Incubo notifica - 14 luglio 2014
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Incubo notifica - 14 luglio 2014
Incubo notifica luglio 14, 2014 Con il termine notifica si intende, nel mondo dell’arte, un atto amministrativo con il quale il Ministero per i beni e le attività culturali riconosce l’interesse culturale, artistico, storico o etnoantropologico di beni (mobili e/o immobili, comprese le collezioni), a patto che l’autore sia deceduto e l’opera sia stata realizzata da oltre cinquant’anni, cui consegue l’applicazione di limiti e controlli previsti dal codice dei beni culturali. Introdotto nel 1939 con la Legge Bottai, il procedimento si concludeva, nel caso fossero integrati i presupposti, con la notifica al proprietario del riconoscimento di valore culturale del bene. Dal momento dell’avvio del procedimento, la possibilità di circolazione dell’opera subiva notevoli limitazioni sia sul versante dell’esportazione (vietata tout court salvo il caso di uscita temporanea e per manifestazioni di alto interesse culturale), sia per quanto riguarda gli “spostamenti” all’interno del territorio nazionale (richiesta specifica autorizzazione), quanto, e soprattutto, nel caso di vendita (obbligo di denuncia e diritto di prelazione in capo allo Stato). La materia è oggi regolata dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio), che ha modificato in parte il quadro legislativo previgente. In specie, la materia è stata diversificata a seconda che l’opera sia di proprietà pubblica o privata. Nel primo caso il valore culturale si ritiene, per così dire, presunto, ragion per cui l’accertamento funge da mera “verifica” dello status medesimo; nel caso di beni di proprietà privata la situazione è, invece, invertita e il controllo amministrativo interviene come vera e propria dichiarazione, con effetti costitutivi, dello status di interesse culturale del bene in questione. In entrambi i casi l’atto dichiarativo deve essere notificato al proprietario, possessore o detentore della cosa. Nondimeno, l’istituto mantiene pressoché invariate (con le precisazioni di cui si dirà infra) le penetranti conseguenze scaturenti, sin dall’avvio del procedimento, in esito alla dichiarazione di interesse culturale. Esaurito l’inquadramento tecnico-giuridico, analizziamo alcune questioni di carattere eminentemente pratico connesse all’istituto. Una prima questione di certo interesse riguarda gli strumenti e i rimedi riconosciuti in capo al titolare di un bene (collezionista, antiquario o chicchessia) che venga raggiunto da notifica ovvero da avviso di avvio del procedimento. In primo luogo, trattandosi di un procedimento amministrativo, sarà esperibile un ricorso gerarchico allo stesso Ministero per ragioni di legittimità e merito da proporsi entro 30 giorni dalla notifica. L’autorità adita sarà chiamata a pronunciarsi entro 90 giorni dalla presentazione del ricorso, respingendo la domanda ovvero accogliendola e dichiarando consequenzialmente decaduti gli effetti della notifica. In alternativa, sarà possibile ricorrere davanti al Tar entro 60 giorni o proporre ricorso straordinario entro 120 giorni dalla notifica per vizi di legittimità dinnanzi al Presidente della Repubblica. Va comunque sottolineato che, stante la natura ampiamente discrezionale della valutazione, risulta tutt’altro che semplice ottenere una pronuncia che vada a sindacare i profili di convenienza dell’azione amministrativa (salvo casi macroscopici). A tali difficoltà si assomma il fatto che il difetto di motivazione dell’atto non costituisce per sé ragione di accoglimento del ricorso, rientrando tra le facoltà del giudicante la modifica o l’integrazione del tenore della motivazione. Ove si riesca a provare l’illegittimità del provvedimento, si aprirà comunque la strada per una tutela risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione. Un secondo tema riguarda, nel caso in cui il bene sia stato legittimamente raggiunto dalla notifica, gli adempimenti che il