inseriti in partiti politici, che
potrebbero anche non appoggiare un candidato senza un preciso tornaconto.
Un altro grave problema, in verità di ogni sistema politico, è
quello della corruzione. Chiarisco subito che sono consapevole
del fatto che si tratta di un problema antico come il mondo e,
pertanto, in buona sostanza, di un problema insolubile. D’altra
parte, da questo ne derivano molti altri, con effetto a cascata.
Consideriamo, per esempio, quello della pedofilia: possiamo
rilevare come alcuni sostengano che si tratti di un fenomeno
associativo, forse non privo di coperture eccellenti, talora anche politiche, forse addirittura internazionali. Di fronte a tale
situazione, si sarebbe tentati dal fascino oscuro e suadente della resa; l’alternativa, però, potrebbe essere tornare a ciò che diceva Albert Camus: «Forse non possiamo impedire a questo
mondo di essere un mondo in cui si torturano i bambini. Ma
possiamo ridurre il numero dei bambini torturati». In
quest’ottica giova – ed è importante – una riflessione su quale
sia la forma di governo che possa contrastare meglio la corruzione politica interna ad un paese democratico; da essa, infatti,
deriva evidentemente tutto quanto di male si può generare in
quel paese; infatti, corruttele, omessi controlli, connivenze eccellenti, eccetera, costituiscono l’ecosistema più favorevole per
lo sviluppo della criminalità in genere, anche e soprattutto di
quella organizzata.
Senza alcuna pretesa di avere la verità in tasca, né di proporre – evidentemente – alcunché di nuovo, ho provato allora
a mettere in rapporto l’essenza della libertà, secondo la celebre
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definizione di Montesquieu, che la fa coincidere con la libertà
dalla paura di ciò che un altro cittadino potrebbe mai fare, a
me o anche ai miei beni, con la più efficace separazione dei
poteri.
È stato riflettendo su questi temi che mi sono accorto di un
fatto per me ora evidentissimo: affinché qualsiasi bilancia,
compresa quella dei poteri, possa funzionare, ci deve essere
un fulcro, che resti sempre uguale a se stesso e grazie al quale
e attorno al quale, gli altri elementi possano oscillare con armonia ed efficacia. Ora, se questo fulcro oscillasse insieme ai
piatti della bilancia, il funzionamento di questa sarebbe quanto
meno problematico. Ebbene, fuori di metafora, almeno il Capo dello Stato deve essere indipendente dalle oscillazioni del
mondo politico e affrancato il più possibile dalla loro influenza; ma questo è veramente possibile solo se egli non viene eletto da nessuno, ossia se ottiene la sua carica per eredità (eventualmente per adozione) da parte del suo predecessore.
Infatti, nel momento in cui il Capo dello Stato non ha alcun
debito politico da rifondere e, contestualmente, è in suo nome
che viene amministrata la giustizia, mentre gli vengono attribuiti poteri di supremo controllo del rispetto delle regole da
parte di tutti i soggetti, si può sperare con fondamento che,
per es., eventuali pressioni politiche sulla Magistratura, possano venir più facilmente compensate. Ai membri del Parlamento, in un sistema in cui le nomine e i trasferimenti dei magistrati dipendano, in ultima istanza, non da un organismo almeno
in parte di nomina politica, ma da un re, dovrebbe risultare assai più difficile, per esempio, ottenere l’allontanamento di un
magistrato che stesse compiendo indagini scomode o, comunque, inibirne l’azione con indebite pressioni inerenti la sua carriera.
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Inoltre, per elevare anche la qualità dei membri del Parlamento, evitando che tutti (o quasi) i suoi membri debbano alla
propria capacità politica il diritto di sedervi, senza peraltro arrivare a progettare una Camera dei Pari in cui, come in Inghilterra, parte dei membri vi siedano anche per diritto ereditario,
si potrebbe immaginare un Senato del Regno, sia pure caratterizzato da competenze più ristrette rispetto all’altro ramo del
Parlamento, dove vengano accolte, insieme ai senatori eletti
dalle persone più mature (oltre 28 anni di età), anche un certo
numero di eminenti personalità della cultura, della giurisprudenza, della scienza, della filosofia, della storia e dell’aristocrazia espresse dalla nazione e nominate a vita dal Sovrano, col
grande vantaggio di poter esercitare un controllo sull’attività
legislatrice, che possa risultare davvero libero da condizionamenti politici e da preoccupazioni legate alle successive elezioni. L’ottima prova che hanno dato di sé i senatori a vita in questo stralcio della vita repubblicana in cui il loro voto era determinante, evitando che l’azione parlamentare si arenasse nelle secche di una contestazione talora sterile e pretestuosa,
sembrerebbe dare sostegno a questa tesi.
Ritengo poi che a tali vantaggi di ordine politico, riscontrabili in un sistema monarchico, se ne dovrebbero aggiungere
altri di natura più propriamente sociale. Tanto per cominciare,
credo si possa sostenere che si crei un rapporto più profondo
ed affettivamente più radicato tra il popolo e il suo re piuttosto
che tra i cittadini e le personalità politiche, che svolgono sempre un servizio ad terminem e, comunque, assai più impersonale.
In particolare, da più parti si è osservato – ma forse tra i primi
ad usare questo termine fu Pierpaolo Pasolini – come il rischio
di una repubblica sia quello di contrapporre ai cittadini un
“Palazzo”, tanto impenetrabile quanto avrebbe dovuto, invece,
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essere trasparente2; una struttura spesso fredda e distante, insomma, nei confronti della quale l’identificazione è pressoché
impossibile, e quindi anche l’affezione, così importante specie
quando la nazione si trovasse ad attraversare momenti di crisi.
Oggi, addirittura, la crisi è indotta proprio dalla stessa classe
politica, di fronte alla quale si percepisce distintamente un’insofferenza crescente della popolazione, che lamenta i costi della politica e gli sprechi nell’amministrazione, connessi alla formazione di una “casta” apparentemente indipendente dall’elettorato cui dovrebbe rispondere, che penetra non solo gli organismi democratici, ma anche i direttivi di quelle migliaia di società a parziale pubblica partecipazione, frequenti specie a livello locale, nate per gestire trasporti, servizi e simili e nelle
quali è l’appartenenza politica a determinare il livello di responsabilità nella gestione.
C’è, insomma, “aria di rivoluzione”, per citare una famosa
canzone di Franco Battiato3. Ecco, allora, che, pensando alla
saggezza di Carlo Alberto alla vigilia della concessione dello
Statuto, quando riuscì a canalizzare i fermenti rivoluzionari in
un ammodernamento pacifico ed efficace del Regno di Sardegna, prendo il coraggio a due mani per proporre l’instaurazione di una moderna monarchia parlamentare come rimedio
2 “L’Italia
– e non solo l’Italia del Palazzo e del potere – è un Paese ridicolo
e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue: «contaminazioni» tra Molière e il Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno”, ingannati e beffati dal potere però con il loro consenso e la loro soddisfazione. Gli ultimi trent’anni della nostra storia
politica e sociale non hanno certo tolto forza e veridicità alle denunce pasoliniane [Goffredo Fofi cita Pierpaolo Pasolini, in “Il Sole-24 Ore”, 30 ottobre 2005].
3 In un’intervista radiofonica, il grande cantautore siciliano ha detto, tra
l’altro, dei politici nostrani: «Sono delle maschere». Intervista rilasciata a
Radio24, trasmessa il 21-08-07.
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strutturale ai mali del Bel Paese. Ma il mio pensiero va anche ad
altre nazioni repubblicane, come la Germania, che, forse, anche
per il deficit strutturale di cui sopra, connesso alla forma di
stato repubblicana, è stata scelta per una forte penetrazione da
parte della malavita organizzata campana e calabrese, come la
recente “strage di Ferragosto” ha purtroppo dimostrato4.