proprietario è tenuto a porre in essere in conformità alla normativa vigente. Innanzitutto interviene un limite al diritto di godimento della cosa: il proprietario non potrà, ad esempio, adibire il bene ad usi non compatibili con il carattere storico e artistico dello stesso oppure che rechino pregiudizio alla sua conservazione (art. 20 del codice dei beni culturali). Gli ulteriori adempimenti richiesti si agganciano ai summenzionati limiti al diritto di disporre della cosa. A titolo esemplificativo, il Codice dei beni culturali ( art.65 ) vieta l’uscita definitiva di alcune tipologie di beni dal territorio dello Stato, mentre per altre richiede un obbligo di autorizzazione preventiva ( attestato di libera circolazione ). I beni culturali per i quali sarebbe vietata l’uscita definitiva dal territorio dello Stato italiano ai sensi dell’art. 65 c.1, 2 lett.a e 3 del codice possono però essere temporaneamente spediti all’estero per manifestazioni, mostre ed esposizioni d’arte “di alto interesse culturale”: la durata del prestito è stata portata da uno a quattro anni, consentendo così la conclusione più agevole di accordi con musei e istituzioni straniere. In secondo luogo, ove il proprietario decida di vendere l’opera, l’art. 59 del codice prevede un obbligo di denuncia al Ministero a carico dell’alienante e lo stato potrà esercitare il diritto di prelazione alla cifra pattuita per l’acquisto del bene. Si ricorda che non sono soggetti alla citata disciplina i beni appartenenti a privati e collezioni, che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre 50 anni. Conclusa tale panoramica sembra opportuno interrogarsi circa gli effetti che un quadro normativo siffatto sia in grado di produrre sul mercato dell’arte e, in particolare se, da un punto di vista di analisi economica del diritto, le previsioni attuali possano considerarsi efficienti ovvero costituiscano un freno per il mercato italiano, disincentivando la competitività del nostro Paese a livello internazionale. Se da un lato è infatti innegabile che in presenza di beni di particolare interesse culturale sia necessario, o finanche indispensabile, introdurre idonei meccanismi di protezione e tutela, che garantiscano l’interesse collettivo alla fruizione dell’opera e minimizzino i rischi che potrebbero derivare da una gestione privata della stessa, d’ altro canto, emerge chiaramente come le norme attuali, figlie (non lo si è sottolineato a caso) di un’impostazione risalente e del contesto dell’epoca (Legge Bottai), in alcuni casi appaiono più attente a soddisfare esigenze di accentramento e di controllo nonché prevenire la fuga di opere dal nostro Paese, piuttosto che cercare un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco. Se poi, alla rigidità delle norme s’aggiunge la conclamata farraginosità dell’apparato burocratico italiano (cui si è tentato, negli anni, di porre rimedio con plurimi interventi di semplificazione) ciò che emerge in ultima analisi è come la disciplina abbia rappresentato un freno alla circolazione delle opere, tradottasi, a sua volta, in una contrazione dei prezzi e degli scambi. Plurimi e emblematici sono gli episodi in tal senso. Su tutti basti menzionare la famosa querelle relativa all’opera di Van Gogh nota ai più come “Il Giardiniere”. Il capolavoro, accreditato come il ritratto del giardiniere dell’ospedale psichiatrico di Saint Remy, ove l’artista si era ritirato a seguito delle note e drammatiche vicende di Arles e di pochi mesi precedente al tragico epilogo della sua breve esistenza, fu acquistato dal pittore e collezionista toscano Gustavo Sforni e restò, tra varie peripezie (i bombardamenti e l’alluvione che colpirono Firenze, a cavallo dei quali, nel 1954, intervenne la notifica dell’interesse storico e artistico) di proprietà della famiglia sino al 1977 quando fu venduto per la cifra di seicento milioni di Lire al gallerista svizzero Ernst Beyeler (la cui identità emerse solo nel 1983: l’acquisto era avvenuto, infatti, per