Duisburg - «La mafia è da noi». All’indomani della strage di Ferragosto a
Duisburg, è questo in sintesi l’allarme lanciato dalla stampa tedesca. «Guerra di mafia della Ruhr», titola in grande in prima pagina la Bild che parla di
uno dei «crimini peggiori nella storia criminale tedesca». «Molti capi clan e i
loro affiliati da anni si sono trasferiti in Germania gestendo ristoranti e pizzerie e richiamando complici e parenti», scrive il popolare quotidiano secondo cui sarebbero «centinaia le famiglie provenienti dalla Calabria e da
San Luca a Duisburg». Per il quotidiano, gli inquirenti avrebbero già da
tempo messo gli occhi anche sulle attività del ristorante «Da Bruno» indagando su «riciclaggio di denaro sporco, droga e armi». «La mafia in Germania - scrive la Bild - è estremamente pericolosa». Secondo il giornale, tutte le principali centrali mafiose hanno la loro rappresentanza in Germania,
da cosa nostra (Sicilia) alla camorra (Napoli) dalla sacra corona unita (Puglia) alla ‘ndrangheta calabrese, responsabile con ogni probabilità della strage di Ferragosto a Duisburg. Il giornale tedesco cita la polizia criminale tedesca secondo cui sarebbero almeno 160 i «rappresentanti» mafiosi in
Germania.
«Rete Italiana» - «Sei morti - la strage di mafia a Duisburg chocca la Germania» -, è il titolo a tutta prima pagina della Rheinische Post, il giornale regionale della Renania che approfondisce il tema di quello che definisce «la
rete italiana» della criminalità in Germania. Secondo il giornale la polizia
criminale tedesca indaga su 26 gruppi malavitosi italiani attivi in Germania
nel campo della droga e del riciclaggio di denaro sporco. Anche tutti gli altri quotidiani sia nazionali che locali riferiscono oggi con grande risalto della strage di italiani a Duisburg. «Sanguinosa vendetta» il titolo della Berliner
Zeitung che dedica un articolo a parte all’attività criminale della ‘ndrangheta
che dalla Calabria si è estesa anche in Germania. Il giornale cita un rapporto dei servizi segreti tedeschi secondo cui la ‘ndrangheta userebbe la Germania «non solo per il traffico di droga e armi ma anche per il riciclaggio di
denaro sporco». In tal modo aggiunge il giornale l’organizzazione criminale
calabrese si assicurerebbe ricavi nell’ordine di milioni di euro da destinare
all’acquisto di immobili soprattutto nei Laender orientali tedeschi, in parti4
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Ogni monarchia si circonda necessariamente di un’aristocrazia, la cui funzione sociale fondamentale è quella di arginare lo strapotere del denaro e dell’oligarchia finanziaria. Di
fronte ad una borghesia quasi onnipotente che, spesso, vive il
culto del profitto come una nuova e più esigente religione, sarebbe necessario, a mio avviso, additare al popolo uno stile di
vita differente, un insieme di valori che possa contrapporsi a
quello del mero arricchimento personale. E così, se le persone
avessero un pubblico modello di ben vivere da confrontare
con il semplice fascino della ricchezza, sarebbe più facile ottenere che il livello culturale ed umano cessasse di scivolare verso il più desolante degrado.
Una delle obiezioni più antiche e motivate ad un discorso di
questo tenore è quella che mette in relazione l’efficacia del
monarca alle sue capacità personali. Baghehot5, per esempio,
ritiene che, in media, chi sia cresciuto senza l’obbligo di dover
competere per conseguire la propria posizione, sarà meno dotato degli uomini di governo che l’agone politico ha selezionato; sarebbe dunque molto più facile, per es., avere un presidente all’altezza, piuttosto che non un re. A questo, il presente lavoro, cercherà di rispondere in due modi.
Intanto bisogna notare che, quand’anche il Re non fosse in
grado di esercitare una particolare influenza, la sua sola esicolare Turingia, Sassonia e Costa Baltica. La notizia della strage di Duisburg figura sulla prima pagina dei principali quotidiani del Paese. «Sospetto di mafia nella strage di Duisburg», titola in prima la Frankfurter Allgemeine
Zeitung che sottolinea anch’essa la crescente espansione della mafia italiana
in Germania. Anche la Sueddeutsche Zeitung riferisce in prima dell’uccisione
dei sei italiani a Duisburg, riferendo della polizia tedesca che indaga «in tutte le direzioni». «Vendetta di San Luca a Duisburg» è il titolo in prima del
quotidiano Die Welt che sottolinea come le tracce del crimine «portano in
Calabria» [dal “Corriere della sera.it” del 16 agosto 2007].