mezzo di un intermediario e la denuncia dell’atto traslativo e relativa rinuncia al diritto di prelazione era avvenuta in relazione a quest’ultimo). Dovette comunque attendersi oltre un lustro dalla denuncia da parte del collezionista elvetico dell’intenzione di vendere l’opera al museo Guggenheim di Venezia per una cifra di molto superiore a quella precedente, perché, nel 1988, il Ministero dei Beni culturali decidesse di mobilitarsi, pretendendo, ad oltre dieci di distanza (asserendo l’invalidità del titolo di proprietà del Beyeler e conseguentemente della rinuncia illo tempore effettuata), di esercitare il diritto di prelazione per la cifra a suo tempo pattuita. Ne sortì una battaglia giudiziaria dipanatasi per oltre un decennio tra corti nazionali e internazionali, conclusasi nel 2002 con la sentenza della Corte di Strasburgo che, da un lato, riconobbe il diritto di prelazione in capo allo Stato italiano, provvedendo, dall’altro, alla revisione del quantum debeatur (prezzo per l’esercizio del diritto) che, in caso contrario, tenuto conto del considerevole lasso di tempo intercorso, si sarebbe tradotto in un ingiustificato arricchimento da parte dello Stato Italiano stesso. Sebbene i rappresentanti del governo italiano non abbiano nascosto una certa soddisfazione all’indomani della sentenza e si debba senz’altro riconoscere che la possibilità di esporre l’opera nella Galleria d’arte moderna e contemporanea capitolina sia ragione di vanto per l’intero Paese, va altresì rimarcato come la sensazione serpeggiata – a torto o a ragione – negli ambienti dei collezionisti fu quella di una notevole inaffidabilità delle transazioni poste in essere con soggetti italiani, incombendo minacciosa la spada di Damocle del diritto di prelazione che lo Stato avrebbe potuto pretendere di esercitare anche a molti anni di distanza dalla conclusione dell’operazione. Ed è stato proprio a seguito della ricordata vicenda, che il legislatore italiano è intervenuto specificando che il diritto di prelazione oggi regolato dal capo IV, sezione II, del codice dei beni culturali, debba essere esercitato entro sessanta giorni dalla data di ricezione della succitata denuncia di trasferimento, ovvero, in caso di tardiva od omessa denuncia, entro centottanta giorni dal ricevimento della denuncia medesima o dall’acquisizione di tutti gli elementi costitutivi della stessa (art. 61). La dichiarazione di voler esercitare i diritto di prelazione va notificato all’alienante e all’acquirente e, in pendenza del termine , l’atto di alienazione resta condizionato sospensivamente all’esercizio del diritto di prelazione e il venditore non può procedere alla consegna della cosa. Le tempistiche appena ricordate, ove rispettate, dovrebbero consentire di ridurre notevolmente la situazione di incertezza che rischiava di realizzarsi tra la parti del negozio traslativo e limitare lo svantaggio competitivo del nostro Paese. Nondimeno, costituendo la libera circolazione delle merci uno dei pilastri costitutivi e fondanti del processo di unificazione europea, sarebbe auspicabile, in tal sede, un intervento di armonizzazione: non a caso, ormai da anni, si parla di “notifica europea”, la quale, pur nei limiti territoriali dell’Unione, agevolerebbe notevolmente la circolazione sciogliendo molti dei nodi sollevati; si tratta, tuttavia, di un mero progetto in cantiere, del quale, allo stato, non è dato sapere quando vedrà la luce. Maria Grazia Longoni e Matteo Pozzi “Maria Grazia Longoni, appassionata di arte, avvocato civilista, è partner di LCA – Lega Colucci e Associati, studio legale specializzato nel diritto di impresa in ambito nazionale e internazionale, in diritto dell’arte, diritto di famiglia e diritto dei trasporti e logistica; responsabile del dipartimento dello studio che tratta il diritto dell’arte, presta consulenza a musei, gallerie, fondazioni, artisti e collezionisti”. “Matteo Pozzi, trainee presso LCA , collabora con il dipartimento di diritto dell’arte”.