5 W. Bagehot, La costituzione inglese, trad. it., Il Mulino, Bologna, 1995.
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stenza permetterebbe alla bilancia dei poteri, come dicevamo,
di funzionare meglio e alla Magistratura in particolare di operare in serena libertà e piena indipendenza; se, infatti, è pensabile che un re non sia particolarmente dotato, non è verosimile
che possa mai avere interesse ad avallare indebite pressioni
d’indole politica sulla Magistratura, sia perché libero da vincoli
di partito, sia perché ciò sarebbe in contrasto con le tradizioni
che incarna e rappresenta. In secondo luogo, volendo pensare
ad una monarchia nuova, che non dipenda necessariamente dal
modello esistente, ma possa mirare a promuoverlo e rinnovarlo, per disegnare – insomma – un futuro più promettente, si
potrebbero cercare con interesse spunti dalla storia anche remota, per assemblare il miglior modello di successione cui
trarre libera ispirazione per l’oggi; a quel punto, a mio modesto
avviso, non sarebbe difficile rinvenire importanti elementi nel
modello imperiale romano, e, in particolare, nell’aureo periodo
degli Antonini, da molti considerati i migliori imperatori che
Roma antica abbia conosciuto; ebbene: essi erano saliti alla dignità imperiale perché adottati dal loro predecessore, che ne aveva apprezzato le qualità, giudicandole adatte al governo della
più grande realtà politica dell’Occidente di allora. Se si ammette che una semplice lettera di nobilitazione possa fare di un
comune cittadino un nobile, perché con essa il re non fa che
riconoscere in lui la presenza di una virtù spirituale evidente e
sicura, che merita quindi di essere sanzionata, come è recentemente avvenuto, per esempio, quando sono stati riconosciuti
gli incontestabili meriti artistici di sir Elton John, e sir Mick
Jagger da parte di Sua Maestà Britannica Elisabetta II, così si
dovrebbe ammettere che quando un re adotta una persona vicina, ne faccia in tutto e per tutto il proprio figlio, e che questi
dovrebbe quindi vedersi riconosciuto, secondo questa nostra
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proposta, il diritto alla successione; di più: ciò dovrebbe poter
avvenire anche se il Re, o la Regina, avesse altri figli più anziani; infatti, io credo che nessuno meglio di un re possa stabilire
chi debba succedergli e chi possa farlo con efficacia e dignità, garantendo la necessaria continuità allo Stato e alle sue vitali tradizioni, pur in costante evoluzione; è bene, dunque, lasciare al
Sovrano piena libertà di scelta, ferma restando, naturalmente,
la possibilità di passare lo scettro a uno dei suoi figli, o dei nipoti, che possa, tuttavia essere scelto liberamente, anche tra le
femmine. In questo modo, si potrebbe evitare che persone poco
adatte, per la semplice roulette della primogenitura, si trovino
mai a ricoprire un ruolo per cui non siano eventualmente
troppo dotate. (Anche nella Bibbia, del resto, si ha l’esempio
dell’elezione da parte di Dio di Davide che, notoriamente, era
il più piccolo dei suoi fratelli, mentre Iesse, suo padre, non era
comunque un principe).
Ma la ragione più persuasiva a favore della monarchia si
colloca, probabilmente, sul piano simbolico. La politica italiana
in particolare, oggigiorno, ma questo avveniva anche prima, si
nutre molto di simboli, talora perfino dimenticando l’importanza dei meccanismi che risulterebbero anche più efficaci nel
garantire il corretto svolgimento della vita democratica; ora, se
l’idea di questo lavoro è che i migliori meccanismi possano
proprio essere predisposti in una monarchia, a questo va aggiunta la convinzione che tale sistema rappresenti pure il simbolo politico più completo ed importante, condensando la tradizione, i valori nazionali, il senso della legalità, la difesa del
popolo e il senso dell’onore, che naturalmente ed inconsciamente sono collegati all’idea di una famiglia che, a volte anche
a rischio della vita, a costo della vita, si assuma la responsabilità di accompagnare il cammino di un popolo attraverso le al-
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terne vicende della sua storia; l’esempio forse più recente è stato quello della ferma e coraggiosa opposizione del Re di Spagna, Juan Carlos di Borbone, al golpe di Tejero, che grazie alla
precisa e veemente opposizione incarnata fattivamente dal Sovrano, come sappiamo, rientrò prontamente.
Ci si potrebbe infine domandare se un discorso d’indole
monarchica, proposto da un italiano mentre il suo Paese preme sempre più, e giustamente, per un’efficace integrazione europea, non possa risultare per lo meno anacronistico. Ebbene,
io credo che non sia necessariamente così.
Infatti si danno due possibili casi. Il primo è che l’Europa,
pur costruendo efficaci ed importanti strutture comuni come
un sistema difensivo integrato e un unico ministero per la politica estera, tuttavia rimanga formata da Stati indipendenti, sia
pure ‘a sovranità limitata’. Questa, che, viste le grandi tradizioni di ciascuno dei Paesi membri, sembra l’ipotesi più probabile,
lascerebbe aperta la possibilità di eleggere, all’interno di ogni
singolo Stato appartenente alla Comunità, la forma istituzionale preferita; evidentemente, allora, l’Italia potrebbe benissimo,
un giorno non necessariamente troppo lontano, riconsiderare
la sua scelta repubblicana, sebbene ciò implicherebbe importanti revisioni legislative, da svolgersi, ovviamente, nella più
scrupolosa e rigorosa adesione alla legalità costituzionale.
D’altra parte, se tra i miei quattro lettori ve ne fosse uno
posto a sud dei Pirenei o a nord del Baltico, le modeste riflessioni di questo lavoro potrebbero forse far percepire la monarchia, laddove già esiste, come qualche cosa di vitale, e non come un inutile residuato di epoche ormai trascorse e sorpassate.
Ma veniamo al caso più interessante, ossia alla possibilità
che l’Europa riesca nell’ardua impresa di darsi istituzioni politiche pienamente unitarie, sia pure in un quadro di profondo
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decentramento amministrativo; la mia domanda è molto semplice: per quale ragione l’Europa dovrebbe imitare gli Stati Uniti d’America dandosi una forma repubblicana e federale, in
un contesto tanto diverso da quello, quando la sua tradizione è
sicuramente monarchica? Tanto la Francia, come l’Italia o la
Germania hanno un passato monarchico importante; in particolare, la repubblica italiana e quella tedesca sono nate da una
bruciante sconfitta militare: la prima guerra mondiale per la
Germania e la seconda per l’Italia; perciò colpisce l’osservazione di Francesco Saverio Nitti che ebbe appunto a dire,
nei discorsi preparatori tenuti in seno all’Assemblea Costituente, all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, come solo i paesi sconfitti nel 1945 sentirono l’esigenza di cambiare la loro Costituzione, mentre ciò non avvenne per i vincitori: «Dopo le grandi guerre, cambiare le Costituzioni è nei
tempi nostri destino dei vinti. I vincitori non le cambiano. Con
costituzioni di natura estremamente diversa, i tre grandi vincitori, l’Inghilterra, l’America e la Russia, non hanno trovato nulla da cambiare; sono i vinti che sono costretti da necessità a
mutare i loro ordinamenti [… 8 marzo 1947]».
Considerando, allora, quella che era, poco tempo fa,
l’Europa dei 15, ben sette Stati sono monarchici: Belgio, Danimarca, Gran Bretagna, Lussembrugo, Paesi Bassi, Spagna e
Svezia, mentre anche molte delle altre repubbliche, come Austria e Portogallo, hanno alle spalle antiche e gloriose storie
monarchiche. Il fatto che di tutto questo, da parte dei giovani
che vivono in stati repubblicani, spesso addirittura si ignori
l’esistenza, testimonia come le monarchie moderne non siano
affatto ingombranti; al contrario, agili e decorose, contribuiscono non poco a garantire quell’equilibrio politico e quel
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buon governo che, tantissime volte, rientra persino nei modi di
dire nostrani.
Così, se mi si consente un breve inciso, tanto per fare un
esempio, avvenne quando Raffaele Costa, che fu Ministro della
Sanità, ebbe a considerare come il nostro welfare state, a fronte
di costi svedesi, fornisse servizi da Terzo Mondo. Inconsciamente, sapevamo allora e sappiamo bene anche oggi come nei
paesi monarchici la qualità della vita sia assai superiore, ma,
tuttavia, non giungiamo mai a collegare la differenza, che pur riscontriamo, tanto a livello di nitore delle istituzioni, quanto riguardo all’efficacia della cosa pubblica, alla diversa forma istituzionale;
ci limitiamo a crogiolarci nella nostra pretesa inferiorità, in base alla quale gli Italiani non sarebbero in grado di darsi regole
di convivenza veramente efficaci ed ordinate, realizzando così
una curiosa forma di razzismo alla rovescia, dimentico della
grandezza culturale del nostro Paese. Ebbene, a questi tendenziosi (forse interessati) luoghi comuni che, per giunta, diffamano il nostro popolo, si potrebbe rispondere: Dateci buone e
moderne leggi, capaci d’instaurare un’efficace alternanza politica; ridateci un Re, magari una Regina, che veglino su un apparato giudiziario assolutamente indipendente, e, come già tante altre volte è avvenuto nella nostra storia, dal Rinascimento al
Risorgimento, sapremo stupire il mondo intero.
Per concludere sull’Europa, riprendendo il filo del parallelo
con gli Stati Uniti, tenendo conto del fatto che Montesquieu ci
avverte che è solo un caso se gli ordinamenti che vanno bene
per una nazione risultano adatti anche ad un’altra, ribadisco
che non vedo proprio la ragione per cui si debba a tutti i costi
cercare d’imitare una realtà sicuramente invidiabile, ma irripetibile, come quella degli Stati Uniti d’America, che, oltretutto,
provengono da una storia molto più omogenea di quella che
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caratterizza gli Stati europei. Ecco allora che, invece, una monarchia parlamentare, magari disegnata secondo il modello che
cercherò di tratteggiare, potrebbe a mio avviso meglio adattarsi
anche alla nostra realtà continentale. E in Europa c’è certamente un buon numero di famiglie importanti che godono di
una stima che va al di là dei confini della loro patria, così come
i loro alberi genealogici: come italiano, posso citare senza sospetto, a titolo di esempio, la più antica di tutte quelle attualmente regnanti, che non fu coinvolta nei recenti conflitti, e che
si distinse per l’intelligenza con cui affrontò l’inevitabile occupazione delle soverchianti forze naziste, peraltro senza piegarsi
all’approvazione delle leggi razziali6 – parlo, naturalmente, della
Casa regnante danese. In ogni modo, se il popolo d’Europa
scegliesse, tra tutti i casati disponibili, uno cui offrire quello
che subito diverrebbe il più ambito trono della terra, io credo
che difficilmente, nel nostro Continente, potremmo trovarci
ad avere istituzioni più salde e amate da tutti i cittadini.
6 The elections of 1943 proved to be a great national demonstration that
the people were united in support of the four old democratic parties and
the fight against Nazism. At the same time, the resistance movement was
organized, and Germany’s military defeats paved the way for demands for
an open breach with the powers of occupation. Dissatisfaction caused by
consumer shortages and inflation, combined with the growing opposition
to German occupation, led to a series of strikes in the summer of 1943
that in August culminated in actions aimed directly at the Germans. When
the Danish government refused to introduce the death penalty for sabotage, to allow the persecution of Jews, or to use force against the strikers,
the Germans declared a state of emergency. The Danish government
ceased to function and the German Reichskommissioner assumed political
control. The Danish army and navy were disbanded, but not before many
of the ships were scuttled by their own crews. [Gudmund Sandvik, Denmark in “Encyclopædia Britannica”. Encyclopædia Britannica Online.
<http://www.britannica.com/eb/article-9106173>].
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Per chi intendesse proseguire nella lettura, segnalo a margine che i successivi capitoli cercano di affrontare, per quanto
possibile in questa sede, tematiche giuridiche di ordine generale, quali il rapporto tra positivismo giuridico e giusnaturalismo,
il tema della norma fondamentale e anche problematiche
d’indole socioeconomica; pertanto, il lettore interessato in
modo esclusivo al tema della monarchia, può proseguire la lettura a partire dalla seconda parte, senza sostanziale pregiudizio
per la comprensione della presente proposta.
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